Il consigliere del Csm ha deposto al processo sulle indagini della strage di via D’Amelio che vede alla sbarra tre poliziotti: Mario Bo, Michele Ribaudo e Fabrizio Mattei
“Penso ci sia una enorme difficoltà a fare emergere la verità – è il nuovo atto d’accusa di Fiammetta Borsellino, al termine dell’udienza del processo per il depistaggio delle indagini sulla strage di via D’Amelio – Non ho constatato da parte di nessuno la volontà di dare un contributo, al di là la delle proprie discolpe, a capire cosa è successo”. Oggi, a Caltanissetta, ha deposto come testimone l’ex pm Nino Di Matteo, oggi consigliere del Csm. “Sembra che quello che riguarda Scarantino e il depistaggio delle indagini sia avvenuto per virtù dello spirito santo – dice la figlia del magistrato assassinato nel 1992 al termine dell’udienza – Si tende a stigmatizzare la vicenda Scarantino come un piccolo segmento di una questione più grande. Io non penso che quello di Scarantino sia un segmento così piccolo”. E ancora: “Ci si riempie la bocca con la parola pool ma io di pool non ne ho visto nemmeno l’ombra – aggiunto Fiammetta Borsellino – perché quando ai magistrati si chiede come mai non sapessero dei colloqui investigativi, della mancata audizione di Giammanco, cadono dalle nuvole”.
Un riferimento anche alla deposizione di Di Matteo: “Ho ascoltato molto attentamente le cose che ha detto e rimango sempre stupita da questa difesa oltre che personale a oltranza di questi magistrati e poliziotti che si sono occupati dell’indagine sulla strage. Ma sembrano tutti passati lì per caso”.
La deposizione di Di Matteo
“C’erano dubbi molto seri sulla credibilità di Vincenzo Scarantino”. A dirlo è il consigliere del Csm Nino Di Matteo deponendo al processo sul depistaggio delle indagini sulla strage di Via D’Amelio che vede alla sbarra tre poliziotti, Mario Bo, Michele Ribaudo e Fabrizio Mattei. I dubbi su Scarantino, secondo Di Matteo, che fece parte del pool sulle stragi, “non era tanto riferito ai primi verbali” resi, ma “sulla concretezza su quanto dichiarato” in riferimento a collaboratori come Mario Santo Di Matteo e Salvatore Cancemi.
“Io non ho mi partecipato a una riunione, a un incontro tra colleghi in cui si facesse riferimento sulle indagini, di cui sapevo solo dalle cronache dei giornali, fino al novembre 1994. Siamo a due anni e sei mesi dalla strage di via D’Amelio, quello che io considero l’inizio di un possibile depistaggio con il furto dell’agenda rossa”, ha detto Di Matteo. “Due anni e 4 mesi dopo l’arresto di Scarantino che come sapete è venuto dopo altre indagini, mi è stato detto di occuparmi anche delle stragi. In particolare di quella di via d’Amelio”.
“Nel mio ricordo ad occuparsi delle indagini e della gestione di Vincenzo Scarantino – ha aggiunto – c’era sicuramente Mario Bo e due ispettori, molto bravi, Ricerca e Maniscalchi. Ribaudo e Mattei, nel mio ricordo avevano un ruolo marginale”.
Di Matteo ricorda di avere indagato “fondo sulla presenza di Bruno Contrada in via D’Amelio dopo la strage”. Dice: “Fui io a riaprire le indagini su di lui sulla base delle dichiarazioni del pentito Elmo che ci aveva detto di averlo visto allontanarsi dal teatro dell’attentato con dei documenti in mano. A quel punto lessi tutto il vecchio fascicolo, acquisii le sue agende”.
Contrada era il numero tre del Sisde, il servizio segreto civile. A dicembre, venne arrestato dai pm di Palermo per concorso esterno in associazione mafiosa. “Vedendo quei vecchi atti – dice Di Matteo – mi accorsi che c’era stato un ufficiale del Ros, Sinico, che era andato in procura a Palermo e aveva riferito ad alcuni magistrati di aver saputo che la prima volante accorsa dopo l’esplosione aveva constatato la presenza di Contrada – ha aggiunto – I poliziotti aveva fatto una relazione che poi era stata strappata in questura. I colleghi avevano preso a verbale Sinico e mandato tutto a Caltanissetta, dove Sinico si era rifiutato di rivelare la sua fonte”.
“Si avviò una indagine molto spinta sui servizi segreti. – ha spiegato – Io stavo per chiedere il rinvio a giudizio del carabiniere che, poi, si decise a fare il nome della sua fonte che indicò in Roberto Di Legami, funzionario di polizia. Di Legami negò tutto. Rinviato a giudizio fu poi assolto”.
Di Matteo parla anche delle indagini del pool di Caltanissetta: “Seppi delle note della Boccassini e delle sue osservazioni critiche sulla gestione del pentito Scarantino solo tra il 2008 e il 2010 – ha aggiunto l’ex pm di Palermo -. Con la collega Boccassini non ho mai avuto la possibilità e la fortuna di parlare non solo delle stragi ma di indagini in generale. Per me era ed è un un magistrato da stimare moltissimo, ma con la quale la conoscenza si limitava a incontri al bar”.
“All’epoca delle indagini sulle stragi i collaboratori di giustizia vedevano nell’ufficio del pubblico ministero il luogo a cui rivolgersi per risolvere problemi spesso logistici. In quel periodo mi è capitato che mi chiamassero Mutolo e Cancemi ma nessuno si è mai sognato di dirmi cose inerenti alle dichiarazioni. L’attività di preparazione dei collaboratori di giustizia significava solo dare indicazioni ad esempio sul contegno da tenere in aula, sull’evitare polemiche coi legali, questo era preparare ed era una prassi seguita da tutti”. LA REPUBBLICA 3.2.2020