15 novembre 2004 – Canale non tradì Borsellino

 

PALERMO – Alle 18,30 di ieri, dopo otto anni tra indagini e processo, il tenente dei carabineri Carmelo Canale, l’ ombra del giudice Paolo Borsellino, ritenuto il più fidato dei suoi collaboratori e diventato imputato con l’ accusa di avere favorito la mafia, s’ è scrollato di dosso il marchio di «traditore». E’ stato assolto «perché il fatto non sussiste». E subito dopo avere appreso la notizia della sentenza, Canale, che aveva atteso fuori dal palazzo di giustizia, dice di dedicare questo giorno «a tre persone scomparse, a mia figlia Antonella (morta qualche anno fa per una grave malattia, ndr) al giudice Paolo Borsellino ed a mio cognato Antonino Lombardo (maresciallo dei carabinieri suicidatosi in caserma dopo avere appreso che un pentito lo accusava di essere vicino ai boss, ndr). Altri sono i traditori di Borsellino e lo dirò nei prossimi giorni». Poi abbracci e baci con la figlia Manuela, con il nipote Fabio, figlio del maresciallo Lombardo, con i suoi avvocati e con la «squadra di Borsellino», i carabinieri che lavorarono con il magistrato e che sono stati sempre vicino al tenente Canale. Per lui il pubblico ministero, Massimo Russo, aveva chiesto la condanna a 10 anni di reclusione per associazione mafiosa. Ma i giudici della seconda sezione del tribunale di Palermo non hanno accolto la sua richiesta ed hanno assolto Canale ed altri due imputati il medico marsalese Giuseppe Pandolfo e Gaspare Casciolo, presunto capo mafia del trapanese. «Sono sereno, sia con la mia coscienza personale che professionale – dice scuro in volto il pm Massimo Russo che era accompagnato dal procuratore aggiunto Sergio Lari – aspettiamo di leggere adesso le motivazioni per poi decidere sul da farsi. Tutto quello che dovevamo fare, lo abbiamo fatto». Il tenente Carmelo Canale che per anni aveva vissuto fianco a fianco con il giudice Paolo Borsellino, prima a Marsala dove il magistrato era procuratore e poi a Palermo, fino al giorno della sua morte nella strage di via D’ Amelio, era finito nella bufera giudiziaria dopo che alcuni pentiti lo avevano accusato di passare informazioni alle cosche della mafia trapanese. Fu anche accusato di avere ricevuto soldi con i quali si sarebbe costruito una casa e di averli utilizzati anche per curare la figlia gravemente ammalata. «Canale è stato un Giano Bifronte – aveva detto il pm nel chiedere la sua condanna – uno che indossava la divisa del servitore dello Stato e, al tempo stesso, violava il giuramento di fedeltà alle istituzioni. Canale ha fatto parte della mafia, una mafia che è diventata il mostro che è grazie ad individui abietti come lui. Tutte le accuse rivolte a Canale dai pentiti sono state riscontrate in un lavoro investigativo durato dieci anni». Ma lui, il tenente Canale, ha sempre negato di avere favorito Cosa nostra e, soprattutto, di avere tradito Paolo Borsellino che di lui si fidava ciecamente. Sospeso dal servizio, è stato poi reintegrato ma trasferito a Reggio Calabria dove lavora tutt’ ora. Ieri, per lui, l’ incubo è finito. – L’ inchiesta Il caso giudiziario nel quale rimane coinvolto il tenente dei carabinieri Carmelo Canale si apre nel 1996 dopo le dichiarazioni ai magistrati da parte di sette collaboratori di giustizia – I pentiti Ad accusare Canale, tra gli altri, i trapanesi Antonino Patti e Vincenzo Sinacori e gli ex boss di San Giuseppe Jato Giovanni Brusca e Angelo Siino. Tutti parlano di «favori» per Cosa nostra da parte di Canale – Il processo è iniziato nel 2000 davanti alla seconda sezione del tribunale di Palermo. Per Canale l’ accusa è di concorso in associazione mafiosa e corruzione. Il pm Massimo Russo chiede dieci anni di reclusione – La sentenza Dopo otto ore di camera di consiglio il tribunale assolve Canale perché il fatto non sussiste. Assolti anche i due coimputati: il medico marsalese Giuseppe Pandolfo e Gaspare Casciolo

FRANCESCO VIVIANO 16 novembre 2004  LA REPUBBLICA