DALLA CORTE D’ASSISE LA CONFERMA DEL MAXI-DEPISTAGGIO E DAL CSM UN SILENZIO INDEGNO

16 NOVEMBRE 2019

La Corte d’Assise d’appello di Caltanissetta ha confermato in pratica la sentenza di primo grado e, accogliendo la richiesta della Procura Generale, ha condannato all’ergastolo i boss Salvo Madonia Vittorio Tutino, il primo come mandante ed il secondo come esecutore della strage di via D’Amelio. Condannati a dieci anni i falsi pentiti Francesco Andriotta Calogero Pulci, accusati di calunnia. E prescritto, sempre per il reato di calunnio, Vincenzo Scarantino, il personaggio chiave di tutta la vicenda. Ricordiamo che proprio sulle false accuse di Scarantino si sono basati i due primi processi taroccati, il Borsellino 1 e il Borsellino 2. Arnaldo La Barbera Abbiamo più volte disegnato quello scenario. Il falso pentito Scarantino venne letteralmente costruito a tavolino, per fare in modo di trovare subito il mostro da sbattere in prima pagina. Anzi sette mostri, visto che proprio in base alle sue accuse vennero condannati in primo secondo e terzo grado (e liberati dopo aver scontato 16 anni) sette innocenti, mafiosi che comunque niente avevano a vedere con quella strage. Ad organizzare il tutto, secondo le accuse, che ora si stanno traducendo in un altro processo sempre in corso a Caltanissetta, alcuni poliziotti (quattro per la precisione) che all’epoca dei fatti avrebbero agito sotto la supervisione dell’ex questore di ferro Arnaldo La Barbera, che militava anche tra i servizi segreti. Ma La Barbera a quelle accuse non può più rispondere, perché è deceduto 15 anni fa. Sotto processo, quindi, i componenti del suo team di polizia, che costruirono il falso pentito Scarantino, minacciando lui e i suoi familiari, e insegnandogli a memoria il copione che avrebbe dovuto recitare in aula processuale. E così fu. Scarantino recitò quel copione, gli imputati vennero condannati. E solo le seguenti verbalizzazioni di Gaspare Spatuzza, molti anni dopo, hanno consentito di smontare quei castelli di bugie, false accuse, ricostruzioni del tutto inventate. Tanto per trovare colpevoli qualunque usa e getta e, soprattutto, costruire quel mostruoso depistaggio. Ed è stato poi lo stesso Scarantino a ricostruire in aula dettagli e tappe di quel taroccamento, facendo anche i nomi dei magistrati coinvolti in quella scientifica, perversa architettura giudiziaria.

IL MISTERO DELL’AGENDA ROSSA Ma eccoci alla terza inchiesta in corso alla procura di Messina. Riguarda appunto i magistrati che – di tutta evidenza – hanno coordinato le prime inchieste che hanno portato a quegli aberranti risultati del Borsellino   del Borsellino 2. Perché è chiaro che se la polizia si è mossa, non poteva farlo di sua spontanea iniziativa, ma erano necessari dei precisi imput da parte dei magistrati inquirenti. Elementare. E così, sotto i riflettori della procura di Messina, sono finiti i primi pm del caso, Anna Maria Palma Carmine Petralia.  Nino Di Matteo E’ sfuggito per un pelo Nino Di Matteo, l’attuale icona antimafia, perché si è aggiunto solo in un secondo momento al team investigativo (e comunque la figlia di Paolo, Fiammetta Borsellino, l’ha tirato in ballo). Il nome di Anna Maria Palma rimbalza anche nel giallo dell’agendina rossa di Paolo Borsellino, forse il più grosso mistero nel mistero. La famiglia Borsellino è convinta che lì si trovi una delle chiavi di tutto, che non sia mai sparita e che ad esserne in possesso siano ad oggi personaggi delle istituzioni. A fornire una lettura della story è stata, due anni fa, la giornalista d’inchiesta Roberta Ruscica, autrice del libro “I Boss di Stato”. Nel corso della presentazione del suo libro a Napoli, infatti, raccontò di aver conosciuto proprio in quegli anni a Palermo Anna Maria Palma, la quale le aveva raccontato di quelle indagini e, soprattutto, del fatto di essere entrata in possesso di quella agenda rossa. Oggi più bollente che mai. Come mai Palma non ha mai fornito una esauriente spiegazione su questa vicenda?

E IL CSM TACE Ma torniamo alle ultime del processo d’appello che si è appena concluso a Caltanissetta. A Vincenzo Scarantino è stata riconosciuta (e si tratta di una ulteriore prova del depistaggio) l’attenuante di essere stato “indotto a mentire”. Nella sentenza si parla di “suggeritori esterni”. “Soggetti i quali, a loro volta, avevano appreso informazioni da ulteriori fonti rimaste occulte”. Una fitta rete di complicità, collusioni, connection e via delinquendo. Commenta a caldo il legale di Scarantino, Antonio Balsamo: “Il dispositivo non ci coglie di sorpresa perché siamo consapevoli del fatto che sarebbe stata necessaria una gran dose di coraggio per assolvere Scarantino. Probabilmente i tempi non sono ancora maturi per dichiarare una simile verità. Prendiamo atto della sentenza e attendiamo le motivazioni per decidere sul da farsi”. Eccoci alle molto attese dichiarazioni del pg Lia Sava: “Ci sono ulteriori sviluppi delle indagini che possono portare ad un Borsellino quinquies”. E poi: “Secondo la procura generale lo sviluppo delle indagini sta via via delineando altre strade che, se ovviamente riscontrate, possono far individuare altri soggetti che hanno potuto contribuire alle stragi”. Oppure a depistare le indagini stesse, come fa capire: “I magistrati devono continuare a raccogliere prove certe di responsabilità penali che consentano di addivenire a sentenze definitive di condanna per tutti coloro, anche in ipotesi, esterni a Cosa nostra, che possono aver concorso, a qualunque titolo, e per qualsivoglia scopo, alla realizzazione della strage di via D’Amelio e che, successivamente ai tragici eventi, possono avere mosso i fili, in maniera da determinare il colossale depistaggio delle relative indagini”. Commenta uno dei legali della famiglia Borsellino, Fabio Trizzino, marito della figlia Lucia: “Questa è una pietra miliare perché si afferma che Scarantino è stato indotto a depistare le indagini”. Poi: “il depistaggio è come aver ucciso Paolo Borsellino una seconda volta, è più grave della strage medesima, perché che i mafiosi fossero nemici del giudice si sapeva, che un tradimento di questi tipo potesse venire da uomini delle istituzioni la famiglia certo non se lo aspettava”. Anche se, pochi giorni prima di essere ammazzato, Borsellino diceva alla moglie: “A tradirmi saranno degli amici”. Ribadisce l’avvocato Roberto Avellone, legale dell’unico agente sopravvissuto, Antonino Vullo: “E’ una ulteriore conferma che il depistaggio è stato perpetrato da uomini dello Stato, creando l’occultamento della verità”. Durissime, nei confronti del Consiglio Superiore della Magistratura, le parole della figlia, Fiammetta Borsellino: “Un silenzio indegno. Il Csm non si è saputo assumere la responsabilità di un procedimento, ma ha solo fatto da scaricabarile”. Ancora: “Lo abbiamo ben chiaro che c’è stato un depistaggio, ma è frustrante dover constatare che tutte le anomalie portate avanti dagli uomini delle istituzioni e funzionali al depistaggio oggi non sono ancora chiarite”. VOCE DELLE VOCI 16.11.19