15 giugno 2019 L’ autodifesa del pm Petralia indagato nell’inchiesta di via D’Amelio: “Contesto termine depistaggio”

Dopo essere finito indagato per concorso in calunnia aggravato dall’aver favorito Cosa nostra nell’ambito dell’inchiesta sul depistaggio per la strage di via D’Amelio, il procuratore aggiunto di Catania Carmelo Petralia reagisce con stizza. In un’intervista al quotidiano catanese “la Sicilia”, il magistrato dice: “Ciò che mi ha sconvolto e amaramente colpito sul piano umano, familiare, e mi fermo qui, è stata la gestione mediatica della notizia, perché se c’è una cosa sacra nella fisiologia del nostro codice di procedura penale è la segretezza delle iscrizioni sul registro previsto dall’articolo 335. Ammesso pure che vi fosse l’assoluta necessità di fare un accertamento tecnico irripetibile, che impone la comunicazione anche alle parti offese, si sarebbero dovute adottare cautele idonee a sconsigliare la ‘macelleria mediatica’ a buon mercato”.

“Della gestione della collaborazione di Scarantino (il pentito falso del caso Borsellino, ndr) si occupava un pool di magistrati molto più ampio” ma “in concreto solo io e la collega Palma siamo rimasti vittime” della “‘macelleria mediatica’ a buon mercato”. Lo afferma il procuratore aggiunto di Catania Carmelo Petralia, indagato per concorso in calunnia aggravato dall’aver favorito Cosa nostra nell’ambito dell’inchiesta sul depistaggio per la strage di via D’Amelio, in un’intervista al quotidiano catanese “la Sicilia”. “Della gestione della collaborazione di Scarantino si occupava un pool di magistrati molto più ampio – è in particolare l’affermazione del pm – Il dato conosciuto e amplificato dai media manca di molti nominativi e mi chiedo ancora perché”.

Rispetto alle accuse mosse da Fiammetta Borsellino circa le “responsabilità morali prima che giudiziarie” di chi “ha lavorato male compromettendo il percorso di verità”, il procuratore aggiunto di Catania Carmelo Petralia, indagato per concorso in calunnia aggravato dall’aver favorito Cosa nostra nell’ambito dell’inchiesta sul depistaggio per la strage di via D’Amelio, replica così in un’intervista a ‘la Sicilia’: “A lei che domanda dov’era lo Stato, dove erano i magistrati durante le indagini, dico dov’era lei nei giorni drammatici precedenti l’assassinio di suo padre e degli altri servitori dello Stato in quei giorni tremendi che separarono Capaci da via D’Amelio. Sa bene che fu addirittura difficile riuscire a rintracciarla per comunicarle quello che era accaduto il 19 luglio”. “Da allora – continua Petralia – da parte della famiglia Borsellino l’unico vero contributo ampio, sincero e incondizionato di collaborazione, anche alla conoscenza dei fatti e alle indagini in senso stretto, è venuto dalla signora Rita, la sorella di Paolo, e dalla sua famiglia”.

Il procuratore aggiunto di Catania Carmelo Petralia, indagato per concorso in calunnia aggravato dall’aver favorito Cosa nostra nell’ambito dell’inchiesta sul depistaggio per la strage di via D’Amelio, in una lunga intervista a ‘la Sicilia’, sostiene che solo dalla sorella del giudice Paolo Borsellino, Rita, sia venuto un contributo agli inquirenti, mentre, afferma, “tutto il resto della famiglia Borsellino è stato assolutamente assente. E mi riferisco anche – dice – al fratello di Paolo Borsellino, Salvatore, che, sentito come persona offesa in dibattimento nel primo processo, alla domanda dei pm se avesse qualche idea, qualche notizia, una qualche informazione da poter fornire su possibili motivazioni o altro che potesse ricollegarsi a quei drammatici fatti, rispose che non sapeva nulla. Viveva lontano, disse, e non aveva alcuna idea. Oggi invece sa tutto. Ha chiarissime tutte le dinamiche politiche, mafiose e stragiste che agitavano l’Italia in quei primi anni ’90”. L’amarezza di Petralia si estende ai parenti più stretti del giudice ammazzato dalla mafia: “Personalmente dalla famiglia Borsellino non mi aspettavo gratitudine, ma il rispetto, questo sì, e non ho visto rispetto quando, come riferito da recenti cronache, alle ultime dichiarazioni dibattimentali di Scarantino, secondo cui nessun magistrato lo aveva indotto alla falsa collaborazione, ha fatto seguito la domanda posta dal legale delle parti offese Borsellino se ‘qualcuno lo avesse contattato ultimamente per spingerlo a tale affermazione’. Sia chiaro, non è da tali mutevoli dichiarazioni di Scarantino che dipende la sorte delle odierne indagini, ma pensare che qualcuno, magari un mio emissario, le abbia determinate a scagionare i magistrati è veramente offensivo”.

Nella lunga intervista al quotidiano catanese “la Sicilia”, il procuratore aggiunto di Catania Carmelo Petralia, indagato per concorso in calunnia aggravato dall’aver favorito Cosa nostra nell’ambito dell’inchiesta sul depistaggio per la strage di via D’Amelio, torna ad attaccare “quella grancassa mediatica che fa seguito a ogni dichiarazione della signora Fiammetta, che a indagare erano persone impreparate, che non capivano nulla di mafia, che erano gli ultimi arrivati della magistratura requirente”. Petralia replica: “Non eravamo tutto ciò, è stucchevole autocelebrarsi, ma basta ricordare anche i soli processi nati dalla collaborazione di Calderone che avevano determinato a Catania le indagini collegate con quelle condotte a Palermo da Falcone. A Caltanissetta nel ’92 si partiva da zero. E’ facile oggi denigrare, offendere e avanzare sospetti. Chi arriva per l’ultimo sa sempre molto di più di chi è arrivato primo, ma ciò non autorizza a gettare fango, ad avanzare accuse di collusione. Tutti noi oggi sappiamo molte più cose di quante ne sapesse Aristotele ma non per questo siamo più intelligenti di lui”. Poi, il pm, riferendosi al processo ‘Borsellino Quater’, interviene su quella che definisce la “pietra angolare di questa accusa, il passo della sentenza in cui suo redattore dice ‘tutti gli atti di questo processo devono essere trasmessi alla procura per verificare se oltre a quelle dei tre poliziotti ci sono responsabilità di altri soggetti, in questo caso dei magistrati”. “Per cosa? Per una cosa – continua Petralia – che nei passaggi della sentenza viene ripetutamente chiamata ‘depistaggio’. Senza entrare nel merito delle indagini in corso a Messina (la procura che ha indagato Petralia, ndr), contesto l’uso semanticamente inappropriato di questo termine. Depistaggio significa che in presenza di una pista che io conosco ne seguo consapevolmente un’altra. Così non è stato, ad ogni verità si arriva faticosamente e per gradi. Già nel 1996-1998, con l’ampliarsi del patrimonio conoscitivo dovuto a molte nuove collaborazioni, la ricerca di cosiddetti mandanti esterni mi aveva portato all’iscrizione di Bruno Contrada e poi, ancora, a proporre l’iscrizione di Marcello Dell’Utri e Silvio Berlusconi per concorso in strage. L’esito di queste indagini, alle quali non partecipai essendo rientrato alla procura nazionale, è noto. Ma se sono un depistatore…”.

CORRIERE ETNEO 15.6.2019