L’inchiesta lui la conosceva perché aveva letto la richiesta di misura cautelare che avevamo fatto
«Falcone mi disse che voleva indagare su Gladio» L’ex procuratore generale di Palermo lo rivela ai giudici di Caltanisetta nel corso
del processo sui depistaggi della strage di via D’Amelio
di Roberto Russo
Il giudice Giovanni Falcone aveva intenzione di indagare su Gladio, la struttura paramilitare appartenente alla rete Stay-behind, attiva in Italia dal dopoguerra e collegata alla Nato. A rivelarlo è l’ex procuratore generale di Palermo Roberto Scarpinato, interrogato come testimone al processo per il depistaggio delle indagini sulla strage via D’Amelio, processo in corso a Caltanisetta. «Vidi Falcone quando si parlava della sua nomina alla Procura Nazionale Antimafia — ha detto Scarpinato in aula — e mi disse che Gaspare Mutolo aveva iniziato a collaborare e che avrebbe fatto rivelazioni esplosive. Mi invitò a fare domanda per andare alla Procura Nazionale, prospettandomi che avremmo indagato insieme su Gladio. Gladio d’altro canto era un argomento sul quale ci eravamo già confrontati e su cui avevamo avuto scontri con l’allora procuratore Giammanco. Per Falcone si doveva partire da lì per ricostruire i delitti politici, mentre Giammanco era contrario». Scarpinato è stato citato dal legale di due degli imputati, l’avvocato Giuseppe Seminara che assiste i poliziotti Michele Ribaudo e Fabrizio Mattei, imputati del depistaggio e accusati di calunnia aggravata, insieme al funzionario di polizia Mario Bo.
Il colloquio con Borsellino Scarpinato ha raccontato anche di un colloquio che ebbe con il giudice Paolo Borsellino su uno dei filoni di indagine del ‘92. «Borsellino —ricorda — mi chiese a fine maggio del 1992 a che punto fosse l’indagine mafia e appalti. L’inchiesta lui la conosceva perché aveva letto la richiesta di misura cautelare che avevamo fatto. Gliela avevamo mandata perché c’era un episodio relativo a un appalto di Pantelleria sul quale lui, da procuratore di Marsala, rivendicava la competenza a indagare. In quell’occasione gli feci una sintesi dell’indagine». Oggetto della deposizione l’inchiesta mafia-appalti condotta dalla Procura di Palermo nei primi anni ’90. Secondo alcuni legali proprio il rischio che da quell’indagine venissero fuori collusioni tra mafia, politica e imprenditoria sarebbe stata il movente dell’accelerazione dell’attentato a Borsellino che a marzo 1992 era arrivato come aggiunto in Procura a Palermo. Borsellino, avrebbe temuto qualcuno, poteva rappresentare una minaccia prendendo in mano l’inchiesta. Scarpinato ha poi raccontato di un secondo incontro con Borsellino avvenuto prima della sua morte. «Mi chiese particolare riservatezza — ha spiegato — Era arrivato l’esposto cosiddetto del Corvo bis in cui si parlava di incontri tra l’ex ministro Mannino (poi assolto in Cassazione da tutte le accuse, ndr) e il boss Totò Riina e del presunto patto stretto tra loro: i voti della mafia alla corrente di Mannino in cambio di appalti a imprese mafiose e benefici carcerari ai boss. Nel documento si invitavano anche le autorità a cui era indirizzato a rivedere l’inchiesta mafia-appalti». «Borsellino ragionò con me su chi aveva potuto scrivere l’anonimo — ha spiegato — e mi disse: mi hanno detto che potrebbe essere un ufficiale del Ros, ho avuto appuntamento per cercare di capire chi è, ma tienitelo per te». «Non mi risulta — ha concluso – che Borsellino si sia lamentato che l’indagine non avesse avuto il respiro che meritava».