È scorretto dare credito ad Alberto Volo: per Falcone era un mitomane

 

Dare per certo che Paolo Borsellino, a giugno del 1992, abbia non solo ascoltato in gran segreto il neofascista Alberto Volo (definito un “mitomane” da Falcone stesso), ma addirittura che si sia confidato con esso, è inaccettabile sia dal punto di vista deontologico ma anche di rispetto per la memoria di un serio magistrato. A questo aggiungiamo che Report, essendo a maggior ragione una trasmissione del servizio pubblico, non può omettere ciò che Falcone ha cristallizzato nella requisitoria del 1991 sui delitti eccellenti a proposito di Volo stesso.

Non si può dare credito al racconto di Alberto Volo sul suo incontro con Borsellino

Non è ammissibile che addirittura, in un articolo su Repubblica, si sponsorizzi la trasmissione di Report annunciando la presenza di due verbali inediti che farebbero riaprire l’inchiesta, appena archiviata, sulla pista Nar del delitto Mattarella. Un verbale non è assolutamente inedito: parliamo dell’interrogatorio che Falcone fece a Volo nel 1989. L’altro è sicuramente “inedito”, ma è la dichiarazione di Volo stesso che ha fatto nel 2016 ai magistrati Roberto Tartaglia e Nino Di Matteo. E cosa riferisce? Di aver incontrato Paolo Borsellino dopo la strage di Capaci e che il giudice gli avrebbe confidato di essere certo che ad armare quell’attentato contro il collega Falcone non fu la mafia. Dare credito a questo suo racconto, vuol dire che si dipinge Borsellino come una persona ridicola.

Il verbale del 2016 non è servito a nulla per la pista Nar per il delitto Mattarella

Il 25 giugno 1992, in pubblico a Casa Professa, diceva di avere informazioni da riferire sulla strage di Capaci ma che era suo dovere di magistrato riferirle all’Autorità competente per quei reati, ma nel contempo si sarebbe intrattenuto con un signore le cui dichiarazioni sono state definite deliranti dal suo amico Falcone. Pensarlo, non è accettabile. Quello del 2016 è un verbale del tutto inutile. Non è entrato in alcun processo sulle stragi che erano in corso. Così come non è servito a nulla per la pista Nar per il delitto Mattarella.

Falcone ha descritto come inattendibili le dichiarazioni di Volo

D’altronde come si può dare credito a un uomo che Falcone ha letteralmente fatto a pezzi nella requisitoria? Prendiamo un passaggio importante, soprattutto perché Report tira nuovamente fuori il teorema di “sistemi criminali”, quello che unisce gli omicidi eccellenti e stragi di mafia con la strategia della tensione degli anni 70. Una imbarazzante confusione che potrebbe creare un danno irreparabile ai giovani che per la prima volta si affacciano alla storia di quegli anni. Numerosi “anziani” sono già perduti, ma i giovani non possono rischiare di essere affetti da quell’analfabetismo storico e politico. Leggiamo questo passaggio. «Si consideri ancora – si legge nella requisitoria sui delitti eccellenti sottoscritta da Falcone – , come sull’onda dell’attualità il Volo abbia preteso progressivamente di identificare un modesto circolo palermitano come la “Universal Legion” con la “Rosa dei venti”, oggetto di notissime inchieste giudiziarie negli anni 70, e poi con la struttura “Gladio”, alla quale infine egli afferma, anzi deduce di appartenere, “rivelando” i suoi presunti rapporti con il generale Inzerilli (dirigente effettivo della struttura negli anni ’80) soltanto il 20 novembre 1990, dopo che l’alto ufficiale ha rilasciato un’intervista alla Rai – Tv, e “deducendo” ancora l’appartenenza alla stessa Gladio di Giuseppe Insalaco da una battuta che quest’ultimo (per la verità assai improbabilmente) gli avrebbe fatto sulla ”Universal Legion”». Basterebbe solo questo passaggio per evidenziare quanto sia ritenuto inattendibile.

Volo ammette di aver adottato degli espedienti per far credere di essere al centro di oscure trame

Come si può solo immaginare che nonostante ciò, Borsellino non solo lo avrebbe incontrato, ma che gli avrebbe esternato anche delle delicate confidenze? Se ciò non basta, è interessante un altro passaggio della requisitoria. Si chiarisce perfettamente di chi si sta parlando. «In sede di sommario interrogatorio – evoca sempre la requisitoria del 1991 sui delitti eccellenti – il Volo assumeva di avere acquistato da pochi giorni l’arma e che in buona fede aveva ritenuto di poterla detenere senza denunciarla all’Autorità di P.S. In merito alla richiesta di pubblicazione del suo necrologio ed al rinvenimento in suo possesso di alcuni biglietti anonimi in cui gli erano rivolte minacce di morte, asseriva che si era trattato di meri espedienti da esso escogitati per far credere alla sua ragazza ed ai suoi amici di essere al centro di oscure trame politiche».

Borsellino per cercare la verità sulla strage di Capaci, era interessato all’indagine mafia-appalti

C’è la sensazione che si stia raschiando il fondo del barile per non prendere in considerazione tutti i verbali (molti inediti e pubblicati da Il Dubbio), documenti, sentenze, dove persone autorevoli – e non millantatori o mitomani – indicano inequivocabilmente che la corsa contro il tempo di Paolo Borsellino per cercare la verità sulla strage di Capaci, era quasi del tutto volta all’interessamento dell’indagine mafia-appalti redatta dai Ros sotto l’impulso di Falcone. Una pista che si spera sia stata riaperta dalla procura di Caltanissetta. Se così non fosse, sarebbe surreale pensare che solo una volta è stata aperta – ovvero “mandanti occulti bis” – e chiusa nel lontano 2004. Eppure, ribadiamo, è dimostrato che Borsellino aveva mostrato particolare interesse dopo la morte di Falcone per l’inchiesta sul coinvolgimento di Cosa nostra nel settore degli appalti(con l’implicazione di multinazionali e con le quali uno come il boss Antonino Buscemi era entrato in quota), e ciò non solo perché lo riteneva di fondamentale importanza per quella organizzazione, ma anche perché convinto che potesse lì rinvenirsi una delle principali ragioni della strage di Capaci.Così come è accertato che quando Borsellino si trasferì alla Procura di Palermo, all’interno di Cosa nostra ci furono grosse preoccupazioni. Come risulta dalle dichiarazioni di Angelo Siino, il mafioso Pino Lipari ha commentato che Borsellino avrebbe creato delle difficoltà a “quel santo cristiano di Giammanco”, e cioè al Procuratore della Repubblica, con il quale già Falcone aveva avuto contrasti e incomprensioni dal punto di vista professionale che lo avevano determinato ad accettare l’incarico offertogli dal ministro Martelli.

Ed effettivamente, nonostante l’insuperabile esperienza di Borsellino particolarmente preziosa per la sua attività di indagine su Cosa nostra a Palermo, dove era il centro direttivo dell’organizzazione, il Procuratore gli affidò la delega solo per le province di Trapani e Agrigento. Solo la mattina presto, il 19 luglio ’92, giorno della strage, così come ha riferito Agnese Borsellino, moglie del magistrato, Giammanco lo chiamò al telefono per dargli la delega per le inchieste palermitane, dicendogli «così la partita è chiusa», al che Borsellino, a ben ragione, replicò «la partita è aperta».

La chiave di tutto sta nella diffidenza di Borsellino verso i colleghi della Procura di Palermo e nel dossier mafia-appalti

Non stiamo qui a elencare i verbali al Csm inediti, le sommarie informazioni di autorevoli magistrati, le testimonianze di varie personalità come la dottoressa Liliana Ferraro o Antonio Di Pietro. Emergono prepotentemente due questioni fondamentali: la diffidenza di Borsellino nei confronti dei colleghi della Procura di Palermo e l’indagine mafia-appalti. Quella è la chiave, come ripetutamente denunciano i figli/e di Borsellino e il loro legale Fabio Trizzino. Non a caso, durante l’attuale processo di Caltanissetta sul depistaggio (Mario Bo + altri), sono state effettuate domande incalzanti da pare dell’avvocato Trizzino e il Pm Stefano Luciani nei confronti degli allora titolari di quell’indagine. Sul sito di Radio Radicale si possono ascoltare. Quella è la chiave, ma è in atto una vera e propria “strategia della confusione”. Perché? IL DUBBIO 25.1.2022 


Giovanni Falcone: «La Gladio e la P2 estranee ai delitti eccellenti» 

In questi settimane alcuni giornali hanno dato notizia del rigetto da parte del giudice delle indagini preliminari della richiesta di custodia cautelare per i boss Nino Madonia e Gaetano Scotto. Si tratta della richiesta fatta dalla procura generale di Palermo per l’omicidio dell’agente Nino Agostino e di sua moglie Ida Castelluccio. Parliamo di una brutta storia dove giustamente i familiari ancora gridano giustizia. Antonino Agostino, detto Nino, era noto come “il cacciatore di latitanti”. Agente della questura di Palermo, stava indagando sul fallito attentato al giudice Giovanni Falcone sulla spiaggia dell’Addaura, dove era stato abbandonato un borsone contenente tritolo.

Ma in questa occasione, ancora una volta, parlando dei “delitti eccellenti” si ripescano interrogatori di Giovanni Falcone a un estremista di destra palermitano, Alberto Volo, definito un mitomane in più di una sentenza. Volo parla di Gladio, dice addirittura di far parte della “Universal legion”, una struttura legata ai servizi segreti che assomigliava molto a Gladio e arriva a mettere in relazione i delitti di Palermo con l’omicidio Moro, i servizi segreti e la massoneria. In un giornale, riesumando questa vicenda, scrive nero su bianco che quegli interrogatori dicono molto della grande attenzione di Falcone per le parole di Volo. Ma non è così. O meglio, l’attenzione l’ha data, perché il giudice antimafia per eccellenza aveva il difetto di vagliare attentamente le dichiarazioni dei pentiti o testimoni. Sapeva essere razionale, saper separare i deliri dalle dichiarazioni verosimili. Legittimo che un giornalista o magistrato inquirente ritenga che i racconti di Volo siano degni di nota, non corretto però far credere che Falcone prendesse in considerazione i suoi racconti. Cosa pensava di lui? Basta leggere gli atti e la sua relazione in merito al delitto di Piersanti Mattarella. «La palma del “migliore” se così si può dire – scrive Falcone -, spetta certamente ad Alberto Volo. Nei suoi racconti egli è capace di accomunare idee politiche e tarocchi, contatti con servizi segreti e vicende amorose. La vicenda nella quale è implicato esalta la sua mania di protagonismo. Vale la pena di rilevare immediatamente come il comportamento del Volo in questo processo risponda a quel ruolo fantastico e delirante del quale l’imputato ha deciso di connotare ogni momento della sua esistenza».

Poi Falcone prosegue con un esempio: «Basta al riguardo aver riferimento alle notazioni contenute nella sentenza 24.5.1977 della Corte d’Appello di Palermo (con la quale il Volo fu condannato per una rapina di assegni bancari che l’imputato “pretendeva” poi di rivendere); ovvero alla lettera anonima da luì spedita alla Questura dì Palermo e nella quale si autoaccusava di far parte di organizzazioni eversive: lettera il cui intento era quello di sollecitare gli inquirenti a “non trascurarlo” nell’ambito della indagine sulla strage di Bologna». Ma quindi Falcone ha preso in considerazione Alberto Volo su quale aspetto? Presto detto. «Deve essere chiaro – spiega sempre Falcone-, peraltro, che dietro alle “mitomanie” ed al “protagonismo” del Volo(e che lo inducono alle più distorte e talvolta fantasiose ricostruzioni dei fatti ) sta comunque il suo inserimento, quantomeno a livello conoscitivo, nella realtà umana della destra eversiva. La frequentazione del Mangiameli lo ha portato a sapere molto dei fatti legati al terrorismo ed anche dei progetti in atto».

In sostanza Falcone è riuscito a separare la mitomania da alcuni fatti che lo stesso Volo poteva conoscere avendo appunto frequentato la destra eversiva. Cosa sta a significare? Può essere utile una citazione messa a epigrafe del libro “Complotto!” scritto a quattro mani da Massimo Bordin e Massimo Teodori. Si tratta quella di Mordecai Richler: «Il mio problema con i teorici della cospirazione è che, se gli dai un dito di porcherie accertate, loro si prendono tutto un braccio di fantasie. O peggio». Tutto qui.

La differenza con chi è affetto della patologia dei complottisti, è che Falcone sapeva distinguere i fatti concreti dai racconti fantasiosi. Sul delitto Mattarella è stato chiarissimo. Lui parla di delitto “politico mafioso” e gli esecutori materiali, che secondo lui erano i nar (ma dove, a quanto pare, non era fermamente convinto ascoltando non solo la testimonianza di Valerio Fioravanti, ma anche quello di Pietro Grasso), avrebbero fatto semplicemente da manovalanza e non ha nulla a che fare con Gladio o P2. Lo mette nero su bianco prendendo spunto proprio dalle dichiarazioni di Volo, il quale disse che «l ‘omicidio era stato deciso a casa di Licio Gelli e provocato dalle aperture al Pci che in quel periodo stavano maturando in Sicilia e di cui il Mattarella era il principale sostenitore. Per compiere l’omicidio, Gelli si avvalse di sua “manovalanza” e cioè di giovani come Fioravanti e Cavallini, quest’ultimo in particolare, legato ai servizi segreti». Falcone ha vagliato quindi anche questa ipotesi e l’ha scartata in pieno. Si convince che la «la valutazione negativa di Fioravanti come killer della P2 nasce nell’ambiente di Terza Posizione, soprattutto dopo l’omicidio di Mangiameli» e che «i rapporti presunti tra Fioravanti e Gelli non costituiscono oggetto di cognizione diretta, ma vengono dedotti dai rapporti tra Valerio e Signorelli, ritenuto in contatto con Gelli per tramite di Aldo Semerari». Falcone scarta questa ipotesi e ciò per «l’irriducibile vocazione di Cosa Nostra a salvaguardare la propria segretezza e la propria assoluta indipendenza da ogni altro centro di potere esterno». Questo è ciò che pensava Falcone e la casuale dell’omicidio di Mattarella la ritrovava nelle sue scelte politiche ben precise, soprattutto sulla questione dell’aggiudicazione degli appalti che avrebbero messo in difficoltà il potere mafioso legato soprattutto a una determinata corrente politica della ex Dc.

Ma Falcone ha vagliato anche il discorso Gladio. Dopo la pubblicazione da parte dell’ex presidente del consiglio Giulio Andreotti della sua esistenza e dopo le notizie stampa che parlarono di attività deviate della stessa, il giudice Falcone ha esteso le indagini anche al Sisde e non ha trovato nulla che portasse alla pista Gladio, tranne che rinvenire un appunto dei servizi concernente uno dei presunti killers di Mattarella, ma palesemente estraneo ai fatti. Però ha potuto appurare che l’estremista Alberto Volo non ha mai avuto contatti con Gladio e servizi, nonostante le sue dichiarazioni, anche televisive. E quindi si ritorna alla questione principale. Che senso ha, ancora oggi, scrivere che Giovanni Falcone aveva grande interesse per le vicende raccontate da un mitomane che invece aveva prontamente smascherato? IL DUBBIO 7.2.2020