Cancemi fece da vedetta alla squadra che piazzò e fece esplodere la bomba a Capaci che uccise Falcone, sua moglie e tre uomini della sua scorta sull’Autostrada A29. Cancemi inizialmente negò di aver partecipato all’omicidio di Borsellino, ma dovette ammettere il suo coinvolgimento quando altri due pentiti, Calogero Ganci e Giovan Battista Ferrante, lo chiamarono in causa nel 1996[2].
Cancemi ha descritto la celebrazione della vittoria seguita all’attentato di Capaci. Totò Riina ordinò dello champagne francese e mentre gli altri brindarono, Cancemi e un altro futuro pentito Santino Di Matteo si guardano scambiandosi una cupa valutazione su Riina e sul loro futuro: “Questo cornuto sarà la rovina di tutti noi”.
Il 22 luglio 1993 Cancemi si consegnò spontaneamente ai Carabinieri di Piazza Verdi a Palermo, dichiarando che la mattina successiva avrebbe dovuto incontrarsi con il latitante Pietro Aglieri, capomandamento di Santa Maria di Gesù, per poi raggiungere Bernardo Provenzano in una località segreta, offrendosi di aiutarli ad organizzare una trappola; l’informazione però venne considerata non veritiera dai Carabinieri, i quali erano convinti che Provenzano fosse morto poiché dopo un decennio la moglie e i figli erano tornati a vivere e a lavorare a Corleone, decidendo quindi di non sfruttare l’occasione[1]. In seguito, Cancemi rese dichiarazioni sull’organizzazione delle stragi del ’92 e ’93, sulla trattativa Stato-mafia e sui rapporti dell’organizzazione con Marcello Dell’Utri e Silvio Berlusconi. Riina era stato arrestato il 15 gennaio di quell’anno e i suoi seguaci intensificarono la strategia terroristica avviata l’anno prima con l’uccisione di Falcone e Borsellino dopo la conferma della sentenza del Maxi Processo.