Borsellino quater, parla il falso pentito Calogero Pulci: “Non ho mai calunniato nessuno”

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5.10.2021 Borsellino quater: la Cassazione conferma le condanne

 

  E’ stata confermata dalla Cassazione la condanna di appello del Borsellino quater – per la strage di Via D’Amelio e i depistaggi – e sono dunque definitive le condanne all’ergastolo per i capomafia Salvatore Madonia e Vittorio Tutino e quelle per calunnia per Calogero Pulci (dieci anni) e Francesco Andriotta che ha ottenuto un piccolo sconto di pena (da 10 anni a 9 anni e 6 mesi) per la prescrizione di due calunnie ai danni dell’ex pentito Vincenzo Scarantino, mentre da una terza accusa di calunnia, sempre ai danni di Scarantino, è stato assolto.

Convalidata la sentenza della Corte di Assise di Appello di Caltanissetta del 2019.

   “La Quinta Sezione della Corte di cassazione – all’esito dell’udienza del 5 ottobre 2021 – ha dato lettura del dispositivo concernente i ricorsi relativi alla strage di Via D’Amelio, in cui furono uccisi Paolo Borsellino, magistrato, e gli agenti di scorta della Polizia di Stato Emanuela Loi, Agostino Catalano, Vincenzo Li Muli, Claudio Traina, Eddie Walter Cusina. Nei due gradi di merito (sentenza della Corte di assise di Caltanissetta del 20/04/2017; sentenza della Corte di assise di appello di Caltanissetta del 15/11/2019), Salvatore Mario Madonia e Vittorio Tutino sono stati condannati all’ergastolo per i reati pluriaggravati – commessi in concorso con varie altre persone – di strage, devastazione, fabbricazione, porto e detenzione di esplosivo”. Lo spiega un comunicato della Segretariato generale della Suprema Corte che ricostruisce le responsabilità degli imputati per la strage di Via D’Amelio e i depistaggi. Quanto al concorso dei due capomafia palermitani nei reati, “è stato ascritto a Madonia quale componente della Commissione provinciale di Palermo di Cosa Nostra, per aver partecipato alla riunione in cui fu deliberata l’esecuzione di un programma stragista che prevedeva, fra l’altro, l’uccisione di Paolo Borsellino; e a Tutino per aver curato, con altri soggetti tra i quali Gaspare Spatuzza, l’attività preparatoria ed esecutiva della strage, eseguendo il furto della Fiat 126 utilizzata quale autobomba e delle targhe di altra Fiat 126 apposte sulla prima autovettura per dissimularne la presenza sui luoghi della strage, nonché procurando due batterie e un’antenna necessarie per alimentare e collegare i micidiali dispositivi destinati a far brillare il materiale esplosivo collocato nell’autobomba”. Le due sentenze di merito, inoltre, prosegue il comunicato del Segretariato del Palazzaccio, “hanno ritenuto Calogero Pulci responsabile del reato di calunnia aggravata, per aver incolpato falsamente Murana Gaetano di aver partecipato alle fasi esecutive dell’attentato e Francesco Andriotta responsabile del reato continuato di calunnia aggravata per aver incolpato falsamente Vincenzo Scarantino, Salvatore Profeta, Gaetano Scotto e Cosimo Vernengo di aver partecipato all’organizzazione ed esecuzione della strage di Via D’Amelio; entrambi gli imputati sono stati condannati alla pena di 10 anni di reclusione”. “La Corte ha rigettato i ricorsi di Salvatore Mario Madonia, di Vittorio Tutino e di Calogero Pulci. Nei confronti di Andriotta Francesco – spiegae la nota – la Corte: ha annullato senza rinvio la sentenza impugnata limitatamente alla calunnia commessa il 16/10/1997 in danno di Vincenzo Scarantino perché il fatto non sussiste; ha annullato la medesima sentenza senza rinvio agli effetti penali quanto alle ulteriori calunnie in danno di Scarantino perché le stesse sono estinte per prescrizione, eliminando la relativa pena di mesi 4 di reclusione; ha rigettato nel resto il ricorso di Andriotta”. “La Corte ha poi rigettato i ricorsi di alcune parti civili. Tutti gli imputati ricorrenti sono stati poi condannati alla rifusione delle spese di giudizio in favore di tutte le parti civili”, conclude la nota. 


 

15.11.2019 Borsellino quater, in Appello confermate le condanne per boss e falsi pentiti

 

Ergastolo per Salvo Madonia e Vittorio Tutino. Dieci anni di pena per Francesco Andriotta e Calogero Pulci. La prescrizione salva Vincenzo Scarantino. La sentenza di secondo grado del processo della strage di via d’Amelio

Ergastolo per i boss Salvo Madonia e Vittorio Tutino, condannati a 10 anni i falsi pentiti Francesco Andriotta e Calogero Pulci ed estinto per prescrizione il reato di calunnia contestato a Vincenzo Scarantino. E’ questa la sentenza di secondo grado del processo Borsellino quater emessa dalla corte d’assise d’appello di Caltanissetta. Le condanne stabilite in primo grado sono state confermate così come è stato confermato che il depistaggio sulla strage di via D’amelio in cui persero la vita il giudice Paolo Borsellino e cinque agenti della scorta ci fu.

La sentenza di primo grado

“A nome dell’intera famiglia Borsellino, anche di Agnese che non c’è più, non posso che essere contento della conferma della sentenza di appello del processo Borsellino quater che ha confermato le condanne del primo grado, ma non nascondo anche la mia amarezza. Quello che rimane oggi  è che abbiamo un’altra istanza di merito che ci dice che nell’ambito dei processi Borsellino uno e bis si è realizzato il più grave depistaggio della storia giudiziaria italiana”. A parlare con l’Adnkronos è Fabio Trizzino, marito di Lucia Borsellino, che è anche avvocato di parte civile del processo. “Vorrei rammentare – continua Trizzino – che i figli del giudice hanno messo a verbale in primo grado che qualora venisse confermato il depistaggio è come avere ucciso il padre una seconda volta, per certi versi il depistaggio è più grave della strage medesima, perché che i mafiosi fossero nemici del giudice si sapeva che un tradimento di questo tipo potesse venire da uomini delle istituzioni francamente la famiglia non se lo aspettava. Ma ora abbiamo due sentenze di merito che dicono che c’è stata una determinazione a commettere il reato di calunnia, giacché il reato di depistaggio non era stato allora tipizzato dal legislatore, e vi rendete conto che c’è soddisfazione ma anche tanta amarezza”. “Era un esito scontato, non credo – dice all’Agi Maria Falcone – che ci potessero essere grandi difficoltà, soprattutto dopo le dichiarazioni di Spatuzza e dopo quello che ci ha detto Scarantino. Adesso, finalmente si è fatta un po’ di luce”.  PALERMO TODAY



Borsellino quater, parla il falso pentito Calogero Pulci: “Non ho mai calunniato nessuno” 27.9.2019

“È un processo che ritengo non mi appartenga. Io non avevo commesso il reato per cui sono stato condannato e mi sono accollato un processo che non mi appartiene”.
Lo ha detto Calogero Pulci presentandosi spontaneamente per fare le sue dichiarazioni nel corso del processo Borsellino Quater dove Pulci è imputato per Calunnia insieme ad altri due falsi pentiti, Francesco Andriotta e Vincenzo Scarantino.
Pulci in primo grado è stato condannato a 10 anni. “Questo processo mi è costato non solo economicamente ma anche sulla mia vita. Le trasferte a Roma, che mi hanno visto sempre presente, perché dopo le mie disavventure avevo deciso di cambiare vita e ho il massimo rispetto per l’autorità giudiziaria. Mi sono imbarcato in questo processo – ha continuato Pulci – per fare valere la mia verità. Io ho assistito ai processi e ho sentito cose allucinanti. Gente che si è accusata di omicidi e di stragi e poi ha ritirato tutto. Io non ho mai calunniato nessuno. Io mi devo difendere e non posso sentire dire dalla Procura che sono un criminale.
Mi hanno definito l’autista di Madonia. Mi può stare bene perché ero l’uomo di fiducia di Piddu Madonia. Allora per questo ruolo che avevo ricoperto prima di cambiare vita si sono interessate diverse procure. Avevo perso la mia identità e per questo ho tentato il suicidio. Però una cosa avevo deciso. Che con quella vita passata dovevo chiudere. Inizio a collaborare a fine ’99. A marzo 2000 la Dia di Caltanissetta effettua un sequestro di beni sulla base delle mie dichiarazioni di circa 100 miliardi di lire. Ero tra i primi imprenditori della Sicilia con quasi 300 dipendenti ed ero anche persona di fiducia di Madonia e allora ho dato delle indicazioni così precise che nell’arco di pochi mesi la Dia ha proceduto ai sequestri. Non è facile cambiare pelle dall’oggi al domani ma oggi sono felice di aver cambiato vita. Io reati di calunnia non ne ho mai avuto. Il dottore Contrada ha provato a farmi una querela per calunnia. Ho avuto l’assoluzione piena.
Io non ho mai calunniato nessuno perché pur non essendo un uomo di diritto ma facendo l’imputato qualche cosa ne capisco. Io nel 2004 avevo una misura di prevenzione di divieto di soggiorno per 5 anni perché ritenuto pericoloso. Nel 2004 quella stessa misura fu revocata dallo stesso tribunale che riteneva che mi ero ravveduto. Da allora ho seguito un percorso di collaborazione e ancora oggi qualche mese fa sono stato chiamato dalla Procura di Milano e ho dato le mie dichiarazioni. Non ho fatto parte di complotti perché io.

 


28.2.2001 Si pente per depistare scoperto e arrestato veva raccontato per filo e per segno fatti e misfatti del «segmento» mafioso di Cosa nostra a Sommatino. Aveva fatto nomi e cognomi, riferito particolari, tirato in ballo decine di persone che, in un modo o nell’ altro, avrebbero preso parte ai delitti che, alla fine degli anni ’80, insanguinarono il paese. Ma era tutto falso. Il grande bluff di Calogero Pulci, «uomo d’ onore» del clan Madonia ed ex assessore comunale, è durato poco più di sei mesi.Fino a ieri godeva dei benefici del programma di protezione.
Da oggi è rinchiuso in un carcere di massima sicurezza del Nord Italia. I carabinieri del comando provinciale di Caltanissetta gli hanno stretto le manette ai polsi su ordine del gip del Tribunale nisseno e del pm Roberto Condorelli. Un pentimento «mirato», quello di Pulci, che già in primo grado era stato condannato all’ ergastolo per l’ omicidio di Filippo Cianci, un piccolo imprenditore entrato in rotta di collisione con gli interessi della famiglia e, probabilmente, portato a termine per rispondere all’ agguato dal quale si era miracolosamente salvato lo stesso Pulci. Secondo l’ accusa, l’ ex assessore avrebbe indotto un altro appartenente al gruppo criminale, Giuseppe Giuga, meglio conosciuto in paese, per i suoi atteggiamenti, col nomignolo di “Peppe mafia”, a rendere altre false dichiarazioni dettando un memoriale in cui era sintetizzata la versione dei fatti sui quali lui stesso avrebbe dovuto riferire. Una versione che avrebbe alleggerito notevolmente la posizione del padre di Pulci, Marco, e l’ intera cellula sommatinese di Cosa nostra. Sul palese depistaggio, proprio la settimana scorsa, si erano soffermati i pm nisseni Antonino Patti e Angela La Torre, che nei giorni scorsi hanno richiesto e ottenuto l’ arresto di otto persone coinvolte a vario titolo in quei fatti di sangue. Fra loro non figurava ancora il nome di Calogero Pulci, anche se, in base a ciò che lo stesso gip aveva scritto nell’ ordinanza di custodia cautelare, l’ arresto del pentito era già nell’ aria. Per l’ omicidio di Filippo Cianci, Pulci era già stato condannato in primo grado all’ ergastolo, ma circa venti giorni fa aveva concordato una pena di vent’ anni di reclusione. Da parte sua, la Procura nissena ha voluto ancora una volta puntualizzare come l’ inchiesta rappresenti «un concreto esempio dell’ attenzione con la quale si vagliano le dichiarazioni rese dai collaboratori di giustizia». Evidentemente della categoria non faceva parte Pulci. Tra le storie più fantasiose da lui raccontate, quella secondo cui Cosa nostra avrebbe cominciato a servirsi di sicari non siciliani per gli omicidi. «I killer arrivano dal Nord – disse Pulci – solo per uccidere e ripartono nel giro di poche ore». Probabilmente anche questa era una bufala.  LA REPUBBLICA


Borsellino:condanna boss e falsi pentiti Appello conferma primo verdetto, prescritte accuse Scarantino  (ANSA) – PALERMO, 15 NOV – La corte d’assise d’appello di Caltanissetta, confermando la sentenza di primo grado, ha condannato all’ergastolo i boss Salvo Madonia e Vittorio Tutino, imputati della strage in cui persero la vita il giudice Paolo Borsellino e i 5 uomini della scorta. Condannati a 10 anni i “falsi pentiti” Francesco Andriotta eCalogero Pulci, accusati di calunnia. I giudici hanno dichiarato estinto per prescrizione il reato contestato a Vincenzo Scarantino pure lui imputato di calunnia.


LE FALSE DICHIARAZIONI DI PULCI   Prima di proseguire nell’analisi della posizione dell’imputato, si riporta uno stralcio delle sue dichiarazioni rese nell’udienza dibattimentale del 7 marzo 2001, nell’ambito del processo d’appello c.d. Borsellino bis:

  • P.G. dott.ssa ROMEO: – Senta, e con Murana avete avuto occasione di discutere delle vostre… delle rispettive posizioni processuali?
  • PULCI CALOGERO: – La prima cosa che feci quando incontrai Murana, come e’ mio carattere o vizio, come si puo’ definire, poi ognuno lo definisce come meglio crede, io quando incontro una persona che conoscevo da fuori dentro il carcere faccio finta di non incontra… di non conoscerla, per vedere la reazione che fa. Cosa che feci con Scianna e cosa che feci con Murana. Quando lo feci con Murana Murana si spavento’ e ando’ da Scianna, dici: “Ma che c’ho fatto io a Pulci, che non mi saluta, che non mi ha salutato?”. Scianna dice: “Ma che ne so io, puo’ essere che magari non si ricorda di te”, dici: “Come non si ricorda di me? Ci siamo visti tante volte”. Tra l’altro una volta ero rimasto in panne sull’autostrada, proprio mentre andavo da Madonia, e fui soccorso dallo stesso Murana; cioe’, ci conoscevamo bene. E allora si chiari’, c’ho detto: “Sai, devi scusarmi, io non… sai con la testa da quando mi hanno sparato tanta… tanto bene non ci sto” ed e’ finita la prima discussione. Io volevo vedere la reazione, la reazione che aveva lui era spaventata, poi chiacchierando chiacchierando… perche’ se siamo in un carcere di 416 bis si chiacchiera di come taglieggiare a Tizio, a Caio o di come abbiamo taglieggiato all’altro, di come abbiamo ammazzato a questo e a quello; se siamo in un carcere di collaboratori, dove ora io mi trovo, si parla: “Quello ha accusato a quello”. Cioe’ ogni status che ha un detenuto parla dell’oggetto perche’ e’ detenuto. (…) Comunque, a Murana chiacchierando chiacchierando lo rimproverai, ci dissi: “Ma che razza di gente siete? – dico – Come, vi fidate di un Scarantino del genere pi’ iri a fare un travagliu cosi’ delicato? Ma veramente scimuniti siti dducu a Palermo?” e lui mi disse, dici: “Ma Scarantino – dici – non c’entra niente, Scarantino solo ci ha procurato la macchina, quello che ha detto Scarantino gliel’hanno fatto dire gli sbirri”. Io non c’ho voluto dire niente per non mi litigare, ma mi fece… mi pose la domanda, poiche’ io idiota non ci sono o almeno non mi ci sento, posso anche esserci ma io non me ne accorgo; ma scusa, gli sbirri non e’ che ti possono raccontare una cosa che non sanno perche’ Scarantino gliela racconta dettagliatamente? Gli sbirri possono avere l’idea di chi l’ha fatto, ma non del racconto, di come sono avvenute le cose. Comunque, io ho tagliato e l’ho allontanato; lo salutavamo ed e’ finita li’ la storia con Murana.
  • P.G. dott. FAVI: – Signor Pulci, proseguo io ora il suo esame. Senta, vorrei che lei tornasse con la mente nuovamente al colloquio, diciamo al discorso, al colloquio che lei ebbe con Murana, perche’ vorrei qualche maggiore dettaglio su questo colloquio. In sostanza Murana che ruolo attribuiva a Scarantino?
  • PULCI CALOGERO: – In sostanza Murana a me mi disse, giustificandosi, perche io lo aggredii offendendolo, perche’ nel nostro gergo dirci a uno: “Ma che razza di gente siete?” e’ come dirci sbirri, e dire sbirro a un uomo di “Cosa Nostra” e’ la peggiore parola che uno ci puo’ dire. Io invece di dirglielo cosi’ chiaro, sbirro, gliela girai in un altro modo che lui lo capi’, “Che razza di gente siete che vi siete portati a Scarantino, allo Scarantino di turno?”. E li’ lui cerco’ di giustificare il ruolo marginale che ebbe lo Scarantino. In sostanza lui non e’ che lo ha escluso che Ma… Scarantino abbia avuto un ruolo, lui lo esclude nel ruolo della strage materiale, ma lui giustificava dicendo che era il cognato che aveva partecipato alla strage, e che lui gli aveva procurato l’auto. Perche’ lo Scarantino era, diciamo, ladro d’auto, cioe’ un ladro di polli, non era un uomo d’onore. A questa risposta io gli domandai: “Ma scusi, Scarantino che ha da un anno – o due che aveva, ora in questo momento con la testa tanto bene non ci sono – parlava e tutti i detenuti seguiamo la cronaca tra i giornali e la televisione, che raccontava minuziosamente i luoghi, la riunione, la casa di quello, la casa dell’altro; scusami, gli sbirri come gliela potevano fare una ricostruzione del genere se non sapevano neanche che doveva succedere l’omicidio Borsellino?”. Cioe’, questo io non glielo dissi, altrimenti non lo dovevo salutare piu’ poi, cioe’ entravamo in una discussione che poi ci dovevamo litigare.
  • P.G. dott. FAVI: – Benissimo. Signor Pulci, che discorso esattamente le fece Murana?
  • PULCI CALOGERO: – Cioe’, Murana mi disse che “il lavoro lo avevamo fatto noi della Guadagna”, “noi”. Lui e’ della Guadagna pure; non l’avevano fatto loro, “l’avevamo fatto noi” e Scarantino aveva avuto solo il ruolo tramite il cognato di fornire la Fiat 126, quella che era, l’autovettura. Praticamente se lo da’ il ruolo Murana…
  • P.G. dott. FAVI: – Va bene.
  • PULCI CALOGERO: – … dicendomi: “L’abbiamo fatto noi della Guadagna”.
  • P.G. dott. FAVI: – Benissimo, signor Pulci, un momento ancora. In sostanza Murana sosteneva che le dichiarazioni di Scarantino erano state suggerite dagli sbirri; ma dava giudizi sul contenuto di queste dichiarazioni? Diceva che gli sbirri gli avevano fatto dire cose false o cose vere?
  • PULCI CALOGERO: – Cioe’, di… a me mi disse che gli sbirri gli fecero fare la ricostruzione del racconto di… di Scarantino; ma mi misi a ridere e tagliai, “Ma scusa, li sbirri cumu ti punnu ricostruire una cosa che non sanno?”. Cioe’, lui come si giustifico’: “Quello che dice Scarantino e’ vero, ma pero’ gliel’hanno suggerito gli sbirri”.
  • P.G. dott. FAVI: – Benissimo, era quello che volevo sentire.
  • PULCI CALOGERO: – Cioe’, non dice: “Scarantino mente”, “Scarantino dice il vero, pero’ gliel’hanno suggerito gli sbirri” dice Murana a me.
  • P.G. dott. FAVI: – Benissimo. PULCI CALOGERO: – E Murana a me mi dice: “Il lavoro l’abbiamo fatto noi della Guadagna”.
  • P.G. dott. FAVI – Si’. Senta, una domanda su un punto specifico: Murana dichiarava che Scarantino era uomo d’onore o no?
  • PULCI CALOGERO: – No, su questo termine non ci siamo arrivati, non gliel’ho chiesto, perche’ c’ho detto: “Che razza di gente vi portate?”; poi, che fa, gli chiedo: “E’ un uomo d’onore?”? Quando lui tra l’altro dice che ha fatto il favore al cognato, ma che e’ il cognato l’uomo d’onore.

A prescindere dalla progressività accusatoria delle predette dichiarazioni (comunque, alquanto sospetta, alla luce di quanto infra esposto), la palese falsità della confidenza carceraria di Murana a Pulci, anche in ordine al furto dell’autobomba da parte di Vincenzo Scarantino, emerge innanzitutto da quanto ampiamente accertato nel presente procedimento, in seguito alla collaborazione di Gaspare Spatuzza ed alla conseguente ricostruzione del segmento relativo al furto ed allo spostamento della Fiat 126 (oltre che alla sottrazione delle targhe da apporre sulla stessa), con il protagonismo della famiglia mafiosa di Brancaccio. Infatti, alla luce di quanto esposto in altra parte della motivazione sulla fase preparatoria ed esecutiva della strage di Via D’Amelio, è impossibile credere che Murana -da quanto emerso nel presente processo, assolutamente estraneo al furto ed allo spostamento della Fiat 126- abbia confidato a Pulci quanto sopra riportato. Anche a ritenere che appartenenti alla famiglia della Guadagna abbiano gestito altre fasi della strage di via D’Amelio (sulle quali permangono molte zone d’ombra), sarebbe comunque inspiegabile la rivelazione del Murana in merito ad un ruolo (come detto, inesistente) di Vincenzo Scarantino, per sottrarre la Fiat 126 di Pietrina Valenti, su incarico del cognato, Salvatore Profeta. Una valida chiave di lettura delle predette dichiarazioni di Calogero Pulci è offerta dall’analisi del suo percorso di collaboratore della giustizia, affatto peculiare e discutibile. Si deve, innanzitutto, rilevare (senza alcuna pretesa di completezza, considerato che, in più occasioni, il suo contributo veniva riconosciuto come attendibile e rilevante, oltre che degno del riconoscimento dell’attenuante speciale della c.d. dissociazione attuosa, nei processi celebrati a suo carico) che, a dire dello stesso imputato, la sua collaborazione con la giustizia, all’epoca delle dichiarazioni rese su questi fatti, era ancora parziale e reticente (ad esempio, sull’omicidio di Filippo Cianci, che l’imputato ammetterà solamente a partire dal settembre 2001, dopo la morte del padre, che forniva le armi ai killers). Peraltro, anche sul momento in cui Pulci passava da una collaborazione parziale ad una piena apertura all’autorità giudiziaria (almeno a suo dire), si registra una evidente oscillazione dichiarativa da parte dell’imputato. Sul punto, ci si limita a rilevare che Pulci (catturato, il 3 giugno 1994, a Grenoble in Francia e, successivamente, estradato in Italia), pur avendo manifestato la sua volontà di collaborare con l’autorità giudiziaria, sin dal novembre del 1999 (le misure di protezione venivano adottate ad aprile del 2000), veniva successivamente attinto da un’ordinanza di custodia cautelare in carcere per associazione mafiosa, commessa anche da collaboratore, fino al settembre 2001 (vale a dire l’epoca in cui egli firmava i verbali illustrativi, in data 20 settembre 200184): per tale addebito, egli veniva catturato il 24 febbraio 2001 (dopo la richiesta di revoca, pochissimi giorni prima, delle misure di protezione) e, poi, condannato, con sentenza definitiva, in continuazione con analogo reato precedente, a tre anni di reclusione, poi ridotti -in appello- ad un anno e dieci mesi (cfr. sentenza Tribunale Collegiale Caltanissetta 20.11.200285). Dunque, in base a quanto definitivamente accertato, con il crisma dell’irrevocabilità, all’epoca delle dichiarazioni delle quali Pulci risponde in questa sede (tempus commissi delicti: 7 marzo 2001), l’imputato era appartenente al sodalizio mafioso di Cosa Nostra. E’ quindi ravvisabile nelle sue dichiarazioni.