La Commissione Antimafia del CSM

Il contributo del Consiglio al contrasto alla criminalità organizzata

Sin dagli anni ’80 il Consiglio ha – nell’ambito delle proprie competenze – contribuito al contrasto alla criminalità organizzata, costituendo organi con specifiche competenze in materia.

Introduzione  (a cura del cons. Antonio Ardituro)

La ricostituzione della commissione antimafia, con decreto del Vice Presidente del 13 ottobre 2016 e dunque a partire dal terzo anno, è stato uno degli interventi più significativi della consiliatura 2014/2018.

Fin dal 2015 l’attenzione al tema si era manifestato attraverso il recupero e la dematerializzazione del materiale consiliare in materia, salvato dalle attività di scarto dei documenti più antichi.

Nel tempo, dopo il comitato antimafia del 1982, istituito dopo l’assassinio del prefetto Carlo Alberto Dalla Chiesa, si era costituito nel 1990, a seguito dell’omicidio di Rosario Livatino, un “Gruppo di lavoro per gli interventi del Consiglio superiore relativi alle zone più colpite dalla criminalità organizzata”; nel successivo 28 giugno 1995, venne costituita la Commissione Antimafia (Commissione per i problemi posti all’amministrazione della giustizia dalla criminalità organizzata), che nella successiva consiliatura (1998 – 2002) ha poi assunto la denominazione di decima commissione.

La commissione, ripristinata nel 2016, viene costituita in seno alla sesta commissione referente ed amplia le sue competenze per ricomprendere anche la materia antiterrorismo e anticorruzione, così adeguando ai tempi la necessità di riflettere sui problemi posti all’Amministrazione della Giustizia dalla trattazione di queste complesse materie.  

L’intervento si inserisce in un consistente percorso di riforme interne e di funzionamento volto a rafforzare il ruolo del Consiglio Superiore della Magistratura, sia quanto ad efficienza e capacità di rispondere alle esigenze pressanti che derivano dalle sue essenziali competenze, sia quanto a capacità di porsi quale interlocutore autorevole e privilegiato del dibattito istituzionale sui temi più rilevanti della giustizia e della tutela dei diritti.


La storia della Commissione antimafia del Consiglio

Il Comitato antimafia (1982)

Il 15 settembre 1982, all’indomani dell’assassinio, da parte della mafia siciliana, del prefetto Carlo Alberto Dalla Chiesa, il Consiglio intraprende una serie di iniziative, nell’ambito delle proprie prerogative istituzionali, sul tema del contrasto alla criminalità organizzata.

È il periodo dell’approvazione della c.d. legge Rognoni-La Torre (legge n. 646 del 13 settembre 1982), che  introduce nel codice penale il reato di associazione a delinquere di tipo mafioso (art. 416 bis c.p.) che, a differenza del “tradizionale” reato associativo (art. 416 c.p.), individua la condotta tipica attraverso il richiamo della “forza di intimidazione del vincolo associativo” e della “condizione di assoggettamento e di omertà che ne deriva”. Viene, in questo modo, fornito ai magistrati uno strumento effettivamente idoneo a perseguire i reati commessi dagli aderenti alle cosche mafiose.

In questo contesto, già nel documento approvato nella seduta del 13 maggio 1982 alla presenza del Capo dello Stato Pertini, il plenum manifesta la ferma volontà di divenire una presenza attiva nella lotta agli epifenomeni criminali di tipo mafioso, “nella sicura convinzione di interpretare la volontà massima della magistratura di continuare a battersi con fermezza e con spirito unito con tutti gli organi statali per garantire sicurezza di vita e di pace ai cittadini e per salvaguardare le istituzioni democratiche”.

Con la recrudescenza criminale dei successivi mesi del 1982, il Consiglio matura la consapevolezza della necessità di mettere in campo concrete iniziative di sostegno ai magistrati impegnati nella lotta alla criminalità di stampo mafioso.

In particolare, i settori di intervento vengono così individuati:

  • coordinare l’attività giudiziaria mediante la promozione di incontri operativi tra magistrati e, in generale, di ogni iniziativa atta a superare, nel rispetto dell’indipendenza dei magistrati e delle competenze degli uffici, la frammentazione territoriale e funzionale dell’opera dei singoli magistrati ed uffici;
  • favorire il collegamento in sede centrale e periferica tra la magistratura inquirente e l’autorità di polizia giudiziaria mediante la promozione di incontri periodici e di ogni altra iniziativa utile;
  • promuovere un rapporto stabile con altri organi dello Stato, in particolare con i responsabili dell’esecutivo e con le competenti Commissioni parlamentari, per favorire una comune azione istituzionale sul fronte della lotta alla criminalità organizzata;
  • rivedere le piante organiche dei magistrati negli uffici giudiziari, specialmente meridionali, secondo un disegno globale idoneo ad assicurare la presenza di una magistratura altamente professionalizzata nelle zone maggiormente colpite dai fenomeni di criminalità organizzata;
  • compiere una ricognizione e promuovere l’adozione degli strumenti tecnici necessari per un’efficiente attività giudiziaria, con particolare riguardo alla predisposizione ed all’uso delle “banche dati” sulla criminalità organizzata;
  • predisporre un programma di aggiornamento professionale dei magistrati, specialmente di quelli impegnati in processi di mafia, camorra e terrorismo;
  • promuovere l’adeguamento e la verifica costante dei criteri e dei mezzi di tutela della sicurezza personale dei magistrati.

Con la delibera del 15 settembre 1982 viene quindi istituito il Comitato antimafia, con i compiti appena descritti. L’interessante dibattito avvenuto in plenum può essere letto nei verbali delle sedute antimeridiana pomeridiana del 15 settembre 1982.


Il piano di lavoro del Comitato antimafia (14 luglio 1983)

In un anno di lavoro, attraverso un’indagine conoscitiva nei distretti interessati dal fenomeno mafioso (Campania, Calabria e Sicilia), il Comitato elabora un articolato piano di interventi (leggibile nella sua interezza nell’allegata delibera) ritenuti efficaci per potenziare il contrasto alla criminalità organizzata.

Per quanto attiene alle competenze istituzionali del Consiglio, con la risoluzione del 14 luglio 1983 (la discussione è riportata nel verbale della seduta plenaria) vengono individuati i seguenti settori di intervento:

  • la creazione di una banca dati
  • la promozione del raccordo fra i magistrati impegnati nella lotta alla mafia
  • la revisione dei criteri di conferimento degli incarichi direttivi e di assegnazione dei magistrati agli uffici interessati dal contrasto alla criminalità mafiosa
  • la formazione dei magistrati e degli allora uditori giudiziari
  • la gestione dei trasferimenti per evitare scoperture
  • la razionalizzazione e revisione degli organici degli uffici
  • il potenziamento della magistratura di sorveglianza.

Vengono poi enucleati i seguenti ambiti in cui avanzare proposte al legislatore:

  • legislazione antimafia
  • nomina dei consulenti tecnici
  • competenza delle corti d’assise
  • legislazione premiale.

Tutti temi la cui attualità ancora oggi è indiscutibile.

Il Gruppo di lavoro per gli interventi del Consiglio superiore della magistratura relativi alle zone più colpite dalla criminalità organizzata (4 ottobre 1990)

Anche nella consiliatura successiva il Comitato prosegue i lavori. Nel 1990, invece, una ulteriore recrudescenza della violenza mafiosa, culminata nell’omicidio di Rosario Livatino, il 21 settembre 1990, porta a un diverso approccio (quanto meno formale, come dimostra il mutamento della denominazione dell’organo).

Viene infatti costituito un “Gruppo di lavoro per gli interventi del Consiglio superiore relativi alle zone più colpite dalla criminalità organizzata”, nell’ambito della allora Commissione riforma.

La funzione del gruppo di lavoro era quella di individuare, in maniera agile e snella, senza poteri deliberativi e “autonomo potere di esternazione”, l’accertamento delle esigenze connesse al contrasto alla criminalità organizzata.

Tale accertamento si risolveva nella segnalazione alle commissioni competenti del CSM.

Significativo è il dibattito svoltosi il 4 ottobre 1990 in plenum: il verbale della seduta appare uno specchio fedele delle tensioni che all’epoca attraversavano il mondo politico e giudiziario in tema di strategie di contrasto alla mafia (nello stesso testo della delibera approvata, emblematica appare una sorta di autolimitazione al potere di intervento del Consiglio in materia).

Viene rimandata ad un momento futuro la decisione in ordine alla costituzione di una Commissione referente speciale.

L’attività del gruppo di lavoro si sviluppò attorno a due direttrici: da un lato gli interventi più strettamente attinenti all’attività amministrativa del Consiglio: organici degli uffici, formazione, coordinamento delle indagini, sicurezza, analisi della legislazione in materia di misure di prevenzione, armi e collaboratori di giustizia; dall’altro, gli interventi da effettuarsi in sinergia con altre istituzioni (Ministero della Giustizia, Commissione parlamentare antimafia, l’Alto commissario per lotta alla mafia), in quanto attinenti alle problematiche delle carceri, all’attività della magistratura di sorveglianza, all’operato della polizia giudiziaria.


La ricostituzione del gruppo di lavoro (22 settembre 1994) e la sua “trasformazione” nella c.d. Commissione antimafia.

Con delibera del 22 settembre 1994, il Gruppo di lavoro viene nuovamente costituito, nella forma precedente, demandando ad un momento successivo la decisione sulla natura delle sue competenze.

La tensione a costituire un organo dotato di autonomo potere “deliberativo”, rectius di avanzare proposte al plenum porta, inevitabilmente, a un serrato confronto in Consiglio che culmina, l’anno successivo, nella costituzione della Commissione per i problemi posti all’amministrazione della giustizia dalla criminalità organizzata.

Il 28 giugno 1995 (nelle sedute antimeridiana e pomeridiana) finalmente vede la luce la Commissione antimafia. Il dibattito all’interno del Consiglio si è decisamente stabilizzato su posizioni favorevoli a dotare l’organo di una propria autonomia funzionale e organizzativa, tanto da divenire una delle commissioni permanenti del Consiglio stesso.

Le competenze sono nette e definite:

  • esprimere pareri e proposte al legislatore
  • verificare le cause di eventuali disfunzioni e le esigenze legate al funzionamento degli uffici giudiziari; effettuare il monitoraggio della situazione degli uffici giudiziari coinvolti nel contrasto alla criminalità organizzata, al fine di individuare interventi idonei a migliorarne il funzionamento; promuovere la revisione delle piante organiche;
  • raccogliere dati utili alla formulazione di proposte e sollecitazioni al Consiglio e alle commissioni consiliari competenti;
  • fornire alle commissioni competenti dati utili alla elaborazione delle regole relative a trasferimenti ordinari, conferimento di uffici direttivi, copertura di posti vacanti, aggiornamento professionale;
  • effettuare visite presso gli uffici giudiziari, per acquisire elementi conoscitivi.

I settori di intervento, in linea generale, non mutano: organici, situazione organizzativa degli uffici, interventi normativi.

Quel che muta radicalmente è, almeno sulla carta, l’efficacia dell’attività della Commissione, che può ora sia attivarsi autonomamente proponendo al plenum proprie deliberazioni, sia intervenendo nei settori di competenza delle altre commissioni attraverso proposte e informative alle medesime.

 

I lavori della Commissione e la digitalizzazione degli atti

Nella successiva consiliatura (1998-2002) si consolidano il ruolo e l’autorevolezza della Commissione antimafia (ormai divenuta la Decima commissione).

La commissione inizia dunque la sua intensa attività.

I documenti relativi ai lavori del Comitato e della Commissione sono stati digitalizzati grazie a una convenzione con il Dipartimento per l’amministrazione penitenziaria del Ministero della Giustizia e saranno presto resi disponibili gli atti di maggiore interesse storico e documentaristico.

Difatti, nel corso degli anni, la Commissione ha affrontato il problema della lotta alla criminalità organizzata esaminando in profondità la situazione degli uffici giudiziari.

Dall’esame dell’attività istruttoria svolta è possibile ricostruire uno spaccato significativo della storia della magistratura italiana dell’epoca. Palermo, Catanzaro, Napoli, Catania, Messina, Cagliari, Caltanissetta sono solo alcuni degli uffici giudiziari analizzati dalla Commissione. Numerosi i magistrati ascoltati, che hanno offerto un quadro delle problematiche concrete affrontate e da affrontare nella lotta alla criminalità organizzata. Attraverso tale complesso lavoro di analisi è stato possibile, per il Consiglio, adottare delibere di significativa rilevanza in termini di contributo al contrasto ai fenomeni mafiosi.

La lettura di tali atti, inoltre, offre un interessante sguardo retrospettivo su fatti che hanno segnato la storia giudiziaria e, soprattutto, sociale dell’Italia.

A titolo esemplificativo, la documentazione riguarda la storia dell’Ufficio istruzione di Palermo (quello di Caponnetto, Falcone, Borsellino) e delle vicende legate al suo smembramento (o meglio all’assegnazione dei procedimenti di mafia non più ai magistrati del pool ma ad altri dell’ufficio); il carteggio relativo alle misure di sicurezza adottate nei confronti di Giovanni Falcone dopo l’attentato dell’Addaura.

In sintesi: un pezzo significativo della storia della lotta alla mafia.


La “nuova” Commissione antimafia

Nelle due successive consiliature, nonostante qualche tentativo, la Commissione antimafia non viene più ricostituita.

È necessario giungere al 2016 perché il Consiglio ritenesse nuovamente opportuno un impegno specifico e istituzionalizzato in materia; le competenze dell’allora decima commissione sono così state assunte dalla attuale Sesta, e sono arricchite dalle nuove attribuzioni in materia di corruzione e di terrorismo. In particolare, il Consiglio nei primi due anni si era più volte occupato del terrorismo, sia in sede di parere espresso al d.l. 18 febbraio 2015, sia con la risoluzione di settima commissione sull’organizzazione delle Procure ed i rapporti con la Direzione Nazionale Antimafia ed Antiterrorismo.

Con delibera del 7 dicembre 2016 è stata approvata dal plenum la risoluzione programmatica che ha indicato il progetto di lavoro che la commissione si è proposto:

  • quanto al contrasto alla criminalità organizzata, un focus di approfondimento del settore dell’aggressione ai patrimoni illeciti nel processo penale e nel procedimento di prevenzione, con il conseguente strategico ambito della gestione dei beni in sequestro e della destinazione finale di quelli confiscati, che impone di verificare l’idoneità delle soluzioni organizzative degli uffici giudiziari requirenti e giudicanti;
  • quanto al contrasto al terrorismo, la verifica del nuovo assetto del coordinamento investigativo interno a seguito della istituzione della nuova competenza della procura nazionale, e della effettività della cooperazione e del coordinamento internazionale, in particolare con riferimento alle attività di Eurojust e allo stato di attuazione del progetto di istituzione della Procura europea;
  • quanto al contrasto ai fenomeni corruttivi e in generale ai reati contro la Pubblica amministrazione, il tema del rapporto fra attività di prevenzione e strumenti di repressione, e fra  ANAC e Procure della Repubblica nella duplice direzione di scambio e interazione tra le diverse istituzioni, con particolare attenzione ai protocolli investigativi ed a quelli organizzativi più avanzati;
  • inoltre, nel complessivo quadro di una continua osmosi tra i tre settori di intervento, i temi dell’impatto di sistema sugli uffici distrettuali della gestione dei collaboratori di giustizia e dei cd. maxiprocessi, nonché avendo riguardo al rapporto di interferenza e reciproca influenza del delitto ex art. 416 bis c.p., come declinato nella sua più avanzata realizzazione, e la corruzione ed a quello, in diverso settore, della interazione degli uffici con il variegato mondo che comunemente si semplifica con il termine dell’antimafia sociale.
  • infine, l’obiettivo di dare attuazione alla delibera del 23 ottobre 2013 che ha previsto di dedicare annualmente – in una data compresa tra il 23 maggio (come anticipato, data della strage di Capaci) e il 19 luglio (data dell’attentato mafioso di via D’Amelio, nel quale persero la vita il magistrato Paolo Borsellino, il caposcorta Agostino Catalano e gli agenti Emanuela Loi, Vincenzo Li Muli, Walter Eddie Cosina e Claudio Traina) – una sessione dei lavori dell’Assemblea plenaria ad una riflessione sulle tematiche ordinamentali e organizzative di competenza consiliare in materia di contrasto alla criminalità mafiosa.

La Commissione ha ritenuto di non ripercorrere il cliché delle precedenti esperienze antimafia del Consiglio, caratterizzato essenzialmente dalla realizzazione di specifici focus territoriali o per tipologia di mafia sui problemi posti alla amministrazione della giustizia dal contrasto alle mafie, ritenendolo non più attuale, in considerazione per un verso della possibilità per il Consiglio di disporre in tempo reale di numerosissimi dati informativi, per altro della presenza di altri organismi istituzionali (DNA, commissione parlamentare antimafia ecc …) che operano con le predette modalità. Si è preferito, invece, scegliere focus tematici capaci di indirizzare e promuovere l’attività degli uffici giudiziari in settori strategici, limitando le visite e gli approfondimenti territoriali a situazioni del tutto peculiari. Si è provveduto all’approfondimento di tali tematiche mediante audizioni, incontri di studio, visite agli uffici giudiziari, acquisizione di dati dagli uffici.

Con delibera del 6 dicembre 2017 si è poi ribadito questo percorso, puntualizzando gli obiettivi dell’ultimo anno di consiliatura.


Le principali delibere della Commissione

La risoluzione in materia di misure di prevenzione e contrasto ai patrimoni illeciti, adottata con delibera del 13 settembre 2017.

Il documento consiliare ha tenuto conto della acquisizione di dati dagli uffici giudiziari, attraverso una capillare attività istruttoria “personalizzata” che ha consentito di conoscere lo stato e l’evoluzione delle procedure in materia presso gli uffici requirenti e giudicanti di primo e secondo grado. Successivamente si è provveduto all’ascolto diretto dei dirigenti degli uffici giudiziari attraverso due distinte e specifiche giornate seminariali  (Sala Conferenze CSM 11-12 maggio 2017), prima di giungere alla redazione del testo della risoluzione, la cui approvazione ha avuto anche un rilevante ruolo politico – istituzionale a sostegno della riforma del T.U. delle leggi antimafia, su cui il Consiglio aveva già emesso un parere in sede di presentazione del disegno di legge, e che poi è stato approvato dopo poche settimane dalla approvazione della risoluzione. La risoluzione si è occupata tanto delle misure di prevenzione che degli strumenti di aggressione ai patrimoni illeciti propri del processo penale (art. 12 sexies), visti sia nell’ottica degli uffici requirenti che di quelli giudicanti, sia di primo che di secondo grado.


La Risoluzione in materia di tutela dei minori nell’ambito del contrasto alla criminalità organizzata, approvata con delibera del 31 ottobre 2017, a seguito della acquisizione dei migliori studi e delle migliori prassi nella materia della sospensione e della cessazione della responsabilità genitoriale in conseguenza della situazione in cui i minori crescono in contesti e famiglie dedite alle attività mafiose. Il documento ha avuto un notevole impatto nel dibattito pubblico, ponendo al centro della discussione le esigenze di tutela dei minori e fornendo adeguato sostegno agli uffici minorili che hanno nel tempo coraggiosamente utilizzato, nei casi più estremi, le opzioni previste dagli artt. 330 e 333 c.c. per le condotte delle famiglie mafiose che negano l’adolescenza ai propri figli inserendoli sin dalla tenera età nelle dinamiche criminose dell’associazione mafiosa, tanto da poter essere considerate a tutti gli effetti “famiglie maltrattanti”. Il Consiglio, raccogliendo e promuovendo le migliori prassi di collaborazione fra uffici giudiziari e altri soggetti istituzionali, ha proposto importanti interventi di modifica normativa sia nel settore civile che in quello penale.


La Risoluzione in materia di attività degli uffici giudiziari nel settore della criminalità minorile nel Distretto di Napoli, approvata in un plenum straordinario tenutosi presso la Corte d’Appello di Napoli con delibera dell’11 settembre 2018, con la quale si è scelto di affrontare il tema della criminalità minorile in una particolare realtà territoriale, quale è quella  di Napoli, assunta a paradigma di uno dei più seri problemi della attuale società, che si manifesta in modi diversi in tutte le realtà metropolitano italiane e internazionali. La delibera è stata approvata all’esito di una complessa attività istruttoria, con numerose audizioni dei principali attori istituzionali e sociali del settore del contrasto alla devianza minorile e del recupero dei giovanissimi, acquisite in sede di visita al carcere minorile di Nisida ove la delegazione del Consiglio ha avuto modo anche di incontrare i giovani detenuti. Essa contiene una analisi compiuta del fenomeno da offrire a tutte le istituzioni d al dibattito pubblico sul tema e offre spunti per migliorare gli aspetti di prevenzione (dispersione scolastica, carenza di assistenti sociali, mancanza di attrezzature e centri sportivi), del controllo del territorio (videosorveglianza, gruppi interforze) delle indagini (collaborazioni fra uffici inquirenti) e dell’esercizio della giurisdizione (per aumentare la circolazione delle informazioni utili), sia sotto il profilo delle buone prassi che delle modifiche normative.


Proposta al Ministro della Giustizia di modifica delle disposizioni presenti nell’art.2 L. 161/2017 (c.d. Codice Antimafia), nella parte in cui prevede che per i tribunali di Trapani e Santa Maria Capua Vetere la proposta di misura di prevenzione di cui all’art. 2 del medesimo codice deve essere depositata presso la cancelleria della sezione specializzata, ove l’interessato alla misura “dimori nel rispettivo circondario”. Difatti, sulla base dell’interpretazione letterale della disposizione, la competenza di tali uffici si radica su base circondariale, e non più provinciale, come nel previgente testo dell’art. 5 d.lgs. 159/11. Ciò comporta una forte contrazione della competenza per territorio, per effetto della quale restano escluse proprio quelle aree – caratterizzate da forte presenza criminale – che avevano determinato la deroga alla competenza funzionale distrettuale proprio per Trapani e Santa Maria Capua Vetere, con conseguenti disfunzioni organizzative. Per tali ragioni, si chiede al Ministro della Giustizia di attivarsi, nell’ambito delle proprie attribuzioni, per modificare l’art. 2 nel senso di radicare la competenza in relazione alla provincia di dimora dell’interessato.


L’attività della Commissione

La commissione antimafia a Bari e Foggia.

Una eccezione all’intendimento di non ripercorrere il metodo del focus territoriale è stata  la visita alla Corte d’appello di Bari ed agli uffici giudiziari di Foggia, tenutasi il 14 e 15 settembre 2017, organizzata dopo l’emersione di una drammatica recrudescenza degli omicidi in provincia e nel territorio del Gargano in particolare (da ultimo il quadruplice omicidio del 9 agosto 2017, con il coinvolgimento anche di alcune vittime occasionali). Si è svolto un incontro con i magistrati del Distretto, e sono state compiute le audizioni dei dirigenti degli uffici ed i vertici delle forze di polizia foggiane, per acquisire elementi informativi sulla situazione degli uffici giudiziari con particolare riguardo alle attività giudiziarie e giurisdizionali volte a contrastare e ad accertare le attività criminose più rilevanti. Ne è derivata la risoluzione in materia di criticità per l’amministrazione della giustizia negli uffici giudiziari foggiani nel settore della criminalità organizzata, approvata in plenum in data 18 ottobre 2017, che contiene una analisi dettagliata delle caratteristiche della mafia foggiana, delle sue articolazioni, della sua storia e dei settori criminali di elezione. Affronta le difficoltà di risorse ed organizzative degli uffici e propone soluzioni legate alla collaborazione istituzionale, il rafforzamento dei settori delle misure di prevenzione, il riempimento degli organici, il coordinamento investigativo fra DDA e Procura ordinaria. Sono stati richiesti interventi urgenti in materia di edilizia giudiziaria (problemi poi drammaticamente precipitati nella primavera – estate 2018 con la chiusura e lo sgombro di alcuni edifici), di copertura degli organici del personale amministrativo e delle forze di polizia, e si è provveduto con tempestività alla copertura degli organici di magistratura attraverso l’assegnazione dei Mot.  

La commissione nel distretto di Roma.

Le emergenze derivanti dal diffondersi di fenomeni criminali per certi versi “nuovi” e l’esigenza sempre avvertita dal Consiglio di sostenere l’impegno degli uffici giudiziari nel contrasto a tali attività ha portato la Commissione presso il Tribunale di Latina in data 29 gennaio 2018 e, successivamente, ad una visita la Corte d’appello di Roma, ove sono stati ascoltati i dirigenti degli uffici giudiziari del Distretto.  

Altre attività istruttorie, di studio e di formazione: Tratta degli esseri umani e terrorismo, cooperazione internazionale, corruzione, agromafie e caporalato.

La Commissione Antimafia del Consiglio ha poi svolto una prima attività istruttoria in tre settori di particolare interesse, attraverso l’acquisizione di informazioni e documenti, l’audizione del Procuratore Nazionale Antimafia, del Procuratore generale presso la Corte d’Appello di Roma, del Procuratore della Repubblica di Milano, del Direttore dell’Autorità nazionale Anticorruzione, ed una visita presso il desk italiano di Eurojust:

  • gli strumenti investigativi di contrasto al fenomeno dell’immigrazione clandestina e della tratta degli esseri umani;
  • il ruolo di Eurojust, la cooperazione internazionale e le competenze delle autorità giudiziarie nazionali;
  • gli strumenti di prevenzione e repressione nel settore della corruzione ed il rapporto di collaborazione fra Procure della Repubblica e ANAC.

Per approfondire il tema, attualissimo, del contrasto alle agromafie e del caporalato, e per affrontare le questioni più controverse rispetto ai relativi strumenti normativi ed alle tecniche di indagine, la Sesta commissione, d’intesa con la SSM, ha voluto condividere la sollecitazione all’approfondimento della materia, proveniente anche dall’Osservatorio sulla Criminalità nell’agricoltura e sul sistema agroalimentare, organizzando un incontro di studi tenutosi il 13 luglio 2017 (delibera in data 5 luglio 2017), con la partecipazione di magistrati, esponenti delle forze dell’ordine e delle istituzioni.


Il valore della memoria e della testimonianza

La pubblicazione degli atti del fascicolo personale di Giovanni Falcone, Francesca Morvillo e Paolo Borsellino

In vista della ricorrenza del venticinquennale dell’attentato di Capaci, nel quale persero la vita il giudice Giovanni Falcone, il giudice Francesca Morvillo ed il personale della scorta, si è tenuto un Plenum straordinario commemorativo. In tale occasione, in collaborazione con l’ufficio studi, è stata predisposta una pubblicazione cartacea dal titolo “Giovanni Falcone ed il Consiglio Superiore della Magistratura”, contenente la documentazione riguardante i rapporti tra Falcone ed il C.S.M., nonché una pubblicazione telematica, a cura dell’ufficio comunicazione istituzionale, contenente gli atti relativi alla attività professionale di Giovanni Falcone e Francesca Morvillo in possesso del Consiglio.

Documenti relativi alla seduta plenaria del 22 maggio 2017:


Parimenti, in occasione  della ricorrenza del venticinquennale dell’attentato di Via D’Amelio, nel quale persero la vita il giudice Paolo Borsellino ed il personale della scorta, si è organizzato un Plenum commemorativo, provvedendo ad analoga pubblicazione cartacea, dal titolo  “L’antimafia di Paolo Borsellino” e digitale, nella sezione del portale “Per non dimenticare-Paolo Borsellino” appositamente predisposta

Documenti relativi alla seduta plenaria del 19 luglio 2017:


Desecretazione e pubblicazione di atti dei magistrati vittime della mafia e del terrorismo.

Nello stesso spirito con il quale si è voluto riaffermare il valore della memoria e della testimonianza, in occasione delle ricorrenze  delle scomparse dei magistrati che hanno servito lo Stato nello svolgimento della propria alta funzione, la Commissione ha proceduto, previa desecretazione degli atti, a pubblicare gli atti relativi alla loro vita ed  alla testimonianza che hanno reso, favorendone la conoscenza attraverso l’indicazione di brevi note di biografia personali.

Attraverso un’intensa attività di ricerca e recupero di atti e documenti provenienti dai fascicoli personali conservati negli archivi del Consiglio o recuperati dagli Uffici giudiziari del territorio nazionale è stata creata una apposita sezione del sito istituzionale in cui è possibile ripercorrere la storia professionale ed il contesto sociale in cui si sono sviluppati fatti fondamentali per la storia del paese e della giurisdizione.

La sezione è stata altresì incrementata con gli atti processuali (anch’essi frutto di attività di ricerca e di digitalizzazione) relativi agli omicidi di questi martiri della giustizia, attività indirizzata a fornire un luogo di ricerca e di condivisione della memoria dei fatti più importanti della storia delle Istituzioni e del Paese

Oggi, grazie a tale iniziative, è possibile leggere sul sito del Consiglio alcuni tratti della vita di:

Emilio Alessandrini (nel giorno del settantaseiesimo anniversario della nascita): tra i tanti  documenti di rilievo storico pubblicati, la sezione dedicata contiene anche il volantino di rivendicazione dell’omicidio da parte del gruppo terroristico “Prima Linea”;

Mario Amato (in occasione del trentottesimo anniversario della scomparsa) con le audizioni svolte dal magistrato avanti al Consiglio Superiore dalle quali è possibile evincere il clima in cui lo stesso era “costretto” ad adempiere alla propria funzione, oltre alle sentenze relative all’omicidio del magistrato che, per i fatti ed i personaggi coinvolti, assumono particolare interesse anche riguardo a processi ancora in corso;

Bruno Caccia (nel giorno del centesimo anniversario della nascita): il primo magistrato ucciso dalla ‘ndrangheta in una città del nord Italia. La sezione raccoglie, tenuto conto del periodo in cui il dott. Caccia prestò servizio, interessanti documenti storici come l’ufficio in cui lo stesso si insedierà (la Procura del Re Imperatore) e l’appartenenza dello stesso alla razza ariana e alla religione cattolica, all’epoca requisito primario per l’accesso in magistratura;

Rocco Chinnici (in occasione del trentacinquesimo anniversario della scomparsa), il “padre” del pool antimafia, il primo magistrato ad essere ucciso dalla mafia con l’uso di esplosivo: lo stesso tipo di attentato che verrà riservato ai suoi due più stretti collaboratori (Giovanni Falcone e Paolo Borsellino). La sezione contiene, oltre ad interessanti audizioni e relazioni tenute dal dott. Chinnici sull’evoluzione storica del fenomeno mafioso, anche l’originale autografo del cd. “diario“, l’agenda in cui il Consigliere Istruttore era solito mettere nero su bianco fatti e pensieri relativi a quanto egli viveva;

Gian Giacomo Ciaccio Montalto (in occasione del trentacinquesimo anniversario della scomparsa): uno dei primi magistrati ad indagare sulle ramificazioni di Cosa nostra fuori dal territorio siciliano, e su alcuni importanti fatti di corruzione (il filone siciliano del cd. scandalo petroli) che ebbero grande eco in quegli anni;

Gaetano Costa (in occasione del quarantesimo anniversario dell’omicidio) magistrato che ha dedicato la propria vita professionale alla lotta alla criminalità organizzata siciliana, prima come Procuratore della Repubblica di Caltanissetta, poi come Procuratore della Repubblica di Palermo. Quando venne assassinato (6 agosto 1980) stava conducendo delicate indagini sul traffico di stupefacenti (che coinvolgevano diverse famiglie della mafia siculo-americana) e su alcuni appalti concessi nel capoluogo siciliano (sui quali era già stata avviata un’ispezione amministrativa dal Presidente della Regione Siciliana). Il magistrato si stava occupando, inoltre, delle indagini sull’omicidio dello stesso Piersanti Mattarella. Ad oggi, esecutore e mandanti dell’omicidio del Procuratore Costa sono rimasti ignoti.

Guido Galli (pubblicazione curata in occasione del trentottesimo anniversario della scomparsa), magistrato colto e fine giurista ucciso dal gruppo terroristico Prima Linea perchè, come rivendicato dagli stessi terroristi, colpevole di essere “impegnato in prima persona nella battaglia per ricostruire l’ufficio istruzione di Milano come un centro di lavoro giudiziario efficiente, adeguato alle necessità di ristrutturazione, di nuova divisione del lavoro dell’apparato giudiziario, alla necessità di far fronte alle contraddizioni crescenti del lavoro dei magistrati di fronte all’allargamento dei terreni d’intervento, di fronte alla contemporanea crescente paralisi del lavoro di produzione legislativa delle camere…“;

Nicola Giacumbi, (in occasione del quarantesimo anniversario dell’omicidio) ricopriva il ruolo di “reggente” della Procura della Repubblica presso il Tribunale di Salerno, quando il  16 marzo 1980 viene colpito da diversi colpi di pistola, esplosi alle sue spalle mentre sta rientrando a casa in compagnia della moglie. L’omicidio viene rivendicato dalla colonna salernitana “Fabrizio Pelli” che attraverso quel delitto cercava di accreditarsi nei confronti delle Brigate Rosse.

Rosario Angelo Livatino (nel giorno del ventottesimo anniversario dalla scomparsa), il giudice ragazzino, come ebbe a definirlo, suscitando diverse polemiche, l’ex Presidente della Repubblica Francesco Cossiga. La sezione contiene, fra gli altri, una relazione del giudice dal titolo Il ruolo del giudice nella società che cambia, che abbraccia argomenti di grande attualità anche nei dibattiti odierni in tema di magistratura, politica ed economia;

Girolamo Minervini (in occasione del quarantesimo anniversario dell’omicidio) magistrato integerrimo e fine giurista, aveva dedicato ampia parte del proprio impegno professionale alle attività connesse all’organizzazione degli istituti di pena ed allo studio della normativa e della riforma dell’ordinamento penitenziario. Il 18 marzo 1980 viene ucciso da un commando delle Brigate Rosse mentre si sta recando al lavoro su un autobus della linea 991. Il giorno prima dell’omicidio aveva ricevuto notizia della propria nomina a Direttore Generale degli Istituti di Prevenzione e Pena. 

Francesca Morvillo (in occasione della ricorrenza dei 25 anni dalla strage di Capaci) che ha condiviso la stessa tragica fine del marito Giovanni Falcone e che, negli atti relativi al suo percorso professionale, appare come un magistrato efficiente, preparato, sensibile ed attento ai problemi dei più deboli, essendosi occupata, per molti anni, di minori non solo come giudice minorile ma anche attraverso l’insegnamento a titolo volontario e gratuito.

Vittorio Occorsio, (nel giorno del novantesimo anniversario della nascita) nella sua breve carriera, ha condotto indagini sui fatti più delicati relativi al periodo più buio della giovane vita delle Istituzioni repubblicane: è venuto a conoscenza dei dettagli di un mancato golpe, (il Piano Solo con la vicenda SIFAR), ed ha svolto le prime indagini sulla strage di piazza Fontana comprendendo ed esortando i colleghi ad ampliare le indagini ai mandanti occulti della strage, per chiarire i ruoli delle diverse ed idealisticamente opposte figure che risultavano coinvolte. Ha indagato i componenti del gruppo Ordine Nuovo e la sua inchiesta ha portato allo scioglimento d’autorità del partito. Era arrivato a individuare connessioni fra l’attività dei neofascisti e quelle di esponenti di logge coperte della massoneria deviata, ed i legami di questi con la criminalità organizzata quando il 10 luglio 1976 venne ucciso in via Mogadiscio a Roma.

Antonino Saetta (in occasione del novantaseisimo anniversario dalla nascita) ucciso insieme al figlio Stefano la cui figura, di uomo per bene e di magistrato integerrimo è ben ricostruita nella parole che  il vicepresidente del Csm Cesare Mirabelli ebbe a pronunciare nel plenum straordinario tenutosi a Palermo il 27 settembre 1988: “Antonino Saetta: un magistrato come molti, moltissimi, incontrati nel cammino personale e professionale di ciascuno. Quaranta anni di vita in magistratura, senza timidezze e senza protagonismi; il coraggio dell’impegno quotidiano, che non evita il rischio sottile del processo difficile e che «espone», né si gloria di questo; la testimonianza del lavoro silenzioso, costante, incisivo; tanto più efficace quanto meno clamoroso ed appariscente. Antonino Saetta: un uomo giusto. Giusto per abito professionale e per consuetudine di vita; ma ancor più pienamente «giusto» per la profonda ed evidente umanità, assai nota a chi lo conosceva. Una vita legata solidamente alla famiglia, alle radici degli affetti profondi, esaltati dalle difficoltà e dai drammi personali. Un legame particolarmente ricco con lo sfortunato figlio Stefano, tanto profondo da fargli mutare, per stare vicino al figlio, la propria sede di lavoro. Un legame che anche l’atrocità assassina ha profondamente violato e, per assurdo, rispettato ad un tempo

Pietro Scaglione (in occasione del cinquantesimo anniversario dell’omicidio) Procuratore della Repubblica presso il Tribunale di Palermo è il primo magistrato ucciso dalla mafia (5 maggio 1971). L’assassinio del dott. Scaglione rappresenta un punto di svolta nell’azione della criminalità mafiosa: il primo di una lunga sequenza di omicidi utilizzati per minacciare la tenuta delle Istituzioni democratiche del Paese. Viene brutalmente ucciso insieme all’agente di custodia Antonino Lo Russo in via dei Cipressi, nelle vicinanze del cimitero dei Cappuccini, ove il Procuratore Scaglione era solito recarsi ogni mattina, per pregare sulla tomba della moglie, prima di raggiungere il suo ufficio. Autori e mandanti di quel delitto rimangono ancora oggi sconosciuti.

Antonino Scopelliti  si era occupato di importanti processi di mafia e terrorismo (il cd. “processo Valpreda” per la strage di Piazza Fontana a Milano, il processo per la strage di piazza della Loggia a Brescia, quello per l’omicidio dell’on. Aldo Moro e della sua scorta, e quelli per l’assassinio del colonnello dei carabinieri Antonio Varisco e per l’uccisione del capitano Emanuele Basile. Come Sostituto procuratore generale presso la Corte di cassazione rappresenterà la pubblica accusa nei processi per la morte del Consigliere Istruttore Rocco Chinnici e della sua scorta, nonché quelli per gli omicidi del giudice Vittorio Occorsio e del giudice Mario Amato. Era stato designato a rappresentare la pubblica accusa nel giudizio di legittimità nel cd. maxi-processo a Cosa nostra, quando, il 9 agosto 1991, venne barbaramente ucciso. I processi celebrati per l’omicidio del giudice Scopelliti, non sono ad oggi riusciti a fare completamente luce sulle reali responsabilità dello stesso

Cesare Terranova (in occasione del quarantesimo anniversario dell’omicidio) ha legato la propria attività professionale alla lotta alla mafia occupandosi da Giudice Istruttore del Tribunale di Palermo di numerosi processi alle “vecchie” cosche degli anni sessanta, cogliendo la metamorfosi che la mafia stava subendo nel suo divenire da agricola a imprenditrice e comprendendo, per primo, la potenza militare e la forza di espansione delle famiglie mafiose di Corleone, all’epoca “guidate” da Luciano Leggio. Il suo impegno nella lotta al fenomeno mafioso continua, negli anni’70, nelle aule parlamentari e, in particolare, in seno alla Commissione d’inchiesta sul fenomeno della mafia in Sicilia. Sarà redattore, insieme, all’on. Pio La Torre, di quella Relazione di minoranza in cui è possibile cogliere alcune delle premesse della proposta di legge sul reato di associazione mafiosa (meglio nota col nome di Legge “Rognoni- La Torre”); che verrà approvata soltanto il 13 settembre 1982; vera e propria pietra miliare nel panorama legislativo antimafia italiano. Era da poco rientrato in servizio a Palermo quando il 25 settembre 1979 venne brutalmente assassinato insieme al maresciallo Lenin Mancuso, da più di venti anni addetto alla sicurezza del magistrato.