Nino Madonia, il fedelissimo dei Corleonesi

 

La posizione processuale di Madonia Antonino merita una specifica disamina sia in considerazione del ruolo di particolare rilievo che lo stesso ha assunto nella fase esecutiva e preparatoria dell’attentato, sia in relazione all’alibi che l’imputato ha addotto e che ha comportato una lunga e complessa verifica dibattimentale anche attraverso l’attivazione di una rogatoria internazionale.
Il protagonismo dell’imputato, connotato da una pressoché costante presenza nelle fase esecutiva della strage, appare coerente con la sua personalità, con la spiccata propensione a svolgere ruoli operativi ed infine con l’appartenenza ad uno dei mandamenti più fedeli e vicini al Riina.
Il pieno coinvolgimento del Madonia nei fatti per cui è processo risulta incontrovertibilmente conclamato dalle concordi chiamate in correità dei collaboratori esaminati nelle pagine precedenti, la cui attendibilità è stata rigorosamente vagliata alla stregua dei criteri elaborati dalla giurisprudenza dominante, e che si atteggiano tutte come dichiarazioni accusatorie provenienti da soggetti che sono stati protagonisti in prima persona dei fatti narrati.
Le loro dichiarazioni accusatorie appaiono del tutto immuni dal sospetto di malanimo, non essendo stati acquisiti elementi che depongano per l’esistenza di sentimenti di astio o rancore nei confronti dell’accusato, ovvero per intese fraudolente volte a creare fittizie convergenze o compiacenti accordi simulatori.
Va peraltro rilevato che le chiamate in correità sopra analiticamente esaminate hanno trovato un significativo riscontro in una emergenza processuale che depone per il coinvolgimento del Madonia nella fase preparatoria di un progetto criminoso nei confronti del consigliere istruttore che già nel dicembre del 1982 era pervenuto ad uno stadio operativo, atteso che, per le ragioni che da qui a poco saranno esposte, la inquietante presenza dell’imputato nell’androne del palazzo ove abitava il giudice Chinnici non ha trovato plausibili giustificazioni che valgano a conferirle caratteri di sicura liceità.
Già nell’immediatezza dell’attentato, nel corso delle prime indagini, il teste Romano Edoardo, legato da rapporti di amicizia alla famiglia Chinnici aveva dichiarato alla Procuratore della Repubblica di Caltanissetta di avere incontrato l’imputato nel mese di dicembre 1982, qualche giorno dopo la celebrazione del matrimonio della figlia del giudice, nell’androne dello stabile in cui abitava il dott. Chinnici, al quale lo stesso teste era legato da rapporti di familiarità.
Nel corso dell’udienza in data 13/1/1999 il teste ha precisato che con la famiglia Chinnici vi erano rapporti di lontana parentela e di frequentazione, soprattutto con i figli del giudice, che chiamava affettuosamente zio Rocco; tali rapporti si erano sempre più intensificati negli ultimi tempi e in occasione di ricorrenze e di festività era sua abitudine recarsi presso l’abitazione del magistrato.
Il Madonia era conosciuto dal Romano in quanto avevano frequentato la stessa classe negli ultimi anni del liceo scientifico presso l’Istituto Galileo Galilei.
Il teste ha riferito che nel corso dell’ultimo anno di liceo (anno scolastico 1970 – 71) il Madonia era stato arrestato perché “sospettato di avere messo delle bombe”, precisando di avere appreso la notizia assieme ai compagni di classe al rientro dalle vacanze di Natale e tutti erano rimasti particolarmente colpiti.
Ha inoltre riferito che qualche giorno dopo la ripresa delle lezioni i Carabinieri si erano presentati presso la sua abitazione e lo avevano invitato a seguirli in Caserma; spiegava le ragioni di quell’intervento con l’arresto del Madonia perché prima dell’inizio delle vacanze di Natale, tutti i compagni della classe avevano deciso di organizzare una cena che avrebbe dovuto tenersi a Palermo nel villino di un compagno con la partecipazione dei docenti per lo scambio di auguri.
All’ultimo momento, per l’indisponibilità di quell’immobile, la cena si era svolta presso il villino di campagna dello stesso Romano a Gibilrossa senza la presenza dei professori che avevano preferito non partecipare in considerazione del lungo tratto di strada da percorrere ed in quell’occasione era presente anche il Madonia che dopo appena pochi giorni era stato tratto in arresto.
Il Romano aveva chiarito agli investigatori la propria estraneità alla vicenda che aveva coinvolto il compagno di classe.
Il teste ha dichiarato di avere rivisto l’imputato nei viali del Policlinico dopo qualche anno ed avevano avuto modo di salutarsi amichevolmente; in quella circostanza il Madonia gli aveva comunicato che la vicenda giudiziaria si era conclusa bene, che si trovava al Policlinico perchè stava frequentando le lezioni del corso di laurea della facoltà di medicina e chirurgia alla quale si era iscritto dopo avere conseguito la maturità studiando in carcere.
Ha riferito di avere sempre considerato il Madonia un compagno affettuoso e disponibile con tutti, tanto che nell’ultimo anno di scuola, prima dell’arresto, il predetto, già munito di patente di guida, era disponibile ad accompagnare i compagni a casa.
Dopo l’episodio del policlinico, in un giorno festivo – la portineria, infatti, era chiusa – e più precisamente qualche giorno dopo il matrimonio di una delle figlie del consigliere Chinnici, si era recato presso l’abitazione del giudice assieme alla moglie ed alla figlia.
Dopo avere citofonato, era appena entrato nel portone di ingresso per dirigersi verso l’ascensore quando aveva notato una persona che aveva arrestato la chiusura del portone e gli si era avvicinata salutandolo; si trattava del Madonia Antonino con il quale si era intrattenuto a scambiare poche battute.
In quella circostanza il teste gli aveva presentato la moglie ed a richiesta del Madonia aveva riferito che si trovava in quel luogo per fare visita ad un parente omonimo; a sua volta il Madonia aveva rappresentato di essersi recato da amici inquilini di quello stabile per giocare a carte.
Appena salito il Romano aveva riferito l’episodio al dr. Chinnici, che gli era sembrato particolarmente allarmato, tanto che si era messo subito in contatto con diverse persone e subito dopo era sopraggiunto il personale di scorta che aveva provveduto ad ispezionare il palazzo senza alcun esito.
Il magistrato in quella circostanza aveva manifestato preoccupazione e
timore per l’incolumità del figlio Giovanni che era uscito con amici.
Il teste dopo quella sera non aveva saputo più nulla; subito dopo la notizia dell’attentato, che aveva appreso dalla radio, aveva ascoltato le altre notizie diffuse dai mezzi di informazione; nel corso della trasmissione di un’emittente locale l’allora vice-sindaco di Palermo, aveva rievocato l’episodio del dicembre 1982, facendo il suo nome e creandogli motivi di preoccupazione per la propria incolumità, anche perché negli anni precedenti la famiglia Madonia, come aveva avuto modo di apprendere dalla lettura dei giornali, era rimasta coinvolta in episodi penalmente rilevanti.
Precisava di non avere avuto dubbi sull’identità del Madonia, anche perché era stato quest’ultimo a riconoscerlo per primo ed a salutarlo.
Va subito rilevato che l’episodio riferito dal teste Romano ha trovato riscontro in alcune emergenze processuali, prima fra tutte l’annotazione sul diario del magistrato ucciso nel cui animo quell’inquietante presenza aveva suscitato viva preoccupazione, essendo stata posta in relazione con il procedimento per strage a carico del Madonia ed altri suoi familiari che lo stesso dr.Chinnici aveva istruito ordinandone il rinvio a giudizio, come risulta dalla documentazione acquisita.
Va inoltre osservato che sulla presenza dell’imputato nell’androne dello stabile di via Pipitone Federico, 59, hanno riferito numerosi testi che avevano appreso del fatto ancora prima della strage.
Il teste Chinnici Giovanni (cfr. ud. 31/3/1999) ha riferito della forte preoccupazione manifestata dal padre quella sera stessa dell’episodio allorché, rientrato a casa, lo aveva visto visibilmente turbato e ciò contrariamente al solito, in quanto lo stesso, nell’ambito familiare, aveva sempre mantenuto un atteggiamento di serenità, evitando di parlare di episodi collegati alla propria attività giudiziaria.
Quella sera il padre lo aveva addirittura rimproverato per essere rincasato tardi, mentre in realtà quello era un orario di rientro del tutto abituale; in quell’occasione il genitore gli aveva riferito che era stato visto all’interno dello stabile un pregiudicato, una persona la cui presenza riteneva pericolosa.(“era turbato, preoccupato era assolutamente insolito vederlo turbato, sconvolto”).
Anche il teste Di Pisa Alberto(ud.31/3/1999) ha confermato che l’episodio aveva seriamente preoccupato il magistrato, riferendo altresì che negli ultimi tempi il consigliere istruttore camminava armato, evidenziando una certa preoccupazione.
Lo stesso Chinnici aveva confidato al teste l’episodio riguardante il Madonia circa venti giorni prima della strage.
Il teste Honorati, già comandante del nucleo operativo dei CC di Palermo (ud.21/7/1999) ha riferito di avere attivato ricerche nei confronti del Madonia e la documentazione acquisita agli atti attesta che effettivamente il 23/12/1982 venne inviata una richiesta di informazioni tramite l’INTERPOL alla quale non seguì alcuna risposta.
Tuttavia le indagini, avviate diversi giorni dopo quell’episodio – avvenuto, come attesta il diario del magistrato, il 6.12.1982 – non avrebbero in alcun modo consentito l’accertamento di alcun elemento specifico sulla effettiva presenza in Germania in quella data del Madonia.
L’episodio, comunque, dovette avere allarmato il Madonia che se da un lato, come si preciserà più avanti, aveva rassicurato il Riina, dall’altro, non aveva omesso di attivarsi per sostenere fin da allora la tesi della sua permanenza stabile in Germania, come risulta dalle dichiarazioni rese dal dr Borsellino e dal dr. Falcone.
Il primo ha riferito che subito dopo l’episodio, il legale dei Madonia si era premurato di rappresentargli che il suo assistito si trovava in Germania.
Il secondo, nel citato verbale dell’agosto 1983, aveva riferito questa circostanza e della preoccupazione manifestata dal giudice per quel fatto. La difesa ha prospettato, attraverso le contestazioni, che in realtà il teste Romano non abbia mai individuato compiutamente il Madonia allorché venne sentito dalla Procura di Caltanissetta subito dopo l’attentato, in quanto non sarebbe stato mai indicato il nome dell’imputato.
L’argomentazione è priva di fondamento ove si consideri che l’unico compagno di scuola del Romano a nome Madonia era proprio l’odierno imputato il quale, pur negando ostinatamente l’episodio, non ha potuto negare sia la comune frequenza del corso scolastico, sia la frequentazione dell’Ing. Romano così come quella degli altri compagni per occasioni sportive e per divertimenti vari tra i quali la cena a Gibilrossa.
Va peraltro rilevato che la documentazione acquisita attesta che l’imputato ed il teste frequentarono la stessa sezione degli ultimi due anni del liceo scientifico e che il Madonia era effettivamente iscritto alla Facoltà di Medicina e Chirurgia dall’anno 1972 e che aveva sostenuto tre esami(cfr.all.4 elenco P.M.- ord.15/10/1999)
Quanto riferito dal Romano in ordine all’incontro nell’androne ed alle stesse modalità con le quali il Madonia ebbe a farsi riconoscere dal primo potrebbe indurre a qualche perplessità, sul rilievo che il Madonia non avrebbe avuto alcun interesse ad esporsi facendosi, quasi ostentatamente, riconoscere dal suo vecchio compagno di scuola, il quale poteva, in ipotesi, non averne rilevato affatto la presenza.
Una più attenta valutazione del contesto in cui l’incontro ebbe a verificarsi e soprattutto delle presumibili finalità illecite perseguite, inducono, per contro, a ritenere fondatamente che il comportamento del Madonia, apparentemente incauto e maldestro, in realtà sia stato necessitato dall’esigenza di approfittare dell’ingresso di quel visitatore per introdursi nello stabile senza dover citofonare a chi, non conoscendolo, probabilmente non gli avrebbe aperto, potendosi ragionevolmente escludersi, anche alla luce delle indagini condotte sul conto dei condomini, che il Madonia fosse atteso da qualche famiglia in quello stabile.
Ed invero il teste Honorati ha testualmente riferito: “…intanto facemmo accertamenti su tutte le famiglie che abitavano nello stabile per verificare se ci fossero delle possibilità di connessione o di contatti con l’Antonino. In effetti gli accertamenti che facemmo furono negativi, cioè non c’era nessun motivo plausibile per cui l’Antonino si trovasse lì, perchè non doveva avere dei collegamenti con le famiglie. Io ne parlai anche col Consigliere Chinnici che anche lui, che poi conosceva tutti gli inquilini dello stabile, escluse che ci potessero essere dei riferimenti”.
La fondatezza del superiore assunto appare suffragata, anche alla stregua di valutazioni logiche ed appropriate, dalla significativa circostanza che il Madonia dovette, con repentina mossa, arrestare con la mano il meccanismo di chiusura automatica del portone che stava richiudendosi alle spalle del Romano, il quale, pertanto, doveva trovarsi ancora nelle immediate adiacenze del portone.
A quel punto, come è normale che accada in simili circostanze – tanto più che si era in ora serale ed in periodo invernale – il visitatore entrato per ultimo istintivamente dovette voltarsi all’indietro incrociando lo sguardo del Madonia, che stava varcando la soglia di ingresso, inducendolo inconsapevolmente a “giocare d’anticipo”, essendo quest’ultimo certo o comunque preoccupato di essere stato riconosciuto da colui che anch’egli dovette subito riconoscere come un vecchio compagno di scuola, cercando in tal modo di dimostrare che non aveva nulla da nascondere e da temere, sebbene consapevole che la sua presenza non avrebbe mancato di destare quantomeno una certa sorpresa, se non un inquietante sospetto, nel Romano.
È appena il caso di rilevare, peraltro, che il riconoscimento o comunque il convincimento dell’elevata probabilità di essere stato riconosciuto appariva plausibile se si considera che in quel contesto temporale certamente uno dei coniugi Romano, appena entrati, dovette accendere la luce dell’androne.
Alla stregua delle considerazioni che precedono ed alla luce del quadro probatorio delineatosi a seguito delle dichiarazioni rese dai collaboratori protagonisti della fase esecutiva, appare evidente come quella presenza, inizialmente solo inquietante, abbia progressivamente perduto quell’originaria equivocità ontologicamente propria dell’indizio isolatamente considerato, per assumere i caratteri tipici dell’indizio grave e preciso, nonché, nel quadro di una valutazione complessiva degli elementi acquisiti, anche quello della concordanza, la quale esprime la confluenza degli indizi verso una univocità indicativa che dia la certezza logica della esistenza del fatto da provare,
Ed invero, quella presenza attesta vieppiù il ruolo spiccatamente operativo assunto dal Madonia nella realizzazione dell’attentato per cui è processo e si ricollega probabilmente ad una fase in cui non può escludersi che il progetto criminoso prevedesse modalità esecutive rispetto alle quali un sopralluogo poteva apparire necessario e comunque funzionale alla buona riuscita dell’operazione.
Ulteriore riscontro alla storicità di quell’episodio, ostinatamente negato dall’imputato, è costituito dalle concordi dichiarazioni rese sul punto dai collaboratori di giustizia Anzelmo e Brusca, i quali hanno riferito che l’incontro tra il Madonia ed il compagno di scuola era stato negativamente commentato negli ambienti di “cosa nostra” ed in particolare tra lo stesso Anzelmo, Giuseppe Giacomo Gambino, Ganci Raffaele ed i figli di quest’ultimo, i quali avevano considerato una leggerezza il fatto che il Madonia si fosse recato presso lo stabile in cui abitava il dr. Chinnici, così esponendosi ad un possibile riconoscimento, come poi effettivamente accadde.
L’Anzelmo sul punto ha dichiarato, in particolare, di avere appreso la circostanza prima della strage e di averne parlato con Ganci Raffaele e Pippo Gambino; non escludeva di avere commentato l’episodio anche con Ganci Calogero e Ganci Domenico.
Non era in grado di precisare quanto tempo prima della strage ne avesse sentito parlare e pertanto il P.M. per sollecitarne il ricordo procedeva alla contestazione […]. A seguito della contestazione, l’Anzelmo dichiarava:
ANZELMO – E non è che ho detto qualche cosa… Pippo Gambino e Ganci Raffaele me lo ricordo, infatti ho detto con Calogero e Domenico non lo escludo, perchè infatti ho ripetuto che non c’erano segreti fra di noi.
PRESIDENTE: – Può chiarire meglio in relazione a questo verbale di cui il Pubblico Ministero le ha dato lettura, quando lei sentì parlare di questa imprudenza, come lei l’ha chiamata? Prima o dopo la strage?
ANZELMO – Ma io non mi ricordo se fu contestualme(nte)… una  cosa del genere o fu… io non me lo ricordo di preciso, ma ne ho sentito parlare di questa situazione, però non… non riesco, diciamo, a dire se fu contestualmente, se fu prima, se fu dopo. Non… non riesco a ricordarlo.
Sullo stesso episodio, all’udienza del 3/3/1999, Brusca Giovanni ha dichiarato:
PRESIDENTE – Senta, lei è a conoscenza di sopralluoghi, chiamiamoli così, fatti da uomini d’onore nello stabile del dottore Chinnici?
BRUSCA – L’ho saputo dopo che Antonino Madonia…
PRESIDENTE – Ha saputo da chi? Quando?
BRUSCA – All’interno di “Cosa Nostra”, non mi ricordo se Salvatore Riina o da qualche altro, ma dopo che hanno indagato su Antonino Madonia, che Antonino Madonia era andato per andare a visionare propria dentro la scala, dentro lo stabile, non so per quale motivo, cioè voleva adoperare un altro sistema, ecco, il discorso è che possibilmente lui avrebbe voluto farlo, non lo so, escogitare di farlo nella scala o nella… nell’ascensore. Non lo so cosa… cosa dirgli. So solo che lui è stato visto da un parente, da un parente del Chinnici…che poi questo lo ha riferito alla Polizia.
PRESIDENTE: – Lei questo lo ha saputo prima della sua collaborazione?
BRUSCA – Sì, l’ho saputo…
PRESIDENTE: – E in che epoca è in grado di collocare…?
BRUSCA – Signor Presidente, subito dopo, non… non più tardi si è saputo di questa notizia.
PRESIDENTE – Ah, dopo la strage?
BRUSCA – Dopo la strage, quando poi la Polizia ha cominciato a fare questi… queste indagini. No, di prima non sapevo niente io.
PRESIDENTE: – Dico, ma lei l’ha saputo da notizie di stampa o l’ha saputo all’interno di “Cosa Nostra”?
BRUSCA – No, all’interno di “Cosa Nostra”. PRESIDENTE: – È in grado di ricordare da chi l’ha saputo?
BRUSCA – Guardi, in quel momento le uniche persone con cui io parlavo di più era Salvatore Riina o mio padre; più di loro non parlavo.
PRESIDENTE – Con il Madonia Antonino ha avuto modo di parlare di questo fatto?
BRUSCA – No, credo di no, mai. Di questo fatto, dopo che è stato fatto, non abbiamo più commentato nè con lui e con nessuno. C’è stato questo imprevisto, diciamo imprevisto che era successo e Salvatore  Riina diceva: “Mè cumpari – perchè lo chiamava cumpari ad Antonino, ecco, più di una volta lo ha chiamato “il mio compare” – ha avuto questo imprevisto”, però niente di… di…
PRESIDENTE – “Ha avuto questo imprevisto” che vuole dire?
BRUSCA – Imprevisto che è stato notato da un parente del Chinnici in quanto compagno di scuola.
PRESIDENTE- Quanto tempo dopo la strage lei ebbe modo… ebbe questo colloquio con il Riina?
BRUSCA – Signor Presidente, non Glielo so dire: un mese, due mesi, tre mesi. Non Glielo so dire, comunque subito dopo.
PRESIDENTE- Lei ne aveva già parlato di questo fatto nel corso delle indagini preliminari o è la prima volta che ne parla?
BRUSCA – No, l’avevo detto.
PRESIDENTE – L’aveva già detto?
BRUSCA – L’avevo… anche se nei ricordi, però l’avevo già detto. Ci dovrebbe essere qualche passo in proposito. Dottoressa, se guardate bene ci deve essere. No, ve l’ho detto, sicuro.