30.3.2022 Falcone, Borsellino e gli studenti: a Palermo apre un cantiere della memoria
Immaginate un cantiere nel quale si fabbrica memoria. Perché non sia un edificio fragile, si impastano il ricordo e lo studio, la testimonianza e l’analisi. Da questi presupposti nasce Officina 92-22, a ricordare il trentennale delle stragi di maggio e luglio del 1992 a Palermo, ripercorrendo ciò che le determinò, gli effetti che produssero, il faticoso cammino intrapreso dopo il lutto, quel che resta, anche nell’immaginario collettivo, dell’immane sacrificio consumatosi tra Capaci e via D’Amelio. L’obiettivo è una memoria che sia un condensato di consapevolezza utile per il cambiamento. Serve per questo la storia, il contributo degli studiosi e degli analisti, la testimonianza di chi quegli anni ha vissuto, ma anche e soprattutto, fuori da ogni retorica, la lezione civile che arriva da quegli accadimenti, il modo in cui sono diventati patrimonio di conoscenza delle generazioni successive, chiamate a esprimersi e a raccontare quel che è rimasto nel loro patrimonio individuale. L’iniziativa, nel ricordo dei magistrati Giovanni Falcone e Paolo Borsellino e degli agenti assegnati alla loro protezione e morti nei due eccidi, è dell’Università di Palermo e dell’Ems, in partnership con L’Espresso che proporrà sul proprio sito estratti degli interventi, materiali di approfondimento e una nutrita bibliografia, nel blog “il conTesto”, curato da Tano Grasso. A un ciclo di seminari, si aggiungono incontri incentrati sulla testimonianza diretta, in una costellazione coordinata da Costantino Visconti, Tommaso Baris, Antonino Blando e Manoela Patti. L’appuntamento è in via Maqueda 324, a Palermo, nel Dipartimento di Scienze politiche e delle relazioni internazionali. Si comincia oggi alle 16, con Umberto Gentiloni su “La crisi della Repubblica dei partiti tra politica interna ed internazionale (1989-1994)”. Fino al 27 aprile si terranno gli altri appuntamenti con Giovanni Fiandaca e Salvatore Lupo su maxiprocesso e Tangentopoli (il 13 aprile), Manfredi Alberti su “L’adesione a Maastricht e l’attacco alla lira” (6 aprile), e un racconto per immagini con Emiliano Morreale sul 1992 nei media (20 aprile). Giovanna Fiume, Tommaso Baris, Antonino Blando, Manoela Patti e gli studenti del Laboratorio di Storia Orale del Dipartimento di Scienze politiche, in due appuntamenti previsti in aprile e settembre, illustreranno il metodo e i risultati di una ricerca sulla memoria delle stragi. Maggio sarà invece dedicato alle testimonianze dei giudici Giuseppe Di Lello e Pietro Grasso, di Fiammetta Borsellino, degli esponenti dei movimenti Antonia Cascio, Piera Fallucca, Giovanna Fiume, Angela Lanza, Beatrice Monroy, Daniela Musumeci, Anna Puglisi, Elvira Rosa e Laura Zanca e del giornalista Piero Melati. L’intero Dipartimento di Scienze politiche e delle relazioni internazionali è stato coinvolto. I docenti hanno proposto focus sul 1992 all’interno dei loro corsi, offrendo agli studenti una prospettiva di analisi multidisciplinare sulle questioni apertesi intorno a questo snodo cruciale per l’Italia repubblicana e accompagnare così il percorso di costruzione della memoria fino agli appuntamenti conclusivi. L’Espresso 30 marzo 2022
29 marzo 2022 – “Via D’Amelio in attesa di giustizia” a Pavia con Fiammetta Borsellino ed Attilio Bolzoni – Provincia Pavese
25.3.2022 Fiammetta Borsellino al teatro Pacini ospite dell’Istituto Agrario
Emozionante incontro per i ragazzi delle quinte dell’Istituto tecnico Anzilotti di Pescia, al teatro Pacini, con Fiammetta Borsellino, figlia del giudice Paolo Borsellino ucciso il 19 luglio 1992 nella strage di via D’Amelio a Palermo. Contattata da una docente di Lettere della scuola, Faussia Cerchiai, Fiammetta Borsellino ha parlato agli studenti, perché è quello che fa da molti anni, convinta che sia il modo più efficace per combattere la criminalità organizzata: .
Due ore di conversazione con gli studenti, senza interruzione, parlando di questioni personali. È stato affrontato anche l’argomento dei processi, di come funzioni ancora il crimine organizzato da nord a sud e di come si sia evoluto in questi trent’anni adattandosi a un mondo che cambiava: allora con le lupare, oggi con gli studi di finanza nei migliori college del mondo.
C’è stato il ricordo dei protagonisti di quelle vicende: come Rita Adria, giovanissima pentita che aveva trovato nel giudice Borsellino un amico, e che poco dopo la sua morte, sentendosi troppo sola per andare avanti, si uccise, e don Pino Puglisi, ammazzato nel quartiere Brancaccio da uomini del clan Graviano perché insegnava ai ragazzi a tenersi lontani dalla violenza e dai crimini; o come tutte quelle vittime innocenti che si trovarono in quel periodo, tra gli Anni Settanta e Ottanta, nel posto sbagliato al momento sbagliato: Barbara Rizzo, uccisa coi due gemellini per errore al posto del giudice Carlo Palermo nella strage di Pizzolungo, o Graziella Campagna, freddata perché nella lavanderia dove lavorava aveva trovato nella tasca di una giacca un’agenda che non doveva trovare.
Si è parlato di come a volte anche le carriere più straordinarie inizino per caso: Paolo Borsellino fu chiamato, giovanissimo, dal magistrato Rocco Chinnici, anche lui ucciso dalla mafia nell’83, a indagare sull’omicidio di matrice mafiosa del carabiniere Emanuele Basile; accettò, e rimase poi all’antimafia per imperativo morale, “perché attorno a me la gente continuava a morire”.
C’è stato spazio per i ricordi quando ha parlato della nonna che ha voluto piantare un olivo nel luogo della strage e per il rammaricog, perché non sempre la famiglia ha trovato la collaborazione che sperava, e perché pezzi dello Stato, di quello Stato in cui Borsellino e Falcone credevano profondamente, si sono mostrati indifferenti, o addirittura complici di quel sistema che ne ha voluto la morte. Non ha parlato mai di trattativa, Fiammetta Borsellino e non si è dilungata su quella misteriosa agenda rossa che sparì dal luogo della strage subito dopo l’esplosione.
Ha aggiunto ricordi a ricordi il maresciallo dei Carabinieri Francesco Marraccini, comandante della stazione di Pescia, che ha iniziato la sua carriera nell’Arma proprio in Sicilia, a Catania, nel nucleo investigativo per la lotta alla criminalità organizzata, e ha voluto ringraziare la Borsellino per il suo impegno nei confronti dei giovani.
La mafia, le stragi, l’impegno civile: incontro del studenti dell’Anzlotti con Fiammetta Borsellino
Emozionante. È l’aggettivo migliore per descrivere l’incontro che i ragazzi delle quinte dell’Istituto tecnico Anzilotti hanno avuto stamani al teatro Pacini con Fiammetta Borsellino, figlia del giudice Paolo Borsellino ucciso il 19 luglio 1992 nella strage di via D’Amelio a Palermo.
Contattata da una docente di Lettere della scuola, Faussia Cerchiai, Fiammetta Borsellino ha accettato con entusiasmo l’invito, ha preso un volo dalla sua città ed è venuta a parlare con gli studenti, perché è quello che fa da molti anni, convinta che sia il modo più efficace per combattere la criminalità organizzata: “Le mafie si nutrono del consenso dei giovani”, ha detto a una platea attentissima, “ecco perché la cultura e lo studio, che passano attraverso la scuola, sono strumenti fondamentali per salvaguardare i diritti e le libertà di ogni singolo cittadino”. Il preside dell’Anzilotti Francesco Panico ha accolto sul palco una bella signora minuta e decisa, solare e sorridente, che ha preteso con dolcezza che i ragazzi, invitati a porle domande, le dessero del tu: e dopo un po’ di imbarazzo iniziale lo hanno fatto, e le domande non si sono più fermate. Si è parlato per più di due ore, senza interruzione, di questioni personali – com’è vivere accanto a un padre per tanti anni sotto scorta, con il senso di un pericolo imminente che gravava su di lui e sui suoi familiari; com’è stato affrontare il “dopo”, e come sia, ogni giorno, essere la figlia di Paolo Borsellino, e doverlo in qualche modo condividere con tutti quelli che lo amano; ma si è parlato, anche, dei processi, di come funzioni ancora il crimine organizzato da nord a sud e di come si sia evoluto in questi trent’anni adattandosi a un mondo che cambiava: allora con le lupare, oggi con gli studi di finanza nei migliori college del mondo.
C’è stato il ricordo dei protagonisti di quelle vicende: come Rita Adria, giovanissima pentita che aveva trovato nel giudice Borsellino un amico, e che poco dopo la sua morte, sentendosi troppo sola per andare avanti, si uccise, e don Pino Puglisi, ammazzato nel quartiere Brancaccio da uomini del clan Graviano perché insegnava ai ragazzi a tenersi lontani dalla violenza e dai crimini; o come tutte quelle vittime innocenti che si trovarono in quel periodo, tra gli Anni Settanta e Ottanta, nel posto sbagliato al momento sbagliato: Barbara Rizzo, uccisa coi due gemellini per errore al posto del giudice Carlo Palermo nella strage di Pizzolungo, o Graziella Campagna, freddata perché nella lavanderia dove lavorava aveva trovato nella tasca di una giacca un’agenda che non doveva trovare.
Si è parlato di come a volte anche le carriere più straordinarie inizino per caso: Paolo Borsellino fu chiamato, giovanissimo, dal magistrato Rocco Chinnici, anche lui ucciso dalla mafia nell’83, a indagare sull’omicidio di matrice mafiosa del carabiniere Emanuele Basile; accettò, e rimase poi all’antimafia per imperativo morale, “perché attorno a me la gente continuava a morire”.
C’è stato spazio per i ricordi – si commuove, Fiammetta Borsellino, quando parla della nonna che ha voluto piantare un olivo, che oggi cresce rigoglioso in mezzo al traffico, nel luogo della strage – e per il rammarico; perché non sempre la famiglia ha trovato la collaborazione che sperava, e perché pezzi dello Stato, di quello Stato in cui Borsellino e Falcone credevano profondamente, si sono mostrati indifferenti, o addirittura complici di quel sistema che ne ha voluto la morte. Non parla mai di trattativa, Fiammetta Borsellino; e non si dilunga su quella misteriosa agenda rossa che sparì dal luogo della strage subito dopo l’esplosione.
Ha aggiunto ricordi a ricordi il maresciallo dei carabinieri Francesco Marraccini, comandante della stazione di Pescia, che ha iniziato la sua carriera nell’Arma proprio in Sicilia, a Catania, nel nucleo investigativo per la lotta alla criminalità organizzata, e ha voluto ringraziare la Borsellino per il suo impegno nei confronti dei giovani; e alla fine della mattinata, dopo le foto e i saluti, i ragazzi dell’Anzilotti le hanno consegnato una lettera e hanno lasciato su una grande tela bianca le loro firme e la sua, insieme ai commenti e alle dediche per un giorno che difficilmente dimenticheranno. E che sicuramente lascerà un segno, forse anche sulle loro scelte future.
L’Istituto Anzilotti ci tiene a ringraziare tutti coloro che hanno contribuito alla realizzazione di questo evento: la professoressa Cerchiai che ha preso contatto con la signora Borsellino; il teatro Pacini per la disponibilità ad ospitare l’incontro; Floratoscana, Bonini Piante, Nicola Del Ministro e Gianluca Ammazzini che hanno fornito fiori e piante per allestire il palco; il Consorzio Montecarlo doc , con il suo presidente Gino Carmignani, che ha offerto i vini per la cena; la Fisar di Montecarlo per il servizio di sommelierato durante la cena e, infine, al personale dei collaboratori scolastici che hanno preparato la scuola come si fa per le grandi occasioni. Fonte: Istituto Agrario Anzilotti
Mafia e stragi: Fiammetta Borsellino si racconta nel ricordo dei martiri per la legalità La figlia del magistrato ha incontrato al “Pacini” gli studenti dell’istituto agrario “Anzilotti”
Emozionante incontro fra i ragazzi delle quinte dell’Istituto tecnico Anzilotti con Fiammetta, figlia del giudice Paolo Borsellino ucciso il 19 luglio 1992 a Palermo, nella strage di via D’Amelio. Contattata da Faussia Cerchiai, insegnante di Lettere della scuola, Fiammetta Borsellino ha accettato con entusiasmo l’invito, convinta che parlare con i ragazzi sia il modo più efficace per combattere la criminalità organizzata. “Le mafie si nutrono del consenso dei giovani- ha detto a una platea attentissima -ecco perché la cultura e lo studio, che passano attraverso la scuola, sono strumenti fondamentali per salvaguardare i diritti e le libertà di ogni singolo cittadino”. Ha preteso che i ragazzi le dessero del tu, e dopo un po’ di imbarazzo iniziale le domande non si sono più fermate: l’incontro è proseguito oltre due ore, in cui ha parlato di questioni personali, parlando della vita con un padre sotto scorta, con il senso di pericolo imminente, di com’è stato affrontare il “dopo”, e di come sia essere la figlia di Paolo Borsellino; e poi, dei processi, di come funzioni il crimine organizzato e di come si sia evoluto, adattandosi a un mondo che cambiava. Non è mancato un ricordo di alcuni protagonisti, come Rita Adria e don Pino Puglisi, e tutte le vittime innocenti che si trovarono nel posto sbagliato al momento sbagliato. Paolo Borsellino fu chiamato dal magistrato Rocco Chinnici, anche lui ucciso dalla mafia nell’83, a indagare sull’omicidio di matrice mafiosa del carabiniere Emanuele Basile; accettò, “perché attorno a me la gente continuava a morire”.
Si è commossa parlando della nonna, che ha voluto piantare un olivo che oggi cresce in mezzo al traffico, nel luogo della strage; non sempre, si è rammaricata, la famiglia ha trovato la collaborazione che sperava, pezzi dello Stato si sono mostrati indifferenti, quando non complici, di quel sistema. È intervenuto anche il Francesco Marraccini, comandante della stazione di Pescia dei Carabinieri, che ha iniziato la carriera proprio in Sicilia, a Catania, nel nucleo investigativo per la lotta alla criminalità organizzata; alla fine della mattinata i ragazzi dell’Anzilotti hanno consegnato a Fiammetta Borsellino una lettera, lasciando su una grande tela bianca le loro firme e la sua, insieme ai commenti e alle dediche per un giorno che difficilmente dimenticheranno. A nome della scuola, il preside Francesco Panico ringrazia tutti coloro che hanno contribuito a questo evento. LA NAZIONE 25 MARZO 2022
21.3.2022 “L’ultima estate, Falcone e Borsellino 30anni dopo” ottiene il sostegno del ministero degli Esteri: al via tournée internazionale Dalla “piccola” Canicattì ai palcoscenici di Francia, Grecia, Germania, Inghilterra, Malta, Albania, Macedonia, Serbia e Montenegro. Ma anche Algeria, Messico, Uruguay, Argentina, California, New York, Canada e Australia
Dalla “piccola” Canicattì ai palcoscenici di Francia, Grecia, Germania, Inghilterra, Malta, Albania, Macedonia, Serbia e Montenegro. Ma anche Algeria, Messico, Uruguay, Argentina, California, New York, Canada e Australia. Sembra incredibile, ma è la dimostrazione – concreta e reale – di come anche in una piccola realtà, quella di Canicattì appunto, si riesca – se il team è composto da veri professionisti – a creare ed esportare, praticamente in tutto il mondo, un lavoro teatrale che ha ottenuto anche il sostegno della direzione generale per la diplomazia pubblica e culturale del ministero degli Esteri. A varcare i confini regionali e nazionali, con quella che sarà una tournèe internazionale che coinvolgerà anche gli istituti di cultura, le ambasciate e i consolati italiani all’estero, è “L’ultima estate, Falcone e Borsellino 30anni dopo” di Claudio Fava, con Simone Luglio e Giovanni Santangelo, con la regia di Chiara Callegari. Uno spettacolo – che dopo aver ottenuto l’approvazione di Fiammetta Borsellino, che lo ha visto in anteprima l’estate scorsa, – è in distribuzione italiana in teatri, scuole e tribunali. Lo spettacolo – portato in scena da veri professionisti – ha come caratteristica quella di essere molto duttile: può passare agevolmente da un allestimento teatrale completo a una vera e propria mise en space senza perdere il suo carattere emotivo. Proprio queste, oltre a raccontare il profondo legame d’amicizia che univa i due magistrati siciliani, le fondamenta de “L’ultima estate, Falcone e Borsellino 30 anni dopo” che viene considerato – dagli addetti al settore e non solo – un capolavoro da non perdere. Uno spettacolo, prodotto dal teatro Metastasio di Prato, che ha già iniziato – e la prima data di Vicenza è andata in sold out – quella che sarà una lunga tournée in giro per l’Italia, l’Europa e oltre. Molto oltre. “L’ultima estate, Falcone e Borsellino 30 anni dopo”, dal 15 al 19 maggio, sarà alla fondazione Cacoyannis, IIC di Atene; dal 20 al 24 maggio all’IIC di Parigi; dal 7 all’11 giugno verrà portato in scena alla Corte di Giustizia Europea di Lussemburgo; dal 7 al 9 ottobre al festival della Cultura Italiana di Avignone in Francia; il 10 e l’11 ottobre all’IIC di Marsiglia e dal 26 al 30 ottobre allo Spazyu Kreattiv per l’IIC di Malta. AGRIGENTO NEWS
21.3.2022 “L’ultima estate – Falcone e Borsellino 30 anni dopo”, spettacolo ad Albignasego
In occasione della “Giornata della memoria e dell’impegno in ricordo delle vittime innocenti delle mafie”, che si celebra il 21 marzo, e per commemorare il trentesimo anniversario della morte dei giudici Giovanni Falcone e Paolo Borsellino, l’Istituto comprensivo di Albignasego con la collaborazione del Comune propone lo spettacolo teatrale “L’ultima estate – Falcone e Borsellino 30 anni dopo”, prodotto in esclusiva dal Teatro Metastasio di Prato. Nei giorni 21, 22 e 23 marzo lo spettacolo sarà dedicato agli alunni della scuola secondaria di primo grado e delle classi quinte della scuola primaria dell’Istituto comprensivo di Albignasego; la replica serale, in programma il 23 marzo alle ore 21 al palazzetto polivalente “Fantino Cocco” di via Pirandello, sarà invece aperta a tutta la cittadinanza. «All’interno dell’ambito di educazione alla legalità» dichiara la Dirigente scolastica dell’Istituto comprensivo, Federica Silvoni «abbiamo immaginato per i nostri ragazzi un percorso di conoscenza e di approfondimento sulla lotta alle mafie, ricordando anche le vittime. Noi adulti ed educatori siamo chiamati a tramandare la memoria, non solo per onorare le persone che hanno speso la loro vita per garantire la legalità e la convivenza civile senza sopraffazione e violenza, ma anche per comprendere più a fondo i meccanismi distorti delle varie mafie che agiscono nel nostro Paese e nel mondo. Quest’anno vogliamo commemorare il trentennale delle morti dei giudici Giovanni Falcone e Paolo Borsellino attraverso uno spettacolo teatrale, che ripercorre le loro figure di uomini e non solo di eroi». Chi ha vissuto l’estate del 1992 porta in modo indelebile il ricordo, ma anche il monito e la chiamata all’impegno che sono derivati da quelle stragi: il senso civico di servizio allo Stato nasce anche dall’aver vissuto come nazione i momenti tragici di quel periodo. La commemorazione proseguirà anche in autunno: ha già assicurato la sua presenza ad Albignasego la signora Fiammetta Borsellino, figlia del giudice Paolo, insieme ad altri testimoni della lotta contro le mafie. «Abbiamo aderito con entusiasmo alla proposta dell’Istituto comprensivo» aggiunge il sindaco Filippo Giacinti «per la grande valenza della commemorazione, che serve a mantenere viva la memoria, affinché i sacrifici di chi ha perso molto, anche la propria vita, non cadano nell’oblio. Ma siamo convinti che accanto al ricordo debba trovare posto anche l’impegno civico: il Comune di Albignasego dal 2015 è membro di Avviso pubblico, un’associazione nata nel 1996 per riunire gli amministratori pubblici che si impegnano a promuovere la cultura della legalità democratica. Ogni anno proponiamo un percorso sui vari temi legati alla legalità dedicato agli alunni delle scuole e organizziamo sui medesimo argomenti degli incontri aperti ai cittadini». PADOVA OGGI
20.3.2021 Spettacolo per commemorare Falcone e Borsellino Spettacolo per commemorare Falcone e Borsellino: iniziativa dell’Istituto comprensivo di Albignasego con il supporto del Comune. Fiammetta Borsellino in visita in autunno
20.3.2022 – “Vivere e Non Sopravvivere”: la Giustizia riparativa a Parma. INTERVISTA a Max Ravanetti
Buongiorno Max, grazie per la disponibilità ad essere intervistato su un tema così importante, complesso e credo poco conosciuto: lascio che sia tu a presentarti ai lettori…. Sono Max Ravanetti, vivo e lavoro a Parma. Mi definisco sempre un educatore prestato al sindacato. Credo che tra le due professioni ci sia un segno di continuità, che da il senso della misura di cosa intenda io per vivere. Se poi ci metti che sono appassionato di musica tanto quanto di calcio e che in queste due ultime attività creative/ricreative metto sempre energie e passione, credo che il “gioco” sia fatto su come mi veda io. Magari molti mi vedono in altro modo, ma tant’è.
Max, se dovessi spiegare ad una persona appena conosciuta la giustizia riparativa, cosa gli diresti?
Come definizione tecnica le direi qualsiasi procedimento che permetta alla vittima e all’autore del reato di partecipare attivamente, se vi acconsentono liberamente, alla risoluzione delle questioni risultanti dal reato, con l’aiuto di un terzo imparziale. Poi, personalmente le direi che è qualcosa di prezioso. Uno strumento che va colto e che permette di elaborare il passato e da strumenti per il futuro. Credo che sia una opportunità che bisogna darsi senza pregiudizi e senza preconcetti e che ci si debba mettere in ascolto. Le elaborazioni possono essere sia storiche che di analisi sociali e rapporti personali. Questo è ciò che direi perché mi ritengo un messaggero che porta alla luce le persone che hanno vissuto ed attuato questi percorsi che mi hanno coinvolto e fatto sentire parte di un percorso.
Quando e come è nato il tuo interesse per la giustizia riparativa?
E’ una storia difficile da spiegare in poche parole ma ci provo. Parto dal Max bambino di 7 anni e ricordo come fosse ora il sequestro e poi l’omicidio di Aldo Moro da parte delle Brigate Rosse. Ero un bambino come tanti, con le sue paure ed i suoi “interessi”: il calcio (tanto tanto calcio), i giochi in cortile tra i più disparati. Ricordo di come mi divertivo con molto poco. Mio padre era un metalmeccanico e mia madre faceva le pulizie in casa di un pezzo grosso in città: oggi le chiamano colf, allora “donna delle pulizie”. In quegli anni la tv non aveva filtri e già da bambino percepivo come la violenza fosse uno strumento con cui si faceva politica: lo respiravi dalla tv, dai discorsi che “i grandi” facevano a tavola rispetto a ciò che la nostra società stava vivendo.
Crescendo, ho sempre avuto dentro quel pezzo di vita come un lutto non elaborato o come la voglia di capire. Così, negli anni ho iniziato a leggere tutto su quelli che vengono definiti “gli anni di Piombo”: libri, saggi, articoli, guardato documentari ed interviste o spettacoli teatrali. Posseggo un numero di libri e video esorbitante su quegli anni. Poi ho iniziato anche a cercare di capire cosa ne avrei voluto fare di tutte quelle informazioni: un libro? No, non ho velleità e capacità letterarie. Uno spettacolo? No, non saprei ne come e ne mettere in ordine i contenuti.
Insomma, avevi una vera passione su questi temi, ma non avevi ancora idea di come svilupparli?
Non sapevo proprio. Allora iniziai a cercare giornalisti o addirittura testimoni diretti coinvolti in quegli anni. Ho incontrato e partecipato ad appuntamenti di giornalisti come Giovanni Fasanella ma, pensai che no, non mi interessava parlare di quei fatti nel suo modo. Non amo la dietrologia da sempre e non mi piace disquisire su teorie complottiste, che lasciano marginali le questioni umane. Fu così che, nei primi anni ’90, mi imbattei nell’intervista che Sergio Zavoli fece a Franco Bonisoli, ex appartenente alle Brigate Rosse, membro del comitato esecutivo e coinvolto nel caso Moro: fu un’illuminazione. Il modo in cui quel giornalista riuscì a mettere in luce l’aspetto umano di una persona che sa di averla fatta grossa ma non chiede nulla e che si fa carico e responsabile del dolore creato mi lasciò affascinato.
Mi colpì positivamente anche come Franco – oggi lo chiamo così perché è uno dei miei amici più preziosi per me – provava dolore, forte e sincero senza barriere: si mise veramente a nudo ed in un Paese come il nostro credo possa anche essere pericoloso. Tieni presente che Franco ancora non aveva fatto il percorso di giustizia riparativa. Ancora non sapevo dove sarei arrivato ma quella fu una lampadina. Dopo quasi 28 anni, le mie continue ricerche mi fanno scoprire “il gruppo dell’incontro” del quale c’è anche il libro, che ovviamente ho comprato e letto, e grazie al quale ho scoperto di queste persone (ex appartenenti alla lotta armata e figli di vittime), che si son incontrate in un percorso mediato da Adolfo Ceretti, Claudia Mazzucato e Padre Guido Bertagna.
Un percorso decennale, all’inizio protetto e non pubblico. Ne venni in contatto grazie ad una mail che spedii ad Adriana Faranda, la quale mi rispose subito in maniera entusiasta. Da li, la prima edizione dell’iniziativa “Vivere e Non Sopravvivere”
“Vivere e Non Sopravvivere”: un’iniziativa pubblica portata avanti da alcuni anni a Parma con coraggio e crescente risposta di interesse: ci fai una sintesi? Come si evolverà in futuro?
È stata un’iniziativa alla quale ho dedicato molto del mio tempo libero. Ma devo ringraziare prima di tutto la CGIL di Parma, nelle persone di Massimo Bussandri (oggi al Regionale) e Lisa Gattini, attuale Segretaria della Camera del Lavoro di Parma – quest’ultima anche per i contributi preziosi che hanno arricchito l’iniziativa – per il coraggio e la forza con cui hanno sostenuto questo progetto.
Ultima, ma non ultima, Carla Chiappini, giornalista che collabora con “Ristretti Orizzonti”, una redazione di detenuti all’interno degli istituti penitenziari. Oggi Carla, donna di altissima sensibilità, è parte piena di questo progetto e stiamo lavorando insieme per renderlo sempre più fruibile. Non è facile andare oltre alle resistenze e le diffidenze.
Ho organizzato 3 appuntamenti, il primo e l’ultimo sono stati i più ricchi a mio modo di vedere, il secondo quasi un passaggio necessario che mi ha dato spunti di riflessione: ad esempio ho compreso che il “pallino” è meglio averlo sempre sotto controllo e che l’organizzazione deve sempre essere condivisa con poche persone e fidate.
Per questo credo che la terza edizione abbia avuto un grande riscontro ed una crescente risposta.
Sto cercando di portare l’iniziativa a livello nazionale e ci sto lavorando insieme a Carla. Per ora questo lavoro lo “proteggo” ma, appena avrò news, promesso che ti aggiornerò.
Buona parte del tuo lavoro si svolge con le scuole: come ti poni con gli studenti? Quale ritorno hai dall’incontro con loro su questi temi complessi e articolati? Banalmente, come vedi i giovani di oggi?
Mi pongo proprio come messaggero, scusa se ripeto spesso il termine. Mi pongo come una persona che vuol dare un’opportunità. Non mi impongo, cerco di stimolare l’ascolto e l’uso delle parole. I ritorni sono davvero preziosi: in alcuni istituti siamo tornati per quella che viene definita restituzione e dagli studenti, tramite gli incontri ma anche tramite le domande o le riflessioni che mi inviano.
Percepisco la voglia e la “sete” di capire e comprendere non solo il percorso e gli strumenti, ma anche la voglia di ricostruire storicamente la storia di questo Paese.
Come dice Aluisi Tosolini, Preside del Liceo Bertolucci, per cui nutro una stima infinita, “una scuola che non affronta i suoi nervi scoperti, non è una scuola”: io spesso questo pensiero lo applico anche a questo Paese, che ancora oggi fa fatica ad affrontare quella storia ed i percorsi di oggi di chi quegli anni li ha vissuti e in un certo senso “fatti” o “subiti”.
In questo tuo attuale percorso, ti senti ancora educatore? Quanto ti è utile il lavoro ventennale nei servizi educativi nell’affrontare le esperienze collegate alla giustizia ripartiva?
Bella questa domanda. Si. Mi sento pienamente educatore ogni istante e soprattutto nell’approccio a questi percorsi. Aggiungo che, da quando tratto il tema della giustizia riparativa, ho cambiato anche i miei paradigmi rispetto al lavoro: infatti mi sento educatore anche nel lavoro da sindacalista.
Molto bella questa risposta! Max, in questa esperienza, hai conosciuto, anzi, ti sei immerso in un mondo complicato, a volte oscuro e sconosciuto ai più: se dovessi sintetizzare in poche righe, cosa ne hai tratto e in quali contenuti ti sei arricchito?
Sono grato a persone come Agnese Moro, Giorgio Bazzega, Franco Bonisoli, Manlio Milani , Adriana Faranda e Fiammetta Borsellino, ma anche Carla Chiappini ed i compagni della CGIL di Parma, che oggi sono anche amici preziosi. Con ognuno di loro ho un vero rapporto amicale stretto. Con Giorgio Bazzega, oggi uno dei miei migliori amici, siamo spesso insieme a programmare e progettare visto che si è trasferito vicino a Parma. Mi sono arricchito di tante cose, ma su tutte ho imparato ad ascoltare e a non dare mai nulla di scontato. Ho imparato a non avere mai pregiudizi. Ho imparato a disarmarmi per comprendere. Ammetto, non senza ogni tanto scivolare in questa società complessa. Ma questo “mondo complicato”, come giustamente lo hai definito, mi permette anche di cogliere anche i miei errori e di elaborarli e ripararli.
Uscendo un attimo dal tema, mi hai detto di essere uscito dai social network: per quale motivo? Credo possa essere importante che si sappia…
Ecco, mi sono guardato. Avevo perso completamente il controllo quando ero sui social. Non stavo “zitto” e spesso ho fatto passare messaggi contrari a ciò che volevo dire. Non sono uno che ha dimestichezza con la scrittura e non ho velleità letterarie.
Il social, se non ne sai fare un buon uso, può diventare un boomerang dove le persone ti scaricano addosso il loro meccanismo mentale e ciò che in realtà sono loro. Spesso, sono proprio le persone della mia generazione a fare un uso dei social in un certo senso violento. Oppure lo usano come una passerella sulla quale ostentare la propria immagine. Ho conosciuto persone terze, tramite “Vivere e Non Sopravvivere” che sui social ed a livello pubblico davano un’immagine di sé completamente diversa da ciò che poi sono nel proprio privato.
Ecco, io ero parte di quei meccanismi e dinamiche, che oggi guardo con sospetto, anche se sono sempre stato me stesso: non ho alcuna velleità, nessuna voglia di emergere. Solo tanta voglia di condividere insieme.
Il carcere nel 2022: quale realtà è, a Parma innanzitutto? Quali cose possono e devono migliorare? Come si può essere utili, anche da fuori, ad un miglioramento della situazione e delle criticità legate al carcere e ai percorsi di reinserimento sociale, come semplici cittadini?
È un altro tema complesso. Il sistema penitenziario a mio parere sta attraversando una profonda fase di cambiamento. La pena inflitta viene percepita dalla popolazione come una sorta di vendetta e questo è contrario all’art. 27 della Costituzione.
Per citare Agnese Moro o Giorgio Bazzega, credo che la società tutta debba mettersi nell’ottica di riaccogliere le persone “ristrette” (ovvero detenute, ndr) che hanno sbagliato, o che hanno compiuto un grave reato, e non tendere a isolarle semplicemente.
In generale credo che per affrontare alcune criticità, come anche questa nello specifico, servano profonde riflessioni a livello sociale. È chiaro come il carcere sia importante per fermare chi commette un reato, per dargli un “alt”, ma poi è necessario trovare forme che rispettino l’art 27 della Costituzione e che quindi riconoscano l’individuo in quanto tale. Perché vedi Alberto, non c’è alcuna giustificazione che si possa dare a chi commette un reato, ma ho imparato che chiedersi il perché alcuni reati “accadono”, o perché ci sia recidiva da parte di chi esce dal carcere, sia un buon punto di partenza per agire sulle cause e far si che non vi sia sola e semplice repressione.
Faccio sempre un esempio molto semplice e “terra terra”: se sotto casa mia rubano una macchina, magari la mia, spero che l’autore del reato venga preso e ne paghi le conseguenze, facendogli però comprendere la gravità del gesto. Ma se sotto casa e solo sotto casa e nel mio quartiere, rubano tre macchine a settimana, spero si che venga fermata questa pratica, ma insieme mi chiedo il perché accada tutte le settimane e solo sotto casa mia. Ed è da li che si parte per poter agire in linea con la Costituzione.
Alberto Padovani PARMA DAILY
19.3.2022 Uno spettacolo a scuola per ricordare l’impegno dei giudici Falcone e Borsellino
Nei giorni 21, 22 e 23 marzo lo spettacolo sarà dedicato agli alunni della scuola secondaria di primo grado e delle classi quinte della scuola primaria dell’Istituto comprensivo di Albignasego? In occasione della “Giornata della memoria e dell’impegno in ricordo delle vittime innocenti delle mafie”, che si celebra il 21 marzo, e per commemorare il trentesimo anniversario della morte dei giudici Giovanni Falcone e Paolo Borsellino, l’Istituto comprensivo di Albignasego con la collaborazione del Comune propone lo spettacolo teatrale “L’ultima estate – Falcone e Borsellino 30 anni dopo”, prodotto in esclusiva dal Teatro Metastasio di Prato.
Lo spettacolo Nei giorni 21, 22 e 23 marzo lo spettacolo sarà dedicato agli alunni della scuola secondaria di primo grado e delle classi quinte della scuola primaria dell’Istituto comprensivo di Albignasego; la replica serale, in programma il 23 marzo alle ore 21 al palazzetto polivalente “Fantino Cocco” di via Pirandello, sarà invece aperta a tutta la cittadinanza. «All’interno dell’ambito di educazione alla legalità – dice la dirigente scolastica Federica Silvoni – abbiamo immaginato per i nostri ragazzi un percorso di conoscenza e di approfondimento sulla lotta alle mafie, ricordando anche le vittime. Noi adulti ed educatori siamo chiamati a tramandare la memoria, non solo per onorare le persone che hanno speso la loro vita per garantire la legalità e la convivenza civile senza sopraffazione e violenza, ma anche per comprendere più a fondo i meccanismi distorti delle varie mafie che agiscono nel nostro Paese e nel mondo. Quest’anno vogliamo commemorare il trentennale delle morti dei giudici Giovanni Falcone e Paolo Borsellino attraverso uno spettacolo teatrale, che ripercorre le loro figure di uomini e non solo di eroi». La commemorazione proseguirà anche in autunno: ha già assicurato la sua presenza ad Albignasego la signora Fiammetta Borsellino, figlia del giudice Paolo, insieme ad altri testimoni della lotta contro le mafie. «Abbiamo aderito con entusiasmo alla proposta dell’Istituto comprensivo – aggiunge il sindaco Filippo Giacinti – per la grande valenza della commemorazione, che serve a mantenere viva la memoria, affinché i sacrifici di chi ha perso molto, anche la propria vita, non cadano nell’oblio. Ma siamo convinti che accanto al ricordo debba trovare posto anche l’impegno civico: il Comune di Albignasego dal 2015 è membro di Avviso pubblico, un’associazione nata nel 1996 per riunire gli amministratori pubblici che si impegnano a promuovere la cultura della legalità democratica. Ogni anno proponiamo un percorso sui vari temi legati alla legalità dedicato agli alunni delle scuole e organizziamo sui medesimo argomenti degli incontri aperti ai cittadini». PADOVA OGGI
3.3.2022 – Il caso Renoldi e quel silenzio assordante di Md sul teorema Trattativa. Non entriamo nel merito dell’intervista del fratello di Paolo Borsellino pubblicata sul Fatto Quotidiano. Pieno di luoghi comuni, inesattezze, argomentazioni prive di base logica dettate sicuramente dalla mancanza di conoscenza. Potremmo contrapporre la lucidità e sensibilità, dettata anche dalle visite in carcere, di Fiammetta Borsellino che è esattamente agli antipodi. Ma non lo facciamo. Sarebbe sbagliato strumentalizzare le vittime di mafia che hanno tutto il diritto di pensare come vogliono. Invece è doveroso sollevare un problema. Il silenzio di Magistratura democratica, corrente di cui fa parte Carlo Renoldi indicato dalla ministra Cartabia come capo del Dap, davanti alle imbarazzanti ricostruzioni del teorema trattativa Stato-mafia, utilizzate per intossicare il dibattito ogni qual volta si parla di riforma del 41 bis o ergastolo ostativo. Attenzione, non pretendiamo che i magistrati di Md interferiscano su una inchiesta o un processo. Quello sarebbe sbagliato. Ma vista la sensibilità della corrente contro l’idea reazionaria del sistema penitenziario, sarebbe stato giusto un intervento ogni qual volta un loro collega, o addirittura un loro iscritto, vada ad esempio innanzi alla Commissione giustizia e usi una intercettazione, inconsapevolmente stravolgendone il contenuto, per dire ad esempio che nel 2000 Bernardo Provenzano parlava dell’ergastolo ostativo, dando la percezione che ci fu una trattativa in corso per abolirlo. A pensare che l’ergastolo ostativo è un termine coniato dalla dottrina soltanto pochi anni fa. Così come ad esempio, sarebbe stato bello che Magistratura democratica fosse intervenuta quando si parlava della famosa mancata proroga del 41 bis a circa 300 soggetti da parte dell’allora ministro Giovanni Conso. Una delle pseudo prove dell’avvenuta trattativa Stato mafia. Perché non sono intervenuti, rendendo così onore al magistrato Alessandro Margara, iscritto a Md, uomo di grande spessore e cultore del diritto penitenziario, che fu proprio uno dei magistrati di sorveglianza che sollevò la questione alla Corte costituzionale? Sì, perché le revoche dei 41 bis ai 300 soggetti (tra l’altro solo una piccolissima parte erano mafiosi, di basso rango) disposte dal ministro Conso nel ’93, furono conseguenza della sentenza della Corte costituzionale (numero 349 e depositata in cancelleria il 28 luglio del 1993) che impose valutazioni individuali per ciascun provvedimento di carcere duro a differenza di quanto era avvenuto in precedenza e in passato per i terroristi. Il merito di quella sentenza, ricordiamo, è stato anche di Alessandro Margara che sollevò la questione quando era magistrato di sorveglianza a Firenze. Non di una trattativa, non della mafia, ma dello Stato di Diritto. Lo stesso Franco Corleone, attualmente garante dei detenuti del carcere di Udine, ricorda i colloqui avuti con Margara stesso e il suo sbalordimento per le accuse a Giovanni Conso, accusato di avere appunto tolto dal regime del 41 bis presunti mafiosi per favorire la “trattativa Stato mafia”. Sono argomenti privi di contatto con la realtà, che inevitabilmente intossicano il dibattito. Non permette di far progredire il nostro Stato di Diritto. Anzi, lo arretra. Molti parlamentari, a partire di chi ricopre ruoli istituzionali come l’attuale presidente della Commissione parlamentare antimafia Nicola Morra, sono imbevuti di questa propaganda. Ne hanno assorbito talmente tanta, che a sua volta la veicolano anche loro. I danni sono enormi, a partire da quelli culturali. Il rischio è che anche le istituzioni scolastiche ne rimangano travolte. I giovani studenti, saranno (o sono) le prime vittime. In realtà Magistratura democratica, in particolare Area, non solo è stata in silenzio, ma nel passato ha organizzato anche convegni sulle stragi di Capaci e di Via D’Amelio dove i partecipanti al dibattito, ancora una volta, hanno usato queste argomentazioni totalmente fallaci. Eppure, all’interno di Magistratura democratica, ci sono tuttora persone di valore e che conoscono molto bene il meccanismo. Sanno benissimo che il teorema trattativa è diventata una spada di Damocle, non solo sopra la testa di un eventuale governo illuminato, ma anche sulla loro. Le critiche feroci, e completamente sballate nei confronti di un loro iscritto, il magistrato Carlo Renoldi, ne sono la dimostrazione. Speriamo solamente che la ministra della Giustizia Marta Cartabia mantenga il punto. Altrimenti vince la paranoia e la teoria del complotto sulla Politica. E ciò diventa pericoloso, perché tutto ciò è funzionale allo Stato di Polizia, anziché di Diritto.