PAOLO BORSELLINO / MIRACOLO! DOPO 30 ANNI CALTANISSETTA RIAPRE LA PISTA “MAFIA-APPALTI

31 Luglio 2022-  1 agosto 2022 – di: Andrea Cinquegrani LA VOCE DELLE VOCI

Finalmente, a 30 anni suonati dalla strage di via D’Amelio, c’è una concreta speranza di arrivare ai killer e soprattutto ai mandanti – rimasti sempre a volto coperto – dell’eccidio in cui persero la vita Paolo Borsellino e la sua scorta.

E anche a 30 anni esatti – guarda caso – dalla incredibile e arci-anomala archiviazione dell’inchiesta sulla vera pista che avrebbe potuto portare a ben altri esiti, evitando depistaggi d’ogni sorta: ossia l’archiviazione dell’inchiesta sul bollente rapporto ‘Mafia-Appalti’, circa 900 pagine redatte in due anni di minuzioso lavoro investigativo portato avanti dal ROS dei carabinieri, e depositato sulla scrivania di Giovanni Falcone il 2 febbraio 1991.

Ad un anno e mezzo dalle stragi di Capaci e di via D’Amelio. Quindi tutto il tempo per Falcone prima e Borsellino poi di lavorare con gran lena e forza investigativa su quella pista letteralmente ‘esplosiva’.

SONO GIA’ INIZIATI I PRIMI INTERROGATORI

Qual è, adesso, la clamorosa novità?

Che è stata appena aperta dalla Procura di Caltanissetta – ne dà notizia l’ADN Kronos – una nuova inchiesta sulla pista ‘MAFIA-APPALTI’, affidata ad alcuni pm tra cui Claudia Pasciuti, con il coordinamento del procuratore capo Salvatore De Luca.

Il procuratore capo di Caltanissetta Salvatore De Luca. In apertura Paolo Borsellino e, sullo sfondo, il tribunale di Caltanissetta

A quanto pare le indagini stanno già procedendo a ritmo spedito, tanto che sarebbero stati già ascoltati i primi testi, tra cui un personaggio chiave, il colonnello Giuseppe De Donno, in pratica l’estensore di quel mastodontico dossier, con la supervisione del generale Mario Mori, all’epoca capo del ROS.

La nuova indagine dovrà chiarire, prima di ogni cosa, come mai l’inchiesta scaturita dal fascicolo finito sulla scrivania di Falcone e poi passato su quella di Paolo Borsellino che vi stava lavorando con tutte le sue forze nei mesi intercorsi tra le due stragi, sia stata inopinatamente archiviata dalla procura di Palermo. E che, addirittura, di tutto ciò sia stato tenuto all’oscuro proprio Borsellino, il quale in una infuocata riunione convocata in procura dall’allora procuratore Pietro Giammanco chiese conto di quelle carte, di quei documenti, archiviati – come detto – a sua insaputa. E – come ennesimo schiaffo alla memoria del giudice – la formale archiviazione avverrà proprio il giorno dopo i suoi funerali. Incredibile ma vero.

I giudici che hanno firmato quella folle archiviazione dovranno ora chiarire tutti i perché, i motivi che li hanno spinti ad una decisione totalmente campata per aria, che nei fatti annullava il lavoro svolto sia del ROS che da Falcone e Borsellino, i quali ci hanno rimesso la vita; e, in concreto, ‘depistava’, ossia evitava che le ricerche degli inquirenti potessero proseguire per accertare tutte le trame e le connection intessute tra POLITICI, IMPRESE e MAFIA non solo in Sicilia (da qui partivano i primi spunti investigativi), per allargarsi in tutta Italia. Sancendo un autentico PATTO fra grandi imprese del nord e Cosa Nostra, con la benedizione dei politici che all’epoca avevano in mano le leve della spesa pubblica.

Perché al centro di tutto c’erano i Grandi Appalti per le opere pubbliche, che riuscivano a canalizzare fiumi di miliardi, facile preda per cosche emergenti, rapaci politici e imprese ‘paravento’.

Gli obiettivi delle indagini del ROS, del resto, erano subito stati messi nero su bianco dal team guidato dall’allora giovane capitano De Donno: “si tratta di accertare la sussistenza, l’entità e le modalità di condizionamenti mafiosi sul settore degli appalti pubblici nel territorio della provincia di Palermo. Si evidenzia una trama occulta, sostanziata da interessi, relazioni, intese volte a scavalcare norme e regole, e al tempo stesso giungere all’accaparramento di risorse pubbliche, con avidità mai esauste, comune sia ai mafiosi che agli imprenditori collegati. Esiste, di fatto, un gruppo di potere fatto da imprenditori, politici e mafiosi che decidono gli appalti e spartiscono i proventi”.

Più chiari di così?

Per questo quell’inchiesta doveva finire, ‘morire’: e insieme ad essai i due coraggiosi magistrati che avevano osato portarla avanti. Altro che ‘Trattativa Stato-Mafia’ servita a gettare fumo negli occhi, per anni, nei fatti ‘depistando’; proprio come sta succedendo con la neo-pista farlocca che porta agli ordinovisti neri per il tritolo di via D’Amelio, fatta propria addirittura da ‘Report’!

LE AUDIZIONE DAVANTI AL CSM DEL LUGLIO ‘92

In questi giorni il Consiglio Superiore della Magistratura ha ‘pubblicato’ – non desecretato, perché gli atti erano già noti da tempo – i verbali di quella infuocata riunione del 14 luglio 1992, dopo la strage di Capaci e a soli cinque giorni da quella di via D’Amelio.

Vi presero parte quasi tutti i sostituti della procura palermitana, e da non pochi venne sottolineata un’atmosfera molto ‘tesa’ che aveva caratterizzato la vita del ‘palazzo dei veleni’. E, soprattutto, in parecchi fecero riferimento all’inchiesta mafia-appalti, alle pressanti richieste avanzate da Borsellino di averne notizie, proprio mentre l’archiviazione era cosa già fatta…

Scorriamo, in rapida carrellata, alcuni passaggi delle verbalizzazioni di 30 anni fa esatti.

A pagina 4 della sua audizione, l’allora pm Luigi Patronaggio sottolinea la “scarsa attenzione di tutti per quello che è il malaffare nella vita politico-amministrativa e specialmente nel settore degli appalti pubblici e ancor di più in tutte quelle attività che sono connesse con gli appalti pubblici, dai subappalti a caldo e a freddo che vengono effettuati. E questa scarsa attenzione a questo gravissimo nodo tra criminalità organizzata mafiosa e malaffare politico-amministrativo, ritengo che è un punto qualificante di una nuova strategia di lotta alla mafia”.

Sulle vane richieste di ottenere chiarimenti espresse da Borsellino, così si espresse Patronaggio: “mi stupisce ancora di più quando il collega Borsellino chiede addirittura delle spiegazioni, vuole chiarezza su determinati processi, chiede, si informa, e per cui già capisco che qualche cosa non mi convince, non va. (…) Paolo Borsellino chiede spiegazioni su un procedimento riguardante Siino Angelo ed altri, e capisco che qualcosa non va, evidentemente perché mi sembra insolito che si discuta così coralmente con delle proprie relazioni dei colleghi assegnatari dei processi”.

E poi: “fu lo stesso procuratore Giammanco che disse facciamo chiarezza, spieghiamo una buona volta e Borsellino in questa ottica chiese spiegazioni su questo processo contro Siino Angelo perché lui aveva percepito che vi erano state delle lamentele da parte dei carabinieri”. E precisò: “I carabinieri si aspettavano di più, molto di più da questo rapporto, i carabinieri si aspettavano da questa informativa dei risultati giudiziari di maggior respiro.Non solo nei confronti dei politici, ma anche nei confronti degli imprenditori, perché lì era il nodo, valutare a fondo il ruolo degli imprenditori”.

Passiamo all’audizione di un altro pm, Domenico Gozzo. A pagina 9 afferma: “C’è stata questa riunione il 14 luglio (che è stata l’ultima a cui ha partecipato Paolo Borsellino, era seduto due sedie dopo di me). (…) Su ‘Mafia e appalti’c’era il collega   Pignatone, se non ricordo male (Giuseppe Pignatone, anni dopo passato alla guida della Procura di Roma e ora Presidente del Tribunale della Città del Vaticano, ndr) e doveva esserci anche il collega Scarpinato (Roberto Scarpinato, ndr), che però non potè venire per problemi di famiglia”.

Continua il racconto di Gozzo: “Ho visto proprio questo contrasto più che latente, visibile, perché proprio Borsellino chiese e ottenne che la riunione fosse rinviata, perché al momento aveva dei problemi, la discussione di questo processo e fece degli appunti molto precisi: come mai non fossero inserite all’interno del processo determinate carte che erano state mandate…, ‘Mafia-appalti’, quello Siino per intenderci. Fece questa affermazione: come mai non fossero contenute queste carte all’interno del processo”.

“Si trattava di carte – precisò Gozzo – che erano state inviate alla procura di Marsala – e nella fattispecie dal collega Ingroia (Antonino Ingroia, ndr), che adesso è anche lui alla procura di Palermo – che era lo stesso processo però a Marsala. C’erano degli sviluppi (in particolare un pentito di questi che ultimamente aveva parlato), e sono rimasto sorpreso perché dall’altra parte si rispose: ‘mah, vedremo’. Cioè di fronte ad un’offerta così importante, si risponde con un ‘Ma, vedremo se è possibile, se è il caso di acquisirlo’”.
Venne ascoltata anche Maria Falcone in quei bollenti giorni. Ecco un passaggio della sua audizione, significativo perchè che si riferisce al lavoro su ‘Mafia-appalti’ iniziato dal marito Giovanni e poi finito tra le mani di Paolo Borsellino: “… Le parole che ha detto, ‘acquisire tutte quelle le prove, tutti quei documenti’. Si sa come vanno le cose, è chiaro, i magistrati non fanno illazioni, è chiaro che quando si vogliono fare riferimenti a determinate cose ci vogliono delle prove”.

E aggiunse: “Borsellino sapeva che doveva competere come un leone, e quindi doveva portare delle prove, delle cose inconfutabili. Verso la fine mi ha anche detto, nel trigesimo della morte di Giovanni, durante la messa, che era molto vicino a scoprire delle cose tremende”.

Quelle cose tremende le scopriremo, analizzandole per filo e per segno, nella seconda puntata di domani.

Dedicata anche a quanto hanno scritto, con anni di anticipo, due grandi come Ferdinando Imposimato e Sandro Provvisionato, collaboratori storici della ‘Voce’ e autori di un profetico “Corruzione ad Alta Velocità”, dove balza in tutta la sua evidenza il vero movente delle due stragi: proprio il dossier ‘Mafia-Appalti’, per via dei pezzi da novanta della politica e dell’imprenditoria nazionale coinvolti e quindi ‘legati’ a mafia & camorra.

E scopriremo anche quanto ha scritto la ‘Voce’, proprio sulla pista ‘Mafia-Appalti’, con particolare focus sull’Alta Velocità, fin dai primi anni ’90. La bellezza di quasi 30 anni fa.

Senza ovviamente dimenticare i coraggiosi, solitari j’accuse dei familiari di Paolo: a cominciare dalla figlia Fiammetta Borsellino, passando per la sorella Lucia e per l’avvocato Fabio Trizzino (marito di Lucia), i quali in tutti i loro interventi hanno sempre denunciato – e da anni – la vera pista per capire le stragi, quella ‘Mafia-Appalti’, nonché i clamorosi depistaggi di Stato per la strage di via D’Amelio, facendo nomi & cognomi.

Riusciranno finalmente le toghe nissene, dopo 30 anni di sofferenze, giustizia negata, memoria calpestata, depistaggi di Stato, a far luce sulla madre di tutte le connection che ha letteralmente ‘deviato’ i destini del nostro Paese?


IL DOSSIER “MAFIA-APPALTI” / PERCHE’ E’ STATA INSABBIATA LA VERA PISTA DELLE STRAGI FALCONE E BORSELLINO?

Quale era uno dei piatti ‘forti’ contenuti nel dossier ‘Mafia-Appalti’, su cui adesso – a 30 anni dalla strage di Capaci e di via D’Amelio – si accendono finalmente i riflettori della procura di Caltanissetta che ha aperto un’inchiesta ad hoc?
In soldoni, qual era l’opera pubblica già entrata nel mirino di politici, imprenditori e mafiosi sempre a caccia dei miliardi graziosamente elargiti dallo Stato
Non solo gli appalti siciliani, ma anche e soprattutto quelli nazionali. Primo fra tutto l’appalto degli appalti, quello per l’Alta Velocità.
I tempi, tra l’altro, coincidono in modo perfetto, ‘scientifico’. L’idea progettuale spunta a fine anni ’80, le Ferrovie all’epoca guidate da Lorenzo Necci (che anni dopo morirà in circostanze mai chiarite, travolto da un camion mentre va in bicicletta) buttano già le prime cifre del mega progetto: 27 mila miliardi di vecchie lire. A sovrintendere su tutto c’è il gran carrozzone IRI, all’epoca guidato da Romano Prodi.
Tra le imprese che fanno capolino nel dossier su ‘Mafia-Appalti’, guarda caso, ci sono molte di quelle che si aggiudicheranno le commesse miliardarie.
Il progetto va avanti, prende corpo a inizio ’90. In parallelo si svolgono le attività investigative del ROS, su imput di Giovanni Falcone.
Il monumentale rapporto – quasi 900 pagine dense di sigle, nomi, cifre, collegamenti societari – finisce sulla scrivania di Falcone ad inizio febbraio ’91. Sarà un anno di lavoro frenetico, per raccogliere ulteriori elementi e riscontri. Condotto con enorme impegno fino alla strage di Capaci, ma negli ultimi mesi condiviso con Paolo Borsellino. Il quale, nei giorni che lo separano dal tritolo di via D’Amelio, darà ulteriore impulso alle indagini, e fa capire ai familiari e anche alla moglie di Falcone (come risulta dall’audizione davanti al CSM), che aveva a che fare con un materiale davvero esplosivo, roba capace di far cadere tante teste eccellenti.

LE PRIME ‘VOCI’

La ‘Voce’ comincia a scrive di TAV a poco più di un anno dalle stragi: ad ottobre 1993, infatti, pubblichiamo il reportage “E’ pronto in TAVola”, dove compaiono i primi pezzi da novanta. Come il progettista partenopeo Vincenzo Maria Greco, uomo legato a filo doppio con ‘O Ministro Paolo Cirino Pomicino, titolare del Bilancio quando si trattava di finanziare i primi progetti griffati TAV (ed è anche storico il legame tra Pomicino e Necci). In quella inchiesta si parla anche di una sigla impegnata in progetti e supervisioni, ‘Italfer-Sis’, nel cui staff di vertice fa capolino un ex dirigente di Agip Nucleare, Bruno Cimino. Ma Cimino è presente anche in un altro organigramma caldo: quello di una misteriosa sigla romana, ‘Orox Servizi Finanziari’ in compagnia del mattonaro Eugenio Buontempo, protagonista nella ricostruzione post terremoto in Campania e di Chicchi Pacini Battaglia, l’uomo ‘A un passo da Dio’ (come lo etichetta Antonio Di Pietro) che sa tutto sulla maxi tangente Enimont e sui misteri dell’alta velocità.

Ad ottobre 1995 il momento di svolta. In Commissione Antimafia (all’epoca presieduta dalla forzista Titti Parenti) viene presentata dal senatore dell’allora PDS, Ferdinando Imposimato, una esplosiva ‘relazione di minoranza’.  Tira in ballo nomi e sigle da novanta sul fronte TAV e non solo. C’è bagarre in Commissione e alla fine, dopo una estenuante tira e molla, a gennaio ’96 riesce a vedere la luce.
Scrive infatti quel mese la ‘Voce: “Una relazione al vetriolo, un autentico spaccato da Tangentopoli bis, dove non soltanto vengono denunciati i legami tra imprese e politici, ma con l’asse mafia-camorra rinsaldatosi proprio per dar l’assalto al grande nuovo affare miliardario, l’alta velocità”.
Nella sua relazione Imposimato fa esplicito riferimento al rapporto del ROS su ‘Mafia e appalti’, ai dirompenti effetti che può avere, ne cita ampi stralci, fa i nomi di una sfilza di imprese, come la ICLA-Fondedile molto cara a Pomicino, la friulana Rizzani De Eccher, la ravvenate Calcestruzzi spa che fa capo al gruppo Ferruzzi. E rammentiamo le parole pronunciate nel 1989 da Falcone quando il titolo di quest’ultima venne quotato per la prima volta: “La mafia entra in Borsa!”.

LA MITICA “CORRUZIONE AD ALTA VELOCITA’

La vera filosofia del rapporto ‘Mafia-Appalti’ e il vero movente che portò alle stragi di Capaci e via D’Amelio è contenuto nell’imperdibile “Corruzione ad Alta Velocità”, firmato da Ferdinando Imposimato e Sandro Provvisionato (con la collaborazione del giurista Giuseppe Pisauro) ed uscito a dicembre 1999. C’è spiegato, già allora, praticamente tutto.

La lunga e minuziosa analisi parte proprio dall’ICLA, amministrata da un ex compagno di classe di ‘O Ministro, Massimo Buonanno.

“Buonanno è anche amministratore delegato della Fondedile, che nel 1991 è stata incorporata dall’ICLA. Ma proprio la Fondedile lo stesso anno era stata oggetto di un’indagine condotta sia dalla Squadra Mobile di Caltanissetta sia dal ROS dei carabinieri di Palermo, a proposito di alcuni appalti irregolari acquisti da mafiosi, imprenditori e politici”.

Eccoci al clou: “Il contenuto di quelle due indagini era finito sul tavolo dell’allora procuratore aggiunto di Palermo Giovanni Falcone. In quei rapporti spiccavano nomi di mafiosi del calibro di Angelo Siino, indicato come ‘il proconsole di Totò Riina’, l’uomo di Cosa nostra nel settore degli appalti, nonché quelli di aziende di importanza nazionale, come la Rizzani De Eccher, la Saiseb e, appunto, la Fondedile. Capo zona per la Rizzani De Eccher era quel geometra Giuseppe Li Pera che diventerà un collaboratore di giustizia in grado di mettere in serie difficoltà la procura di Palermo. Capo zona per la Sicilia della Fondedile era invece Gaspare Di Caro Scorsone, già denunciato per associazione a delinquere di stampo mafioso per gli appalti dell’autostrada Mussomeli-Caltanissetta”.

Rammenta Imposimato su quel bollente dossier del ROS: “Un dossier scottante sul quale il capitano Giuseppe De Donno, uomo fidato del colonnello Mario Mori, aveva lavorato con entusiasmo. Non nascondo che nel rigirami tra le mani quel rapporto provai anche un senso di timore e di preoccupazione. Che cosa stavo facendo? I coperchi di quali misteriose pentole stavo sollevando?”.

AL CUORE DELLA STORY

Ma ecco il cuore della story raccontata in ‘Corruzione ad Alta Velocità’. “Tutto ha inizio nel febbraio 1991 quando il capitano De Donno, in servizio al Ros di Palermo, consegna alla magistratura del capoluogo siciliano un dossier intitolato ‘Mafia e appalti’. Nel luglio del ’91 i primi arresti: finiscono in manette un imprenditore del quale in quel momento si sottovaluta lo spessore. E’ Angelo Siino, ex corridore automobilistico; è il ‘ministro dei lavori pubblici’ della mafia corleonese, una specie di gran sacerdote degli appalti di Cosa nostra. Con lui finiscono sotto inchiesta altri personaggi noti nel mondo degli appalti siciliani, tra cui Giuseppe Li Pera, un geometra invischiato negli affari di Cosa nostra senza però essere mafioso, rappresentante in Sicilia di una ditta friulana, la Rizzani De Eccher, oltre ad altri imprenditori laziali e veneti. Dovrebbe essere questo l’avvio della tangentopoli siciliana. Così non sarà”.

Prosegue l’appassionante ricostruzione, un vero thriller, di Imposimato e Provvisionato. “Nell’ottobre dell’anno successivo, la procura di Catania invia a quella di Palermo un fascicolo di indagini preliminari, scaturite dalle confessioni di Giuseppe Li Pera, che ha deciso di vuotare il sacco. La stranezza sta nel fatto che, non fidandosi – a suo dire – dei magistrati palermitani, Li Pera da cinque mesi sta parlando con lo stesso ufficiale dei carabinieri autore del rapporto ‘Mafia e Appalti’, il capitano De Donno, e con un sostituto procuratore di Catania, Felice Lima. Oltre a svelare il meccanismo degli appalti truccati, che coinvolgevano politici e mafiosi, Li Pera ha fatto anche il nome di cinque magistrati del capoluogo siciliano, che avrebbero avuto riunioni con gli avvocati difensori dei suoi coimputati, prima ancora degli arresti, e ai quali sarebbe stato consegnato da uno di loro una copia del rapporto dei ROS, per concordare una linea processuale. Lima invierà la parte delle dichiarazioni di Li Pera, contenente le accuse ai magistrati di Palermo, alla Procura di Caltanissetta, competente ad occuparsi dei reati commessi dai magistrati in servizio nel capoluogo”.

Prosegue il racconto mozzafiato: “Le confessioni di Li Pera sono esplosive, anche se tutte da verificare: il geometra ricostruisce il sistema degli appalti in Sicilia e rivolge accuse ai magistrati, chiamati in causa con nomi e cognomi. Essi sono: il procuratore capo di Palermo Pietro Giammanco, oltre a quattro suoi sostituti: Guido Lo Forte, considerato vicinissimo al procuratore; Roberto Scarpinato, ritenuto un magistrato al di sopra di ogni sospetto e molto amico di Falcone; Giuseppe Pignatone e Ignazio De Francisci, entrambi da anni alla procura di Palermo. Le confessioni di Li Pera sono del maggio ’92, ma vengono rese note nell’ottobre. Il 23 dicembre il sostituto procuratore di Catania Felice Lima viene trasferito, su sua richiesta, al tribunale civile della stessa città. Un procedimento per incompatibilità era stato avviato dal CSM”.
Come di prassi succede per quei coraggiosi pm che si avvicinano troppo – e troppo presto – a scoprire certe verità inconfessabili: così successe, proprio in quegli anni, al magistrato che stava per alzare il velo sull’omicidio di Ilaria Alpi e Miran Hrovatin, ossia Giuseppe Pititto, pm a Roma: dopo un anno di massacrante ed efficace lavoro, voilà, un bel giorno il CSM decide di trasferirlo per la rituale ‘incompatibilità ambientale’. Stesso destino per Agostino Cordova, il ‘mastino di Palmi’ che a Napoli ne stava scoprendo delle belle sui rapporti politica-affari-camorra, rimosso per ‘incompatibilità ambientale’…
 

FINALE AL CARDIOPALMO

Ma andiamo al rush finale, sul movente delle stragi, ossia il dossier ‘Mafia e Appalti’, secondo la dettagliata ricostruzione effettuata da due grandi firme, Imposimato e Provvisionato.

“Il 22 aprile del 1993 la Procura di Caltanissetta chiede al gip di archiviare l’inchiesta a carico dei cinque magistrati palermitani per manifesta infondatezza dell’accusa. Ma il clima è ormai avvelenato dentro e fuori il palazzo di giustizia di Palermo”.

“Il dato singolare è che nel 1995 Imposimato, occupandosi di ben altre vicende, torni ad inciampare in alcune di quelle stesse società oggetto delle attenzioni – secondo Li Pera – della magistratura di Palermo. Ed è anche singolare che sulla sua scrivania finisca un rapporto – quello dello SCO – che trattando dell’oggi, riguardi ancora fatti di ieri. In sostanza, si afferma che nell’Alta velocità ci sono anche società, come la Calcestruzzi, accusate di essere controllate da Cosa nostra. Come se dopo indagini, rapporti, inchieste e processi nulla fosse cambiato. E il sistema degli appalti si fosse bellamente spostato dalla Sicilia verso nord, in Campania e in altre regioni”.

La conclusione è da brividi. “Un’altra cosa curiosa è che quell’inchiesta contro i magistrati di Palermo, già archiviata da Caltanissetta, riemerga nel 1997. E questa volta ad opera dello stesso capitano De Donno, autore del primo rapporto su ‘Mafia e appalti’. A fare da sfondo a questa improvvisa resurrezione di un’inchiesta mai conclusa, c’è una guerra senza esclusione di colpi tra la Procura di Palermo e il Ros dei carabinieri. Ma c’è anche un possibile scenario che vedrebbe in primo piano proprio il mai del tutto sconfitto sistema degli appalti, nel quale sarebbe maturata almeno una delle stragi che insanguinarono il 1992: quella in cui morì, 57 giorni dopo Giovanni Falcone, Paolo Borsellino – assassinato assieme a cinque uomini della scorta – quasi ossessionato nei giorni immediatamente precedenti la sua tragica fine, proprio da quel dossier, il dossier ‘Mafia-appalti’”.

Riusciranno stavolta, a 30 anni esatti da quelle stragi, i magistrati di Caltanissetta a far luce sul motivo per il quale venne totalmente insabbiato – con un abilissimo depistaggio istituzionale – quel bollente dossier?

Per arrivare, finalmente, a scoprire i mandanti ‘eccellenti’, rimasti tranquillamente, in questi anni, ‘a volto coperto’?

Nell’ultima parte della nostra inchiesta, scriveremo ancora del geometra Li Pera, delle (finora) vane denunce dei familiari e legali di Borsellino; e di altre inchieste della magistratura ‘Mafia-Camorra-Appalti’ (su cui la Voce dettagliati reportage) regolarmente finite, guarda caso, in flop. Affinchè lorsignori potessero continuare – indisturbati – a gestire i flussi arcimiliardari prima e arcimilionari poi dei lavori pubblici.