Giuseppe Lucchese, occhi di ghiaccio – Racconti di mafia 55ª puntata

 



Giuseppe Lucchese Miccichè detto “Occhi di ghiaccio” (Palermo25 aprile 1966mafioso ed ex kickboxer italianoNasce nel quartiere Brancaccio di Palermo. Inizia la sua carriera criminale usando il cognome della madre. Solo al maxiprocesso viene utilizzato anche il cognome del padre.Esperto in arti marziali, fu campione italiano di kickboxing negli anni 1982 e 1983. Secondo di cinque figli (il padre era netturbino e la madre infermiera presso una delle cliniche più prestigiose di Palermo, Villa Serena, ma appartenente ad una delle famiglie mafiose più spietate. Essendo affiliato alla famiglia di Brancaccio, Lucchese era un fedelissimo dei Corleonesi di Totò Riina; i pentiti lo indicano come uno dei più feroci killer degli anni 19831984: appena ventenne, aveva già un curriculum di tutto rispetto quando Totò Riina e Bernardo Provenzano lo inserirono nella squadra della morte, formata da killer spietati. Nel 1983 partecipò alla mega rapina da 15 miliardi di lire al Banco di Sicilia. Insieme a Vincenzo Puccio uccise nel 1985 il boss Giuseppe Greco, detto “Scarpuzzedda”, alle dipendenze del quale era stato fino a quel momento. È sospettato di aver partecipato agli omicidi di Stefano Bontate e Salvatore Inzerillo. È l’esecutore materiale del duplice omicidio dei fratelli Di Piazza dopo un alterco avuto il giorno prima in merito al fratello Roberto, tossicodipendente. Li uccise in piazza Sant’Anna davanti a numerose persone, nel quartiere borgo vecchio con numerosi colpi di pistola. Si evidenzia in questo efferato crimine la crudeltà del Lucchese che dopo averli uccisi ha infierito sui cadaveri con calci e sputi. Partecipò all’assassinio del vicebrigadiere Antonino Burrafato, del vice questore Ninni Cassarà e del commissario Beppe Montana. Il pentito Vincenzo Sinagra lo indica come esecutore materiale dell’omicidio del boss di Roccella Giuseppe Abbate.  È stato arrestato il 24 dicembre del 1994.  È stato condannato all’ergastolo per pluriomicidio è stato detenuto al regime del 41 bis nelle carceri di massima sicurezza. Gli vengono imputati quasi 20 omicidi tra cui quello del generale Dalla Chiesa e del politico Pio La Torre. Nella cantina sotto casa furono trovati 11 miliardi in contanti e numerose armi.



UNA CARRIERA A COLPI DI MITRA  Come tutti i killer di professione aveva certe manie e un chiodo fisso. Il suo era Contorno, il pentito. Sono un cornuto se gli lascio un solo parente vivo, ripeteva agli amici da quando Totuccio aveva cominciato a riempire verbali. L’ odiava perchè era passato dall’ altra parte della barricata, ma l’ odiava soprattutto perchè Coriolano ce l’ aveva a morte con quelli di Ciaculli, quei mafiosi che un giorno sarebbero diventati i suoi picciotti, i fedelissimi della sua cosca. Conferma il giudice Falcone: Aveva preso ormai il posto di Michele Greco. Da sicario a capomafia dopo trentasette omicidi, ecco come Giuseppe Lucchese ha scalato Cosa Nostra a colpi di kalashnikov. Per dieci anni ha vissuto nell’ ombra, non fidandosi nemmeno di se stesso. Ha ucciso nemici e amici, boss e generali, trafficanti e poliziotti. Sembrava imprendibile e invulnerabile. Un paio di 007 hanno scoperto il suo punto debole: Claudia, una bella ragazza di ventitrè anni. Nella storia e nella cattura di Lucchiseddu c’ è tutto il film di questa interminabile guerra combattuta tra mafia e Stato. C’ è una scia di sangue che porta fino ai cadaveri eccellenti dei primi anni 80, ci sono i tradimenti e le congiure degli uomini d’ onore, c’ è l’ abilità investigativa di un drappello di commissari. C’ è, infine, la solita Palermo. La città senza confine dove il super-killer vive indisturbato nell’ elegante e discreta palazzina di un quartiere residenziale, la città dove è facile mischiarsi, mimetizzarsi come ha fatto Lucchiseddu. Perchè il suo arresto sta facendo tanto scalpore? Dicono che sia il numero 3 della mafia siciliana dopo Totò Riina e Bernardo Provenzano, dicono anche che sia stato il più sanguinario dei macellai di Cosa Nostra. Quel soprannome, Lucchiseddu, significa piccolo Lucchese. Un po’ strano per un uomo di trentadue anni alto un metro e 75 centimetri e con le spalle larghe come un armadio. Ma ad ammazzare ha iniziato presto, non aveva ancora la patente. I suoi massacri li raccontano tutti i pentiti, Buscetta, Contorno, Calzetta, Sinagra, Mannoia. Un sicario spietato e freddo che faceva un certo senso perfino ai suoi compari. Ogni volta che doveva uccidere qualcuno telefonava agli altri killer senza dire mai dove si trovava. Fissava l’ appuntamento, uccideva, spariva. Come un fantasma riemergeva dal nulla ancora per uccidere. Il suo primo bersaglio importante, la prova del fuoco, quasi dieci anni fa. La notte del 23 aprile dell’ 81 era seduto su un muretto di pietra che divide gli aranceti della borgata di Villagrazia. Nelle mani stringeva una ricetrasmittente: Sta arrivando, questione di secondi… Comunicava agli altri, altri killer, che stava arrivando la Giulietta di Stefano Bontade. Una scarica di lupara e kalashnikov per dare inizio alla grande guerra di mafia. Dopo l’ esecuzione di Bontade, il principe di Villagrazia, Lucchiseddu si era meritato un posto in quel commando che avrebbe firmato poi tutti gli agguati più atroci. Un elenco interminabile: Dalla Chiesa, Cassarà, Montana, il presidente della Palermo calcio Perisi, il senatore repubblicano Mineo. Prima la guerra contro le cosche nemiche, poi la guerra contro lo Stato, poi ancora la guerra interna per eliminare scomodi concorrenti. Come Pino Greco Scarpazzedda, un altro superkiller. Una vita dedicata all’ omicidio, fino alla strage di Bagheria, l’ uccisione della madre, la zia e la sorella del pentito Mannoia. Assassinate tutte e tre con una calibro 38. Una pistola così la nascondeva Lucchiseddu nel suo covo, insieme ad una strana mappa e una ventina di milioni in contanti. La sua latitanza è durata esattamente nove anni e nove mesi. Tutti passati ad uccidere e a trafficare con l’ eroina, a nascondersi, a sfuggire ai controlli, ai tranelli della polizia o dei boss rivali. Nella trappola è caduto di domenica, giorno 1 aprile, all’ ora di pranzo. Ma il cerchio intorno a lui si stava stringendo da almeno due mesi, da quando Mannoia raccontò qualcosa agli investigatori. Una traccia, solo una traccia: So che Lucchiseddu ha una fidanzata, no, non la conosco, lui non ce l’ ha mai presentata… L’ indagine è segretissima. A Palerno la segue personalmente il capo della squadra mobile Arnaldo La Barbera. A Roma si mettono in movimento gli agenti speciali di De gennaro e di Manganelli, i funzionari del nucleo anticrimine. Il primo indizio si trova proprio nella capitale, a fine gennaio, in un lussuoso albergo del centro. Sul registro delle presenze risulta un pernottamento di tale Giuseppe Giuliano e di Claudia Chines. I dati dei documenti a prima vista sembrano in ordine. Giuseppe Giuliano è un incensurato, palermitano del quartiere della Kalsa. Una mano agli investigatori viene ancora dal pentito Francesco Marino Mannoia: Lucchiseddu per muoversi spesso usa i documenti di suo cugino. Si chiama Giuseppe Giuliano… La caccia all’ uomo è aperta. O meglio, la caccia alla donna. Claudia è una ragazza pulita che vive alla Noce, un quartiere popolare di Palermo. I poliziotti setacciano la Noce ma non la trovano. A stento riescono a sapere che i suoi genitori sono emigrati, in Germania, tanti anni fa. E’ a questo punto che i poliziotti sfoderano tutto il loro mestiere e la loro pazienza. Claudia vive in una piccola strada vicino il parco della Favorita e alle spalle della Palazzina Cinese. Sta con un uomo, un certo Catania. L’ appostamento si fa con un furgoncino, dentro poliziotti armati fino ai denti e una telecamera. Il giorno migliore per entrare in azione è quello di festa, poca gente per la strada soprattutto tra le tredici e le quattordici. Ecco, Claudia e il suo uomo stanno uscendo, si stanno avvicinando ad una Citroen rossa. Così è finita la carriera di uno dei più pericolosi sicari della mafia. A mani alzate. Prima ha detto: Non sono io quello che cercate. Poi ha cominciato a prendersela con gli uomini d’ onore che tradiscono, i pentiti.
di ATTILIO BOLZONI03 aprile 1990  La Repubblica

 

LUCCHESE IN TESTA ALLA ”HIT PARADE” DEI KILLER  Da Carlo Alberto Dalla Chiesa e sua moglie,  Emanuela Setti Carraro  commissari Montana e Cassara‘. E poi ancora, l’eliminazione degli altri due superkiller Pino Greco e Mario Prestifilippo, quella del capo dei ”perdenti”, Salvatore Inzerillo, e decine e decine di altri omicidi. A guidare il ”gruppo di fuoco” piu’ temuto di Cosa Nostra c’era sempre lui: Giuseppe Lucchese, detto ”lucchiseddu”, il killer piu’ fidato di Toto’ Riina. Il suo nome figura al primo posto nella tragica ”hit parade” dei killer di Cosa Nostra. 34 anni, di Palermo, nato e cresciuto in una strada dal nome significativo- via dei picciotti- Lucchese, arrestato due anni fa, e’ attualmente indicato dai pentiti come capo della famiglia di Ciaculli e componente della Commissione provinciale. Per questa sua carica, nonostante fosse gia’ detenuto, e’ accusato di essere uno dei mandanti dell’uccisione di Salvo Lima. Uno stile di vita completamente diverso da quello dei ”paesani” di Corleone o di San Giuseppe Jato, attaccati alla proprieta’ e alla terra, il ”cittadino” Lucchese amava girare per la penisola alloggiando nei migliori alberghi. Capace di spendere anche piu’ di un milione a notte, ma sempre pronto a correre a Palermo per eseguire le ”sentenze di morte” emanate dai capimandamento. I pentiti lo accusano di essere direttamente responsabile di oltre 50 omicidi. Piu’ o meno quanto quelli commessi dagli altri due ”superkiller” Pino Greco e Mario Prestifilippo, da lui stesso eliminati. Molto distanziati in questa macabra classifica, arrivano, sempre stando ai pentiti, altri ”boia” di Cosa Nostra. Da Nino Madonia, figlio di ”don Ciccio”, a Giuseppe Giacomo Gambino, ad Agostino Marino Mannoia, a Giovanbattista Pullara’, agli stessi pentiti Giovanni Drago e Pino Marchese. Segue, piu’ distanziato, Pietro Aglieri, detto ”u signurinu”, l’unico ancora latitante. 10 mar 1993 (Adnkronos) –

 

a cura di Claudio Ramaccini  Direttore Centro Studi Sociali contro la mafia – Progetto San Francesco