L’AGENDA ROSSA e il CAPITANO ARCANGIOLI

 

LA BORSA DEI MISTERI E LA SPARIZIONE DELL’AGENDA ROSSA


31.1.2023 “Ripescato” Arcangioli, fantasma di via D’Amelio

2.12.2023 I VERBALI INEDITI SU VIA D’AMELIO



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Borsellino, ufficiale dei carabinieri prosciolto dall’accusa di aver fatto sparire l’agenda del magistrato

 

Prosciolto per non aver commesso il fatto: il colonnello dei carabinieri Giovanni Arcangioli, accusato di aver rubato il 19 luglio del 1992 l’agenda rossa del procuratore aggiunto Paolo Borsellino, esce assolto dall’udienza davanti al gup di Caltanissetta.
Resta quindi un altro buco nero attorno alla strage di via D’Amelio, costata la vita al magistrato antimafia di Palermo e a cinque agenti di scorta: chi ha rubato l’agenda da cui il magistrato non si separava mai e dove potrebbe aver scritto appunti riservati?
Il gup di Caltanissetta, Paolo Scotto Di Luzio, ha chiuso così uno dei filoni d’indagine legati alla strage di via D’Amelio aperto grazie ad un’immagine televisiva: quella in cui si vedeva Arcangioli, allora comandante della sezione omicidi dei carabinieri di Palermo, allontanarsi da via D’Amelio con in mano la borsa del magistrato.
La stessa borsa che pochi minuti dopo verrà ritrovata nell’auto blindata di Borsellino, e consegnata in Questura senza l’agenda che il magistrato portava sempre con sé e di cui hanno parlato i familiari e i principali collaboratori.
«Valuteremo cosa fare dopo aver letto le motivazioni della decisione che verranno depositate entro trenta giorni» ha spiegato il sostituto procuratore Rocco Liguori, che ha chiesto il rinvio a giudizio di Arcangioli per furto commesso al fine di favorire Cosa nostra (l’iscrizione nel registro degli indagati dell’ufficiale dei carabinieri era stata decisa dal gip Ottavio Sferlazza, che per due volte aveva respinto la richiesta di archiviazione avanzata dalla Procura).
«È una sentenza di cui bisognerà leggere le motivazioni e che accogliamo col rispetto massimo» commenta l’avvocato Francesco Crescimanno, legale di parte civile.
«Ho la sensazione che non verificando a dibattimento le accuse nei confronti di Arcangioli si tagli la possibilità di capire per quale ragione e per quali percorsi questa agenda è stata sottratta dalla borsa del dottor Borsellino.
Di certo è che questa borsa è stata portato lontano dal posto in cui era e che poi è stata riportata. Il che vuol dire che si è voluto far finta che non fosse mai stata trovata».
Tramite i suoi legali, gli avvocati Diego Perugini e Sonia Battagliese, il colonnello Arcangioli ha spiegato durante l’udienza di voler rinunciare alla possibilità di chiudere il procedimento usufruendo della prescrizione.
«Resterebbe una macchia troppo grande su di me».
Durante le dichiarazioni spontanee, Arcangioli ha sostenuto che di quel 19 luglio ’92 ha ricordi confusi, scambiati per reticenze dalla pubblica accusa.
Sull’immagine che lo ritraeva con la borsa del procuratore aggiunto appena ucciso con un’autobomba, Arcangioli non dice nulla. Né, alla Procura di Caltanissetta, ha saputo spiegare perché si è allontanato per almeno 70 metri dal luogo della strage, e perché è tornato indietro e ha lasciato la borsa nell’auto di Borsellino dove è stata ritrovata “ufficialmente” da un assistente della polizia di Stato che l’ha portata in Questura.
Dentro, la polizia trovò un paio di occhiali da sole e un costume, non l’agenda rossa che il suo poliziotto di scorta, Antonio Vullo, ricorda di aver visto in mano al magistrato mentre saliva sull’auto blindata diretta verso via D’Amelio.
Attorno alla borsa di Borsellino resta quindi un buco di almeno sette minuti: diversi testimoni, tra cui l’ex pm Giuseppe Ayala, hanno detto di aver visto la borsa subito dopo la strage.
Ma tra poliziotti, carabinieri, appartenenti ai servizi segreti presenti quel terribile pomeriggio, non è stato ancora possibile identificare chi l’abbia presa. 2.4.2008 SOLE 24 ORE


Borsellino: Arcangioli, non ricordo perche’ avessi borsa  ma dentro nulla di interessante.

 

 ”Non ricordo come e perche’ avessi la borsa del giudice Borsellino, ne’ che fine abbia fatto”.
Cosi’ il col. Giovanni Arcangioli, l’ufficiale dell’Arma citato al processo per la strage di via D’Amelio e precedentemente indagato per il furto dell’agenda del giudice Paolo Borsellino, ha risposto al procuratore nisseno.
”Nella borsa – ha detto – non c’era nulla di rilevante.
Proprio perche’ non c’era nulla di interessante che non ricordo cosa feci della borsa dopo”. 14 MAGGIO 2013  (ANSA)


La borsa di Paolo Borsellino e  la storia di una foto rimasta senza risposte. Strage di Via D’Amelio: “ero il primo fotografo ad arrivare sul luogo…”  

 

Ero li. Il chilometro che mi separava dal luogo dove avevo lasciato l’auto le feci tutto di corsa. Ero il primo fotografo ad arrivare sul luogo di quella strage.
E traguardavo attraverso il mirino della mia fotocamera. Sapevo già cose era accaduto e l’adrenalina non mi faceva sentire la fatica e mi controllava le emozioni.
Ero abituato a scene raccapriccianti e sapevo come fare per mantenere il sangue freddo e la mente lucida, quello fu uno dei miei primi scatti. Lo vidi, lui era li.
Si allontanava dal luogo dell’esplosione. Era un capitano dei Carabinieri che conoscevo bene.
Giovanni Arcangioli si chiamava. Ci conoscevamo perché spesso ci vedevamo nei luoghi dei tanti omicidi di mafia che in quegli anni insanguinavano le strade di Palermo.
Mi favoriva, ci rispettavamo, ognuno per i suoi ruoli.
Mi colpì quel “fratino” (una specie di giubbino smanicato) azzurro. Un colore troppo sgargiante e troppo delicato in quella scena di guerra, Si di guerra, perché sembrava di essere in Libano, dove in quegli anni le auto bomba erano la norma. Scattai quella foto, perché dopo, a cose fatte volevo fargliela avere per poterlo un po’ prendere in giro e dirgli: “perché indossavi quel fratino di quello strano colore così fuori contesto?”
Passai avanti, e avanti vidi l’inferno.
Camminavo su pezzi di carne e non me ne rendevo conto. Sulle narici tanfo pungente di bruciato, di gasolio e di morte. Mi scordai di quel capitano e mi gettai in apnea in quello che doveva essere un servizio fotografico molto professionale da offrire alle redazioni dei giornali. Quello feci, e lo feci meccanicamente ma lucidamente.
Fotografare, registrare e documentare quell’orrore.
Il resto è quello che immaginate faccia un fotoreporter: va in agenzia, sviluppa i rullini, stampa le foto e le porta in redazione.
Furono giornate intense passate tra Palermo e Milano, a vendere fotografie.
Poi i funerali, altro capitolo doloroso, poi le varie passerelle dei potenti, poi il silenzio.
Un silenzio durato anni, decenni.
Tutto archiviato, passato, fagocitato da altri avvenimenti non meno importanti. La rivalsa dello Stato contro i mafiosi. Che ci fu, caspita se non ci fu!
Poi vennero gli anni duemila, cominciava a prendere piede la rivoluzione digitale. Si cominciava a scannerizzare tutti gli avvenimenti importanti degli anni precedenti.
E toccò anche ai fotogrammi più interessanti della strage di via d’Amelio. Con il lentino di ingrandimento guardavo quei vecchi fotogrammi, e lo vidi, anzi lo rividi quel capitano con quel fratino azzurro.
Ma che cosa stringe sulla mano sinistra?
Una borsa? Come una borsa? Tutti in quegli anni cercavano l’agenda rossa che quella borsa che avrebbe contenuto. Ed io avevo davanti un fotogramma che mi diceva chiaramente chi aveva preso quella borsa. “Arcangioli!” mi dissi.
Lui prese la borsa. Bingo! Avevo uno scoop. Feci vedere quello scatto al mio socio, Michele Naccari, che rimase esterrefatto! “Arcangioli aveva preso la borsa di Borsellino?”
Vendiamoci la foto, e a caro prezzo!
Tramite colleghi fidati contattammo varie redazioni e proponemmo quello scoop. Eravamo in trattative sia con l’Espresso che con Panorama.
Fino a quando un collega giornalista ci vendette.
A chi? Ma alla procura della Repubblica! Raccontò al Procuratore che c’era un fotografo che aveva uno scatto importante per risalire all’agenda rossa.
Lo seppi perché in piena trattativa con quei rotocalchi cinque agenti della Direzione investigativa antimafia bussarono alla porta di Studio Camera, la mia agenzia di fotogiornalismo. “Buongiorno Franco – mi conoscevano, e io li conoscevo – tu hai una foto che ci interessa“. Mi arresi subito e annuii: “si, so di cosa parlate”.
Gli consegnai lo scatto in questione. Da li partì tutto.
Tutta la fase istruttoria che portò all’incriminazione di quel capitano, ormai divenuto colonnello, e che comunque, mistero, non portò a nulla.
Arcangioli fu assolto in tutti i gradi di giudizio perché il fatto non sussiste, e dell’agenda rossa, come sappiamo nessuna traccia. Attendo ancora di poter regalare a quell’ufficiale dei carabinieri quello scatto, e di consigliargli la prossima volta che deve andare per servizio sul luogo di una strage, di vestire in maniera più consona e discreta. Chissà, forse un giorno.  IL SALTO DELLA QUAGLIA  Franco Lannino19 Luglio 2020 

 


«Agenda Borsellino, indagate sugli 007»

 

L’ufficiale inquisito per la borsa rubata: filmato un uomo che porta via un oggetto Mafia Il colonnello Arcangioli: non sono stati svolti accertamenti sui funzionari dei servizi in via D’Amelio

Il cuore del mistero è in una foto, ricavata da immagini televisive, che ritrae un uomo con una borsa in mano, in mezzo al fuoco e alle macerie.
La borsa è quella di Paolo Borsellino, appena dilaniato dal tritolo mafioso assieme ai cinque agenti di scorta; la stessa prelevata più tardi dall’auto del magistrato e portata negli uffici della Squadra mobile di Palermo.
Ma quando fu aperta, quel che tutti si aspettavano di trovare non c’era: l’agenda rossa di Borsellino, il contenitore di appunti e spunti d’indagine che il giudice assassinato aveva sempre con sé, sulla quale annotava — probabilmente — scoperte e ipotesi sull’omicidio del suo amico Giovanni Falcone.
Un «tesoro» che, secondo la testimonianza della moglie, Borsellino s’era portato dietro (nella borsa) anche il 19 luglio 1992, quando lasciò la casa al mare per andare a morire in via Mariano D’Amelio.
Che fine ha fatto l’agenda? Nessuno l’ha detto, nessuno l’ha più vista.
Ma il fotogramma dell’uomo con la borsa in mano, per il giudice di Caltanissetta chiamato a pronunciarsi sul mistero, è un grave indizio a carico della persona immortalata: il tenente colonnello dei carabinieri Giovanni Arcangioli, che nel ’92, da capitano, comandava una sezione del Nucleo operativo palermitano dell’Arma.
Da un mese — su ordine dello stesso giudice, dopo che i pubblici ministeri avevano chiesto per tre volte l’archiviazione del procedimento «contro ignoti » — Arcangioli è indagato per furto aggravato, con l’ulteriore contestazione di aver favorito l’associazione mafiosa Cosa nostra.
Accusa grave — infamante per l’ufficiale che si proclama estraneo a qualsiasi addebito—fondata su quell’immagine e su qualche interrogatorio zoppicante: di Arcangioli e di altri testimoni, tra i quali spicca l’ex magistrato Giuseppe Ayala.
Adesso, ricevuto l’avviso di conclusione indagini, il colonnello è passato al contrattacco.
Certo non può negare di aver avuto in mano la borsa, ma dell’agenda scomparsa—dice e conferma — non ha mai saputo nulla. E se bisogna cercarla, o scoprire chi l’ha fatta sparire, occorre guardare in tutte le direzioni.
Perché dalla stessa indagine condotta dalla Procura di Caltanissetta emerge che altri, non lui, erano interessati alla borsa (e forse all’agenda).
E altri ancora hanno reso dichiarazioni confuse o non riscontrate.
Gli avvocati del carabiniere inquisito, Diego Perugini e Sonia Battagliese, hanno presentato una memoria in cui chiedono, tra l’altro, di interrogare un lungo elenco di persone e personalità: dai principali pentiti di mafia ai vertici governativi, delle forze di polizia e dei servizi segreti dell’epoca. «Per fornire un contributo di chiarezza a un procedimento che pare assolutamente carente», scrivono i due legali.
Alla luce, ad esempio, della testimonianza dell’ispettore capo della polizia Giuseppe Garofalo, accorso in via D’Amelio subito dopo l’esplosione, il quale ha raccontato: «Ricordo di aver notato una persona, in abiti civili, alla quale ho chiesto spiegazioni in merito alla sua presenza nei pressi dell’auto (di Borsellino, ndr)…
Non riesco a ricordare se mi abbia chiesto qualcosa in merito alla borsa o se io l’ho vista con la borsa in mano…
Di sicuro ho chiesto chi fosse per essere interessato alla borsa del giudice, e lui mi ha risposto di appartenere ai Servizi». L’ispettore ricorda che l’uomo portava una giacca, e davanti all’immagine di Arcangioli ha detto: «Posso escludere che il soggetto di cui parlo sia quello effigiato in foto».
Sui funzionari dei servizi segreti presenti o assenti in via D’Amelio, lamentano gli avvocati, non risulta siano state svolte indagini adeguate. Così ora chiedono accertamenti presso l’ex Sisde, oggi Aisi, nonché di attribuire nomi e cognomi ad alcune persone inquadrate in altri fotogrammi tratti dai filmati girati sul luogo della strage, non ancora identificate o che sembrano muoversi con fare sospetto. Compreso «un soggetto che si allontana stringendo al petto un oggetto parzialmente coperto dal risvolto della giacca».
E altri che sembrerebbero «intenti a controllare» le auto blindate di Borsellino e della scorta. 
A parte l’istantanea che lo ritrae con la borsa in mano, ad accusare Arcangioli c’è—secondo il giudice—il contrasto tra le sue dichiarazioni e quelle dei testimoni da lui stesso citati, primo fra tutti Ayala.
Il carabiniere disse che l’ex magistrato (all’epoca già deputato), oppure un altro magistrato palermitano (che negò), aprì la borsa di Borsellino in sua presenza cercando l’agenda ma senza trovarla.
Poi cambiò versione, spiegò di non essere più sicuro quasi di niente: se davvero c’era Ayala, se lui o altri avevano guardato nella borsa, se l’aveva ricevuta o data a qualcuno.
Tra tanti «non ricordo», «ritengo» e «credo di ricordare», alla fine ha sostenuto di averla rimessa (o fatta rimettere) sulla macchina del giudice assassinato «per ricostituire la situazione preesistente».
La smentita di Ayala («non immune da alcune contraddizioni», ammette il giudice) si articola in tre diverse versioni: vidi un carabiniere in divisa che prendeva la borsa; presi io la borsa dall’auto e la consegnai a un carabiniere in divisa; un uomo senza divisa mi diede la borsa e io la passai al carabiniere in uniforme. In ogni caso senza aprirla.
Ma un appuntato della sua scorta ha fornito una versione ancora differente: Ayala vide la borsa nella macchina, l’appuntato la prese e fece per consegnargliela ma l’ex giudice gli disse di trattenerla, finché non gliela fece consegnare «a un uomo in abiti civili che mi indicò come ufficiale o funzionario di polizia ».
Guardando il fotogramma di Arcangioli con la borsa in mano e una placca distintiva dei carabinieri sul bavero del giubbotto, il testimone ha dichiarato: «Non sono in grado di riconoscere la persona che mi mostrate; posso aggiungere però che non ricordo assolutamente che la persona alla quale ho consegnato la borsa avesse una placca metallica di riconoscimento.
Di questo particolare ritengo che mi ricorderei ».
Ma nonostante un simile, non irrilevante particolare, per il giudice questa ricostruzione è «incontrovertibilmente compatibile» con i sospetti a carico del colonnello. Il quale, unico indagato nell’ennesimo mistero siciliano, chiede ora un’indagine a tutto campo. In particolare su eventuali agenti dei servizi segreti che, notoriamente, si muovono senza divise e senza distintivi. Giovanni Bianconi 05 marzo 2008


Ayala smentisce Arcangioli Chi prese la borsa del magistrato seleziono’ contenuto

 

”Qualcuno ha aperto la borsa di Paolo Borsellino, ha preso l’agenda e deciso, tradendo lo Stato, di farla sparire”. E’ l’opinione di Giuseppe Ayala, sentito come teste al quarto processo per la strage di via D’Amelio. ANSA 14.5.2008



Tra fumo e macerie, ecco un carabiniere con la borsa in mano
 

Appare pure molto grave il comportamento tenuto dal Capitano Giovanni Arcangioli del Nucleo Operativo Provinciale dei Carabinieri di Palermo, immortalato nell’atto di allontanarsi dal luogo della strage, il pomeriggio del 19 luglio 1992, in direzione di via dell’Autonomia Siciliana, con in mano proprio la borsa del magistrato.
L’ufficiale dei Carabinieri, sotto impegno testimoniale, ammetteva la circostanza appena riportato, senza fornire qualunque plausibile del suo comportamento, poco chiaro, limitandosi a dichiarare (in maniera assai poco convincente) che la borsa in questione dal suo punto di vista in quel momento, era un oggetto di scarsa o nulla rilevanza investigativa e che non ricordava alcunché.
Detta affermazione, tuttavia, oltre che scarsamente credibile è anche in palese contraddizione con la circostanza che il teste, in quel contesto così caotico e drammatico, si premurava di prelevare la borsa dalla blindata, guardando all’interno della stessa.
La deposizione dell’ufficiale dei Carabinieri (al netto del suo evidente timore – palesato in diversi passaggi della testimonianza – di rendere dichiarazioni autoincriminanti), pare ben poco convincente, tanto più considerando le sue pregresse dichiarazioni, con le quali il teste spiegava (nel maggio 2005) che veniva informato, dal dottor Ayala oppure dal dottor Teresi (più probabilmente dal primo dei due) del fatto che esisteva un’agenda tenuta dal dottor Paolo Borsellino e che, su specifica richiesta, scriveva a controllare all’interno dell’automobile blindata , dove effettivamente rinveniva la borsa in pelle di color marrone, sul pianale dietro al sedile del conducente. Dopo aver prelevato la borsa dall’automobile blindata, portandola doveva in attesa i dottori Ayala e Teresi, “uno dei due predetti magistrati aprì la borsa”, dentro la quale non vi era qualunque agenda, ma soltanto dei fogli di carta. Dopo detta verifica, l’ufficiale dei Carabinieri incaricava uno dei propri sottoposti a mettere la borsa nella macchina di servizio di uno dei due Magistrati predetti. Si riporta qui di seguito il relativo stralcio del verbale dibattimentale, con anche la contestazione delle precedenti dichiarazioni rese da Arcangioli in fase d’indagine preliminare:

  • PM Dott. LARI – Sì, questa foto la ritrae in possesso di quella che è la borsa, diciamo, del dottor Borsellino. Lei si riconosce in quella fotografia?
  • TESTE ARCANGIOLI G. – Eh, certo, sono io.
  • PM Dott. LARI – Ecco, quindi allora a questa domanda risponde positivamente. Ecco, lei ci può, diciamo, ricostruire oggi le ragioni, le modalità che la portarono ad entrare in possesso di questa borsa?
  • TESTE ARCANGIOLI G. – Allora, Signor Presidente, anche in questo caso questa domanda mi è già stata rivolta (…). La ringrazio, ma nonostante la lettura dell’art. 63, la risposta a questa domanda molto probabilmente può contenere, diciamo così, elementi autoaccusatori, perché questa domanda mi è stata fatta in passato e l’esito è stato che sono stato accusato.
    Allora, anche tornando… quindi… anche tornando, diciamo così, alla premessa che ho fatto, io non me lo ricordo com’è andata a finire, cioè com’è iniziata che io avessi avuto questa borsa e che fine ha fatto questa borsa, non me lo ricordo. E’ quello che dicevo prima, che ho provato a ricostruire con l’ufficio di Procura quello che poteva essere accaduto e la conseguenza è stata che sono stato indagato in un processo e indagato e imputato in un secondo processo.
  • PM Dott. LARI – Presidente, forse potrei, per aiutare la memoria del teste, potrei leggere quello che nel 2005 egli ebbe a dichiarare all’ufficio del Pubblico Ministero, esattamente il 5 maggio del 2005, quando, e ci tengo a precisarlo, non vi era alcuno indizio nei suoi confronti di essere il responsabile del furto dell’agenda, perché quegli elementi indiziari nei suoi confronti vennero fuori soltanto nel 2006, quando il giornalista Baldo di Antimafia 2000 portato in Procura… anzi, portato presso la DIA la fotografia che oggi abbiamo mostrato al teste, quindi allora venne sentito…
  • TESTE ARCANGIOLI G. – No, la foto era già presente nel 2005, signor Procuratore.
  • PM Dott. LARI – Nel 2005 alla DIA, scusi, nel 2005. Comunque questo primo verbale sicuramente, diciamo, è un verbale in cui egli venne sentito come persona informata sui fatti.
  • TESTE ARCANGIOLI G. – Anche nel secondo sono stato sentito come persona informata.. la borsa e constatammo che non vi era all’interno alcuna agenda, ma soltanto dei fogli di carta.
    Verificato ciò, non ricordo esattamente lo svolgersi dei fatti, per quanto posso ricordare, incaricai uno dei miei collaboratori, di cui non ricordo il nome, di depositare la borsa nella macchina di servizio di uno dei due magistrati di cui ho detto.
    Si tratta di un ricordo molto labile e potrebbe essere impreciso”. Ecco, questa sua dichiarazione poi lei, successivamente, l’ha modificata nel successivo verbale del 2006. Ecco, serve a ricordarle qualcosa questa dichiarazione? Che sono due parole quelle che io ho letto.
  • TESTE ARCANGIOLI G. – Allora, Signor Presidente, la fotografia già esisteva ai tempi del verbale del 2005, era già nella… diciamo così, ce l’aveva già l’ufficio di Procura. Quel verbale come… quell’audizione come teste, come la successiva, purtroppo non sono stati registrati; se ci fossero le registrazioni oggi saremmo in ben altra situazione. Il “non ricordo” all’inizio della frase, e questi sono i miei timori che Le anticipavo prima, mi è già stata fatta la contestazione nel verbale del febbraio del 2006.
    Allora, quel “non ricordo” all’inizio della frase significa: non ricordo quello che poi viene detto successivamente. Quindi non ricordo tutto quello che ha letto il signor Procuratore della Repubblica, non lo ricordo. Come… sennò ricado nello stesso errore. Allora se è una ricostruzione, posso provare a farla con grandissimi limiti e dicendo che è una ricostruzione; se è un ricordo, come ho scritto lì, è non ricordo quello che avviene successivamente. Non si può togliere il “non ricordo” e prendere per una positività quello che viene dopo. Non lo ricordo, poi…
  • TESTE ARCANGIOLI G. – No, il “non ricordo”, visto che l’ho firmato io, si riferisce a tutta la frase. Certo, come si redige un verbale, e anch’io ho la mia esperienza, non è che metto “non ricordo se si riferisce ad Ayala o Teresi, non ricordo…” Mette “non ricordo” all’inizio, è quello che segue che non ricordo, non è…
  • TESTE ARCANGIOLI G. – No, il… no, il “non ricordo” vale per tutta la frase, tant’è che all’ultimo insistii per mettere quell’altro periodo, fortunatamente, che lei ha letto poco fa, dove dice che il ricordo è molto labile. Insistii per mettere questo periodo a suggello del “non ricordo” iniziale.
  • TESTE ARCANGIOLI G. – Eh, Signor Presidente, io non me lo ricordo quando… P.M. Dott. LARI – Quindi lei oggi, essendole mostrata una foto in cui lei viene ritratto con la borsa di Paolo Borsellino, lei risponde: “Non mi ricordo come sono venuto in possesso di questa borsa”?
  • TESTE ARCANGIOLI G. – E’ la veri… è la verità, è la verità, con tutti i limiti che essa può essere, con tutte le fallacità che essa può contenere, ma non me lo ricordo come ne sono venuto in possesso. Era una borsa… non… non me lo ricordo.
  • TESTE ARCANGIOLI G. – Sì, io ricordo di aver guardato dentro quella borsa; se le dovessi dire esattamente dove, non sono in grado di stabilirlo, non sono in grado di… forse dalla parte opposta, diciamo così, da dove si trovava l’abitazione del Giudice. C’ho guardato dentro, non mi ricordo di aver visto alcunché che potesse attirare l’attenzione. Ho invece un ricordo, perché.. di quello che c’era dentro, ed era un crest dei Carabinieri. Eh, il mio… la mia mente lì si è fermata, perché il Giudice dentro la sua borsa teneva un crest dei Carabinieri.
  • TESTE ARCANGIOLI G. – Il mio ricordo si ferma al crest, poi forse probabilmente c’era anche altro, però il mio ricordo è il crest; era un crest dei Carabinieri, per questo ha colpito la mia memoria, il mio ricordo.
  • TESTE ARCANGIOLI G. – Sono domande che la Corte non conosce, ma mi sono già state ovviamente rivolte e sono in atti. Io non ho la certezza, non ho un ricordo nitido con chi ho guardato all’interno della borsa.
    Anche all’epoca, come dico oggi, mi sembra, ma rimane un “mi sembra”, che ci fosse anche il dottor Ayala, ma rimane un “mi sembra”, non è un ricordo nitido, non è un’affermazione che posso fare sotto giuramento.

NESSUNA RELAZIONE DI SERVIZIO Le predette dichiarazioni, contestate a Giovanni Arcangioli, venivano confermate dal suo superiore gerarchico, dell’epoca, al Nucleo Operativo Provinciale dei Carabinieri di Palermo, il Colonnello Marco Minicucci, che giungeva in via D’Amelio circa mezz’ora dopo lo scoppio dell’autobomba e si recava con il dott. Giuseppe Ayala a riconoscere i resti di Paolo Borsellino.
Il teste, infatti, vedeva Giovanni Arcangioli in via D’Amelio ed il sottoposto – che non faceva alcuna relazione di servizio – gli riferiva, il giorno stesso oppure l’indomani, che, su disposizione di un Magistrato, prelevava la borsa del dottor Paolo Borsellino dall’automobile blindata, guardandoci dentro. Si riporta, qui di seguito, un breve stralcio della relativa deposizione:

  • TESTE MINICUCCI M. – Mah, io sono arrivato a via D’Amelio… ho sentito da Carini lo scoppio, sono arrivato a via D’Amelio praticamente subito dopo insieme a tante altre persone; sul posto ho visto c’erano Vigili del Fuoco, Polizia e Carabinieri; diciamo che sono arrivato intorno alle 17.25 – 17.30.
  • TESTE MINICUCCI M. – Beh, ricordare tutti è impossibile, considerato che in quel luogo c’era veramente di tutto e poi, man mano, sono aumentate le persone; riguardandolo dopo vent’anni ci accorgiamo che eravamo veramente tanti sulla scena del delitto, era impressionante, riguardando i filmati dell’epoca. Ricordo che con me è arrivato contestual… quasi contestualmente, ancorché da località diversa, il comandante della prima Sezione del Nucleo, il capitano Arcangioli; ricordo che sul posto ho visto il dottor Ayala. C’erano tante altre persone, adesso fare l’elenco sarebbe per me difficile in questo momento.
  • TESTE MINICUCCI M. – No.
  • TESTE MINICUCCI M. – Ma io ricordo, e ce l’ho ben chiaro, che insieme al dottor Ayala andammo a vedere il cadavere di quello che poi è risultato essere il dottor Borsellino, quindi all’interno del… del cortile dal quale poi si accedeva al palazzo dove abitava la mamma, e quindi guardammo, ovviamente riconoscendo il magistrato che tutti noi avevamo avuto modo di… con il quale avevamo avuto modo di collaborare. Quindi questo è un atto che io ho fatto e che avevo a fianco il dottor Ayala, questo lo ricordo bene.
  • TESTE MINICUCCI M. – Io sono stato sentito… sono stato sentito sull’argomento nel 2006, se non erro, e ho ricostruito quello che ricordavo e quindi che con Arcangioli… Arcangioli mi riferì di aver prelevato la borsa e mi raccontò che all’interno aveva visto un crest e quindi questo era il particolare che mi riferì Arcangioli, e come ho avuto modo di dire qualche anno fa, non ricordo se me lo disse nella stessa giornata o qualche giorno dopo. Sicuramente mi parlò di aver prelevato la borsa.
  • TESTE MINICUCCI M. – Mi disse che gliel’aveva detto un magistrato di prelevare la borsa, questa era l’informazione che lui mi aveva dato; informazione che lui mi dava perché ero il suo superiore gerarchico, quindi (…) ovviamente era il suo dovere quello anche di… di raccontare quello che stava facendo in quel momento. Se è stato lo stesso giorno o se è stato il giorno dopo, ripeto, questo non… non lo ricordavo nel 2006, quando ho rilasciato le mie dichiarazioni, e non lo ricordo ora.
  • TESTE MINICUCCI M. – No, non ho… io non ho fatto relazione di servizio, e così come mi è stato modo di… mi è stato detto quando fui sentito dalla DIA a Roma, non la fece neanche, da quello che ricordo, neanche Arcangioli questa relazione di servizio, quindi… E io non gli ho fatto neanche nessun rilievo, perché mi fu contestato di non aver fatto un rilievo ad Arcangioli per avere omesso una relazione di servizio. Non fu fatta, in quel caso di questo non se n’è…
  • TESTE MINICUCCI M. – Convengo, convengo su tutto.
  • TESTE MINICUCCI M. – Convengo su tutto.
  • TESTE MINICUCCI M. – No, no, no, ma sicuramente, io convengo sul fatto che la relazione andava sicuramente fatta e io… lei era a Palermo, ricordo solo quello che era via D’Amelio il 19 luglio del ’92.
  • TESTE MINICUCCI M. – No, onestamente no.
  • TESTE MINICUCCI M. – No, lui mi disse che l’aveva presa, che aveva visto l’interno, ma non mi ha detto poi che cosa ne ha fatto.
  • TESTE MINICUCCI M. – No, no.
  • TESTE MINICUCCI M. – No, no, no, lui mi ha detto che l’aveva aperta su disposizione del magistrato, il contenuto all’interno e mi ricordo che parlò del crest, ma poi non ho più saputo, né ho approfondito in quella circostanza sulla borsa, perché probabilmente non ho dato il peso alla questione, quindi non… (…)
  • TESTE MINICUCCI M. – No, io ricordo che lui l’aveva presa su disposizione del magistrato; non ricordo se il magistrato gli aveva detto di aprirla. Probabilmente l’apertura è una cosa che poteva essere anche… che possa avvenire anche dall’appartenente alle Forze di Polizia per controllare quello che c’è dentro, poteva esserci un’arma, poteva esserci di tutto, dico, non.. Però, dico, non mi ricordo materialmente chi; se mi raccontò: «Mi ha detto di prenderla e aprirla». Che il magistrato gli disse di prenderla, questo mi ricordo che lui me lo disse.  Da Borsellino Quater

Borsellino quater: Arcangioli non ricorda, Ayala cambia i tempi dei fatti – Mostrato al colonnello un ulteriore video in cui è ritratto nel giorno della strage di Aaron Pettinari – 14 maggio 2013

Nell’aula bunker di Caltanissetta sono stati sentiti al Borsellino Quater, che si celebra innanzi alla Corte d’Assise, due protagonisti di quel 19 luglio: il colonnello Giovanni Arcangioli e l’ex pm Giuseppe Ayala, che in momenti diversi hanno avuto in mano la valigetta del giudice palermitano. Il primo è stato addirittura immortalato da una foto (e da un filmato Rai) con in mano la borsa di Paolo Borsellino, pochi minuti dopo la strage. Elementi che, insieme ad alcune sue contraddizioni, lo hanno portato ad essere indagato per il furto dell’Agenda (prosciolto definitivamente nel febbraio 2009) e per falsa testimonianza ai pm (decreto di archiviazione emesso lo scorso 26 aprile). Ciò non ha impedito la sua audizione come teste e pertanto ha dovuto rispondere alle domande del procuratore Sergio Lari, dell’aggiunto Domenico Gozzo e del sostituto Stefano Luciani.
Tra i tanti non ricordo della sua deposizione l’ufficiale ha detto inizialmente di non ricordare da chi ha avuto la borsa e a chi l’ha successivamente consegnata.
“Non ricordo come e perché avessi la borsa del giudice Borsellino, né che fine abbia fatto – ha raccontato alla Corte -Vi guardai dentro, forse insieme al giudice Ayala.
Non c’era nulla di rilevante se non un crest dei carabinieri. E’ proprio perché non vi avevo trovato nulla di interessante sul piano investigativo che non ricordo cosa feci della borsa dopo”.  
Eppure nel verbale del 5 maggio 2005, reso all’autorità giudiziaria (di cui è stata chiesta l’acquisizione al dibattimento), disse: “Se non ricordo male aprii lo sportello posteriore sinistro e posata sul pianale, dove si poggiano di solito i piedi, rinvenni una borsa, credo di color marrone, in pelle, che prelevai e portai dove stavano in attesa il dottore Ayala e il dottore Teresi”. Uno dei due predetti magistrati – specificò poi l’ufficiale – aprì la borsa e constatammo che non vi era all’interno alcuna agenda, ma soltanto dei fogli di carta.
Verificato ciò, non ricordo esattamente lo svolgersi dei fatti. Per quanto posso ricordare, incaricai uno dei miei collaboratori di cui non ricordo il nome, di depositare la borsa nella macchina di servizio di uno dei magistrati.
Si tratta di un ricordo molto labile e potrebbe essere impreciso”. Il teste, molto teso e provato, ha più volte detto di non ricordare i fatti e di temere di essere nuovamente indagato. “Non so che cosa ho fatto per meritare tutto questo.
Ho visto tanti altri che hanno cambiato le loro versioni e non sono stati neppure indagati e io sono finito sotto processo: sono 8 anni che vivo in questa situazione che ha distrutto me e la mia famiglia con gli attacchi di giornali e Tv”.   
Alla domanda sul perché si fosse spostato con la borsa in mano di oltre 60 metri dalla vettura di Borsellino ha risposto: “Io giravo continuamente per rendermi conto di quel che stava succedendo.
All’inizio pensavo che dell’inchiesta sull’eccidio ci saremmo occupati noi carabinieri, in particolare il Ros, poi seppi dal capitano Minicucci (all’epoca suo superiore) che invece l’avrebbe seguita la polizia.
Può darsi che quel percorso l’ho fatto più volte. Non ho ricordo del momento in cui presi la borsa in mano. Non ricordo se l’ho riposta io in macchina ma pensavo che nella valigetta non ci fosse nulla di rilevante”.   
Quindi Arcangioli ha sostenuto di aver riferito della borsa al suo superiore, l’allora capitano Minicucci “dicendogli che ero rimasto colpito dal fatto che avesse con se un crest dei carabinieri”.
E sul motivo per cui non ha compiuto una relazione di servizio ha lamentato come “in questi anni, è stato ritenuto strano che non ho scritto una relazione di servizio sull’episodio solo perché non ritenevo, probabilmente sbagliando, quel reperto di interesse, e non viene ritenuto strano che l’operatore di polizia la relazione l’ha fatta dopo 6 mesi”.  Successivamente la Procura, tramite l’utilizzo di un ipad, ha mostrato allo stesso Arcangioli un video in parte inedito sulla strage di via d’Amelio in cui in diversi fotogrammi in cui appare l’allora capitano dei carabinieri a colloquio con altre persone.
Nel primo parla accanto alla blindata di Borsellino con una persona in abiti civili (soggetto non riconosciuto da Arcangioli ndr).
Nel secondo con una persona in divisa (per cui il colonnello ha dichiarato di poterlo riconoscere con un ingrandimento della foto ndr). Nel terzo viene ritratto più distante mentre parla con tre sottoufficiali dell’Arma, individuati invece dal testimone.
In questo fotogramma sembra addirittura che Arcangioli dia un oggetto (apparentemente la stessa valigetta) a uno dei sottufficiali.  
Successivamente all’esame di Arcangioli è stata il turno della testimonianza di Giuseppe Ayala che, dopo aver dato una sua opinione sulla scomparsa dell’agenda rossa di Borsellino (”Qualcuno ha aperto la borsa di Paolo Borsellino, ha preso l’agenda e deciso, tradendo lo Stato, di farla sparire”) ha detto di avere avuto, dopo la strage, per pochi istanti, la borsa e di averla passata a un ufficiale dei carabinieri in divisa.
Una tesi che smentisce di fatto il racconto del colonnello Arcangioli, il quale, pur non confermando oggi il fatto al cento per cento, non ha escluso di aver aperto la valigetta alla presenza di Ayala.
L’ex parlamentare del Pri, rispondendo alle domande dei pm, ha ripercorso i fatti di quel pomeriggio di luglio fornendo una versione uguale nei contenuti alla prima, datata 8 aprile 1998, ma in ordine cronologico differente.  
Dopo aver dichiarato di aver udito perfettamente lo scoppio dell’autobomba, in quanto abitante al residence Marbella, a meno di 200 metri da via d’Amelio, ha detto di essersi recato sul luogo della strage. “Arrivo in via d’Amelio e vedo le macchine blindate.
Riconosco quelle in dotazione alla Procura. Poi andai verso lo stabile verso l’ingresso quando inciampai in un troncone umano. In un secondo momento, ricordo che arrivò anche il giudice Lo Forte, riconoscemmo che si trattava di Paolo Borsellino.
Solo poi tornai verso la macchina e notai lo sportello posteriore sinistro aperto.  
Appoggiata sui sedili, più verso il lato del guidatore, notammo la valigetta”. Una piccola differenza rispetto al verbale in cui Ayala aveva collocato la borsa del giudice in un’altra posizione (“Guardammo insieme in particolare verso il sedile posteriore dove notammo tra questo e il sedile anteriore una borsa di cuoio marrone scuro con tracce di bruciacchiatura e tuttavia integra”).  
Sulla borsa di Borsellino Ayala ricorda: “Era lì e me la sono trovata in mano.
Mi sembra che c’era un ufficiale dei carabinieri.
Io non avevo i titoli per avere quella valigetta così neanche il tempo di afferrarla per il manico che la diedi all’ufficiale dell’Arma in divisa, e non era quella estiva.
Accanto a me alla mia sinistra c’era Felice Cavallaro, stravolto, che mi diceva di correre dai miei figli, avvisarli, perché si era sparsa la voce a Palermo che ad essere colpito nell’attentato fossi io”.  
Altro aspetto a non convincere è proprio la tempistica. Nonostante il momento tanto tragico e drammatico Ayala, davanti ai giudici, sostiene di essere stato in via d’Amelio per pochi minuti.
Eppure nel primo verbale del 1998 dichiara di essere stato presente per circa un’ora mentre nel verbale del settembre del 2005 asserisce di “di essere rimasto in via d’Amelio per non più di 20 minuti”.Oggi ha dichiarato di essere rimasto anche minor tempo “perché andai subito a Mondello dai miei figli per rassicurarli e tranquillizzarli, perché la notizia che mi era stata data era vera e concreta”.
Anche questa una contraddizione rispetto al passato, quando aveva dichiarato di essere tornato in un primo momento nella propria abitazione ed aver sentito i suoi telefonicamente, così come quella sulla modalità con cui si è recato in via d’Amelio.
Nel verbale dell’8 aprile ’98 infatti Ayala dice di essere giunto sul posto a piedi, mentre oggi ha sostenuto di esser giunto, accompagnato dalla sua scorta, in macchina.

“Probabilmente il riferimento a piedi del verbale è riferito al mio camminare in via d’Amelio. Io non facevo un passo a piedi a Palermo” – ha detto. Quindi l’ex magistrato ha anche dichiarato di non ricordare in alcun modo l’appuntato Rosario Farinella come appartenente alla sua scorta.
“E’ un nome che non mi dice nulla. Magari lo è stato”. Altro elemento di contraddizione ha poi riguardato la presenza della moglie in casa al momento dell’esplosione.
“Ho fatto in tempo a sentire la porta chiudersi e poi c’è stato lo scoppio – ha detto ai giudici – pensavo potesse essere successo qualcosa a lei poi sono uscito e ho visto che se ne stava andando”.  
E alla domanda se sapesse dell’agenda rossa di Borsellino ha risposto: “Sappiamo dell’esistenza dell’agenda rossa dai suoi familiari e dalle dichiarazioni dei suoi collaboratori più stretti. Non è stata trovata ed è presumibile fosse dentro la borsa. Certo io non potevo saperlo. Io non avevo rapporti con lui da 6 anni e non avevo idea di quello che c’era scritto. Chi l’ha presa doveva avere il tempo di leggere il contenuto e lì, in via D’Amelio, non si poteva. Per di più il giorno della strage era domenica e non si poteva pensare che quella borsa, che ho avuto in mano per pochi secondi, potesse contenere documenti tanto importanti”. E così l’agenda non viene più ritrovata come in passato era accaduto ad altri documenti importanti come quelli contenuti nella cassaforte e nella valigetta del generale dalla Chiesa, come quelli sottratti dal computer di Falcone. Ma l’escussione di Ayala non si conclude qui con i pm che riprenderanno con le domande il prossimo 21 maggio mentre il giorno prima si terrà comunque un’udienza con altri testimoni.


Giovanni Arcangioli

Il tenente colonnello dei Carabinieri Giovanni Arcangioli (all’epoca dei fatti capitano) è colui che è stato ripreso da un fotografo poco dopo la strage mentre trasporta la borsa del giudice Borsellino verso l’uscita di via D’Amelio, in direzione di via Autonomia Siciliana. Dopo il ritrovamento della foto prima e di un video poi, l’autorità giudiziaria di Caltanissetta il 5 maggio 2005 lo convocò come persona informata sui fatti.

I PM hanno cercato di chiarire alcuni punti e Arcangioli ha risposto:

“Non riesco a ricordare se mentre mi recavo sul luogo della strage mi fu detto per radio che una delle vittime era il dottor Borsellino. (…) Prelevata la borsa mi spostai andando verso i palazzi di fronte all’abitazione della mamma del dottore Borsellino, non ricordo se scendendo in direzione di via Autonomia Siciliana o in direzione opposta. Ricordo comunque di non aver mai superato, portando la borsa, il cordone “di Polizia” che sbarrava l’accesso alla via D’Amelio. Non ho un ricordo preciso. Posso comunque affermare con certezza che quando ho aperto la borsa per esaminarne il contenuto mi trovavo nel luogo che già ho indicato e cioè sul lato opposto della via D’Amelio rispetto alla casa della madre del dottore Borsellino. Non so dire però a quale altezza rispetto all’asse longitudinale della strada. Quando ho aperto la borsa credo di ricordare che era con me il dottore Ayala; credo anche di ricordare che vi era altra persona, di cui però non so indicare alcun elemento identificativo. Per quanto posso ricordare il prelievo della borsa fu da me effettuato su richiesta di un magistrato che, per esclusione, dato che non si trattava del dottore Teresi, credo di poter identificare nel dottor Ayala.
La verifica del contenuto, per quanto ricordo, fu una iniziativa condivisa con il dottor Ayala.  (…)  Non riesco a ricordare se la prelevai direttamente io ovvero se fu altra persona di cui comunque non conservo memoria. (…) Ricordo di aver verbalmente riferito al mio superiore dell’epoca, Capitano Minicucci, in ordine al contenuto della borsa del dottore Borsellino ed in particolare che vi si trovava un crest dei Carabinieri.”

Arcangioli ha fatto quindi entrare in scena il suo superiore dell’epoca, il capitano (oggi tenente colonnello) Marco Minicucci, il quale, sentito dai magistrati, ha ricordato del rapporto a voce che il capitano Arcangioli gli fece circa il rinvenimento della borsa e del coinvolgimento di un magistrato presente sul posto, di cui, però, Minicucci non ha ricordato il nome.

La testimonianza al processo ‘Borsellino QUATER’

Il 14 maggio 2013 Giovanni Arcangioli ha deposto a Caltanissetta al processo ‘Borsellino QUATER’. Il tenente colonnello ha iniziato la sua testimonianza denunciando le vicissitudini e le difficoltà passate dal giorno del ritrovamento della foto che lo ritraeva con la borsa del giudice in mano ed ha detto alla corte di non essere nelle condizioni di serenità necessarie per poter rendere una testimonianza utile. Ed infatti la sua testimonianza è stata piena di “non ricordo” e di “non posso esserne sicuro”. Arcangioli ha confermato solo una piccola parte dei ricordi affiorati nelle precedenti versioni
“Quando mi hanno dato quella borsa – ha testimoniato Arcangioli  ho aperto la borsa ed ho controllato, non ho visto niente di importante, la borsa aveva un valore pari a zero, l’unica cosa che mi ha colpito è stato questo crest dei Carabinieri. (…) Il primo dei magistrati che vidi io fu il dottor Ayala. Il 19 luglio conoscevo già il dottor Ayala, (…) frequentavo la procura e in procura ho visto e conosciuto il dottor Ayala. Non credo di averci mai fatto indagini. Non ricordo di aver avuto contatti personali con il dottor Ayala, ricordo che quella persona fosse il dottor Ayala e ricordo di averlo visto in procura.  (…) Oltre al crest c’era qualcos’altro ma non ha attirato assolutamente la mia attenzione. (…) Non ricordo di averla presa io la borsa dalla macchina, quindi immagino che me la abbiano passata. (…) Io mi ricordo la presenza del dottor Ayala, mi ricordo che fece un qualche cosa, non ho il ricordo esatto di cosa fece.”

Sulla mancata relazione di servizio Arcangioli ha affermato:

“In quel contesto non avevo necessità, non avevo, diciamo così, dovere di fare relazione di servizio, diverso è quando uno non la fa e la fa a posteriori dopo sei mesi. Però a me viene contestata questa cosa come tante altre, ad altri queste cose non vengono contestate”.
Durante l’udienza Arcangioli ha sottolineato più volte che agli atti del suo procedimento furono acquisiti solo dei riassuntivi e non gli integrali degli interrogatori, dove, secondo lui, si sarebbero evinte le incertezze e la confusione che ebbe sin dall’inizio circa i suoi ricordi. Inoltre, l’allora capitano dei Carabinieri ha lamentato più volte una disparità di trattamento tra se stesso e chi ha modificato più volte la propria versione (con riferimento indiretto a Giuseppe Ayala) o chi ha redatto una relazione di servizio con cinque mesi di ritardo, seppur appartenente all’organo che fu ufficialmente incaricato di svolgere le indagini, riferendosi quindi all’agente di Polizia Francesco Paolo Maggi.


 

Borsellino quater: Arcangioli non ricorda, Ayala cambia i tempi dei fatti

Mostrato al colonnello un ulteriore video in cui è ritratto nel giorno della strage
di Aaron Pettinari – 14 maggio 2013 AD
Diciannove luglio millenovecentonovantadue. Poteva essere una domenica come tante. Poi un boato, la cortina di fumo che si innalza tra i palazzi di via d’Amelio. E’ la strage Borsellino. Assieme al giudice muoiono gli agenti della scorta e l’immagine che si presenta ai soccorsi

è agghiacciante con pezzi di corpi in ogni dove. Un pomeriggio di morte che diventa mistero nel corso degli anni di ricerca della verità non solo con il colossale depistaggio, svelato grazie alle rivelazioni dei collaboratori di giustizia Spatuzza e Tranchina e che oggi porta alla celebrazione di un nuovo procedimento, ma anche con la scomparsa dell’agenda rossa di Paolo Borsellino. Nell’aula bunker di Caltanissetta sono stati sentiti oggi al Borsellino Quater, che si celebra innanzi alla Corte d’Assise, due protagonisti di quel 19 luglio: il colonnello Giovanni Arcangioli e l’ex pm Giuseppe Ayala, che in momenti diversi hanno avuto in mano la valigetta del giudice palermitano.
Il primo è stato addirittura immortalato da una foto (e da un filmato Rai) con in mano la borsa di Paolo Borsellino, pochi minuti dopo la strage. Elementi che, insieme ad alcune sue contraddizioni, lo hanno portato ad essere indagato per il furto dell’Agenda (prosciolto definitivamente nel febbraio 2009) e per falsa testimonianza ai pm (decreto di archiviazione emesso lo scorso 26 aprile). Ciò non ha impedito la sua audizione come teste e pertanto ha dovuto rispondere alle domande del procuratore Sergio Lari, dell’aggiunto Domenico Gozzo e del sostituto Stefano Luciani. Tra i tanti non ricordo della sua deposizione l’ufficiale ha detto inizialmente di non ricordare da chi ha avuto la borsa e a chi l’ha successivamente consegnata.
“Non ricordo come e perché avessi la borsa del giudice Borsellino, né che fine abbia fatto – ha raccontato alla Corte -Vi guardai dentro, forse insieme al giudice Ayala. Non c’era nulla di rilevante se non un crest dei carabinieri. E’ proprio perché non vi avevo trovato nulla di interessante sul piano investigativo che non ricordo cosa feci della borsa dopo”. 

Eppure nel verbale del 5 maggio 2005, reso all’autorità giudiziaria (di cui è stata chiesta l’acquisizione al dibattimento), disse: “Se non ricordo male aprii lo sportello posteriore sinistro e posata sul pianale, dove si poggiano di solito i piedi, rinvenni una borsa, credo di color marrone, in pelle, che prelevai e portai dove stavano in attesa il dottore Ayala e il dottore Teresi”. “Uno dei due predetti magistrati – specificò poi l’ufficiale – aprì la borsa e constatammo che non vi era all’interno alcuna agenda, ma soltanto dei fogli di carta. Verificat ciò, non ricordo esattamente lo svolgersi dei fatti. Per quanto posso ricordare, incaricai uno dei miei collaboratori di cui non ricordo il nome, di depositare la borsa nella macchina di servizio di uno dei magistrati. Si tratta di un ricordo molto labile e potrebbe essere impreciso”.
Il teste, molto teso e provato, ha più volte detto di non ricordare i fatti e di temere di essere nuovamente indagato. “Non so che cosa ho fatto per meritare tutto questo. Ho visto tanti altri che hanno cambiato le loro versioni e non sono stati neppure indagati e io sono finito sotto processo: sono 8 anni che vivo in questa situazione che ha distrutto me e la mia famiglia con gli attacchi di giornali e Tv”.
Alla domanda sul perché si fosse spostato con la borsa in mano di oltre 60 metri dalla vettura di Borsellino ha risposto: “Io giravo continuamente per rendermi conto di quel che stava succedendo. All’inizio pensavo che dell’inchiesta sull’eccidio ci saremmo occupati noi carabinieri, in particolare il Ros, poi seppi dal capitano Minicucci (all’epoca suo superiore) che invece l’avrebbe seguita la polizia. Può darsi che quel percorso l’ho fatto più volte. Non ho ricordo del momento in cui presi la borsa in mano. Non ricordo se l’ho riposta io in macchina ma pensavo che nella valigetta non ci fosse nulla di rilevante”.
Quindi Arcangioli ha sostenuto di aver riferito della borsa al suo superiore, l’allora capitano Minicucci “dicendogli che ero rimasto colpito dal fatto che avesse con se un crest dei carabinieri”. E sul motivo per cui non ha compiuto una relazione di servizio ha lamentato come “in questi anni, è stato ritenuto strano che non ho scritto una relazione di servizio sull’episodio solo perché non ritenevo, probabilmente sbagliando, quel reperto di interesse, e non viene ritenuto strano che l’operatore di polizia la relazione l’ha fatta dopo 6 mesi”.
Successivamente la Procura, tramite l’utilizzo di un ipad, ha mostrato allo stesso Arcangioli un video in parte inedito sulla strage di via d’Amelio in cui in diversi fotogrammi in cui appare l’allora capitano dei carabinieri a colloquio con altre persone. Nel primo parla accanto alla blindata di Borsellino con una persona in abiti civili (soggetto non riconosciuto da Arcangioli ndr). Nel secondo con una persona in divisa (per cui il colonnello ha dichiarato di poterlo riconoscere con un ingrandimento della foto ndr). Nel terzo viene ritratto più distante mentre parla con tre sottoufficiali dell’Arma, individuati invece dal testimone. In questo fotogramma sembra addirittura che Arcangioli dia un oggetto (apparentemente la stessa valigetta) a uno dei sottufficiali.
Successivamente all’esame di Arcangioli è stata il turno della testimonianza di Giuseppe Ayala che, dopo aver dato una sua opinione sulla scomparsa dell’agenda rossa di Borsellino (”Qualcuno ha aperto la borsa di Paolo Borsellino, ha preso l’agenda e deciso, tradendo lo Stato, di farla sparire”) ha detto di avere avuto, dopo la strage, per pochi istanti, la borsa e di averla passata a un ufficiale dei carabinieri in divisa. Una tesi che smentisce di fatto il racconto del colonnello Arcangioli, il quale, pur non confermando oggi il fatto al cento per cento, non ha escluso di aver aperto la valigetta alla presenza di Ayala.
L’ex parlamentare del Pri, rispondendo alle domande dei pm, ha ripercorso i fatti di quel pomeriggio di luglio fornendo una versione uguale nei contenuti alla prima, datata 8 aprile 1998, ma in ordine cronologico differente.
Dopo aver dichiarato di aver udito perfettamente lo scoppio dell’autobomba, in quanto abitante al residence Marbella, a meno di 200 metri da via d’Amelio, ha detto di essersi recato sul luogo della strage. “Arrivo in via d’Amelio e vedo le macchine blindate. Riconosco quelle in dotazione alla Procura. Poi andai verso lo stabile verso l’ingresso quando inciampai in un troncone umano. In un secondo momento, ricordo che arrivò anche il giudice Lo Forte, riconoscemmo che si trattava di Paolo Borsellino. Solo poi tornai verso la macchina e notai lo sportello posteriore sinistro aperto.
Appoggiata sui sedili, più verso il lato del guidatore, notammo la valigetta”. Una piccola differenza rispetto al verbale in cui Ayala aveva collocato la borsa del giudice in un’altra posizione (“Guardammo insieme in particolare verso il sedile posteriore dove notammo tra questo e il sedile anteriore una borsa di cuoio marrone scuro con tracce di bruciacchiatura e tuttavia integra”).
Sulla borsa di Borsellino Ayala ricorda: “Era lì e me la sono trovata in mano. Mi sembra che c’era un ufficiale dei carabinieri. Io non avevo i titoli per avere quella valigetta così neanche il tempo di afferrarla per il manico che la diedi all’ufficiale dell’Arma in divisa, e non era quella estiva. Accanto a me alla mia sinistra c’era Felice Cavallaro, stravolto, che mi diceva di correre dai miei figli, avvisarli, perché si era sparsa la voce a Palermo che ad essere colpito nell’attentato fossi io”.
Altro aspetto a non convincere è proprio la tempistica. Nonostante il momento tanto tragico e drammatico Ayala, davanti ai giudici, sostiene di essere stato in via d’Amelio per pochi minuti. Eppure nel primo verbale del 1998 dichiara di essere stato presente per circa un’ora mentre nel verbale del settembre del 2005 asserisce di “di essere rimasto in via d’Amelio per non più di 20 minuti”. Oggi ha dichiarato di essere rimasto anche minor tempo “perché andai subito a Mondello dai miei figli per rassicurarli e tranquillizzarli, perché la notizia che mi era stata data era vera e concreta”. Anche questa una contraddizione rispetto al passato, quando aveva dichiarato di essere tornato in un primo momento nella propria abitazione ed aver sentito i suoi telefonicamente, così come quella sulla modalità con cui si è recato in via d’Amelio. Nel verbale dell’8 aprile ’98 infatti Ayala dice di essere giunto sul posto a piedi, mentre oggi ha sostenuto di esser giunto, accompagnato dalla sua scorta, in macchina. “Probabilmente il riferimento a piedi del verbale è riferito al mio camminare in via d’Amelio. Io non facevo un passo a piedi a Palermo” – ha detto. Quindi l’ex magistrato ha anche dichiarato di non ricordare in alcun modo l’appuntato Rosario Farinella come appartenente alla sua scorta. “E’ un nome che non mi dice nulla. Magari lo è stato”. Altro elemento di contraddizione ha poi riguardato la presenza della moglie in casa al momento dell’esplosione. “Ho fatto in tempo a sentire la porta chiudersi e poi c’è stato lo scoppio – ha detto ai giudici – pensavo potesse essere successo qualcosa a lei poi sono uscito e ho visto che se ne stava andando”.
E alla domanda se sapesse dell’agenda rossa di Borsellino ha risposto: “Sappiamo dell’esistenza dell’agenda rossa dai suoi familiari e dalle dichiarazioni dei suoi collaboratori più stretti. Non è stata trovata ed è presumibile fosse dentro la borsa. Certo io non potevo saperlo. Io non avevo rapporti con lui da 6 anni e non avevo idea di quello che c’era scritto. Chi l’ha presa doveva avere il tempo di leggere il contenuto e lì, in via D’Amelio, non si poteva. Per di più il giorno della strage era domenica e non si poteva pensare che quella borsa, che ho avuto in mano per pochi secondi, potesse contenere documenti tanto importanti”. E così l’agenda non viene più ritrovata come in passato era accaduto ad altri documenti importanti come quelli contenuti nella cassaforte e nella valigetta del generale dalla Chiesa, come quelli sottratti dal computer di Falcone. Ma l’escussione di Ayala non si conclude qui con i pm che riprenderanno con le domande il prossimo 21 maggio mentre il giorno prima si terrà comunque un’udienza con altri testimoni.

 


Borsellino, ufficiale dei carabinieri prosciolto dall’accusa di aver fatto sparire l’agenda del magistrato

 

Prosciolto per non aver commesso il fatto: il colonnello dei carabinieri Giovanni Arcangioli, accusato di aver rubato il 19 luglio del 1992 l’agenda rossa del procuratore aggiunto Paolo Borsellino, esce assolto dall’udienza davanti al gup di Caltanissetta. Resta quindi un altro buco nero attorno alla strage di via D’Amelio, costata la vita al magistrato antimafia di Palermo e a cinque agenti di scorta: chi ha rubato l’agenda da cui il magistrato non si separava mai e dove potrebbe aver scritto appunti riservati?
Il gup di Caltanissetta, Paolo Scotto Di Luzio, ha chiuso così uno dei filoni d’indagine legati alla strage di via D’Amelio aperto grazie ad un’immagine televisiva: quella in cui si vedeva Arcangioli, allora comandante della sezione omicidi dei carabinieri di Palermo, allontanarsi da via D’Amelio con in mano la borsa del magistrato. La stessa borsa che pochi minuti dopo verrà ritrovata nell’auto blindata di Borsellino, e consegnata in Questura senza l’agenda che il magistrato portava sempre con sé e di cui hanno parlato i familiari e i principali collaboratori.

«Valuteremo cosa fare dopo aver letto le motivazioni della decisione che verranno depositate entro trenta giorni» ha spiegato il sostituto procuratore Rocco Liguori, che ha chiesto il rinvio a giudizio di Arcangioli per furto commesso al fine di favorire Cosa nostra (l’iscrizione nel registro degli indagati dell’ufficiale dei carabinieri era stata decisa dal gip Ottavio Sferlazza, che per due volte aveva respinto la richiesta di archiviazione avanzata dalla Procura).
«È una sentenza di cui bisognerà leggere le motivazioni e che accogliamo col rispetto massimo» commenta l’avvocato Francesco Crescimanno, legale di parte civile. «Ho la sensazione che non verificando a dibattimento le accuse nei confronti di Arcangioli si tagli la possibilità di capire per quale ragione e per quali percorsi questa agenda è stata sottratta dalla borsa del dottor Borsellino. Di certo è che questa borsa è stata portato lontano dal posto in cui era e che poi è stata riportata. Il che vuol dire che si è voluto far finta che non fosse mai stata trovata».
Tramite i suoi legali, gli avvocati Diego Perugini e Sonia Battagliese, il colonnello Arcangioli ha spiegato durante l’udienza di voler rinunciare alla possibilità di chiudere il procedimento usufruendo della prescrizione. «Resterebbe una macchia troppo grande su di me». Durante le dichiarazioni spontanee, Arcangioli ha sostenuto che di quel 19 luglio ’92 ha ricordi confusi, scambiati per reticenze dalla pubblica accusa.
Sull’immagine che lo ritraeva con la borsa del procuratore aggiunto appena ucciso con un’autobomba, Arcangioli non dice nulla. Né, alla Procura di Caltanissetta, ha saputo spiegare perché si è allontanato per almeno 70 metri dal luogo della strage, e perché è tornato indietro e ha lasciato la borsa nell’auto di Borsellino dove è stata ritrovata “ufficialmente” da un assistente della polizia di Stato che l’ha portata in Questura. Dentro, la polizia trovò un paio di occhiali da sole e un costume, non l’agenda rossa che il suo poliziotto di scorta, Antonio Vullo, ricorda di aver visto in mano al magistrato mentre saliva sull’auto blindata diretta verso via D’Amelio.
Attorno alla borsa di Borsellino resta quindi un buco di almeno sette minuti: diversi testimoni, tra cui l’ex pm Giuseppe Ayala, hanno detto di aver visto la borsa subito dopo la strage. Ma tra poliziotti, carabinieri, appartenenti ai servizi segreti presenti quel terribile pomeriggio, non è stato ancora possibile identificare chi l’abbia presa.

2 aprile 2008 di Umberto Lucentini SOLE 24 ore


  «QUEI DUE UFFICIALI E LA SCOMPARSA DELL’AGENDA ROSSA» 

 

Un nuovo filmato fissa l’ora in cui la borsa di Borsellino fu prelevata e ripropone i quesiti sul ruolo dei carabinieri. Di Giuseppe Lo Bianco e Sandra RizzaL’uomo in divisa è l’allora tenente colonnello Emilio Borghini, all’epoca comandante del gruppo carabinieri di Palermo, prossimamente chiamato a deporre nel processo ai tre poliziotti per il depistaggio di via D’Amelio: nelle immagini di quel 19 luglio 1992 lo si vede lasciare l’auto di servizio in via Autonomia Siciliana per dirigersi a piedi, tra idranti, fumo e macerie, verso la Croma blindata di Paolo Borsellino, saltato in aria da pochi minuti con i cinque agenti di scorta.  
Sono le 17,28.
L’ora, calcolata misurando l’ombra del sole sul muro del palazzo di via D’Amelio, non lascia spazio a dubbi: è quella del prelievo (il primo) della borsa del magistrato con dentro l’agenda rossa.
Tre minuti dopo, alle17.31, si vede l’allora capitano Giovanni Arcangioli allontanarsi dal luogo dell’esplosione, con la borsa del giudice assassinato in mano, e dirigersi verso via Autonomia Siciliana. 
A 26 ANNI dalla strage, ecco le immagini inedite che, incrociate a vecchie testimonianze, gettano nuova luce sulla scena della sparizione della “scatola nera della Seconda Repubblica’’, com’è stata definita l’agenda rossa di Paolo Borsellino, custode dei segreti, degli incontri e delle riflessioni del giudice ucciso.
Gli ultimi 56 giorni della sua vita sono anche gli ultimi giorni della Prima Repubblica, cancellata dalle stragi del ’92 e del ’93.
Ed è stato un attivista delle Agende Rosse, Angelo Garavaglia Fragetta, a esaminare decine di ore di filmati dell’inferno di via D’Amelio, a controllare personalmente per anni quell’ombra sul muro per fissare con certezza i tempi delle misteriose manovre attorno alla borsa del magistrato, e a montare il video, proiettato in aula durante il Borsellino quater (e poi anche alla Camera, presente il presidente della  commissione Giustizia, Giulia Sarti), che mostra anche altri potenziali testimoni dei movimenti di quella valigetta in pelle: uno è il giudice Nicola Mazzamuto, mai interrogato, filmato a pochi metri di distanza, e l’altro è l’ex pm Giuseppe Ayala, che del prelievo della valigetta in pelle dall’auto carbonizzata di Borsellino ha fornito diverse ricostruzioni contrastanti.  
Da qualche giorno sul  web www.antimafiaduemia.com e www.19 luglio1992.com) con un appello rivolto “a chiunque abbia foto o materiale video di quel giorno”, affinché li metta a disposizione dell’autorità giudiziaria, il video testimonia passione civile in memoria del giudice ucciso e competenza tecnica, con qualche ingenuità visto che ipotizza un terzo prelievo della borsa, oltre ai due già accertati processualmente, e chiama in causa il generale Mario Mori.  
Nel filmato, infatti, si cita un’intercettazione di Calciopoli in cui Luciano Moggi legge una lettera del suo consulente Nicola Penta che indica Arcangioli come un ufficiale molto legato a Mori, intercettazione però smentita dal pm napoletano Pino Narducci, che fu titolare di quell’inchiesta. 
Al netto delle due ingenuità, il video alimenta tutti gli interrogativi sul ruolo degli apparati presenti quel pomeriggio in via D’Amelio, che i testi non hanno finora fugato.
Se, infatti, Ayala ha sempre ripetuto di aver avuto in mano la borsa e di averla consegnata “a un ufficiale dei carabinieri in divisa” di cui non conosceva il nome’, nel suo interrogatorio, l’8 febbraio 2006, Arcangioli (indagato e prosciolto dall’accusa del furto dell’agenda) dice di non ricordare se “al momento del prelievo della borsa dall’auto del dottor Borsellino” ci fosse accanto a lui anche “un collega ufficiale dei carabinieri in divisa”.
E aggiunge che, mentre si trovava in via Autonomia Siciliana, l’allora colonnello dei carabinieri Marco Minicucci gli comunicò “che erano state date dispsizioni affinché alle attività investigative della strage procedesse il Ros”.
E a chiusura del verbale, Arcangioli precisa che “se uno dei colleghi del Ros o di altro reparto” gli avesse chiesto “di visionare il contenuto della borsa ”non avrebbe avuto motivo “di rigettare tale richiesta”.
Ma il ROS dei carabinieri non è mai stato titolare delle indagini su via D’Amelio.
E Minicucci, sentito a sua volta dai pm, ha dichiarato coerentemente che “l’attività tecnica sul luogo fu lasciata nelle competenze della Polizia di Stato, in segno di rispetto per le perdite subite”.
Il contrario cioè di quanto affermato da Arcangioli.
Perché l’allora capitano davanti ai pm tira in ballo, a sorpresa, il gruppo investigativo all’epoca guidato operativamente da Mario Mori? Ed è l’ultimo interrogativo che si aggiunge ai misteri dell’agenda rossa sparita nel nulla con i segreti più inconfessabili della Seconda Repubblica al quale Borghini, citato dall’avvocato Fabio Repici a deporre nel processo ai tre poliziotti accusati di calunnia, è chiamato a fornire un contributo di memoria. FATTO QUOTIDIANO 22 Gennaio 2019

 

 

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