Aveva 85 anni ed era ai domiciliari. Ma di essere capi non si smette mai. Nemmeno davanti alle condanne e alle faide
Mariano Comense, 21 luglio 2019 IL GIORNO – Di essere capi non si smette mai. Nemmeno davanti alle condanne, alle faide e al potere che smette di circondarti granitico e ossequioso. Nemmeno negli ultimi minuti di vita. Salvatore Muscatello, capo indiscusso della locale di ‘ndrangheta di Mariano Comense e dell’intera Lombardia, è morto venerdì sera, all’età di 85 anni. Era nella sua abitazione, agli arresti domiciliari. Una detenzione, quest’ultima, iniziata il 13 luglio 2010, con l’operazione Crimine Infinito, per la quale era andato incontro a 16 anni di carcere, e mai terminata, a cui si erano aggiunte ulteriori accuse successive. Originario di Cosenza, non aveva mai smesso di rimanere fedele ai vertici calabresi dell’associazione. Nel 2012 era finito agli arresti domiciliari in considerazione della sua età, ma non era durata a lungo: a ottobre 2014 i carabinieri del Ros lo avevano nuovamente arrestato, in esecuzione di una nuova ordinanza di custodia cautelare della Dda.
Durante la sua detenzione domiciliare, passava le giornate a ricevere persone, dispensare consigli, impartire ordini, mandare i suoi emissari a riscuotere i crediti rimasti in sospeso durante la carcerazione. Garantiva voti ai candidati. Gestiva il denaro e manteneva gli equilibri. Non perde mai il controllo del territorio, afferma continuamente la sua autorevolezza. Dirime le controversie tra le locali, le necessarie attività di mutuo soccorso tra le famiglie, soprattutto quando hanno problemi economici. Ma negli ultimi anni qualcosa cambia. Lo si capisce a ottobre 2015, quando suo nipote Ludovico, buttafuori della discoteca Spazio Renoir di Cantù, «a cui garantiva la protezione», affermano i giudici di Como in una recentissima sentenza, viene gambizzato. Gli autori di quell’agguato sono Rocco Depretis e Domenico Staiti, legati a Giuseppe Morabito, partecipi della Locale di Mariano Comense: per alcuni giorni, si teme che quell’episodio avrebbe segnato l’inizio di una faida. Ma non succede nulla. Ludovico Muscatello accetta di essere risarcito da chi gli ha sparato, incassa cinquemila euro e regala ai due imputati uno sconto di pena. Non si fa più vedere a Cantù, sceglie un’altra zona di lavoro. Qualcosa è cambiato. La supremazia del boss di Mariano Comense non è più quella di un tempo, e la successione è dietro l’angolo.
«Salvatore Muscatello – dicono i giudici di Como nella sentenza del processo Ignoto – non avrebbe incontrato particolari difficoltà nel reagire in modo violento al tentativo di occupare un territorio di sua competenza. In tale contesto, quindi, la mancata reazione da parte della famiglia Muscatello non può che derivare dall’essere lo scontro tutto interno all’associazione criminosa», anche perché «una guerra interna sarebbe stata troppo rischiosa per gli interessi dell’organizzazione, risultando preferibile la via della pacificazione e sfociando così nel riconoscimento della «mafiosità« del gruppo contrapposto».