Nel caso di Fino Mornasco basta la definizione fornita dai magistrati che la indicano come “uno dei più fulgidi esempi di comunità mafiosa al Nord Italia”. Cantù non è da meno, dal 2014 al 2016 i rampolli del clan Morabito e le giovani leve della ‘ndrangheta ricorsero a una “strategia militare” a suon di pestaggi e minacce per controllare i locali del centro e imporre loro la gestione di un servizio di sicurezza.
Alla fine, nel 2019, furono condannati in nove a oltre un secolo di carcere, pena successivamente confermata in Cassazione. Proprio il contrario del modus operandi seguito dai loro padri e i nonni, visto che la ‘ndrangheta da queste parti è presente dagli anni ’50, che preferivano agire nell’ombra tene ndo un basso profilo per compiere meglio i loro affari. Una strategia quest’ultima che le cosche sono tornate a seguire, secondo gli inquirenti, per svolgere i loro lucrosi affari legati, in particolar modo, al traffico di sostante stupefacenti.
Altre attività centrali sono le estorsioni e l’usura, spesso collegate tra di loro, con gli imprenditori utilizzati come “collaboratori esterni” e l’utilizzo, grazie a commercialisti compiacenti, di architetture finanziarie elaboratissime per riciclare il denaro sporco e reinvestirlo nell’economia legale.
«Il mondo dell’imprenditoria e il mondo della ‘ndrangheta conoscono la logica dei profitti che è il linguaggio comune di questi due mondi – spiega il sostituto procuratore di Como, Pasquale Addesso, in un passaggio della relazione – inoltre vi è un rapporto timoroso tra imprenditoria e Stato, c’è una resistenza a rivolgersi a quest’ultimo”. Negli ultimi anni è aumentato il numero delle imprese “nate per fallire” e destinate alla bancarotta fiscale: le società vengono create per durare pochi anni e consentire l’evasione, infine si avviano al fallimento. In questo modo diversi imprenditori sono stati assoggettati ai gruppi criminali e le loro aziende sono diventate di proprietà delle organizzazioni mafiose. IL GIORNO 10.12.2022