Matteo Messina Denaro, chemio in carcere ma l’ospedale nega la poltrona al boss: «Sarebbe un privilegiato»
Matteo Messina Denaro prosegue la chemioterapia in carcere, ma non con la poltrona dell’ospedale “San Salvatore” dell’Aquila. Il personale della struttura, infatti, con un cortese ma fermo “no”, ha declinato la richiesta di un dirigente che aveva assicurato la disponibilità dell’ospedale a fornire, oltre all’esperienza del primario di oncologia Luciano Mutti, l’attrezzatura necessaria alle cure del boss, per cui è stata allestita una stanza apposita nel centro penitenziario “Le Costarelle”. Ciò non vuol dire che il boss di Cosa Nostra non avrà a disposizione la poltrona. I vertici della Asl assicurano che tutto il necessario è stato reperito. Ma senza intaccare la normale attività. I malati non hanno subito alcuna «privazione».
Il «trattamento privilegiato» per le cure del boss
Proprio questa è una delle ragioni che rende «virtuoso» il modello della cella-laboratorio che consente a Messina Denaro di curare il tumore senza che venga «distolto nulla dall’assistenza normale» continuano le fonti Asl al Il Messaggero dell’Abruzzo. «Nessuno ha perso nulla», sintetizzano dalla Asl. Si tratta della «cosa più conveniente per lo Stato e la collettività». La presa di posizione dei sanitari, pare, non sarebbe esente da polemiche, riferisce il quotidiano. Secondo alcuni, al boss di Cosa Nostra – latitante per trent’anni prima di essere arrestato proprio in una clinica oncologica, a Palermo – verrebbe garantito un trattamento privilegiato. Migliore di quello che viene riservato ai “normali” pazienti oncologici nel carcere, costretti ad affrontare ben più difficoltà quotidiane rispetto a quelle del mafioso.
«Messina Denaro ha gli stessi diritti degli altri»
Una tra tutte, spesso è necessario il trasferimento all’ospedale anche due volte a settimana per sottoporsi alla chemioterapia. Opzione non attuabile per Messina Denaro. Spostare il detenuto al 41bis «avrebbe richiesto uno spiegamento di forze e misure di sicurezza senza precedenti», commentano dalla Asl. Ad ogni modo, ribadiscono le fonti, al boss nulla a cui abbia diritto verrà negato. «Matteo Messina Denaro è un cittadino italiano registrato come paziente nel nostro sistema sanitario e in quanto tale ha gli stessi diritti e doveri degli altri. I medici che lo stanno curando sono servitori dello stato a cui è stato chiesto di prendersi cura di un paziente. Quindi stanno facendo il proprio dovere nel rispetto pieno del rapporto medico-paziente», dichiarano.
19.1.2023 Matteo Messina Denaro a processo, atteso in collegamento nell’aula bunker di Caltanissetta: ma la sedia resta vuota
Il collegamento video con il carcere de L’Aquila, dove Messina Denaro è detenuto, è stato attivato ma la sedia è rimasta vuota. A Caltanissetta si sta celebrando il processo d’appello al boss, accusato di essere mandante delle stragi di Capaci e via D’Amelio
L’udienza del processo a Matteo Messina Denaro accusato di essere il mandante delle stragi di Capaci e via D’Amelio è stata rinviata al 9 marzo «per consentire al difensore di essere presente». Lo ha deciso il presidente della Corte d’Assise di Caltanissetta Maria Carmela Giannazzo, dopo che oggi il boss ha deciso di non presenziare all’udienza in videoconferenza dal carcere de L’Aquila, probabilmente per motivi «legati al suo stato di salute e alle cure che si stanno prestando all’imputato», come ha precisato il procuratore generale di Caltanissetta all’Adnkronos. Secondo quanto riferisce l’Ansa, il boss proprio in queste ore è stato sottoposto all’interno dell’istituto penitenziario alla prima seduta di chemioterapia: a quanto si apprende da fonti informate, sarebbe stata allestita un’apposita stanza non molto distante dalla sua cella dove Messina Denaro si sottopone alle cure.
Uno dei due difensori d’ufficio del boss, l’avvocato Salvatore Baglio, ha comunicato quindi in aula di avere ricevuto una delega orale dal difensore di fiducia nominato da Messina Denaro, la nipote Lorenza Guttadauro, figlia di una sorella di Messina Denaro, ed ha chiesto i termini a difesa. Il procuratore generale non si è opposto e così l’udienza è stata rinviata.
C‘era attesa questa mattina all’interno dell’aula bunker del carcere Malaspina di Caltanissetta per l’eventuale presenza in videoconferenza di Messina Denaro. Si sarebbe trattato della prima volta in un’aula giudiziaria del latitante, arrestato lunedì scorso a Palermo. Il collegamento video con il carcere de L’Aquila, dove Messina Denaro è detenuto, era stato attivato ma, come era prevedibile, la testimonianza è saltata.
«Questa rinuncia non è il caso di interpretarla, avendo nominato il difensore di fiducia. Sapeva benissimo che il nuovo avvocato avrebbe chiesto un rinvio per prendere visione del corposo carteggio processuale», ha detto il procuratore generale di Caltanissetta Antonino Patti al termine dell’udienza. Come ha spiegato Patti, «Matteo Messina Denaro aveva un rapporto con Riinaassolutamente superiore agli altri. Non è soltanto uno dei mandanti, ma un capo che ha messo mano al progetto con la missione romana precedente a Capaci. Riina nel carcere di Opera disse di aver eletto Messina Denaro come suo successore, l’aveva preso sotto la sua ala protettiva». Ecco perché «l’auspicio, del tutto teorico» del procuratore generale «è che anche in questo processo possa dare il suo contributo nella ricostruzione della verità ».
«Che collabori lo speriamo tutti, ma nessuno di noi può saperlo– ha concluso – È depositario di conoscenze sulla stagione stragista del ‘92 e ‘94 ancora oggi non sondate e sconosciute da altri collaboratori». Patti ha anche sottolineato ancora una volta lo sforzo che ha portato all’arresto: «Ho accolto con soddisfazione la cattura di Matteo Messina Denaro, è frutto di anni di sforzi e sacrifici da parte dei magistrati della Dda di Palermo e delle forze dell’ordine. Le modalità dell’arresto possono sembrare banali, ma dietro c’è un lavoro di altissima professionalità».
Intanto è stata posta sotto sequestro la casa di proprietà della mamma di Andrea Bonafede, l’alias utilizzato dal boss Matteo Messina Denaro durante la sua latitanza. La casa si trova all’angolo tra la via Marsala e la via Cusmano a Campobello di Mazara. L’appartamento a pian terreno ha due ingressi. Da tempo però la casa è disabitata. La mamma di Bonafede vive nella casa di Tre Fontane insieme a una delle sue figlie. Dopo la scoperta ieri del rifugio-bunker in via Maggiore Toselli, nel centro del paese, dove sono stati trovati gioielli e scatole, sono stati estesi i controlli e le ricerche e adesso è scattato il sequestro dell’immobile di via Marsala, da tempo non utilizzato dalla donna, a caccia di tracce e documenti dell’ex latitante. CORRIERE DELLA SERA
Matteo Messina Denaro trasferito in Abruzzo: sarà detenuto a L’Aquila
Il padrino di Castelvetrano è sbarcato ieri sera con un elicottero militare all’aeroporto di Pescara. La struttura di massima sicurezza ospita molti personaggi di spicco del mondo malavitoso
Matteo Messina Denaro è sbarcato ieri sera – a bordo del C-130 dell’Aeronautica – all’aeroporto di Pescara per essere trasferito nel carcere dell’Aquila.
La scelta sarebbe ricaduta sul carcere de L’Aquila per diverse ragioni: si tratta di una struttura di massima sicurezza che ha già ospitato personaggi di spicco del mondo malavitoso: tra questi Leoluca Bagarella, Raffaele Cutolo della nuova camorra organizzata, Francesco Schiavone del clan dei Casalesi e Felice Maniero della cosiddetta Mala del Brenta.
A L’Aquila sono ancora reclusi molti nomi di spicco di Cosa nostra, ‘Ndrangheta e Camorra, nonché ex terroristi rossi come Nadia Desdemona Lioce delle nuove Br.
Si tratta di un carcere adibito principalmente al regime carcerario previsto dall’articolo 41 bis. L’istituto ha una capienza tollerabile di 300 detenuti (ma ne ospita meno di 200) e già dal 1996 è stato adibito quasi interamente alla custodia di detenuti sottoposti a particolari regimi di sicurezza che alloggiano in celle singole.
La scelta sarebbe ricaduta su L’Aquila anche perché c’è un buon reparto di medicina oncologica e il boss, malato di tumore, potrà continuare a seguire le cure.
Anche la vicinanza con Roma avrebbe giocato un ruolo nella decisione di trasferire il capo storico di Cosa nostra nel penitenziario abruzzese. 16.1.2023
Messina Denaro nomina la nipote come avvocato: è Lorenza Guttadauro
Matteo Messina Denaro andrà all’Aquila al 41-bis: che cos’è il carcere duro
Il regime penitenziario che istituisce il cosiddetto “carcere duro” è nato come una misura temporanea prima delle stragi di mafia del 1992 e del 1993
Matteo Messina Denaro, uno dei mandanti degli attentati contro i giudici Giovanni Falcone e Paolo Borsellino nel 1992 e di altre stragi di mafia, arrestato il 16 gennaio dai carabinieri del Ros dopo 30 anni di latitanza, andrà al 41-bis nel carcere dell’Aquila.
Il 41-bis è un regime penitenziario pesantissimo, definito anche come “carcere duro”, usato per punire i delitti più gravi di mafia e terrorismo. A causa delle sue estreme privazioni della libertà, che vanno dall’isolamento continuo alle limitazioni dei colloqui e delle ora d’aria, nel corso degli anni sono stati sollevati dubbi di costituzionalità. Tuttavia, sia la Corte europea per i diritti dell’uomo (Cedu) sia la Corte Costituzionale ne hanno decretato nel complesso la legittimità, pur affermandone il suo carattere necessariamente temporaneo.
Cosa prevede il 41-bis
L’articolo 41-bis dell’ordinamento penitenziario nasce nel 1986, ma nel corso degli anni è stato aggiornato più volte. Nella forma odierna, aggiornata con la legge del 15 luglio 2009 numero 94, l’articolo prevede la sua applicazione contro persone condannate principalmente per reati di tipo mafioso. Ma anche contro delitti di terrorismo ed eversione dell’ordine democratico, reati di pedopornografia, tratta di esseri umani, violenza sessuale di gruppo, sequestro di persona e traffico di stupefacenti.
In base alle disposizioni dell’articolo, i detenuti sottoposti al regime speciale di detenzione devono “essere ristretti all’interno di istituti a loro esclusivamente dedicati, collocati preferibilmente in aree insulari, ovvero comunque in sezioni speciali e logisticamente separate dal resto dell’istituto”. Può essere applicato per quattro anni, ma con proroghe di due anni ciascuna, senza un limite fisso. Infatti, chi è sottoposto al carcere duro può uscirne solo nel caso decida di collaborare con la giustizia.
I detenuti in 41-bis devono essere isolati dagli altri, dormire in una cella singola e non possono accedere agli spazi comuni. L’uscita dalla cella per andare nel cortile, la cosiddetta “ora d’aria”, è limitata a due ore al giorno, rispetto alle quattro degli altri detenuti, e può avvenire in gruppi di non più di quattro persone. Tuttavia, in casi eccezionali che giustifichino trattamenti ancora più restrittivi, la Corte costituzionale una sola ora d’aria in isolamento, come riporta Ansa.
I colloqui sono limitati a uno solo al mese di un’ora e unicamente con i familiari, separati da un vetro divisorio che impedisca il contatto fisico, a meno che il familiare abbia meno di 12 anni. Gli altri detenuti hanno invece diritto a sei ore al mese e possono avere contatti fisici a seconda del tipo di reato per cui stanno scontando la pena. Solamente chi non fa colloqui può effettuare una telefonataal mese di dieci minuti, mentre i detenuti ordinari hanno diritto a una telefonata a settimana. Telefonate e colloqui sono sempre registrate e ripresi da telecamere.
Non ci sono limitazioni in ordine di numero e durata, invece, per i colloqui con l’avvocato difensore e la Corte Costituzionale ha recentemente stabilito l’illegittimità della censura sulla corrispondenza tra i detenuti al 41-bis e i propri avvocati difensori, che era invece prevista dall’articolo fino al 24 gennaio 2022, come riporta il Post. In ogni caso, tutta la posta di questi detenuti è controllata sia in entrata che in uscita.
Infine, sono previste forti limitazioni anche per il denaro che i detenuti possono avere sul proprio conto in carcere, sia per gli oggetti che può avere in cella e che arrivano dall’esterno. Per esempio non possono avere libri e giornali e, fino al 2018, era anche impedito di cucinare cibi in cella, divieto poi fatto cadere dalla Corte Costituzionale il 12 ottobre 2018. Infine, i detenuti in carcere duro sono sorvegliati da un reparto speciale di polizia penitenziaria che non può entrare in contatto con gli altri agenti.Sono Giovanni Motisi, Renato Cinquegranella, Pasquale Bonavota e Attilio Cubeddu. I primi tre esponenti della criminalità organizzata e il quarto parte dell’anonima sequestri sarda
Come nasce il 41-bis
L’istituto del carcere duro nasce nel 1986 con l’approvazione della legge Gozzini, dal nome del relatore Mario Gozzini, senatore della sinistra indipendente eletto con il Partito comunista italiano. La legge, modificando la riforma dell’ordinamento penitenziario del 1975, introduceva con l’articolo 41-bis uno speciale regime di detenzione “in casi eccezionali di rivolta o di altre gravi situazioni di emergenza” con cui il ministero della Giustizia “ha facoltà di sospendere nell’istituto interessato o in parte di esso l’applicazione delle normali regole di trattamento dei detenuti e degli internati. La sospensione deve essere motivata dalla necessità di ripristinare l’ordine e la sicurezza e ha la durata strettamente necessaria al conseguimento del fine suddetto”.
Tuttavia, a cavallo delle stragi di mafia del 1992, l’articolo venne modificato per la prima volta dalla legge Martelli-Scotti, dai nomi di Claudio Martelli, allora ministro di Grazia e giustizia, e Vincenzo Scotti, ministro dell’Interno. Così, con l’introduzione del decreto legge 306 del 1992, l’applicazione del il 41-bis veniva estesa anche ai detenuti condannati per vari reati particolarmente violenti, cioè per chi era condannato per reati di mafia, diventando immediatamente uno degli strumenti normativi più utilizzati per il contrasto alla criminalità organizzata.
L’obiettivo del 41-bis diventava così quello di impedire i contatti con l’esternodegli esponenti di vertice delle organizzazioni criminali, per evitare che continuassero a comandare gli altri mafiosi anche dal carcere. Oltre all’isolamento della persona dal resto dell’organizzazione, la misura ha però un altro scopo: rendere la vita all’interno del carcere praticamente impossibile, così da convincere i mafiosi a collaborare con la giustizia. L’unico modo per accedere a misure penitenziarie alternative è infatti quello di collaborare con le autorità e diventare un “pentito”, così da portare all’arresto altri mafiosi e infliggere forti danni alle organizzazioni criminali.
Per riuscire nell’intento, come spiegato dall’associazione Antigone per i diritti e le garanzie nel sistema penale, le prime applicazioni furono proprio nelle carceri isolane di Pianosa, in Toscana, e dell’Asinara, in Sardegna. In questo modo, i detenuti avevano ancora meno possibilità di comunicare con l’esterno.
Inoltre, con il 41-bis, le autorità cercarono di combattere un’immagine delle carceri, molto diffusa tra gli anni Settanta e Ottanta, come luoghi di “villeggiatura” per i capomafia. Per esempio, il carcere di Palermo era stato soprannominato “Grand Hotel Ucciardone”, per la facilità con cui i mafiosi più importanti riuscivano a ottenere favori e vivere senza problemi, trasformando la loro carcerazione in uno strumento di prestigio e sfregio allo Stato italiano.
La misura è stata poi modificata ulteriormente nel 2002 con la legge numero 279 che mise fine al suo carattere “emergenziale”. Infatti, la legge del 1992 limitava l’istituto del carcere duro a tre anni, per contrastare i mafiosi in guerra contro lo stato. Tuttavia, la sua applicazione è stato prorogato più volte, fino a quando non è stata inserita nell’ordinamento a tempo indeterminato, diventando cardine del sistema penitenziario, e poi adeguata ad alcuni rischi di costituzionalità con la legge del 15 luglio 2009 numero 94.
I beni mobili e immobili che sono stati sequestrati alla sua rete di contatti e teste di legno ammontano a una cifra tra i quattro e i cinque miliardi di euro
Quanti sono e dove sono i detenuti al 41-bis
Come riporta il rapporto di Antigone sul 41-bis, a novembre 2021, le persone al 41 bis erano 749 di cui 13 donne, distribuite in 12 istituti penitenziari della Penisola, con una sola sezione femminile e una casa di lavoro per persone in misura di sicurezza. La maggior parte di loro si trova all’Aquila, dove verrà trasferito anche Matteo Messina Denaro, a Milano-Opera, a Sassari e a Novara. Nel 2019 i detenuti affiliati alla camorra erano 255, alla ‘ndrangheta 201, alla mafia siciliana 213, alla quarta mafia, cioè la criminalità organizzata pugliese, 41, ad altre forme di criminalità siciliane 29, a organizzazioni lucane 3, per altri reati 3 e per terrorismo altre 3.
Tra questi si trova anche Alfredo Cospito, il militante anarchico italiano detenuto nel carcere di Sassari, condannato per un’attentato con due bombe artigianali contro la caserma dei carabinieri di Fossano, in provincia di Cuneo. L’attentato, avvenuto nel 2006, non ha causato né morti né feriti, ma Cospito si trova ancora in 41-bis e ci resterà per almeno altri 4 anni, dato che il tribunale di sorveglianza di Roma ha confermato a dicembre 2022 la reclusione in carcere duro, come riporta La Stampa.