Boss. Gli affari di Messina Denaro e il centro commerciale confiscato che ora dà lavoro

 

Il centro commerciale Belicittà di Castelvetrano

Il centro commerciale Belicittà di Castelvetrano – Collaboratori

Sull’enorme tetto del centro commerciale Belicittà di Castelvetrano, confiscato a Giuseppe Grigoli, imprenditore della grande distribuzione prestanome di Matteo Messina Denaro, sarà realizzato un grande impianto fotovoltaico da 250 kwh, prodotto dalle aziende Libeccio ed Eolo, confiscate a Vito Nicastri, il “re dell’eolico” imprenditore delle energie rinnovabili, anch’esso prestanome del boss di “Cosa nostra”.

Entrerà in funzione tra poche settimane, come ci rivela l’avvocato Pietro Bruno, presidente del consiglio di amministrazione della società Grigoli distribuzione srl in confisca definitiva e gestita dall’Agenzia nazionale per i beni confiscati.

I due grandi affari di Messina Denaro, rinnovabili e centri commerciali, assieme al più recente dell’azzardo, diventano esempio di come «ora è ancora più importante usare nel modo migliore i beni confiscati. Ma bisogna fare rete per avere risultati migliori nella restituzione al sociale dei beni dei mafiosi. E noi siamo la dimostrazione che si può fare».

Belicittà è uno dei 10 centri commerciali della società Grigoli distribuzione srl, la cassaforte immobiliare del “Gruppo 6 Gdo”, di Giuseppe Grigoli, arrestato, condannato per mafia e poi collaboratore di giustizia. Gli fu confiscato un “impero” da 700 milioni, grande distribuzione e turismo.

Fiore all’occhiello Belicittà, a Castelvetrano, il paese di Messina Denaro, il primo centro commerciale realizzato nella Sicilia occidentale: 10mila metri quadrati, iniziato a costruire nel 2007, confiscato definitivamente nel 2013. E ancora attivo, diversamente purtroppo da tante aziende mafiose che dopo la confisca chiudono o falliscono. Merito di bravi e motivati amministratori. Ma non è stato facile.

L’avvocato Bruno ci accoglie nell’ufficio con enorme vetrata dal quale i mafiosi osservavano e dominavano il territorio. «Era l’ufficio di Francesco Guttadauro, nipote di Messina Denaro, mentre i mobili erano della moglie di Grigoli. Dopo la confisca, quando siamo arrivati ci hanno pignorato proprio questi mobili per alcuni debiti non pagati. Quelli che se li erano aggiudicati ce li hanno poi offerti indietro al doppio del prezzo pagato. Io gli ho risposto “te li puoi tenere”».

C’era una gran brutta aria allora. «In una prima fase il vecchio proprietario cercò di rimpossessarsi della società, poi mettendoci i bastoni tra le ruote, anche presentando il progetto per un nuovo centro commerciali vicino». Perché l’affare non andava mollato. Ma non sono solo i mafiosi. Anche altri hanno remato contro. «Le banche, anche nazionali, ci hanno chiuso i rubinetti. Anzi rivendicavano i debiti, ben 35 milioni, accumulati dalla società per realizzare il centro commerciale». Perché i mafiosi non hanno problemi a ottenere prestiti, «i debiti sono tollerati, ma quando arriva lo Stato cambia tutto».

Altro problema fare pulizia tra gli esercizi commerciali e il personale. «Belicittà era anche un grande centro di potere, dove elargire assunzioni e concedere spazi. Posti di lavoro come arma di ricatto. Siamo dovuti intervenire anche su questa eredità del passato. Abbiamo cacciato alcuni “fedelissimi” di Messina Denaro che non pagavano l’affitto, tra i quali un “figlioccio” di Matteo, che oltretutto pagava i dipendenti in nero. Abbiamo aspettato la scadenza del contratto, lo abbiamo avvertito, ma non aveva neanche la licenza. È dovuto andare via. Non se lo aspettava. E ancora adesso se scopriamo qualche contiguità risolviamo il contratto».

Oggi Belicittà dà lavoro a 150 persone negli esercizi commerciali oltre ad altri 250 nell’indotto (vigilanza, manutenzione, pulizia). Ed è anche migliorato come struttura. «Non c’era l’aria condizionata né wi-fi, mancava la dotazione di sicurezza del sistema elettrico. Abbiamo realizzato il parcheggio, installato le torri faro, organizzato la raccolta dei rifiuti».

Ma Belicittà è diventato e vuole essere anche altro. «Vogliamo donare al territorio oltre che all’azienda». Con iniziative concrete e simboliche. La donazione di una nursery al Tribunale di Marsala, le divise alla squadra calcio del dopolavoro della Guardia di Finanza, la “partita della legalità” tra magistrati e forze dell’ordine. «Non siamo lasciati soli, la vicinanza delle istituzioni c’è, soprattutto delle forze dell’ordine. Mentre l’Agenzia potrebbe fare di più…».

Ora l’accordo con l’altra azienda confiscata al “re dell’eolico”, l’ex elettricista di Alcamo Vito Nicastri, condannato per concorso in associazione mafiosa. Un regno da 1,5 miliardi, ora in mano allo Stato. Una società che lavora, assume personale, produce. «Così chiudiamo il cerchio. Se una cosa può essere utilizzata per il bene di tutti noi la utilizziamo – riflette convinto l’avvocato Bruno -. I mafiosi si stupiscono che siamo ancora aperti e attivi. Sicuramente a Messina Denaro rode aver perso il centro commerciale nel suo paese e ancor più che sia ancora in vita», aggiunge soddisfatto.