Giuseppe De Tomaso
“Segui i soldi e troverai la mafia”. La lezione di Giovanni Falcone (1939-1992) potrebbe essere considerata la prima regola di un decalogo anti-cosche. Una regola costata cara al magistrato ucciso a Capaci insieme con la moglie e la sua scorta, e che, in via D’Amelio a Palermo, è costata la vita anche all’amico fraterno Paolo Borsellino (1940-1992) e ai suoi cinque angeli custodi. Ma, sulla base della ragnatela affaristica che fa capo a Matteo Messina Denaro, l’insegnamento di Falcone e Borsellino potrebbe essere automaticamente ribaltato senza, per questo, pregiudicare la validità dell’assioma iniziale. Anzi.
“Segui la mafia e troverai i soldi” verrebbe, infatti, da concludere dopo aver dato un’occhiata ai traffici e alle lucrose plusvalenze del Diabolik di Castelvetrano, rinchiuso nelle patrie galere dopo 30 anni di incredibile latitanza. nel senso che potrai scoprire le nuove frontiere di arricchimento oltrepassate dal crimine, i settori in cui più assillante è il pressing dell’illegalità, i finanziamenti pubblici che più fanno gola alle cupole del malaffare, le attività private più esposte ai disegni di infiltrazione da parte dei mammasantissima di ultima generazione.
“La mafia è entrata in Borsa” denunciò un giorno Falcone. La frase non suscitò particolare clamore nel circo mediatico nazionale, non già perché si voleva azionare, per codardia, paura o complicità, il silenziatore sul grido d’allarme lanciato dall’uomo simbolo della lotta a Cosa Nostra, quanto perché alle parole di Falcone venne attribuita una portata sociologica più che informativa, profetica più che investigativa. Quasi che il giudice siciliano stesse esternando una riflessione accademica e basta. Un po’ tutti minimizzarono la sua dichiarazione, che non ebbe il rango delle prime pagine, come, invece, meritava.
In soldoni, i frettolosi e superficiali recensori di Falcone ragionarono a un di presso così: certo, come parecchi risparmiatori, anche i boss investono a Piazza Affari, per fini più o meno speculativi, ma nulla più. Nessun sospetto, da parte loro, sui nuovi canali finanziari, sulle operazioni di riciclaggio ideate sull’asse Palermo-Milano. Operazioni, invece, su cui Falcone e Borsellino volevano accendere più di un faro, anche per evitare che, a lungo andare, la Borsa si trasformasse nella lavanderia più gettonata per ripulire i capitali sporchi. Senza considerare, poi, che alcune quotazioni borsistiche destavano nei due magistrati più di un sospetto, quanto a provenienza dei quattrini investiti.
Falcone e Borsellino volevano accendere un altro faro sulla ripartizione degli appalti in Sicilia, il cui dossier, poi sparito, avrebbe potuto aprire uno spiraglio di luce anche sulla loro tragica fine. Falcone e Borsellino volevano fare chiarezza su alcune strane cordate tra colossi del Nord e imprese siciliane nell’aggiudicazione dei lavori pubblici nell’Isola, sui criteri di tali aggiudicazioni, sui risvolti monopolistici e famelici di alcuni sodalizi. Insomma (pensavano): se è vero che se segui i soldi troverai la mafia è altrettanto vero che se segui la mafia troverai i soldi.
Ora. Che la nuova Piovra o, meglio, le nuove Piovre, non corrispondano più alla Commissione di cui parlò Tommaso Buscetta (1928-2000) a Falcone, è noto da un pezzo. Che le nuove Piovre abbiano esteso i loro tentacoli su ogni fetta della torta economica (legale e illegale), si sa da lustri. Persino l’illetterato Bernardo Provenzano (1933-2016) aveva messo gli occhi e le mani su nuovi settori, vedi la sanità e i fondi europei, sconosciuti ai suoi predecessori. Messina Denaro ha aggiunto altri inesplorati territori da conquistare: l’economia verde delle fonti rinnovabili (in particolare l’eolico), la grande distribuzione, la finanza opaca… Morale: il denaro dei Padrini non dorme mai. E, soprattutto, vuole farsi strada, sempre più vertiginosamente nell’economia legale.
“Segui i soldi e troverai la mafia”. Chi indagò sulle malefatte del post-terremoto del 1980 in Campania giunse alla conclusione che il salto di qualità della camorra (da fenomeno semi-folcloristico a Razza Padrona imprenditrice) coincise con l’utilizzo della montagna di miliardi di lire destinati alla ricostruzione delle aree interessate. Uno spreco di soldi di proporzioni colossali. Uno scandalo indicibile. Un assedio alle risorse pubbliche da parte dei clan da rimanere basiti. Guido Carli (1914-1993) osservò in quella circostanza che se lo stato centrale, anziché dirottare un fiume di liquidità alle amministrazioni pubbliche, avesse assegnato direttamente, a fondo perduto, 50 milioni di lire a testa per ogni famiglia colpita dal sisma, avrebbe risparmiato una fortuna incalcolabile, con innegabili benefìci per moralità e legalità generali. E la ricostruzione delle zone terremotate sarebbe risultata assai più rapida.
Abbiamo ricordato la vicenda del sisma 1980, perché un nuovo lungo fiume di finanziamenti potrebbe eccitare le diverse mafie che molestano il Belpaese. Ci riferiamo alle risorse del Pnrr (Piano nazionale di ripresa e resilienza). Rileggiamo gli avvertimenti dell’ex presidente del Consiglio, Mario Draghi,dichiaratamente sulla scia della lezione di Falcone. Tradotto: facciamo attenzione, giù le mani mafiose dal Pnrr.
Finale. Se è vero che le nuove mafie, più che sulla droga, vogliono puntare sulle opportunità offerte dai piani europei e nazionali, l’arresto di Messina Denaro dovrebbe costituire un’occasione per riflettere su come vengono assegnate e investite queste somme e su quali attività appare più insaziabile l’appetito della criminalità organizzata. La green economy è salutare, ma se, per disinquinare l’ambiente essa contribuisce a inquinare vieppiù la moralità pubblica e privata, stiamo freschi. Dalla padella alla brace.
Ecco perché non basta indagare solo sui Messina Denaro e sui suoi complici di ieri e di oggi. Bisogna fare una Tac all’intera spesa pubblica, nazionale ed europea, a cominciare dalle voci (fonti rinnovabili, energia, sanità…) che più possono soddisfare la libidine delle nuove Razze Predone.