Matteo Messina Denaro, il Sisde, la Procura, Vaccarino, e il caso Tumbarello

 

 

Alfonso Tumbarello, è il medico di base di Campobello di Mazara, sospettato di aver aiutato Matteo Messina Denaro, prescrivendo i farmaci al latitante a nome di Andrea Bonafede, l’uomo – anche lui assistito dal dott. Tumbarello – che al boss castelvetranese aveva prestato la propria identità.

Di Tumbarello, si è parlato durante la scorsa puntata di Report, su Raitre. Avrebbe fatto incontrare, nel 2002, Antonio Vaccarino con un altro suo assistito: Salvatore Messina Denaro, il fratello del bossriporta l’articolo di oggi di Tp24, che ripercorre la storia dell’ex sindaco di Castelvetrano, Antonio Vaccarino, “che in quegli anni, lavorando per il Sisde guidato dal generale Mario Mori, cercava di entrare in contatto con il latitante e che di lì a poco avvierà il famoso scambio di “pizzini” Svetonio-Alessio. Nomi attribuiti dallo stesso Matteo Messina Denaro: Alessio per lui e Svetonio per Vaccarino. I pizzini che quest’ultimo riceveva ed inviava venivano condivisi col Sisde. Un’indagine che però è stata stoppata dalla Procura di Palermo, poco dopo l’arresto di Bernardo Provenzano. Nel suo covo a Montagna dei cavalli gli trovarono alcuni di questi pizzini in cui Messina Denaro faceva riferimento a Vaccarino, una sorta di autorizzazione per un affare che l’ex sindaco aveva proposto, in realtà un’esca che avrebbe portato all’arresto della primula rossa.

Come dicevamo, però, tutto si ferma”.

Il nome di Tumbarello, veniva già fuori dal 2007, quando Vaccarino, interrogato dai magistrati Pignatone e Scarpinato fa mettere a verbale che lo aveva utilizzato per un collegamento con Salvatore Messina Denaro – fratello del più noto latitante – precisando che era un massone.

Una vicenda, quella dell’interrogatorio del 2007 di Vaccarino, alla qualeil Riformista  – si legge su Tp24 – ha dedicato alla vicenda due prime pagine, riportando le clamorose testimonianze di tre fonti diverse, tra le quali quella di un ex agente del Sisde che ha raccontato come 15 anni fa stessero per catturare Messina Denaro e furono fermati dalla Procura di Palermo”.

Qui il primo articolo, e questo il secondo.

Due articoli che hanno suscitato le ire dell’ex pm Roberto Scarpinato, il quale non ci sta a passare come uno di coloro che stopparono le indagini, e addossa le responsabilità al Sisde:

Mafia: Scarpinato (M5S): “Il Riformista prosegue la campagna diffamatoria nei miei confronti, attraverso articoli basati su gravi falsificazioni. Due loro pezzi di ieri e di oggi, fondati su presunte informazioni fornite da anonimi esponenti dei servizi segreti, sostengono che io e Giuseppe Pignatone nel 2006 avremmo fatto fallire un’operazione che avrebbe portato alla cattura di Matteo Messina Denaro. La nostra responsabilità sarebbe quella di aver reso nota senza validi motivi l’identità di un infiltrato del Sisde, Antonio Vaccarino, che era riuscito a entrare in contatto epistolare con il latitante Messina Denaro. Per conoscere i reali termini della vicenda e comprendere la falsificazione fatta dal Riformista, è sufficiente leggere gli atti ufficiali del tribunale e della procura di Palermo. L’11 aprile del 2006 – prosegue l’ex PG di Palermo – venne arrestato Bernardo Provenzano, nel suo casolare furono sequestrati numerosi ‘pizzini’ scambiati tra il boss ed alcuni tra i maggiori esponenti di Cosa nostra. Poiché l’identità dei destinatari dei messaggi e dei tramiti era nascosta dietro codici numerici e nomi di copertura, iniziammo una lunga e complessa ricerca delle reali identità. Messina Denaro risultò essere l’autore di alcuni messaggi, firmati ‘suo nipote Alessio’ in cui, informando Provenzano, faceva riferimento ad un soggetto, indicato come ‘VAC’ o ‘VC’, che stava gestendo lucrosi affari per conto di Cosa Nostra. La Polizia Giudiziaria scoprì che si trattava di Antonio Vaccarino: pregiudicato per reati di mafia (in realtà all’epoca mai condannato per reati di mafia – ndr), già assessore e sindaco di Castelvetrano, membro della massoneria di Castelvetrano, aderente al Grande Oriente d’Italia. Vaccarino venne ovviamente iscritto nel registro degli indagati, sottoposto a intercettazioni e interrogato. Dalle intercettazioni emersero contatti con utenze del Sisde. Facendo i dovuti accertamenti, scoprimmo che Vaccarino aveva intrapreso su istruzioni dello stesso Sisde una corrispondenza epistolare con Messina Denaro e che questi, dopo la scoperta del covo di Provenzano e il rinvenimento dei messaggi da lui inviati con il nome ‘Alessio’, aveva deciso di interrompere ogni comunicazione con Vaccarino. A quel punto, io e i colleghi Pignatone e Lari chiedemmo per lui l’archiviazione. La ricostruzione fondata su documenti ufficiali dimostra dunque che la responsabilità del disvelamento del ruolo svolto da Vaccarino va attribuita esclusivamente al Sisde, che non informò la Procura di Palermo dell’operazione in corso, persino dopo che era stato scoperto il covo di Provenzano ed era in pieno svolgimento l’indagine per identificare i soggetti menzionati nei pizzini sequestrati. Con quella omissione – conclude Scarpinato – i Servizi lasciarono che, come era inevitabile, Vaccarino finisse sotto indagine giudiziaria ed emergesse l’attenzione della magistratura nei suoi confronti“.

Non si è fatta attendere la replica del giornale di Sansonetti, che oggi risponde al senatore dei 5stelle, precisando come letti gli atti, tra questi c’è l’interrogatorio reso dal colonnello De Donno presso il Tribunale di Marsala, all’udienza del 12 maggio 2020 che vide imputato l’ex sindaco di Castelvetrano Antonio Vaccarino, poco prima di morire di Covid,  il quale dichiarò che verosimilmente la fuga di notizie potrebbe aver mandato in fumo la cattura del latitante, precisando che Vaccarino era totalmente affidabile: “Al 100%”, aggiungendo che Vaccarino collaborò alle indagini su Provenzano e Matteo Messina Denaro, portando all’individuazione di fiancheggiatori  e di altri soggetti interni all’organizzazione mafiosa.

 “Sulle incomprensioni, i disguidi e gli errori di comunicazione tra catene di comando diverseprosegue Il Riformista –  è stato scritto molto. I Ros avvisarono per tempo la massima autorità giudiziaria competente, va detto in tutta onestà: la Procura nazionale antimafia allora diretta da Pietro Grasso era non solo al corrente dell’indagine sotto copertura Sisde, ma del tutto consonante e allineata. Lo stesso Grasso, che poi è diventato Presidente del Senato e per un breve periodo Presidente supplente della Repubblica, in seguito alle dimissioni di Giorgio Napolitano e fi no al giuramento di Sergio Mattarella, ingaggiò con Scarpinato una vivace polemica su chi avesse dovuto avvisare chi, e come, e perché”.

Sta di fatto che  nome di Vaccarino venne pure pubblicato dalla stampa mettendo anche in pericolo di vita l’ex sindaco e la sua famiglia.

Il Riformista riporta inoltre che laProcura di Palermo dirigendo le indagini sulla massoneria non approfondì mai la questione del medico Alfonso Tumbarello.

Su questo Gian Joseph Morici, direttore del quotidiano agrigentino La Valle dei Templi, da noi più volte consultato per il suo articolo Matteo Messina Denaro poteva essere catturato già da tempo precisa il suo pensiero: “Della figura di Tumbarello, ho detto che è centrale in questa vicenda per il fatto che Vaccarino, pur conoscendo Salvatore Messina Denaro, si rivolge a lui per un contatto. Questo rende chiara l’idea di come Vaccarino veda nel medico la persona della quale si fida il fratello del latitante”.

Un aspetto, quello che riguarda , il medico Tumbarello, ripreso correttamente da Egidio Morici (a scanso di equivoci non siamo parenti), giornalista di Tp24, il quale mi ha posto domande ben precise:

  • Al collega abbiamo chiesto perché Vaccarino, che conosceva già Salvatore Messina Denaro dato che era stato un suo alunno, si sia rivolto a Tumbarello per un contatto?
  • Una domanda precisa e puntuale questa tua, a cui spettava ad altri trovare la risposta. A differenza di quanto pubblicato oggi (ieri, ndr) da un quotidiano che mi attribuisce l’aver detto che lo fa perché ritiene il medico un soggetto di importante spessore mafioso, al quale sottopone tutti i messaggi perché vengano inviati all’allora latitante Matteo Messina Denaro (affermazioni che non mi appartengono e per le quali ho già chiesto la rettifica) l’unica spiegazione che posso dare al fatto, è quella che il Vaccarino vede nel Tumbarello un soggetto nel quale Salvatore Messina Denaro ripone stima e fiducia. Tumbarello, infatti, non si limita a mettere in contatto i due – non ce ne sarebbe stato bisogno visto che si conoscevano già – ma si presta a farli incontrare presso il suo studio. E’ probabile che sia stato anche presente all’incontro, essendone proprio il “garante” che – così come afferma Vaccarino nel corso dell’interrogatorio del 2007 – lui “utilizza” allo scopo di raggiungere il latitante”.
  • In quell’interrogatorio, Vaccarino affronta anche il tema mafia-massoneria?
  • Certamente. E fa mettere a verbale fatti e nomi, raccontando anche di quando all’Ucciardone, mentre lui stesso era detenuto, personaggi come Mariano Agate, anche lui massone, e Nino Madonia, dimostravano di sapere dell’appartenenza di Vaccarino alla Massoneria, anticipandogli una possibile promozione gerarchica. Non capisco come mai la magistratura che indagava sui possibili contatti tra mafia e massoneria, abbia sottovalutato il ruolo di Tumbarello, che Vaccarino indicava già allora come massone. Va ricordato, inoltre, come l’allora procuratore di Trapani, Marcello Viola, e il sostituto alla Dda di Palermo, Teresa principato, abbiano indagato proprio su questi aspetti, prima di venire “stoppati”. Evidentemente si trattava di argomenti troppo scottanti”.

Interessante l’analisi che il giornalista di Tp24 aveva fatto rispetto l’arresto di Vaccarino nel 2019.

Una storia che era sembrata subito l’effetto di una guerra tra procure.

Sulle vicende che riguardavano le indagini condotte dall’allora procuratore di Trapani, Marcello Viola, e il sostituto alla Dda di Palermo, Teresa principato, abbiamo scritto più volte, ma alla luce anche dei nuovi fatti accaduti, è il caso di tornare a breve sulla figura di un collaboratore di giustizia ritenuto non attendibile, proprio nel momento in cui iniziava a parlare di Massoneria e mafia, in vicende che riguardavano l’allora latitante Matteo Messina Denaro.

Viola, proprio sulla Massoneria  del trapanese, nel 2016 aveva depositato una lista con 460 massoni, tra banchieri, politici, imprenditori e appartenenti alle forze dell’ordine.

Tra i tanti, anche il nome di Tumbarello (ne avevamo scritto qui).

Gian J. Morici

 


Matteo Messina Denaro poteva già essere catturato da tempo

Questa è la conclusione alla quale si arriva dopo aver visto la puntata di ieri di Report, che mostra un documento dal quale si apprende che gli investigatori sapevano della presenza di Matteo Messina Denaro a Campobello di Mazara già dal 2021.

Un documento del novembre 2021 illustrato dal giornalista Marco Bova, autore del libro “Matteo Messina Denaro latitante di Stato”.

Un’annotazione di una fonte anonima riferiva al comandante dei Carabinieri di Campobello di Mazara che Matteo Messina Denaro si trovava a Torretta Granitola.

A Torretta Granitola, spiega il giornalista, c’è un parco acquatico di cui uno dei soci è Andrea Bonafede, l’uomo che ha prestato la propria identità al latitante.

Ma già a far data dal 2017, diversi testimoni avevano sostenuto di aver visto in quella località il boss latitante.

Come mai – si chiede il magistrato Massimo Russo – in provincia di Trapani sono passati i vertici di “Cosa nostra” e non sono mai stati catturati?

Russo sciorina diversi nomi di  mafiosi di primo piano di “Cosa nostra” che sono stati presenti in quella provincia, e spiega la mancata la cattura anche dell’ultimo boss corleonese con la rete di protezione che ne ha garantito la latitanza.

Che usasse ogni escamotage per rimanere fuori da tutto e non essere catturato lo conferma anche un altro ex magistrato, Teresa Principato.

Ma anche di sabotaggio delle indagini, nel momento in cui ci si trovava vicino alla cattura, parla Massimo Russo, al quale fa seguito Teresa Principato che racconta della cattura di Leo Sutera, il boss che incontrò più volte Messina Denaro e che seguivano per arrivare al latitante.

Nonostante l’opposizione della Principato e degli altri pm del pool, l’allora procuratore capo, Francesco Messineo, ne dispose l’arresto nell’ambito di un’indagine minore.

Sfuma così la pista più calda trovata in due decenni.

Secondo l’allora procuratore non era possibile rimandare l’arresto, poiché in materia di mafia vige l’obbligatorietà dell’azione penale.

Messineo viene denunciato al CSM, e nonostante il procedimento venga archiviato, decide di andare in pensione con due anni di anticipo.

L’ennesima pista bruciata. Un’indagine stoppata secondo la Principato.

La Principato a quel punto si concentra sulla massoneria, grazie a un collaboratore cooptato nella loggia di Castelvetrano che parla dell’interesse di Matteo Messina Denaro nella creazione di una loggia coperta.

Un collaboratore che fa i nomi di avvocati, medici, appartenenti alle forze dell’ordine e altri professionisti ,che sarebbero legati a questa nuova Loggia, ma nel momento in cui si inizia a seguire questa pista scoppia un nuovo conflitto.

Francesco Lo Voi, il nuovo capo della procura di Palermo, invita la Principato a interrompere la collaborazione con l’architetto massone Giuseppe Tuzzolino – questo il nome del collaboratore –  ritenendolo non attendibile.

Eppure quanto sia importante il ruolo della massoneria in questa vicenda, ce lo conferma un nome ormai noto alle cronache dopo la cattura di Matteo Messina Denaro.

Quello del medico Alfonso Tumbarello, medico di base di Andrea Bonafede, ma anche medico dell’Andrea Bonafede-Matteo Messina Denaro.

Del professionista di Campobello di Mazzara,  ne ha parlato Report ricostruendone il ruolo di mediatore per un contatto tra Salvatore Messina Denaro e Antonio Vaccarino, l’ex sindaco di Castelvetrano che, collaborando con il Sisde di Mario Mori, entrò in contatto con Matteo Messina Denaro.

Il latitante, con il nome di “Alessio”, scambiò diverse lettere con Vaccarino al quale aveva dato il nome di “Svetonio”.

Nel corso di un’udienza, nel 2012, Vaccarino aveva già fatto il nome di Tumbarello, come quello di colui a cui si sarebbe rivolto per entrare in contatto con Salvatore Messina Denaro, il fratello del boss.

Fu Tumbarello a organizzare un incontro nel suo studio, a seguito del quale l’ex sindaco di Castelvetrano riuscì ad entrare in contatto con il latitante.

Report ha recuperato la registrazione dell’interrogatorio.

Appena ho sentito il nome del medico, ho fatto un balzo sulla sedia, perché Alfonso Tumbarello non è un personaggio da poco”, ha dichiarato nel corso della puntata  di Report l’ex procuratore aggiunto della Dda Teresa Principato.

Eppure Vaccarino, da alcuni magistrati palermitani è stato indicato come il doppiogiochista vicino a “Cosa nostra”.

Avrebbe mai fatto il nome di Tumbarello se così fosse stato?

Quella di Vaccarino, della sua collaborazione con il Sisde di Mori, della fuga di notizie che fece scoprire il suo ruolo di infiltrato che collaborava alla cattura del mafioso latitante, è una storia che andrebbe riscritta anche alla luce di questi nuovi fatti che sembrano smentire le ipotesi della procura di Palermo.

È bene infatti ricordare l’uso giudiziario, anche recente, delle dichiarazioni che a suo tempo fece Vincenzo Calcara contro Antonio Vaccarino, dando valore alle propalazioni di quello che anche al processo contro Matteo Messina Denaro per le stragi dei primi anni ’90, è stato definito “un inquinatore di pozzi” e “pentito eterodiretto”.

E su quello che accadeva quando ci si avvicinava troppo all’ex latitante, mi piace ricordare Damiano Aliprandi (uno dei pochi giornalisti che ha il coraggio di andare controcorrente) che così chiudeva un suo articolo pubblicato da Il Dubbio, dopo la morte in carcere di Vaccarino:  A proposito di giustizia c’è la quarta beatitudine del Vangelo che recita così: «Beati gli affamati e gli assetati di giustizia perché saranno saziati». Da tempo il giornalista Frank Cimini, che grazie al prolungato contatto con i magistrati, ha preso in prestito questa beatitudine del Vangelo per coniare una nuova massima che, anche in questa terribile vicenda, trova fondamento: «Beato chi ha fiducia nella giustizia perché sarà giustiziato».

Una domanda che viene spontaneo porsi, è cosa abbiano fatto i magistrati che secondo Report già dal 2012 sapevano che il tramite tra Vaccarino e il fratello del boss, era stato il medico Tumbarello, del quale tanto si parla in questi giorni.

Ma la storia sembra risalire ancora a qualche anno prima, quando la stessa narrazione, Vaccarino la fa a due noti magistrati: Giuseppe Pignatone e Roberto Scarpinato.

Secondo quanto appreso da testimoni, il Tumbarello, dopo che venne resa nota la collaborazione tra Vaccarino e il Sisde, troncò i rapporti con l’ex sindaco.

Un effetto secondario alla fuga di notizie che aveva fatto scoprire il ruolo del sindaco 007, bruciando di fatto qualsivoglia possibilità di continuazione dell’operazione Svetonio-Alessio, che – come si evince da documenti del 2007 – Vaccarino manifestava ai magistrati di voler continuare, nonostante l’elevato rischio per la sua vita e forse quella dei suoi cari.

Se la Principato ritenne stoppata l’indagine che riguardava la massoneria, non meno perplesso e deluso si dovette sentire l’allora procuratore di Trapani, che come lei, e talvolta insieme a lei, batteva la stessa pista.

Tra gli affari del boss, i magistrati ritengono di individuare il villaggio Valtur di Favignana.

Un luogo dove i politici svolgevano le cene a base di aragosta e champagne, tutto gratis compreso il soggiorno.

La7, nel corso del programma Piazza Pulita, mostra i documenti di questi soggiorni e cene gratuite di cui usufruivano molti politici.

Vacanze e cene gratuite fatte con il proprietario della Valtur, Carmelo Patti.

Tra i nomi, quello di Renato schifani, che una vacanza di poco meno di 20.000 euro, non la pagò neppure un centesimo.

Così come a costo zero è l’incontro di governo tra La Loggia, Schifani e D’Alì, anche questo offerto da Patti.

Non manca Salvatore Cuffaro, che usufruisce della benevolenza del patron della Valtur, con un capodanno alle Maldive da 15.000 euro a costo zero.

Sono gli anni in cui ai vertici della procura di Trapani c’è un magistrato, quando le indagini sugli interessi economici di Matteo Messina Denaro portano a richieste di sequestro beni per miliardi di euro.

Inchieste che vedono coinvolti nomi importanti dell’economia non solo isolana, dinanzi i quali, Marcello Viola, all’epoca procuratore di Trapani e  attuale procuratore di Milano, non arretra di un passo.

Eh sì, ma Viola non si ferma lì.

Vuole indagare sulla latitanza di Matteo Messina Denaro, sulle coperture di cui gode, sulla massoneria trapanese.

Nel 2016 – come riporta Report – Viola deposita una lista con 460 massoni, tra banchieri, politici, imprenditori e appartenenti alle forze dell’ordine.

Tra i tanti, anche il nome di Tumbarello.

Un magistrato che per molti – non solo per il braccio armato della mafia – rappresenta un serio pericolo.

La strada spianata per una carriera brillante?

Macchè, poco ci manca che lo arrestano.

A condurre le indagini è la Guardia di Finanza che mette nel mirino due magistrati, Maria Teresa Principato e Marcello Viola, accusati di violazione del segreto d’ufficio con l’aggravante di aver favorito la mafia, avendo ostacolato la Dda di Palermo svolgendo le loro indagini.

Sì, proprio quelli che indagavano sulla massoneria e sulla latitanza di Matteo Messina Denaro.

 

Con loro, anche l’appuntato della Guardia di Finanza Calogero Pulici, assistente della Principato.

Una storia che abbiamo narrato più volte, a partire dalle assoluzioni di Pulici, per arrivare al furto del suo computer all’interno di una delle stanze più blindate della procura di Palermo, che pare però non rappresenti reato.

Ma non finisce lì. Quantomeno non finisce lì per Viola.

Archiviata la vicenda dell’accusa di violazione del segreto d’ufficio (inesistente), per il magistrato, nel frattempo nominato procuratore generale di Firenze, sembra aprirsi la strada per una nomina a capo della procura di Roma.

Sì, proprio quella che vale un paio di ministeri.

Viola a Roma?

Non scherziamo con le cose serie.

Sulla successione dell’uscente Giuseppe Pignatone, si apre uno scontro violento, a colpi di fughe di notizie, ricorsi al Tar, al Consiglio di Stato, per arrivare  – nonostante Viola li avesse vinti tutti – a mettere fuori gioco quello che era già il procuratore in pectore e garantire la successione di Pignatone.

Di Viola, indicato come l’unico non ricattabile, Sabrina Pignedoli, europarlamentare e giornalista antimafia, dirà:

Certamente a ricoprire il ruolo di procuratore capo di Roma non poteva andare Marcello Viola: purtroppo ha un brutto vizio quel magistrato, fa le indagini e le fa in maniera indipendente. Addirittura a Trapani ha osato indagare sulle logge massoniche e i loro collegamenti con le mafie: cattivo, cattivo, cattivo!!! Non adatto per una procura delicata come Roma, dove tra palazzi del potere, potentati economici, logge di vari colori e Vaticano bisogna sapersi giostrare con la ‘giusta’ cautela

«Beato chi ha fiducia nella giustizia perché sarà giustiziato».

Ma come fa un magistrato a non avere fiducia nella giustizia?

Gian J. Morici