Confermato l’ergastolo al boss Tagliavia per la strage di via dei Georgofili

 

La seconda sezione penale della Cassazione ha stabilito la conferma dell’ergastolo al boss palermitano di Brancaccio Francesco Tagliavia per aver fornito l’esplosivo ha provocato la strage in via dei Georgofili a Firenze. Tagliavia era già stato condannato all’ergastolo per l’omicidio Borsellino, insieme a Riina, Greco e Graviano.
La nuova condanna arriva nell’ambito del processo bis al termine della riserva stabilita dopo la camera di consiglio un mese fa. Il 20 gennaio scorso, infatti, il sostituto pg, Mario Pinelli aveva sollecitato la conferma della sentenza emessa dalla Corte d’appello di Firenze il 24 febbraio 2016 che aveva condannato nuovamente Tagliavia all’ergastolo e all’isolamento diurno di un anno. Questa è la seconda volta che il processo approda in Cassazione, dal momento che la stessa Suprema Corte aveva annullato con rinvio la prima sentenza d’appello per una valutazione degli elementi di prova a sostegno delle dichiarazioni dei pentiti Gaspare Spatuzza e Pietro Romeo che accusavano Tagliavia.
La strage di via dei Georgofili è stato una delle stragi di mafia del biennio 1992-93; l’attentato è stato compiuto nella notte fra il 26 e il 27 maggio del 1993 quando un’autobomba con 277 kg di esplosivo esplose in via dei Gergofili a Firenze uccidendo cinque persone: i coniugi Fabrizio Nencioni (39 anni) e Angela Fiume (36 anni) con le loro figlie Nadia Nencioni (9 anni), Caterina Nencioni (50 giorni di vita) e lo studente Dario Capolicchio (22 anni). I feriti furono più di 40 e numerosi furono i danni alla Galleria degli Uffizi.
“Era lui il capo famiglia, era lui che aveva mandato l’esplosivo a Firenze in via dei Georgofili”. Così Giovanna Maggiani Chelli, presidente Associazione vittime strage via dei Georgofili, commenta l’ergastolo di Tagliavia. “Il boia dei nostri figli. Ma sopratutto, pur aspettando le motivazioni – conclude Maggiani Chelli – è evidente che Gaspare Spatuzza è attendibile e la trattativa stato/mafia non si può più dire presunta”. IL SICILIA 20.5.2017

Strage dei Georgofili: “Pentiti attendibili su Tagliavia”


 

6.2.2020 FIRENZETODAY “Favori a Cosa Nostra”, 12 arrestati: riciclavano denaro per Tagliavia jr, figlio dello stragista dei Georgofili

La Dda: “Soldi mafiosi riciclati nell’economia toscana”. Le misure cautelari eseguite nell’hinterland fiorentino

Una maxi operazione antimafia, condotta dalla guardia di finanza di Prato e coordinata dalla Dda di Firenze, è stata effettuata dalle prime luci dell’alba su tutto il territorio nazionale. Circa 300 militari hanno arrestato 12 persone – 10 siciliani e 2 pugliesi – accusate di associazione a delinquere e riciclaggio a favore di Cosa nostra, nell’ambito dell’inchiesta “Golden Wood”. Gli arrestati, secondo le accuse, “lavoravano” per Pietro Tagliavia, figlio di Francesco Tagliavia, già al vertice del mandamento di Brancaccio, condannato all’ergastolo per le stragi di via d’Amelio a Palermo e via dei Georgofili a Firenze.

Tra i destinatari delle misure cautelari emessa dal gip ci sono persone residenti a Prato e altre nei comuni dell’hinterland fiorentino, tra cui Campi Bisenzio e Sesto Fiorentino. Fanno parte di due famiglie di origini siciliane e pugliesi, trapiantate anni fa nel Lazio e in Toscana. Secondo le indagini dell’antimafia, gli arrestati riciclavano i proventi degli affari criminali della famiglia mafiosa di Corso dei Mille di Palermo, capeggiata da Pietro Tagliavia, già condannato con sentenza irrevocabile per il reato di associazione mafiosa.

Dei 12 arrestati, sei sono in carcere e sei ai domiciliari. Dietro le sbarre sono finiti i palermitani Francesco Paolo Clemente, Gaetano Lo Coco, Francesco Paolo Mandalà, Giacomo Clemente, Francesco Paolo Saladino e il foggiano Alfonso Domenico Interiale. Ai domiciliari invece Leonardo Clemente, Pietro Clemente, Santo Bracco, Giulia, Filippo e Vincenzo Rotolo. Anche questi sono tutti originari di Palermo, tranne Bracco che è nato a Gangi. Effettuate 120 perquisizioni.

Complessivamente, gli indagati sono 60. I reati contestati sono associazione a delinquere finalizzata a riciclaggio, autoriciclaggio, emissione di fatture per operazioni inesistenti, nonché reati di intestazione fittizia di beni, contraffazione di documenti di identità e sostituzione di persona. Sequestrate anche 15 aziende, 86 conti correnti e numerose armi.

Gli indagati, secondo quanto ipotizzato dagli inquirenti, si erano messi a completa disposizione di Pietro Tagliavia, nel periodo in cui egli era detenuto nella casa circondariale di Prato, tanto da reperirgli nel 2017 un’abitazione a Campi Bisenzio, dove lo stesso aveva poi scontato gli arresti domiciliari e da fornirgli, clandestinamente, un telefono con il quale mantenere i contatti anche con i propri sodali in Sicilia.

La provenienza dalla Sicilia di parte del denaro riciclato avrebbe trovato conferma anche in molte conversazioni telefoniche intercettate e nei successivi riscontri investigativi. Nel corso delle indagini sarebbero stati inoltre rilevati movimenti di denaro, evidentemente ‘ripulito’, a favore del capocosca palermitano. Il riciclaggio avrebbe riguardato anche i proventi dei reati di emissione e utilizzo di fatture per operazioni inesistenti, commessi sia nell’ambito dei rapporti tra le imprese gestite dall’organizzazione che a favore di aziende ad essa estranee.

Gli inquirenti coordinati dal procuratore capo di Firenze Giuseppe Creazzo ritengono di aver ricostruito un flusso illecito di denaro per circa 150 milioni di euro, di cui 39 provenienti direttamente da soggetti di Palermo legati alla mafia. Secondo le accuse, si tratta di soldi riciclati principalmente nell’economia toscana. L’associazione a delinquere avrebbe infatti immesso nel circuito economico denaro di provenienza illecita attraverso le creazione di una galassia di 33 imprese con sedi in tutta Italia, in particolare in Toscana, Sicilia e Lazio, tutte aventi per oggetto sociale il commercio dei pallets, le pedane in legno usate per il trasporto e la movimentazione di materiale.

Le fatture inesistenti, sempre secondo le accuse, venivano emesse sia tra aziende interne al gruppo criminale, sia a favore di aziende ad esso estranee, che usufruendo del servizio illegale si sarebbero così garantite cospicui vantaggi fiscali. Le imprese ‘sane’ avrebbero versato tramite bonifico, alle cartiere facenti capo al gruppo criminale, il corrispettivo degli importi falsamente fatturati (per consegne di pallets mai avvenute). Corrispettivo che poi veniva restituito in contanti, decurtato del 10% a titolo di commissione.

“L’operazione di oggi – commenta il presidente della Toscana Enrico Rossi, che ringrazia agenti e inquirenti – dimostra, come già abbiamo più volte affermato, che la Toscana non è immune né da attività criminose di tipo mafioso né da vere e proprie presenze organizzate. E ci ricorda che occorre continuare a tenere alta la guardia contro la capacità di radicamento della criminalità organizzata”.

“Per contrastare e battere le mafie – aggiunge il governatore – è determinante l’attività di repressione della magistratura e delle forze di polizia. Ma è altrettanto fondamentale il contributo di tutti. Per questo rivolgo un appello ai cittadini tutti e agli imprenditori, spesso vittime di attività illecite come l’usura, a segnalare e denunciare tutto quello che può configurarsi come fenomeno criminale e mafioso”.