Lettera a Paolo e Agnese Borsellino di Pippo Giordano.

2 GIUGNO 2013.

 Caro dottore Paolo Borsellino, io sono ancora offeso per il mancato appuntamento che avevamo fissato per lunedì 20 luglio 1992. Quando il venerdì 17 luglio ci salutammo, lei mi disse: “Ispettore ci vediamo lunedì..”. Ed è da allora che sono in attesa  di conoscere i motivi del perchè qualcuno ha impedito di vederci di nuovo. Immagino che lei, caro dottore Borsellino, sappia da lassù tutta la verità. Anch’io la conosco, anch’io so quali sono stati i motivi che diedero luogo all’uccisione di Giovanni Falcone e quindi alla strage di Capaci e a quella dove lei è stato ucciso con l’esplosione di via d’Amelio. Lo so! Epperò ci vogliono le prove, ma io e lei sappiamo bene che le verità non sono solo quelle giudiziarie. 
Caro dottore, una volta parlando con due giovani Magistrati, lei si accasciò sul divano e piangendo copiosamente disse: “Non posso pensare che un amico mi abbia tradito”. Ecco, lei non ebbe il tempo di verificare quello di cui era venuto a conoscenza e tuttavia sapeva benissimo che quello che aveva scoperto era un’amara verità: vera verità! Io so chi era quel suo amico. Anzi più di uno, solo che non posso provarlo. 
Ieri suo fratello Salvatore, che mi onoro delle sua amicizia, ha perso una battaglia ma non la guerra: io e tanti altri non permetteremo mai che questa guerra finisca a tarallucci e vino. I Magistrati hanno deciso che Salvatore Borsellino, suo fratello, non possa essere ammesso al processo come parte civile. Parimenti hanno deciso che il Movimento Agende Rosse, costituito proprio da suo fratello Salvatore, non possa essere ammesso. Le decisioni della Corte mi sono giunte come un fulmine a ciel sereno e quindi ritengo con tutta franchezza che siano opinabili. 
La verità, caro dottor Paolo Borsellino, è che suo fratello e le Agende Rosse, sono visti come “guastatori” di un disegno oramai palesemente noto. Tornado e cicloni si stanno abbattendo sul cielo di Palermo: il tutto per sollevare una coltre di nebbia il cui fine è ammantare la verità sulla trattativa Stato-mafia e ricacciare nell’oblio gli scampoli di verità portati alla luce dai suoi colleghi come Ingroia e Di Matteo. 
Inoltre, caro dottore, pur non entrando nel merito, non posso allarmarmi per l’arresto di Massimo Ciancimino. Era proprio necessario compiere l’arresto, visto che lo stesso era ed è il principale teste nel processo Stato-mafia? Massimo Ciancimino non si è mai sottratto alle sue responsabilità e si è sempre reso disponibile. E purtuttavia sono ancora qui a sollecitare Massimo Ciancimino a non mollare. 
Le telefonate distrutte, depistaggi alla Scarantino, falsi scoop sulla foto della sua Agenda Rossa, minacce di morte al suo collega Antonino Di Matteo, l’esclusione al processo di suo fratello Salvatore, mi costringono a dire che: “Questo processo non s’ha da fare”. Ciò non di meno, ho piena fiducia nei suoi colleghi giudicanti e mi auguro davvero che verità, oltre a quello che noi due conosciamo, sia scritta a sentenza. 
Signora Agnese, le avevo promesso che a luglio sarei venuto a casa sua. Però avevo in animo di farle una sorpresa il 23 maggio scorso, quando sono stato invitato a salire sulla nave della memoria diretta a Palermo: l’avevo confidato alla sua cara amica Gabriella: “Il 23, faccio una sorpresa ad Agnese”. Ma in quella nave per un manovale del Diritto, com’ero io, non c’era posto e quindi non sono riuscito a farmi regalare da lei un sorriso: ne avevo davvero bisogno. 
Caro dottore Paolo e cara signora Agnese, vi verrò ugualmente a trovare nella vostra dimora, conosco la strada. So che mi aspettate e così tutti e tre ci racconteremo le nostre verità: verità diverse da chi non vuol sentire il fresco profumo di libertà.   Pippo Giordano

 


BORSELLINO, SE NON TI AVESSERO AMMAZZATO, MIZZICA COME AVREMMO SCOPERTO LA VERITÀ!

 di Pippo Giordano Io, poliziotto che ho combattuto la mafia a fianco del magistrato assassinato con la scorta in via D’Amelio a Palermo 28 anni fa, ho tante domande per certi gnorri…

L’ostilità di certi “colleghi” verso Paolo Borsellino era ampiamente nota. Persino il progetto di escluderlo nelle indagini sulla strage di Capaci, dove perse la vita suo “fratello” Giovanni Falcone, appare inconcepibile. Quanti bastoni tra le ruote ci sono stati per impedire che Borsellino interrogasse Gaspare Mutolo? Tanti! Io e Mutolo aspettavamo da giorni l’arrivo di Borsellino. Poi finalmente il primo luglio 1992 abbiamo iniziato gli interrogatori, che si sono susseguiti il 16 e 17 luglio. Il 19 la tragedia.
“Quando Pippo mi ha contattata per intervenire telefonicamente, avevo detto di no, perché m’ero convinta che si trattasse di un convegno di politici. Poi, invece, ho saputo che avrei dovuto parlare con voi. E siccome Paolo aveva molta fiducia negli studenti, ho accettato volentieri” .
Queste le parole della signora Agnese Borsellino, che intervenne telefonicamente ad un incontro con gli studenti presenti in un Teatro abruzzese. La signora Agnese, tra l’altro evidenziò l’attaccamento di suo marito allo Stato e alle Istituzioni. Io la richiamai per ringraziarla e nell’occorso mi invitò a casa sua, ma purtroppo non feci in tempo a raggiungere Palermo.
Il prossimo 19 luglio si ricorderà l’anniversario della strage di via D’Amelio ed io mi chiedo, quanti appartenenti allo Stato – poliziotti, magistrati, ex magistrati – possano vantare lo stesso attaccamento che Paolo Borsellino aveva verso lo Stato e la Giustizia. Ventotto anni sono trascorsi dall’eccidio di via D’Amelio e ancora oggi non si è in grado di iscrivere definitivamente la parola Verità.
Ci sono personaggi intervenuti nell’immediatezza della strage e nei successivi anni, che fanno gli gnorri. Siamo innanzi al più grande depistaggio della Repubblica italiana e c’è ancora qualcuno che addirittura non sente la necessità, oserei dire il pudore, d’ammettere d’aver preso cantonata nel dare credito alle insulse parole di un pseudo uomo d’onore di Cosa nostra qual’era tal Vincenzo Scarantino. Vincenzo Scarantino, da “pisciteddu di cannuzza” è stato elevato al rango di uomo d’onore di Cosa nostra. Egli rappresenta il primo e unico caso di punciuto da parte dello Stato; un pupo manovrato da pupari per confezionare dei colpevoli, risultati poi innocenti, compreso suo cognato Profeta – uomo d’onore – da me sconosciuto personalmente. Non ho elementi di fatto per affermare che il depistaggio di via d’Amelio, sia stato un atto doloso o causato da inesperienza investigativa, o per dare in pasto all’opinione pubblica dei “colpevoli”. Ma sta di fatto che ancora oggi in tanti tacciano e se la smettessero di fare passerelle mediatiche, sarebbe cosa buona e giusta, almeno per rispetto dei caduti di via D’Amelio.

Io, aspetto con rispettoso silenzio il verdetto che scaturirà dai processi in itinere. Sperando che questa volta i pozzi saranno stati sanificati. Ci apprestiamo come consueto a ricordare le vittime della Strage di via D’Amelio e sento l’obbligo di citare i nomi: Paolo Borsellino, Emanuela Loi, Walter Eddie Cosina, Claudio Traina, Vincenzo Li Muli e Agostino Catalano. Tutti miei colleghi appartenenti alla Polizia di Stato, addetti alla scorta di Borsellino. Rimase illeso l’altro mio collega Antonino Vullo, che abbraccio affettuosamente.
Ancora oggi sento rabbia dentro di me, specialmente vedendo tanti personaggi che in modo spocchioso affermano di essere stati “amici” di Paolo Borsellino o di aver consumato con lui pranzi luculliani. Mistificazione pura della realtà. L’ostilità verso Paolo Borsellino era ampiamente nota. Persino il progetto di escluderlo nelle indagini sulla strage di Capaci, dove perse la vita suo “fratello” Giovanni Falcone, appare inconcepibile.
Quanti bastoni tra le ruote ci sono stati posti per impedire, che Paolo Borsellino interrogasse Gaspare Mutolo? Tanti! Io e Mutolo aspettavamo da giorni l’arrivo di Paolo Borsellino. Poi finalmente il primo luglio 1992 abbiamo iniziato gli interrogatori, che si sono susseguiti il 16 e 17 luglio. Il 19 la tragedia. Il represso odio nei confronti di Paolo Borsellino e di Giovanni Falcone aveva origini lontane. Ma che la genesi di tanto odio, provenisse da “fuoco amico”, fa pensare sulla genuinità comportamentale di alcuni magistrati. In ultimo, vorrei parlare di un supposto pentito di mafia, tal Vincenzo Calcara, ma preferisco sul personaggio stendere un velo pietoso.

Dottor Paolo Borsellino, mi mancano tantissimo le nostre oceaniche fumate: sigarette a iosa. Lei aveva programmato mesi e mesi di lavoro insieme. Purtroppo il 19 è stato fatale. Immagino come sarebbe stato il nostro lavoro, con l’arrivo alla DIA di altri 4 collaboratori di giustizia: Pino Marchese, suo cugino Giovanni Drago, Santino Di Matteo e Gioacchino La Barbera. Mizzica, sarebbe stato bellissimo, conoscendo la sua alta professionalità. Lei dottor Paolo Borsellino è e sarà sempre nel mio cuore, così come i miei colleghi Emanuela, Agostino, Walter, Claudio e Vincenzo. 17 Lug 2020 LA VOCE DI NEW YORK


PIPPO GIORDANO poliziotto Dia: “Due giorni prima Borsellino e io interrogammo Mutolo”