𝗗𝗮𝗹𝗹’𝗮𝗴𝗲𝗻𝗱𝗮 𝗮𝗹𝗹’”𝘂𝗼𝗺𝗼 𝗱𝗲𝗹 𝗴𝗮𝗿𝗮𝗴𝗲”: 𝘁𝘂𝘁𝘁𝗶 𝗶 𝗽𝘂𝗻𝘁𝗶 𝗶𝗿𝗿𝗶𝘀𝗼𝗹𝘁𝗶 𝘀𝘂𝗹 𝗱𝗲𝗽𝗶𝘀𝘁𝗮𝗴𝗴𝗶𝗼

di Saul Caia sul Fatto del 09/04/2023

Le motivazioni della sentenza.
Via D’Amelio. I giudici scrivono di una figura “istituzionale” sul luogo della consegna della Fiat 126 usata per l’attentato

Il processo di primo grado si è concluso con la prescrizione dei poliziotti Mario Bo e Fabrizio Mattei e l’assoluzione del loro collega Michele Ribaudo.
Nelle oltre 1400 pagine di motivazioni della sentenza emessa dal tribunale di Caltanissetta il 12 luglio 2022 sul depistaggio dell’inchiesta sulla morte di Paolo Borsellino e dei suoi uomini della scorta ci sono tuttavia alcuni punti che restano senza risposta.

I giudici hanno ripercorso trent’anni di indagini e processi, mettendo nero su bianco la possibile presenza di una “figura istituzionale” nel garage di via Villasevaglios a Palermo, dove venne preparata la fiat 126 il giorno prima della strage; scrivendo di “insanabili contraddizioni” legate alla scomparsa dell’agenda rossa ed elencando le quattro differenti versioni rese dall’ex magistrato Ayala sull’argomento.

“𝗟’𝘂𝗼𝗺𝗼 𝗻𝗲𝗹 𝗴𝗮𝗿𝗮𝗴𝗲”.
Partendo dal racconto del pentito Gaspare Spatuzza, i giudici dedicano un paragrafo alla “presenza del terzo estraneo al momento della consegna della Fiat 126 (imbottita con 100 kg di tritolo e usata per l’attentato, ndr), sabato 18 luglio 1992, nel garage di via Villasevaglios”.

“Nel momento in cui Renzino Tinnirello mi sta pilotando, io allungo la visuale e oltre a Tinnirello c’è una persona più in fondo rispetto a Tinnirello nel garage”, dice Spatuzza. “L’aveva mai vista?”, chiede il pm Stefano Luciani. “Mai vista perché altrimenti non passava inosservato”, replica il collaboratore. “Il misterioso uomo del garage – scrivono i giudici -, ove mafioso, avrebbe dovuto essere un soggetto di indubbia caratura, pienamente addentro alle dinamiche di Cosa nostra”. Inoltre, “Spatuzza non incontrerà più il soggetto visto in quell’occorso”.

Per questo, “la presenza anomala e misteriosa di un soggetto estraneo a Cosa nostra – si legge nelle motivazioni – si spiega solo alla luce dell’appartenenza latu senso istituzionale del soggetto
non potendo logicamente spiegarsi altrimenti il fatto di consentire a un terzo estraneo alla consorteria mafiosa di venire a conoscenza di circostanze così delicate e pregiudizievoli per i soggetti coinvolti come la preparazione dell’autobomba destinata all’uccisione di Borsellino”.

Nella successiva pianificazione delle stragi del “biennio 1993-1994”
(Stadio Olimpico, Maurizio Costanzo, Salvatore Contorno, ndr), gli attentati fallirono, secondo il racconto di Spatuzza, a causa delle “apparecchiatura rudimentale” preparate da Salvatore Benigno.

“Pare evidente – scrivono i giudici – concludere che ove Cosa nostra, avesse avuto ‘a disposizione’ un esperto di attivazione a distanza della carica esplosiva, non avrebbe avuto motivo di avvalersi di Benigno” che aveva fallito, ma bensì rivolgersi “a chi in occasione di via D’Amelio aveva (purtroppo) dato buona prova”.

Per questo, sarebbe “innegabile che la corretta individuazione dell’identità del soggetto visto da Spatuzza potrebbe costituire un punto di svolta nelle indagini volte a dare concretezza inoppugnabile alla tesi della partecipazione (morale e materiale) alla strage di Via D’Amelio di altri soggetti (diversi da cosa nostra) o di gruppi di potere
interessati all’eliminazione di Borsellino”.

𝗟’𝗮𝗴𝗲𝗻𝗱𝗮 𝗲 𝗶 𝗰𝗮𝗿𝗮𝗯𝗶𝗻𝗶𝗲𝗿𝗶.
Secondo i giudici, dal processo emerge un altro elemento, le “insanabili contraddizioni” dei protagonisti legati alla scomparsa dell’agenda rossa di Borsellino. Il “tenente colonnello e comandante del gruppo Carabinieri Palermo I, Emilio Borghini” e il “capitano Giovanni Arcangioli”, presenti al momento della strage, riferiscono a processo “di non aver mai parlato” e di aver fatto “alcun riferimento alla vicenda della borsa”.

Eppure, “nel video in atti (depositato dall’avvocato Fabio Repici, legale della famiglia Borsellino, ndr), si vedono vicini tra loro intenti a parlare” in via d’Amelio.

𝗟𝗮 “𝘀𝗲𝗰𝗼𝗻𝗱𝗮 𝗯𝗼𝗿𝘀𝗮”.
Nelle motivazioni è citata la sentenza di proscioglimento di Arcangioli (accusato del furto della borsa di Borsellino) in cui il “gup di Caltanissetta”, “oltre a sostenere la possibile esistenza di più borse di Borsellino e la possibilità che l’agenda rossa possa essersi disintegrata per effetto dell’esplosione”, arriva a “mettere in dubbio anche la stessa esistenza dell’agenda rossa all’interno della borsa del magistrato così argomentando”.

Secondo la sentenza di proscioglimento, “l’intervento dell’ass. Francesco Paolo Maggi” avrebbe “preceduto Arcangioli, il quale sarebbe poi venuto in possesso, evidentemente, di una ulteriore borsa poi definitivamente scomparsa”.

A sostegno della stessa tesi, c’è “l’apporto dichiarativo di Rosario Farinella (carabiniere e membro della scorta dell’allora deputato Giuseppe Ayala)”. Tesi che non convince i giudici, anche perché Maggi indica l’auto sbagliata e non redige “nessuna annotazione di servizio”.

𝗟𝗲 𝟰 𝘃𝗲𝗿𝘀𝗶𝗼𝗻𝗶 𝗱𝗶 𝗔𝘆𝗮𝗹𝗮.
“Appare inspiegabile – si legge nelle motivazioni – il numero di mutamenti di versione rese nel corso degli anni” dall’ex magistrato Ayala.
Iniziando dal luglio 1998, in cui Ayala parla di “un uomo in divisa, forse un ufficiale dei Carabinieri aprì la portiera, estrasse la borsa e fece il gesto per consegnargliela, ma lui rifiutò di prenderla in mano”.
A settembre 2005, dopo la pubblicazione delle immagini che immortalano Arcangioli con la borsa, il magistrato afferma “che non era più un ufficiale dei carabinieri in divisa ad estrarre la borsa dalla macchina, ma egli stesso che nel frangente provvedeva a consegnarla all’ufficiale”.
Un anno dopo (febbraio 2006) spiega di “essere certo che chi ha prelevato la borsa dall’auto fosse in borghese e non in divisa” e “non è stato lui a estrarre a borsa, ma che l’ha presa in mano e consegnata ad un ufficiale in divisa”.
Infine (luglio 2019), l’ex magistrato conferma che “consegna la borsa ad un ufficiale dei carabinieri in divisa”.