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AUDIO – Deposizioni ai processi Via D’Amelio
Antonio Vullo era nella scorta del giudice Paolo Borsellino ucciso il 19 luglio 1992. Parla delle celebrazioni vissute “come momento istituzionale e non con il cuore” e del suo impegno con le nuove generazioni per tenere vivo il ricordo
AGI – “Il 19 luglio per me è tutti i giorni, ma lo deve essere per tutti perché il sacrificio di chi ha lavorato per la nostra terra non deve essere dimenticato”. Parla ad AGI dalla sua casa Antonino Vullo, l’unico superstite della strage di via D’Amelio.
In questa via di Palermo c’è silenzio, la vita tutti i giorni corre veloce e il 19 luglio, giorno dell’eccidio, la marea di giovani e personalista delle istituzioni la invade per ricordare il giudice Paolo Borsellino e i cinque agenti della scorta Agostino Catalano, Emanuela Loi, Vincenzo Li Muli, Walter Eddie Cosina e Claudio Traina, tutti componenti della Scorta del Quarto Savona 21.
“Il 19 luglio – aggiunge – deve essere vissuto durante gli atti giornalieri di via quotidiana, durante tutte le nostre azioni per un futuro migliore. Solo così lo potremmo avere”. In questi trent’anni migliaia di persone si sono recate alle celebrazioni della commemorazione “ma io – racconta Vullo – in via d’Amelio ci vado da solo anche durante l’anno. Ci vado perché ancora il ricordo di quel giorno rimbomba nella mia mente”.
Trent’anni non sono pochi per ricostruire e dare un nome “alle menti raffinatissime che hanno organizzato tutto questo”. Riprende le parole di Giovanni Falcone, il giudice che venne ucciso 57 giorni prima di Borsellino, perché tanti misteri aleggiano dietro a quella stagione di tritolo, morte e lacrime.
Per l’agente superstite le celebrazioni per le stragi vengono vissute da molti come “un momento istituzionale, ma non con il cuore”. Così si continuano a cercare risposte cercando di mettere insieme tutti i tasselli di un depistaggio.
E pensa alla sentenza pronunciata dal Tribunale di Caltanissetta qualche giorno addietro a carico di tre poliziotti, uno assolto e due raggiunti da prescrizione. “Non possono essere stati loro gli artefici del depistaggio – sottolinea con nettezza Vullo – forse hanno eseguito degli ordini che sono giunti dall’alto“.
Vullo qualche anno prima della strage di via D’Amelio era stato al reparto mobile con Michele Ribaudo, l’unico che è stato assolto al processo di primo grado celebrato a Caltanissetta.
Preferisce non entrare nel merito della sentenza dei giorni scorsi anche se confessa di essere “stanco e amareggiato” perché dopo trent’anni “c’è tanto occultato tra le istituzioni ma bisogna arrivare a una verità storica sulle due stragi”.
Il riferimento è anche a quella di Capaci in cui persero la vita i giudici Giovanni Falcone e Francesca Morvillo e gli agenti di scorta Vito Schifani, Rocco Dicillio e Antonino Montinaro.
A trent’anni dalla strage Vullo sarà presente alla deposizione delle corone d’alloro ai caduti e poi andrà in quella strada dove la sua vita è cambiata totalmente: “Ancora oggi non mi abbandona l’immagine di quando gli agenti mi hanno bloccato la prima volta, mentre cercavo di raggiungere i miei colleghi, e sotto il mio piede ho trovato quello di Claudio Traina che fino a qualche istante prima era seduto in macchina accanto a me. Poi mi bloccarono una seconda volta. Era tutto nero”.
Quindi il risveglio in ospedale e “l’inizio di una nuova vita, anche se non è stato semplice”. Quelle immagini tornano sempre in mente, in particolare quando ha dovuto lottare per ottenere i riconoscimenti che gli spettavano “perché essere un sopravvissuto è difficile e siamo scomodi per tutti.
Non parlo solo per me, ma anche per i colleghi sopravvissuti per la strage di Capaci. Abbiamo sofferto e soffriamo tutti i giorni. Ci portiamo dentro tantissime ferite e quello che fa più male è averle portate all’interno della famiglia”.
I suoi due figli, il più grande ha compiuto trent’anni sei mesi fa, hanno deciso di prendere strade diverse dal padre. Nessuno dei due indossa la divisa “che io ho portato con orgoglio, era il mio sogno da ragazzino e l’ho fatto fino alla fine”.
E aggiunge: “Lo rifarei – assicura ad AGI – perché ho avuto la possibilità di lavorare con il giudice Paolo Borsellino, un magistrato che meritava tantissimo e si poteva fare tantissimo, ma lo Stato di quel momento non ha voluto”.
Quella divisa ormai non c’è più, c’è un dato processuale importante al momento: sono stati condannati diversi esponenti di Cosa nostra, la prescrizione l’hanno ottenuta due poliziotti del gruppo “Falcone-Borsellino”, che nel ’92 erano alle dipendenze di Arnaldo La Barbera, e i misteri continuano a incombere come nuvole nere.
Da trent’anni, con i vari processi pendenti, le vittime rinnovano le loro sofferenze, il loro dolore non perdendo mai le sane aspettative di verità. Nel frattempo si cerca di guardare avanti.
Vullo e Luciano Traina, il fratello di Claudio, che era tra gli agenti che hanno catturato Giovanni Brusca, girano insieme per le scuole raccontando la stagione sanguinaria del ’92.
Lo fanno con senso di responsabilità perché la memoria di quegli anni bui della Sicilia non venga cancellata, insieme alla speranza di fare piena luce.
19 luglio 2022
La testimonianza di Antonio Vullo, il poliziotto sopravvissuto
Dalla deposizione del teste Antonio Vullo si desume che il 19 luglio 1992 egli si recò presso l’abitazione estiva di Paolo Borsellino, a Villagrazia di Carini, insieme a Claudio Traina e Vincenzo Li Muli. Sul luogo sopraggiunsero poi gli altri componenti della scorta: Walter Cosina, Agostino Catalano e Emanuela Loi. Intorno alle ore 16 il Dott. Borsellino chiamò i due capipattuglia delle autovetture di scorta – il Traina e il Catalano – per comunicare loro che poco dopo avrebbe dovuto recarsi in Via D’Amelio. Il Dott. Borsellino, su richiesta del Vullo, diede loro le indicazioni occorrenti per raggiungere il suddetto luogo; in questo momento, il Vullo notò che il Magistrato aveva in mano un piccolo oggetto simile a un’agenda, con la copertina di colore scuro.
Pochi minuti dopo il corteo di autovetture partì in direzione di Via D’Amelio; esso era composto dall’autovettura di “staffetta”, guidata dal Vullo, con a bordo il Li Muli e il Traina, dall’autovettura condotta dal Dott. Borsellino, e dall’altra autovettura di scorta all’interno della quale vi erano il Catalano, la Loi e il Cosina.
Dopo avere percorso l’autostrada dallo svincolo di Carini a quello di Via Belgio, le autovetture imboccarono via dei Nebrodi e via Autonomia Siciliana, sino ad arrivare in Via D’Amelio, dove il Vullo si soffermò perché vi erano numerosi autoveicoli parcheggiati, circostanza che apparve assai singolare al teste, il quale sapeva che in tale luogo abitava la madre del Magistrato (in seguito, il Vullo avrebbe appreso che era effettivamente stata presentata da alcuni colleghi una relazione finalizzata a ottenere una zona rimozione sul posto).
Prima che il Vullo e il Traina avessero il tempo di prendere qualsiasi decisione, il Dott. Borsellino li sorpassò e posteggiò la propria autovettura al centro della carreggiata, davanti al cancelletto posto sul marciapiede dello stabile. Il Vullo fece scendere dalla propria autovettura gli altri componenti della scorta e si spostò in corrispondenza della fine di Via D’Amelio, per impedire l’accesso di altre persone.
Uscito dall’abitacolo del veicolo, il Vullo vide che il Dott. Borsellino era andato a pressare il campanello del cancelletto ed aveva acceso una sigaretta; accanto a lui vi erano il Catalano e la Loi, mentre il Traina e il Li Muli stavano tornando indietro.
Qualche secondo dopo, il Dott. Borsellino e i suddetti componenti della scorta entrarono all’interno del piccolo cortile nel quale vi era il portone dello stabile. Il Vullo vide che il Cosina era fermo davanti all’altra autovettura, e pensò quindi di avvicinare ad essa anche l’autoveicolo da lui condotto, in modo da essere pronti per ripartire. Durante questo spostamento, il teste vide che il Dott. Borsellino e gli altri componenti della scorta erano fermi davanti al portone di ingresso dello stabile, dove il Magistrato stava pigiando sul campanello.
Mentre il Vullo stava posizionando l’autovettura al centro della carreggiata, egli venne investito da una corrente di vapore e polvere ad altissima temperatura all’interno dell’abitacolo. Sceso dal veicolo, si rese conto di quanto era accaduto; sul luogo era calata una pesante oscurità, e le condizioni di visibilità erano estremamente limitate. Egli vide subito il corpo di un collega per terra e si pose alla ricerca degli altri, pensando che fossero ancora vivi. Si incamminò quindi in direzione di via Autonomia Siciliana, dove fu raggiunto dai primi soccorsi e poi condotto in ospedale.
L’unico superstite
Una completa ricostruzione della dinamica della strage è stata operata dalla sentenza n. 23/1999 emessa il 9 dicembre 1999 dalla Corte di Assise di Caltanissetta nel processo n. 29/97 R.G.C.Ass. (c.d. “Borsellino ter”), dove si evidenzia che «gli ultimi istanti di vita di Paolo BORSELLINO e degli agenti della scorta si riflettono nelle parole cariche di commozione pronunciate dall’agente Antonio VULLO, unico superstite della strage.
Il teste VULLO, nell’udienza del 22.11.1994, ha riferito di avere preso servizio alle 12.45 e di avere avuto la comunicazione di portarsi a Villagrazia di Carini, ove Paolo BORSELLINO si trovava con la sua famiglia.
Dal villino al mare il magistrato si allontanò per raggiungere l’abitazione della madre, in via D’Amelio, intorno alle 16. Il teste ha precisato di avere saputo quale sarebbe stata la destinazione solo poco prima di partire, precisando che né lui né gli altri colleghi della scorta conoscevano l’ubicazione della via D’Amelio, dove non si erano mai recati con Paolo BORSELLINO. Fu quest’ultimo a spiegare quale percorso avrebbero dovuto fare per arrivarci.
Come di regola avveniva, la destinazione venne comunicata alla sala operativa solo qualche minuto dopo la partenza; egli si trovava a bordo dell’autovettura che apriva il corteo, seguita da quella del magistrato – che stava alla guida ed era solo nell’auto – seguita a sua volta dalla seconda auto di scorta.
A bordo dell’auto con il VULLO – che era alla guida – viaggiavano il caposcorta Claudio TRAINA e Vincenzo LI MULI; nella seconda auto di scorta, guidata da Walter CUSINA, viaggiavano Agostino CATALANO e Emanuela LOI.
In breve tempo, seguendo le indicazioni sul percorso che aveva dato loro Paolo BORSELLINO, arrivarono in via D’Amelio.
P.M. PETRALIA: Descriva come avete trovato Via D’Amelio quando siete arrivati.
TESTE VULLO: Mah, il primo colpo d’occhio: era pieno di automobili parcheggiate, difatti, dato che era la madre, sia a me sia al capomacchina, che era Claudio Traina, ci ha dato un po’ di pensiero…
P.M. PETRALIA: Cosa vi ha dato pensiero?
TESTE VULLO: Siccome e’ l’abitazione della madre, che noi sapevamo che quella era l’abitazione della madre, tutte ‘ste auto parcheggiate…
P.M. PETRALIA: Vi hanno…?
TESTE VULLO: Certo, ci hanno un po’ infastidito.
Dalla sua auto scesero TRAINA e LI MULI, che dovevano fare la “bonifica” al portone dello stabile, mentre egli si posizionò con l’auto in fondo alla via D’Amelio;
Paolo BORSELLINO parcheggiò l’auto al centro della strada e scese, accompagnato dal CATALANO e dalla LOI; il TRAINA era già davanti al portone del civico 19 quando venne raggiunto dal magistrato.
A quel punto il VULLO uscì anch’egli dall’auto pistola alla mano, guardò in giro, vide che tutto era normale, anche se la sua visuale era un po’ coperta dal fogliame e non vedeva più il magistrato e i colleghi della scorta; vide che CUSINA era anch’egli fermo in piedi vicino alla propria auto e accendeva una sigaretta.
Il teste ha proseguito dicendo che a quel punto egli decise di girare l’auto, mettendola in posizione per ripartire; le altre auto erano ferme così come erano arrivate, con il davanti verso la fine della strada.
Gli istanti subito dopo l’esplosione
Dall’interno dell’auto vide che Paolo BORSELLINO era ancora davanti al portone, intento a pigiare il campanello; il VULLO ha detto di essersi girato poi a guardare il collega CUSINA, che era ancora fermo vicino alla propria auto.
In quel momento vi fu l’esplosione.
TESTE VULLO: L’esplosione… sono stato investito io da una nube abbastanza calda, all’interno dell’abitacolo sono stato sballottato, sono uscito dal veicolo e tutto distrutto, già avevo visto il corpo di un collega, dell’autista CUSINA, che era accanto alla mia macchina, e… mi sono messo a girare così, senza nessuna meta, cercando aiuto o dando aiuto agli altri colleghi…
P.M. PETRALIA: Per quanto è rimasto proprio sul teatro dell’esplosione?
TESTE VULLO: Ma un paio di minuti, tre – quattro minuti.
P.M. PETRALIA: Ha visto nessun estraneo in quei frangenti?
TESTE VULLO: No, no.
P.M. PETRALIA: Poi cosa ha fatto?
TESTE VULLO: Ma prima sono andato verso la fine di Via D’Amelio, così, cercando di… avere qualche aiuto da qualcuno…
P.M. PETRALIA: Quando dice “fine di Via D’Amelio” intende dire il lato del giardino od il lato di Via Autonomia Siciliana?
TESTE VULLO: Il lato del giardino. Ho visto tutto distrutto, non ho visto nessuno che potesse aiutarci e (sono andato a vedere) dall’altra parte, verso la via Autonomia Siciliana, e là ho visto il primo collega… la prima volante che è arrivata, però non ricordo bene chi fossero.
P.M. PETRALIA: E lei è arrivato contemporaneamente all’arrivo della volante oppure è arrivato prima?
TESTE VULLO: Ma un… un paio di secondi prima.
P.M. PETRALIA: Lungo il percorso, diciamo, tra il luogo dove materialmente era esploso l’ordigno e l’inizio di Via D’Amelio da Via Autonomia Siciliana che cosa ha potuto notare?
TESTE VULLO: Solamente alcuni brandelli dei colleghi.
P.M. PETRALIA: Lei ha potuto vedere, per quello che ci ha detto un attimo fa, Paolo BORSELLINO che usciva dalla macchina e si avviava verso il portone della casa della madre…
TESTE VULLO: Sì, esattamente.
P.M. PETRALIA: Ricorda, se lo ricorda, se aveva per caso qualcosa in mano, come una borsa, agende od altri oggetti di una certa dimensione tali da poter colpire la sua attenzione?
TESTE VULLO: No, assolutamente.
P.M. PETRALIA: Cioè non lo ricorda o non aveva nulla?
TESTE VULLO: No, non aveva nulla in mano.
P.M. PETRALIA: Aveva le mani libere?
TESTE VULLO: Se aveva qualcosa di piccolo, tipo un telefonino, non so, però qualcosa di vistoso non l’aveva. Si sarebbe notato subito».
Sempre nella sentenza emessa il 9 dicembre 1999 dalla Corte di Assise di Caltanissetta si soggiunge che il teste Vullo, nelle dichiarazioni rese nel processo c.d. “Borsellino ter”, all’udienza del 2.7.1998, ha precisato meglio il percorso seguito da Villagrazia di Carini per raggiungere la via D’Amelio: «Fecero ingresso in autostrada dallo svincolo di Carini, viaggiarono a velocità piuttosto sostenuta fino alla circonvallazione, dalla quale uscirono dallo svincolo di via Belgio; svoltarono subito a destra in via dei Nebrodi, proseguendo fino a via delle Alpi e svoltando ancora in viale Lazio, percorsero via Massimo D’Azeglio fino alla via Autonomia Siciliana, svoltando infine in via D’Amelio.
Ha precisato poi che lungo l’intero percorso – compreso il tratto cittadino – il traffico era scarso e che, tra l’ingresso in via Belgio e l’arrivo in via D’Amelio, trascorsero all’incirca dieci minuti».
A cura dell’Associazione Cosa Vostra 07 luglio 2021 • DOMANI