«La scorta di Borsellino», i ragazzi della parrocchia San Pio X mettono in scena il coraggio (degli agenti) e la speranza

Gli attentati di mafia rivisitati in un laboratorio condotto da Giuseppe Amelio, attore e regista. «Il teatro libera energie e autenticità, non deve essere solo performance»«Chi ha paura muore ogni giorno». È attorno alla frase-epitaffio (mutuata dal Giulio Cesare di Shakespeare) pronunciata da Paolo Borsellino non molto tempo prima di morire che il laboratorio teatrale della parrocchia San Pio X (Balduina) ha costruito uno spettacolo che mette insieme passione civile, desiderio di condivisione e ricerca di canoni espressivi nuovi, originali. Erano le 16.58 del 19 luglio 1992, quando una bomba ad altissimo potenziale collocata in via D’Amelio squarciò il cielo di Palermo. Due mesi prima, sull’autostrada all’altezza di Capaci, era toccato a Giovanni Falcone e alla sua scorta. 

Macchina avanti di 31 anni. Palco affollato, platea stracolma nell’auditorium fortemente voluto da don Andrea Celli, il parroco. Sono tutti giovanissimi, poco sotto o sopra i vent’anni: non erano neppure nati nella stagione dannata che segnò il prima e il dopo di un Paese incredulo e straziato, ma la memoria non è mai venuta meno. Di più: le nuove generazioni cresciute nel mito e nell’esempio di quei due amici che amavano la legge e combattevano (sul serio) la mafia oggi, attraverso le storie di Paolo, Giovanni e delle altre vittime, cercano la motivazione di un impegno, risposte alle inquietudini, il senso di una vita condivisa. Ed è il coraggio, inteso senza retorica, puro impulso a darsi da fare per gli altri, il motore dello spettacolo «La scorta di Borsellino: chi non ha paura muore una volta sola», scritto dagli attori in una sorta di maieutica collettiva, su impulso del regista (nonché attore e teatro-terapeuta) Giuseppe Amelio, che ha condotto il laboratorio assieme a Pietro Bonaccio e Francesca Orlandi.

Il punto di vista è quello dei 5 agenti morti in via D’Amelio. Come Emanuela Loi, prima donna assegnata (e uccisa) in una scorta in Italia: «Mi piace la sabbia, il vento, il mare, la giustizia. Volevo far parte della scorta del grande magistrato e l’ho fatto. Mi piace la mia sensibilità, ma non volevo morire in servizio. Ho 24 anni e non ne avrò 25», scandisce la ragazza che la interpreta.  «Chi ha paura muore ogni giorno, chi non ha paura muore una volta sola. Il male sopravvive al bene… Capisco quelli che vogliono entrare nelle istituzioni», sintetizza l’attore che fa rivivere Agostino Catalano, l’agente più grande, con i suoi soli 43 anni. Ancora, ecco l’attore in erba che rievoca il sacrificio di Vincenzo Li Muli, il più giovane, che a 22 anni «per rabbia» si fece assegnare alla scorta di Borsellino, «per difenderlo dopo la strage di Capaci». Non è bastato. Il destino, le porte scorrevoli… «A nulla è valso essere l’autista più bravo di sempre in polizia. Ma è giusto morire per ciò in cui si crede?» si domanda il poliziotto che era al volante. Un cambio turno all’ultimo momento e… «Se ti chiamano i colleghi non vai? Se il dottore ha bisogno, certo che vai. Ho sempre aiutato tutti…» 

Scenografia essenziale, palco quasi spoglio: una sedia, una toga e un manichino femminile che impersona la Giustizia, dal quale si dipanano fili che corrono paralleli, si incrociano, stabiliscono connessioni, fino a essere srotolati attorno agli spettatori in sala, nell’abbraccio finale. «Lo spettacolo, che presenteremo anche in atenei italiani, parte dall’idea della centralità della persona – spiega Giuseppe Amelio. – Il teatro deve essere uno strumento per mettersi in gioco, per riscoprirsi, e ciò significa eliminare il cognitivo, basato su risposte puramente razionali, per consentire alla propria emotività e autenticità di emergere». Aggiunge il regista 27enne: «Applicati alla stagione delle stragi, questi concetti portano a dire che il coraggio e la possibilità concreta di fare qualcosa contro la mafia non riguardano solo i grandi magistrati, ma ognuno di noi. Le storie dei cinque agenti di Borsellino, come di quelli di Falcone e di tanti altri caduti, sono esemplari: hanno scelto il loro mestiere sapendo che sarebbero morti».  È la forma più alta di sacrificio, come ci dice la parola stessa: compiere un’azione sacra per facere, riuscire a compiere qualcosa in cui si crede. «Il teatro non è solo performance – conclude Amelio – ma un processo trasformativo: entri, partecipi, ti lasci coinvolgere e dai il tuo contributo. Alla fine, chiedo sempre agli spettatori di salire sul palco, percorrerlo in lungo e largo, appendere ai fili un bigliettino con le proprie impressioni. Uno scambio bellissimo, emozionante…» (fperonaci@rcs.it)

«La scorta di Borsellino: chi non ha paura muore una volta sola»
Il prossimo spettacolo è in programma il 5 giugno, alle 21, al Teatro Golden di via Taranto (San Giovanni),  nell’ambito del festival del Teatro forense.

 

di Fabrizio Peronaci CORRIERE DELLA SERA 2.6.2023