RUBRICA ANTIMAFIE. Il subappalto nel nuovo codice degli appalti: i rischi dell’infiltrazione mafiosa

 

L’appalto è un contratto tipico, disciplinato dall’art.1656 del codice civile, mediante il quale una parte (che si chiama appaltatore) si obbliga a realizzare in favore dell’altra (che si chiama committente o appaltante) una prestazione d’opera oppure un servizio, in cambio di un corrispettivo.

 

Solitamente, esso ha per oggetto la realizzazione di un’opera (in genere, una costruzione) che l’appaltatore si obbliga a concludere secondo le indicazioni che gli vengono fornite dal committente e secondo il risultato che questi gli richiede. Quella dell’appaltatore, dunque, è una obbligazione di risultato, in quanto egli dovrà – avvalendosi della sua capacità imprenditoriale – garantire al committente il raggiungimento del risultato cui il contratto tende, ossia la realizzazione dell’opera finita ed “a regola d’arte”.
Ciò spiega perché l’appaltatore viene scelto sulla base di un rapporto fiduciario che intercorre con il committente: quest’ultimo, infatti, individua intuitu personae (cioè sulla base delle qualità personali) il suo appaltatore e pretende, in forza degli obblighi assunti col contratto, che questi porti a termine l’opera correttamente e nei tempi previsti.

La natura essenzialmente personalistica, posta a base del contratto di appalto, determina il divieto dell’appaltatore di affidare i lavori a terzi, in quanto – in tal modo – il committente non è messo a conoscenza delle qualità e delle capacità del terzo, nelle quali ha confidato al momento della stipula.
Tuttavia, il codice civile prevede che – solo previa autorizzazione espressa del committente – l’appaltatore possa affidare ad un terzo (che si chiama subappaltatore) in tutto o in parte la realizzazione dell’opera che gli è stata commissionata. In tal modo, il subappaltatore assume i medesimi obblighi dell’appaltatore e risponderà in solido verso il committente per eventuali violazioni degli obblighi assunti nella realizzazione dell’opera.

La disciplina appena esaminata si applica a tutti i contratti di appalto aventi per oggetto delle opere “private”, ossia commissionate da soggetti che non sono la pubblica amministrazione.
Anche quest’ultima, però, conclude dei contratti di appalto, soprattutto allorquando deve realizzare un’opera pubblica, rispetto alla quale la già esaminata disciplina prevista dal codice civile trova la medesima applicazione. La pubblica amministrazione, cioè, stipula un contratto di appalto con un imprenditore esattamente come se fosse un soggetto privato: dunque, il contratto di appalto in cui il committente è una parte pubblica sarà sottoposto alle stesse regole previste per i contratti di appalto “fra privati”.

Ma, mentre i soggetti privati possono scegliere il loro appaltatore liberamente, ispirandosi solo a principi di convenienza, non così per la pubblica amministrazione, la quale deve improntare la sua azione a criteri di trasparenza, economicità ed efficienza, osservando un rigoroso procedimento (che si chiama di scelta del contraente) per addivenire alla stipula di un contratto di appalto e che è disciplinato in un atto avente forza di legge. Il legislatore, infatti, ha approvato il D.Lgs n.50 del 2016 che viene comunemente indicato come il Testo Unico degli Appalti e che consiste nella raccolta di tutte le disposizioni normative che le pubbliche amministrazioni devono osservare quando, per la costruzione di un’opera o per la fornitura di un servizio, occorre stipulare dei contratti di appalto. Fra tutte le disposizioni in tema di appalti pubblici, il T.U del 2016 prevedeva dei limiti molto stringenti al subappalto, allo scopo di evitare il pericolo di infiltrazioni mafiose all’interno del tessuto della pubblica amministrazione.

Ed invero, per ciò che occupa il presente lavoro, è sufficiente evidenziare che i limiti al subappalto nel settore pubblico sono disciplinati dall’art.104 del TU del 2016 e sono sia di tipo quantitativo (nel senso che, per determinate opere, non possono superare il 30% dell’importo aggiudicato all’appaltatore), sia di tipo qualitativo, in quanto è fatto obbligo per l’appaltatore non solo di comunicare, fin dall’inizio, la sua intenzione di procedere al subappalto, ma anche di indicare il nome del subappaltatore e le opere che questi dovrà realizzare, previa verifica presso la Prefettura della rispondenza del subappaltatore ai requisiti di assenza di cause interdittive antimafia. Tale rigorosa disciplina amministrativa – che abbiamo descritto solo in estrema sintesi, in quanto molto più complessa – obbedisce ad una finalità evidente: occorre evitare che le mafie si infiltrino nei lavori pubblici attraverso i lavori affidati in subappalto.

È capitato, infatti, molto frequentemente che – in territori ove la presenza delle mafie è molto pregnante – gli appaltatori siano stati costretti a far realizzare la maggior parte (se non la totalità) dei lavori per la costruzione di un’opera pubblica a ditte indicate dalle organizzazioni mafiose, che in tal modo non entravano in contatto ufficiale con la pubblica amministrazione e si sottraevano, dunque, ai controlli antimafia demandati alla Prefettura. A ben vedere, ci si trovava di fronte a delle “estorsioni mascherate” che l’appaltatore era costretto a pagare mediante l’affidamento della maggior parte dei lavori a ditte indicate dalle cosche. Per non tacere, poi, i casi nei quali è lo stesso appaltatore che collude con l’impresa mafiosa, affidandole i lavori in subappalto, sulla base di accordi raggiunti con le cosche e che mirano a consentire a queste ultime di infiltrarsi nel circuito imprenditoriale edilizio, reimpiegando capital illeciti.

Con il limite quantitativo al subappalto – da comunicare preventivamente, a pena di nullità, a cura dell’appaltatore – e, soprattutto, con l’indicazione delle ditte che realizzeranno le opere subappaltate, il legislatore ha voluto che la pubblica amministrazione controllasse le imprese subappaltatrici e verificasse se, al loro interno, fossero presenti persone o capitali provenienti da contesti mafiosi. Recentemente, tuttavia, il legislatore è nuovamente intervenuto nel settore, approvando (con decreto legislativo n.36 del 2023) il nuovo Testo Unico degli Appalti, che è entrato in vigore lo scorso 1° aprile ma che sarà pienamente applicabile a tutte le procedure il prossimo 1° luglio 2023, con definitiva abrogazione del “vecchio” codice del 2016.

In tema di subappalto, il nuovo codice ha introdotto delle significative novità, nell’ottica di rendere più spediti ed efficaci i procedimenti di scelta de contraente e, di conseguenza, la realizzazione delle opere pubbliche. In estrema sintesi, per quel che può rilevare rispetto al presente lavoro, l’art.119 co.17 prescrive la possibilità di effettuare il cd “subappalto a cascata”, vietato dal precedente T.U, in base al quale il subappaltatore può a sua volta subappaltare a terzi il lavoro, secondo una catena destinata – in astratto – a non interrompersi fino alla conclusione dell’opera pubblica. L’unica limitazione inserita nel testo di legge a tale istituto è l’autorizzazione, discrezionale, della stazione appaltante, la quale potrà – all’inizio del rapporto contrattuale – concedere tale facoltà all’appaltatore.

In attesa di verificare in concreto la reale portata applicativa di tale istituto, al momento della piena entrata in vigore del nuovo Testo Unico, non si può non levare un grido di allarme rispetto al pericolo che in una tale procedura possa annidarsi l’impresa mafiosa; e quanto più sarà numeroso il passaggio da un subappaltatore ad un altro nell’esecuzione dei lavori, tanto più è alto il rischio che l’impresa mafiosa possa occultarsi agli occhi dello Stato, in quanto difficilmente individuabile in concreto nella fase realizzativa dei lavori. In tal modo, l’opera viene realizzata, in concreto, da imprese che si sottraggono alle verifiche antimafia, demandate al Prefetto dal T.U Antimafia (n.159/2011) e che quindi possono agevolmente reimpiegare capitali illeciti, ripulendoli grazie ai profitti (apparentemente leciti) provenienti dal compenso pubblico legato alla costruzione dell’opera. Alle mafie, per raggiungere tale obiettivo, non resterebbe che “convincere” – mediante collusioni oppure intimidazioni – la stazione pubblica appaltante a concedere la facoltà di ricorrere all’istituto del “subappalto a cascata”.

di Maurizio Giordano

INFORMARE ON LINE 15.6.2023