AUTORICICLAGGIO, RICICLAGGIO e ANTIRICICLAGGIO

 

 

 



Come le mafie 5.0 riescono a riciclare fiumi di miliardi. Le nuove mafie sono molto potenti economicamente e variano i loro affari, passando dall’illecito al lecito, mediante un apparato complesso di riciclaggio che coinvolge Stati, banche, imprese e professionisti a livello nazionale e transnazionale. Siamo di fronte a una mafia «5.0», tecnologicamente molto avanzata. In un simile scenario, non ci possiamo meravigliare che un imprenditore di Palmi, sia indagato dalla Dda di Reggio Calabria perché ritenuto la mente economico-finanziaria di clan della ‘ndrangheta, della camorra e della mafia siciliana che volevano riciclare centotrentasei miliardi di euro.
Sembrerebbe addirittura che l’imprenditore avesse già trentasei miliardi di contanti pronti a essere ripuliti come sembrerebbe sia scritto nella trascrizione di un’intercettazione contenuta in un’informativa della Squadra mobile reggina depositata agli atti del processo “Eyphemos” contro le cosche di Sant’Eufemia d’Aspromonte. Secondo gli inquirenti l’imprenditore colluso avrebbe gestito un fondo di oltre cinquecento miliardi.
Per l’accusa, il referente delle cosche – indicato come un soggetto in rapporti stretti con la ‘ndrangheta – si stava organizzando per spostare in paesi extraeuropei un’ingente somma di denaro depositata in diversi istituti bancari di vari paesi, anche europei, ma soprattutto in paradisi fiscali da “lista nera” che, comunque, non potevano risultare, a eventuali controlli, giacché nascosti su conti speciali offshore. Questo è il vero volto delle nuove mafie: avvezzi a forme d’imprenditoria avanzate nei territori più produttivi, capaci di entrare in possesso d’imprese in crisi e riuscire a “aggredire” i finanziamenti previsti dal Mise e dal Mef, ma anche di riuscire ad avviare affari nella Santa Sede e con molti Stati europei ed extraeuropei. Non dimentichiamoci che le mafie hanno compreso immediatamente che la loro economia criminale è contro le leggi degli Stati ma non è affatto contro i mercati globalizzati.
Le mafie sanno che i “paradisi fiscali” sono assolutamente “neutrali”, per cui sono indifferenti all’origine dei capitali e accolgono i loro denari senza particolari problemi. Dobbiamo comprendere che siamo di fronte a mafie che sfruttano sistemi che richiedono l’attività di specialisti in grado di organizzare il percorso dei soldi sporchi e di seguirli fino al capolinea ripulendoli perfettamente per poi ricollocarli nelle economia legali. Come sosteneva Pino Arlacchi, già ai tempi del Pool di Palermo, il riciclaggio rappresenta un ponte fra criminalità e società civile che offre ai mafiosi gli strumenti per essere accolti e integrati nel sistema, arrivando a sedere nei consigli di amministrazione e a contribuire all’assunzione di decisioni economiche e sociali rilevanti. Inutile fare finta di non sapere, è sotto gli occhi di tutti come l’economia finanziaria senza regole e globalizzata abbia favorito le mafie, dimostrandosi oggi più confacente alle strategie di occultamento della ricchezza e del suo riciclaggio da parte della criminalità rispetto a tutte le epoche precedenti.
Essenziale in questo processo criminale per il riciclaggio è l’attuale andamento permissivo dei circuiti bancari e finanziari. Le mafie di oggi accumulano immense quantità di denaro con la droga, poi riciclano queste somme e infine le reinvestono nell’economia e nella finanza legali. Il riciclaggio può essere inquadrato sotto una duplice valenza: “reato scopo”, cioè fine a se stesso, o “reato mezzo”, cioè utile alla realizzazione di altri reati. A seguito di quanto appena scritto, sarà bene adeguarsi a combattere con nuovi strumenti transnazionali il riciclaggio dei proventi di reato rafforzando e rendendo operativa la confisca degli strumenti e dei proventi o dei beni il cui valore corrisponde a tali proventi.
Questo non può non presupporre la massima cooperazione internazionale tra gli Stati con nuove forme di assistenza investigativa e giudiziaria che coinvolgano la raccolta di elementi di prova, la trasmissione ad altro Stato d’informazioni, anche senza richiesta, l’adozione di tecniche investigative comuni, e l’eliminazione del segreto bancario. Dovranno giocoforza essere rinforzati anche gli strumenti penali e procedurali che riguardano il sequestro di conti bancari e di beni di provenienza sospetta. Tutte le misure di confisca dei proventi di reato vanno rese possibili all’estero da parte dello Stato richiesto su domanda di uno Stato richiedente. Questo è soltanto un punto di partenza per provare a sconfiggere il riciclaggio di denaro sporco che sta inquinando sempre di più proprio le economie legali dei singoli Stati mettendo in crisi il futuro delle prossime generazioni. IN TERRIS VINCENZO MUSACCHIO 1.12.2020


METODO RECORDARE, COSÌ LE MAFIE RICICLANO I DENARI DALL’AFGHANISTAN AL TAGIKISTAN UNA FITTA RETE PER GESTIRE OPERAZIONI MILIARDARIE PER CONTO DEI BOSS  La vittima di un “massacro mediatico” lo definiscono i suoi legali. Un imprenditore che solo dai giornali ha appreso di essere al centro di un’inchiesta sul riciclaggio internazionale dei clan e per questo “si dichiara a completa disposizione degli organi inquirenti, ai quali sarà richiesto di sentirlo al più presto” aggiungono. Ma se davvero volesse parlare, ne avrebbe da chiarire di cose, Roberto Recordare.
Cifre “tutte da verificare”, ma il fascicolo è aperto
Patron di una società informatica con sede a Palmi, in provincia di Reggio Calabria, e con il pallino del volley, Recordare è finito al centro di un’informativa di oltre 600 pagine, depositata agli atti dell’inchiesta Euphemos della Dda di Reggio Calabria, in cui gli investigatori del Commissariato di Palmi e della Squadra Mobile di Reggio Calabria lo identificano senza ombra di dubbio come il terminale di un giro di maxiriciclaggio internazionale, di cui si sono serviti anche i clan. Quelli di ‘Ndrangheta, certo. Nel portafoglio clienti, ci sono i Parrello-Gagliostro di Palmi e lo storico casato degli Alvaro di Sinopoli. Ma anche imprenditori catanesi in odor di Santapaola e i camorristi del clan Iarunese di Casal di Principe, tutti rappresentati da 12 faccendieri, metà italiani e metà stranieri.
Le cifre che ballano nelle migliaia di conversazioni intercettate hanno dell’incredibile. Ascoltato, Recordare afferma di essere in grado di fare girare fondi per 500 miliardi di euro e di aver gestito un’operazione da 136 miliardi di euro, di cui “36 miliardi già pronti, cash”. Numeri buoni per pensare alla banca centrale della ‘Ndrangheta o almeno ad uno dei suoi principali canali. In procura a Reggio Calabria nessuno si sbilancia, nessuno commenta. Quelle cifre sono tutte da verificare e così enormi da ispirare prudenza, dice una fonte vicina alle indagini, vanno incrociate con movimenti bancari, tracce telematiche, viaggi. Ma il fascicolo c’è, è aperto e che di certo può contare su una serie di elementi estremamente concreti.
La rete internazionale di Recordare  Ci sono i viaggi, contatti e conoscenze, anche di alto livello, in Paesi come Germania, Turchia, Malesia, Afghanistan, Dubai, Tagikistan. C’è una rete di contatti internazionali fra cui, per via indiretta, “un codino” – così lo definisce lo stesso Recordare – alla Fed, la Federal Reserve System, la banca centrale degli Stati Uniti d’America. E uno, direttissimo e prolungato nel tempo, con il figlio di un signore della guerra afghano – Shafiqui, lo chiamano – che risulta titolare di una società di commercializzazione di pietre preziose e gemme con sede a Catania e – scrivono gli investigatori – “figura come tramite per varie operazioni finanziarie tra Roberto Recordare e il governo afghano”. E anche speculazioni, in primo luogo edilizie. Le racconta in dettaglio il socio catanese di Shafiqui, Massimiliano Napolitano, che a un interlocutore francese non identificato spiega che “in Afghanistan gli daranno un’area che in teoria sarebbe pubblica, ma i signori della guerra dicono che è loro per costruire una serie di abitazioni per i rifugiati che stanno tornando in Afghanistan e che vengono finanziate dalle organizzazioni internazionali”. I due, appuntano gli investigatori, “si sono impegnati, unitamente a Roberto Recordare, per perfezionare l’operazione finanziaria relativa ad un trasferimento di una ingente somma di denaro riciclato”.
Dall’Afghanistan al Tagikistan, i mille tentacoli dell’imprenditore  Ma a confermare che Recordare sa (e tanto) e che le mani in pasta le ha davvero in più di un affare – si valuta in ambienti investigativi – è la conoscenza tecnica di campo, modi e metodi del riciclaggio che l’imprenditore di Palmi mostra in ogni singola conversazione intercettata. Gli investigatori che per mesi gli sono stati con il fiato sul collo, lo hanno ascoltato e pedinato, ne hanno avuto cognizione diretta. E più di una volta. Nel caso di un affare da far girare sulle banche afghane controllate dal padre di Shafiqi, Recordare intercettato spiega ai faccendieri Giovanni D’Urso e Felice Naselli il suo piano, che prevede di “trasferire il denaro su più conti correnti così che, qualora venisse individuato un conto corrente e bloccato, non sarebbero riusciti a trovare gli altri e di conseguenza, avrebbero salvaguardato la cospicua restante somma di denaro”.
Un’altra operazione prevede invece di far transitare un flusso di denaro sulle banche tagike ed è così delicata da necessitare l’intervento di “un tecnico specializzato abilitato ad operare nel dodicesimo livello – scrivono gli investigatori nelle sintesi di quelle conversazioni – ed aggiunge che nel mondo erano pochi ad avere questa abilitazione”. Recordare – scopre chi lo ascolta – il “suo uomo” lo ha trovato, è un tecnico della Deutsche bank di base a Francoforte. Grazie a lui, emerge dall’informativa, l’imprenditore avrebbe “effettuato lo scarico (download) del denaro presso la banca corrispondente in Malesia e, quindi, il denaro sarebbe stato girato in un conto presso l’Orion Bank in Tagikistan”. E girano soldi a palate. Lo dice lo stesso Recordare ai faccendieri che lavorano con lui: “Considera che noi stiamo spostando cose dove i servizi segreti, cioè stiamo sconquassando il mondo e l’equilibrio mondiale”.
Le mille identità di Recordare Ma questi non sono che esempi di operazioni tanto complesse quanto illecite, a cui Recordare sembra così abituato da poterne parlare con disinvoltura. Così come con disinvoltura “indossa” identità fittizie per far girare denaro, come quella di Dimitri Verchtl, nato in Russia e deceduto nell’87 a Oslo, ma fino a qualche tempo fa attivissimo nello spostare soldi da un conto all’altro in tutto il mondo. Come faccia, lo si spiega in dettaglio nell’informativa. “Alcuni dei conti – si legge nelle carte – che si rammenta sono al portatore, che gestisce Roberto Recordare, risultano intestati, chiaramente in modo fittizio, a tale Dimitri Verchtl soggetto inesistente. Era chiaro, quindi, che Roberto Recordare stava realizzando dei documenti falsi da utilizzare per poter spostare il denaro depositato nei predetti fondi e certificati senza recarsi nell’istituto bancario dove era depositato il denaro e, quindi, evitando il tracciamento bancario dell’operazione, elemento, questo, essenziale affinchè la sua figura non comparisse e potesse avere, nel futuro, problemi di natura penale a seguito di eventuali accertamenti disposti dall’A.G”.
Quel maxiriciclaggio che puzza di clan Nei mesi in cui vive ascoltato dagli investigatori uno dei giochi di prestigio finanziari di Recordare sembra in corso, l’imprenditore ne parla spesso e in dettaglio. “Stava cercando di spostare in paesi extraeuropei e che, a loro dire, non subissero l’influenza degli americani, una ingentissima somma di denaro (per quanto emerso in numerose conversazioni intercettate, gli indagati hanno parlato di una somma che superava i 136 miliardi di euro) che era depositata in diversi istituti bancari di vari paesi, anche Europei, ma, soprattutto in paesi da “black list” che, comunque, non potevano risultare, ad eventuali controlli”. Da quel che si capisce, una prima tranche prevedeva un trasferimento di 36 miliardi, da far sparire su conti speciali – o meglio, sottoconti – irrintracciabili perché persino privi di iban, ma accessibili e monetizzabili al portatore delle speciali chiavi elettroniche che ad essi erano legate. Operazioni – si sottolinea nell’informativa – in cui Domenico Laurendi, mandatario elettorale dei clan di Sant’Eufemia “aveva quantomeno un interesse” mentre “un’altra quota parte” si legge nelle carte “ce l’aveva anche la famiglia Gagliostro di Palmi e, quindi, le consorterie confederate con quest’ultima”. E i soldi che, sottolineano gli investigatori nell’informativa, sono “riciclati nel tempo, presumibilmente provento di traffici illeciti quali il traffico di armi e stupefacenti, senza escludere i proventi di estorsioni, usura e altre condotte delittuose”.
Dalla finanza internazionale alle famiglie della Piana  Del resto, stando a quanto emerge dalle indagini, Recordare è una vecchia conoscenza e una faccia amica per gli uomini dei clan di Palmi e Sant’Eufemia. Il suo nome era già saltato fuori nell’inchiesta Alchemia che ha fatto luce sui contatti e gli affari del clan Gullace fra Calabria e Liguria, dove il consulente viene pizzicato – emerge dalle intercettazioni – mentre organizza un incontro d’affari con Orlando Sofio, arrestato come braccio destro di Carmelo Gullace nell’operazione Alchemia, ma assolto nel processo che ne è scaturito. Anche con i Gagliostro di Palmi ha un rapporto consolidato se è vero che gli investigatori lo pizzicano a chiacchierare con Carmelo Gagliostro, fratello di Candeloro, arrestato nell’inchiesta Alchemia. Da quell’indagine Recordare è stato lambito ma non travolto, la sua voce è più volte intercettata e teme che qualcuno finisca per collaborare con i magistrati e parlare anche di lui. Paura condivisa con Carmelo Gagliostro, insieme al quale lo si sente progettare un tentativo di “aggiustare” in Cassazione l’appello contro l’ordinanza di custodia cautelare presentato dal fratello di Gagliostro, Candeloro e inveire contro i magistrati che vanno troppo a fondo e che “non si spaventano di niente, se ogni tanto ne vede saltare qualcuno in aria, questa non faceva niente”. Il riferimento diretto è alla pm della Dda di Reggio Calabria titolare dell’inchiesta, Giulia Pantano, “colpevole” di aver deciso di andare troppo a fondo.
Informazioni riservate, soffiate e il gusto di giocare con il fuoco  Che le sue operazioni siano ben oltre il limite del lecito, Recordare lo sa. Anzi, quasi sembra vantarsene quando racconta di aver dovuto buttare in un cestino dell’aeroporto di Roma la busta contenente i codici di accesso, certificati bancari e documenti relativi a prodotti finanziari del valore di cento miliardi di euro. “Ho detto ‘va, dopo che mi lasciano torno e la prendo’. Se la prendevano diventava… perché avevo il bond da trentasei miliardi”. Cifre buone a far storcere il naso a più di un investigatore, che ricorda che i bond cartacei non esistono da anni e fa notare che se davvero si fosse disfatto così di un tesoro miliardario, probabilmente ne avrebbe pagato le conseguenze. Ma del fatto che l’imprenditore fosse avvezzo a operazioni non limpide, ne sono certi. E lo dimostra lo stesso Recordare, ascoltato mentre chiede con assoluta nonchalance a un imprenditore di fiducia di far passare sui propri conti un bonifico da 30milioni di euro e la disponibilità a farli sparire subito dopo.
All’imprenditore però piace giocare con il fuoco. Ha capito di avere il fiato sul collo degli investigatori, grazie alla soffiata di un poliziotto infedele ha trovato anche una microspia in ufficio, di cui si è subito affrettato a riferire ai clan di Sant’Eufemia e che lo ha spinto a chiedere ad un dipendente di creare subito un nuovo cloud per spostare e far sparire documenti e file. È convinto anche di avere “tre servizi segreti che ci stanno addosso”. Anche di questo dice di essere stato informato. Plausibile, ma la pista sembra tutta da verificare. O meglio, sembrava da verificare quando l’informativa è stata redatta e depositata. Da allora sono passati due anni, il lavoro è proseguito e oggi il labirinto finanziario che Recordare sembra aver messo in piedi potrebbe essere più chiaro. Alessia Candito 03 Dicembre 2020 antimafia duemila


Imprenditori di Palmi indagato: “Pronto a riciclare 136 miliardi“. Un imprenditore di Palmi, Roberto Recordare, è indagato dalla Direzione distrettuale antimafia di Reggio Calabria perché ritenuto la mente economica-finanziaria di clan di ‘ndrangheta, camorra e mafia che volevano riciclare 136 miliardi di euro di cui “36 miliardi che erano già pronti, cash” come è scritto nella trascrizione di una intercettazione contenuta in una informativa della squadra mobile reggina depositata agli atti del processo “Eyphemos” contro le cosche di Sant’Eufemia d’Aspromonte. La notizia è riportata dal quotidiano “Domani” e l’ANSA ha potuto visionare l’informativa allegata agli atti del processo in cui si parla di Recordare. Secondo l’informativa, Recordare avrebbe gestito un fondo di 500 miliardi di euro. Una cifra difficilmente credibile: paragonabile a quella di colossi mondiali dell’asset management come Morgan Stanley, Generali Investment o Shroeder. RAI NEWS


Un’operazione di maxiriciclaggio da 136 miliardi di euro, di cui “36 miliardi già pronti, cash”. È l’affare a cui stava lavorando Roberto Recordare, imprenditore indagato per riciclaggio dalla procura antimafia di Reggio Calabria. Per i magistrati è lui la mente economico-finanziaria di un cartello di clan calabresi, siciliani e campani, che grazie a lui avrebbe riciclato miliardi. A svelarlo un’informativa depositata agli atti del processo “Euphemos”, nel febbraio scorso è costato i domiciliari al consigliere regionale appena eletto Domenico Creazzo, riportata oggi dal quotidiano Domani. Ma le carte dell’inchiesta che Repubblica ha avuto modo di leggere vanno oltre, svelano che Recordare per i clan aveva gestito fondi per 500 miliardi e si poteva permettere il lusso di “buttare nel cestino un bond da 100 miliardi”.  Numeri da capogiro, superiori alla somma delle manovre finanziarie annuali degli Stati di mezza Unione Europea.
Non è la prima volta che Recordare inciampa in un’inchiesta della procura antimafia di Reggio Calabria. In passato, la sua voce era stata intercettata dagli investigatori che lavoravano sui contatti del clan Gullace fra Calabria e Liguria, dove il consulente viene pizzicato – emerge dalle intercettazioni – mentre organizza un incontro d’affari con Sofio, arrestato come braccio destro di Carmelo Gullace nell’operazione Alchemia, ma assolto nel processo che ne è scaturito.
Da quell’inchiesta, apparentemente Recordare non è stato neanche sfiorato, sebbene dalle intercettazioni pare si sia prodigato per tentare di “aggiustare” la posizione processuale di Candeloro Gagliostro, che contro l’arresto ha fatto ricorso fino in Cassazione. Ma la procura evidentemente su di lui ha continuato a lavorare. Ufficialmente imprenditore attivo nel settore dell’informatica, in realtà – spiegano le indagini – è un professionista che i soldi sa farli girare fino a far perdere qualsiasi traccia della loro reale origine, muovendosi con disinvoltura fra Germania, Turchia, Malesia, Afghanistan, Dubai, Tagikistan. E che si muove in mondo di professionisti che fanno abitualmente la medesima cosa.  
Nel portafoglio clienti di Recordare, per quel che fino adesso è stato rivelato, non c’erano politici, ma un cartello mafioso che mette insieme il clan Parrello-Gagliostro di Palmi e lo storico casato degli Alvaro di Sinopoli,  imprenditori catanesi in passato finiti tra le maglie di un’operazione antimafia e i camorristi del clan Iarunese di Casal di Principe, tutti rappresentati da 12 faccendieri, metà italiani e metà stranieri.  
Una rete finanziaria mondiale al servizio delle mafie, secondo gli investigatori, in grado di far fondi per 500 miliardi di euro, tutti nascosti su conti fantasma perché privi di iban, ma “rientranti nel patrimonio degli istituti bancari”, accessibili e monetizzabili tramite chiavi elettroniche  in mano a Recordare e tutti intestati a prestanome, alcuni dei quali deceduti. Uno si chiamava Dimitri Verchtl, nato in Russia e deceduto nell’87 a Oslo, ma fino a qualche tempo fa attivissimo nello spostare soldi da un conto all’altro in tutto il mondo. In realtà era proprio Recordare a vestire identità fittizie per far girare il denaro nel labirinto finanziario che aveva strutturato.  Alla base della rete, un conto madre alla Banca nazionale di Danimarca. Ad alimentarli, soldi sporchi – ipotizzano gli investigatori – “riciclati nel tempo, presumibilmente provento di traffici illeciti quali il traffico di armi e stupefacenti, senza escludere i proventi di estorsioni, usura e altre condotte delittuose”.  
E che si trattasse di affari illeciti, Recordare lo sapeva perfettamente. Lo “confessa” lui stesso, intercettato, quando racconta di aver dovuto buttare in un cestino dell’aeroporto di Roma la busta contenente i codici di accesso, certificati bancari e documenti relativi a prodotti finanziari del valore di cento miliardi di euro. “Ho detto ‘va, dopo che mi lasciano torno e la prendo’. Se la prendevano diventava… perché avevo il bond da trentasei miliardi”. Un’atra intercettazione, captata in ambientale, mostra l’assoluta nonchalance dell’imprenditore, che senza mezzi termini chiede ad un ingegnere, considerato di fiducia, di far passare sui propri conti un bonifico da 30milioni di euro e la disponibilità a farli sparire subito dopo.  
A Recordare però piace giocare con il fuoco. Ha capito di avere il fiato sul collo degli investigatori, anzi che ci sono addirittura “tre servizi segreti che ci stanno addosso”. Ma si sentiva convinto di poterne uscire indenne, anche grazie ad una rete di contatti e relazioni che andavano dal “governo della Malesia e la Banca Centrale” a tecnici di grandi istituti bancari come la Deutsche bank, disponibili ad operazioni delicatissime e che in pochi al mondo hanno chiavi e competenze per fare. Uno “specializzato abilitato a operare nel dodicesimo livello”, dunque in grado di far arrivare un flusso di capitali su una banca malese, per poi girarli su un conto del Tagikistan. Giravolte finanziarie di cui Recordare era esperto e che sperava di aver reso invisibili. Ma non lo sono state per la procura antimafia di Reggio Calabria. LA REPUBBLICA 27.11.2020


Le risate dopo l’autobomba che uccise la giornalista Daphne Caruana Galizia “Questi non si spaventano di niente, se ogni tanto ne vede saltare qualcuno in aria, questa non faceva niente”. Sono alcune delle intercettazioni della squadra mobile reggina dell’imprenditore Roberto Recordare. Il riferimento “lei”, secondo gli investigatori, è rivolto al sostituto procuratore della Dda reggina Giulia Pantano, titolare dell’inchiesta Alchemia, di cui Recordare stava parlando con alcuni interlocutori. In un’altra intercettazione, l’imprenditore di Palma parla dei suoi interessi a Malta e, riferendosi all’autobomba che uccise la giornalista Daphne Caruana Galizia, ride e afferma: “Stavano ancora raccogliendo i cocci di quella a Malta”.


Il Recovery della ‘ndrangheta, maxi inchiesta sul riciclaggio di 36 miliardi. L’intercettazione: “Caruana Galizia? Raccolgono ancora i cocci”

Riciclaggio da 136 miliardi per conto delle mafie – Indagato l’imprenditore reggino Roberto Recordare. Uomini di ‘Ndrangheta, Camorra e Cosa nostra volevano riciclare 136 miliardi di euro e per farlo avevano trovato l’uomo giusto. Ne è convinta la Procura di Reggio Calabria che ha messo sotto indagine Roberto Recordare, imprenditore di Palmi attivo nel settore dell’informatica. Sarebbe lui, secondo gli inquirenti, la mente economica-finanziaria di clan.
Il suo nome emerge in un’informativa della Squadra mobile di Reggio Calabria allegata agli atti del processo contro le cosche di Sant’Eufemia d’Aspromonte scaturito dall’operazione “Eyphemos”, l’inchiesta che lo scorso febbraio portò all’arresto, tra gli altri, del consigliere regionale appena eletto Domenico Creazzo. A riportare per prima la notizia quest’oggi è stato il quotidiano “Domani”.
E’ lo stesso Recordare, intercettato dagli investigatori della squadra mobile reggina, a rivelare l’entità incredibile delle somme che gestiva per le mafia siciliana, calabrese e campana: “Più o meno erano cento miliardi, qualcosa del genere. Ho preso quella busta e l’ho buttata nella spazzatura. Avevo il bond da 36 miliardi”.
In quella conversazione, riportata dai quotidiani, Recordare fa riferimento ad una perquisizione cui è stato sottoposto dalla Guardia di finanza all’aeroporto di Fiumicino. In particolare racconta di essere riuscito a buttare nella spazzatura “un bustone di bond e procure”, prima di essere sottoposto ad un controllo. Un dato che confermerebbe l’ipotesi degli investigatori sul ruolo avuto dallo stesso imprenditore.
L’uomo, scrive la squadra mobile reggina nell’informativa, “stava cercando di spostare in paesi extraeuropei e che non subissero l’influenza degli americani, un’ingentissima somma di denaro che era depositata in diversi istituti bancari di vari paesi, anche europei, ma soprattutto in paesi da ‘black list’ che, comunque, non potevano risultare, ad eventuali controlli, giacché ‘nascosti’ su conti speciali. Per quanto emerso in numerose conversazioni intercettate gli indagati hanno parlato di una somma che superava i 136 miliardi di euro” di cui “36 già pronti cash”.
Denari che lea criminalità organizzata sarebbe riuscita ad accumulare sin dagli anni Ottanta.
Da ciò che è fin qui emerso il cartello mafioso, rappresentato da dodici faccendieri, sarebbe stato composto dal clan Parrello-Gagliostro di Palmi e quello degli Alvaro di Sinopoli, imprenditori catanesi in passato coinvolti in un’operazione antimafia e i camorristi del clan Iarunese di Casal di Principe.
Complessivamente, spiegano ancora le carte, Recordare “gestiva 500 miliardi in fondi”.

Numeri impressionanti che confermano come la mafia, per giro d’affari, sia concretamente la holding più ricca del Pianeta. Più ricca anche di interi Stati.
Si dice nell’informativa che l’impronditore “aveva la necessità di renderli disponibili ai suoi sodali con operazioni bancarie che dovevano sparire una volta effettuato il trasferimento del denaro”.
Secondo gli investigatori Recordare, già in passato intercettato nell’ambito di altre indagini di ‘Ndrangheta, ma mai ufficialmente indagato, sarebbe un professionista in grado di muoversi per far perdere qualsiasi traccia sull’origine del denaro.
E nell’inchiesta attuale si cerca di far luce su quel giro di soldi sporchi – ipotizzano gli investigatori – “riciclati nel tempo, presumibilmente provento di traffici illeciti quali il traffico di armi e stupefacenti, senza escludere i proventi di estorsioni, usura e altre condotte delittuose”.
Nello specifico quel fiume di denaro sarebbe poi confluito in carte di credito e di debito, intestate a soggetti arabi o dell’Est Europa ma in mano a Recordare e ai suoi sodali. Il denaro veniva scaricato con la procedura “off line”.
Recordare avrebbe anche usato identità fittizie, una delel quali individuata in Dimitri Verchtl, nato in Russia e deceduto nell’87 a Oslo, ma fino a qualche tempo fa ben “attivo” nello spostamento di denaro nei vari conti. Alla base della rete, un conto madre alla Banca nazionale di Danimarca.
Sul computer dell’imprenditore, la squadra mobile è riuscita a trovare gli estremi e la foto di una carta di credito, intestata a un lituano, con un saldo di 2 miliardi di euro. Aaron Pettinari 27 Novembre 2020 ANTIMAFIA DUEMILA

 

ANTIRICICLAGGIO

 

NORMATIVA
UNITÀ DI INFORMAZIONE FINANZIARIA (BANCA D’ITALIA)
EVASIONE FISCALE
ALTRI DOSSIER, RAPPORTI E RELAZIONI
COLLEGAMENTI UTILI

 

IL MONDO SOMMERSO DEL RICICLAGGIO DI DENARO  In virtù del momento storico che stiamo vivendo, dalle gravi ripercussioni economiche e sociali, un fenomeno sicuramente da tenere sotto osservazione, nella sua componente locale e internazionale, è quello del riciclaggio di denaro sporco da parte delle organizzazioni criminali. Esso è un processo complesso per il quale si tende a nascondere le origini e le proprietà dei profitti illeciti, con una serie di tecniche e strategie volte a ripulire l’identità criminale dei proventi, attraverso fonti e circuiti finanziari apparentemente leciti. In altre parole, in un’ottica più generica, il denaro sporco verrebbe riciclato o pulito all’interno del circuito dell’economia legale, attraverso mezzi legittimi, facendolo sembrare esso stesso una risorsa lecita. Le organizzazioni criminali, dalle caratteristiche sempre più internazionali, sono con gli anni diventate sempre più competenti in tema di pulizia del denaro attraverso forme sempre più sofisticate tese a sfruttare eventuali buchi normativi oppure legislazioni notoriamente lassiste esistenti in alcuni paesi che diventerebbero, di conseguenza, dei rifugi sicuri per tutti coloro che cercano di nascondere le loro ricchezze illecite. In questo senso, quelli che sono i proventi derivanti dal traffico di droga, dalla corruzione, dal contrabbando illegale di armi, dal traffico degli esseri umani ed ecc…, sarebbero quindi continuamente soggetti ad attività di riciclaggio volte a nascondere la propria natura e proprietà illecita.
Il motivo dell’utilizzo di questo sistema deriva da tanti fattori tra cui quello di ridurre alcuni svantaggi competitivi derivanti dalla stessa liquidità sporca: “la libertà di allocazione di questa risorsa è ridotta a causa della disponibilità di scoperta e di conseguente incriminazione che deriva dalla sua movimentazione e spesa. Da qui nasce il fenomeno del riciclaggio”[1].

Come rivela il rapporto del Ministero dell’Economia e delle Finanze del 2019, la nostra nazione si trova all’interno di un indice di rischio molto significativo per quanto riguarda questo fenomeno e, purtroppo, i picchi si collocano al centro-sud. Nonostante ciò, le zone del nord non ne sono esenti in quanto la nuova mafia 4.0 (nello specifico la “Ndrangheta” e “Cosa Nostra”) in maniera più incisiva della precedente, può contare su un sistema economico, finanziario e sociale in grado di investire denaro sporco in molti settori strategici situati proprio nel settentrione.
Recentissima è la notizia di possibili forme di riciclaggio di denaro sporco, a Milano, dall’ammontare di un miliardo di euro:  
“Una cifra mai vista e mai denunciata prima che comprende riciclaggio mafioso, finanziamento al terrorismo, evasione e corruzione. In tempi di covid molto passa in secondo piano, non questi movimenti di denaro che rappresentano oggi un vero alert che dovrà essere tenuto in grande considerazione dalla procura”[2]
In un mondo globalizzato come quello attuale, costernato da una serie di rivoluzioni dal punto di vista della tecnologia, dei trasporti e delle comunicazioni, si può ben intuire quanto sia diventata ancora più difficile la lotta contro questo grande nemico nonostante, parallelamente, si stiano studiando dei sistemi tecnologici sempre più proattivi tesi a rilevare il maggior numero possibile di fattori anomali. Quella che è la lotta al riciclaggio assume quindi le caratteristiche della complessità, dinamicità e della prevenzione prima ancora della repressione. Difatti tra le novità più significative derivanti direttamente dalla recente IV direttiva antiriciclaggio, recepita in Italia con i decreti legislativi n.90 e 92 del 25 maggio 2017, si evidenzia il ruolo cardine dell’analisi dei rischi ossia “quel nuovo approccio diretto a identificare e valutare i rischi di riciclaggio e di finanziamento del terrorismo insiti nell’esercizio delle attività finanziarie e professionali svolte dai destinatari della normativa antiriciclaggio che diviene, infatti, la linea guida per orientare tanto il comportamento dei soggetti obbligati quanto l’azione di controllo svolta dalle autorità, facilitando una migliore allocazione delle risorse nella lotta al riciclaggio verso gli ambiti che presentano maggiori vulnerabilità”[3].
All’interno di questa attività preventiva non deve essere dimenticato ovviamente il ruolo della cooperazione anche con altre autorità o giurisdizioni. Come ben si può intuire la lotta contro il cosiddetto “money laundering” non è per niente semplice: è un fenomeno purtroppo molto esteso che non si limita a diffondersi solo all’interno dei confini nazionali (si pensi ad esempio quanto la criminalità organizzata sia diventata globale e collabori alcune volte anche con diverse organizzazioni terroristiche).
“Il riciclaggio assume oggi connotati di organizzazione sempre più marcati e sfruttando sempre più i Paesi off-shore e i servizi di professionisti compiacenti. In considerazione di questo, il complesso mondo del riciclaggio di denaro è legato alle fonti di arricchimento della criminalità organizzata e del terrorismo. Notoriamente, il traffico di droga, il contrabbando di petrolio e il traffico di armi e di diamanti sono considerate fonti di introiti da dover necessariamente riciclare: i diversi metodi di riciclaggio sono quindi più che funzionali per occultare le origini del denaro illecito”[4].
Lo stesso David Gentili, presidente della Commissione antimafia di Milano, ha sottolineato quanto in questo momento sia necessario controllare attentamente tutti quei cambi degli assetti societari nelle aziende che investono nella ristorazione, nell’alberghiero e quelle che hanno in gestione appalti importanti. La liquidità, continua, di mafiosi o evasori fa gola a molti in questo periodo.
Le modalità attraverso le quali è possibile ripulire il denaro sporco sono molteplici e seppure molte di loro non richiedono l’assistenza del settore finanziario, la realtà è che grosse somme di denaro passano invisibilmente e inevitabilmente all’interno di quest’ultimo per essere riciclate.
In generale, è possibile inquadrare la maggior parte delle operazioni di pulizia del denaro sporco in quattro elementi caratterizzanti: 

  • L’occultamento delle vere identità e proprietà;
  • Il continuo mutamento delle caratteristiche del denaro;
  • Il processo di oscuramento di tutte quelle tracce lasciate dalla procedura di pulizia;
  • Il monitoraggio e il controllo, da parte dell’organizzazione, del denaro oggetto di riciclaggio;

Non per niente si cerca costantemente di cambiare i paradigmi di riferimento, soprattutto da parte delle autorità, per cercare di anticipare o di andare di pari passo all’evoluzione dei modus operandi studiati e messi in pratica dalle differenti organizzazioni criminali. Tutto questo perché la struttura, la posizione geografica e gli obiettivi della singola composizione mafiosa o terroristica influisce molto sulle strategie da esse impiegate.

Partendo dalla forma più semplice, è possibile scomporre la catena del riciclaggio di denaro in tre fasi: 

  1. Posizionamento o Smurfing: essa presuppone un team di collaboratori che effettua una moltitudine di versamenti di basso importo, in diversi periodi, tramite degli istituti bancari. Generalmente il conto bancario viene intestato ad alcune società o imprese di facciata, ben strutturate, in modo tale da nascondere la provenienza dei proventi illeciti. Per quanto riguarda l’importo dei versamenti si può sostenere che generalmente è tarato a un livello tale da non superare le soglie di rischio stabilite dalle banche, garantendo così che non vengano effettuati ulteriori controlli di due diligence.
  2. Stratificazione o Layering: il ricavato proveniente dall’attività di smurfing viene utilizzato per acquistare e vendere ripetutamente dei beni legittimi. In altre parole, si realizzano dei veri e propri “strati” di transazioni finanziarie volte a rendere sempre più difficile la ricostruzione del flusso del denaro e quindi anche della sua origine. L’utilizzo di terze parti economiche, spesso ignare rispetto a quelli che sono i fini perseguiti dalle organizzazioni criminali, diventano quindi dei mezzi inconsapevoli attraverso i quali è possibile ulteriormente far apparire i proventi illeciti come legittimi.
  3. Integrazione: ultima fase per la quale è possibile reintrodurre la ricchezza ripulita all’interno dell’economia reale e legale. Non di rado si investe il contante all’interno di aziende che hanno un’alta percentuale di vendite in contanti come i casinò, discoteche ed ecc…             

Per quanto riguarda le tecniche utilizzate dalle organizzazioni criminali, oltre che essere molte e variegate rispetto a quelle che sono le strutture e i fini delle stesse, sono sempre in continua evoluzione considerato il fatto che sono strettamente correlate a quelle opportunità che, di volta in volta, si presentano ai malviventi.

Si analizzano quelle più comuni:

  • L’acquisto di biglietti vincenti: il vero proprietario del biglietto fortunato viene convinto, attraverso un incentivo economico, a concedere lo stesso a una persona “apparentemente pulita”, legata in qualche modo all’organizzazione criminale, che riscuoterà successivamente la vincita. Non di rado inoltre vengono acquistate, all’interno dei centri di scommessa, tutte le possibili combinazioni vincenti ottenendo in questo modo un sicuro lavaggio del denaro (anche se a volte ciò comporta delle perdite economiche).
  • L’uso dei casinò: spesso si comprano una grossa quantità di fiches che verranno utilizzate in diversi modi ovvero una piccola porzione verrà impiegata per giocare mentre l’altra sarà adoperata per dimostrare, attraverso vari passaggi e certificazioni fasulle, delle vincite che, in realtà, non ci sono mai state. In aggiunta, non sono mancate delle volte in cui l’organizzazione criminale avesse acquistato una parte o l’intero casinò per certificarsi autonomamente delle vincite fantasma.
  • Rimborsi fiscali: la ditta direttamente o indirettamente collegata all’organizzazione criminale dichiara al fisco una cifra più alta rispetto a quella dovuta richiedendo, successivamente, il rimborso.
  • L’utilizzo dei paradisi fiscali: dopo aver depositato dei soldi in qualche banca situata in un paradiso fiscale, si chiedono dei prestiti a qualche istituto bancario di un altro Stato che, come garanzia, potrà avvalersi della liquidità depositata all’estero.
  • La fondazione di società di copertura: quell’insieme delle attività economiche che, seppur piccole, sono in grado di generare un flusso costante di valuta per le piccole transazioni, non risultando sospette. Sia che si tratti di società di arte, di sport, di ristorazione ed ecc…, la mera logica del guadagno è spesso sostituita dall’importanza del flusso di cassa.
  • Beni e servizi fantasma: generalmente due società di appartenenza delle organizzazioni criminali fatturano, l’una dall’altra, l’avvenuta cessione di beni o prestazioni di servizi del tutto fantasma.
  • Acquisti e vendite di beni immobili: si può acquistare qualunque bene immobile in pessime condizioni, attraverso dei contanti e ad un prezzo conveniente per poi rivenderlo al miglior acquirente, ad una cifra più alta, dopo averlo ristrutturato.
  • L’uso dell’ IVTS (Informal Value Transfer System): esse permettono dei trasferimenti economici semplici che non avvengono attraverso degli istituti bancari; utilizzate principalmente per effettuare dei versamenti economici da uno Stato all’altro, nella loro legalità possono nascondere quindi operazioni illegali come il riciclaggio di denaro.                              

Ad oggi sono tanti i passi avanti che si stanno facendo per prevenire e monitorare non solo le tecniche che già si conoscono, ma anche scoprire nuovi modus operandi sempre più difficili da identificare. Con l’aumentare delle multe e delle pressioni normative, gli istituti di controllo stanno, passo dopo passo, implementando tutte quelle misure precauzionali utili a identificare il maggior numero possibile di attività sospette. Non meno carente è stato il lavoro svolto dai dipartimenti investigativi antiriciclaggio che, di fronte a operazioni sempre più complesse, stanno ampliando i propri strumenti operativi tanto quanto le loro tecniche investigative. Fondamentale in questo senso sarà il miglioramento di potenti software di link analysis e dell’intelligenza artificiale per supportare il lavoro della prevenzione e dell’analisi. A sostegno di quest’ultima, ma non solo, a sua volta non possono essere non menzionate le tre principali attività investigative, messe in atto da diversi soggetti, impiegate contro il reato di riciclaggio (Articolo 648 bis del codice penale):

  • Le operazioni sotto copertura: condotte da agenti delle forze di polizia, che nel loro nascondere la propria identità, con tutti i rischi del caso, sono bravi a intercalarsi all’interno della realtà mafiosa con lo specifico intento di ottenere delle informazioni utili allo svolgimento delle indagini.
  • Le intercettazioni telefoniche: rappresentano tutte quelle attività legali, svolte dalle forze di polizia su incarico del pubblico ministero, utili a captare o carpire quelle informazioni provenienti dal flusso delle comunicazioni telefoniche, telematiche e informatiche.
  • Tutti quei soggetti, istituti bancari e finanziari che si occupano di controlli, rilevamento di red flags[5] e segnalazioni alle autorità, di possibili forme di riciclaggio: spesso per esempio le attività investigative cominciano proprio dagli avvisi derivanti dai risultati delle ispezioni tributarie.

A ciò, non deve essere messo in secondo piano il lavoro di collaborazione compiuto dai notai, dagli avvocati, dai commercialisti, direttamente con la guardia di finanza o la banca d’Italia, attraverso la cosiddetta  “s.o.s” (segnalazione di operazione sospetta).           
Come visto nelle righe precedenti, tra le conseguenze insite all’interno del tema covid si cela, più che mai, la possibilità del riciclaggio di denaro da parte della criminalità organizzata. Non si dimentichi che la stessa, a differenza dello Stato, possiede un’enorme quantità di denaro liquido, una burocrazia praticamente assente e un sistema di walfare capillare sul tutto il territorio. Nella fattispecie con la sua struttura poggiata sulla divisione organizzativa dei suoi membri, è in grado di occuparsi sia degli affari illeciti, sia del lavaggio del denaro sporco attraverso una rete di consensi, relazioni sociali e rapporti di potere di notevole entità. “Nella propria attività di riciclaggio le organizzazioni mafiose prediligono settori dove possono assumere una posizione dominante o creare un cartello in modo tale da impedire una reale concorrenza ed incrementare la loro influenza e il loro potere (Grasso, Bellavia 2011). Il settore dell’edilizia, la grande distribuzione e la ristorazione sono settori tipicamente caratterizzati dall’infiltrazione mafiosa e sono soggetti ad attività di riciclaggio e all’utilizzo di prestanomi. Lo è pure il settore finanziario e in particolare le imprese finanziarie”[6].

Nelle sue variegate forme, ogni organizzazione mafiosa più delle altre fa uso di specifiche tecniche di riciclaggio. Si analizzano brevemente quelle più comuni: 

  • La mafia cinese è famosa per il Loan Back (prestito a se stessi): in alcune particolari zone dell’Italia non sono mancate delle vere e proprie strategie tese ad accedere a mutui, in capo a dei prestanome, per riuscire a ripulire i proventi derivanti dalla loro attività illecite.
  • La mafia napoletana è abbastanza conosciuta per le sue forme di riciclaggio basate sull’acquisto di voucher o biglietti vincenti.
  • Cosa nostra” e la “N’drangheta” sono più propense a investire in grosse imprese dagli ingenti flussi di liquidità: ristoranti, discoteche, casinò ed ecc…

In generale, qualsiasi sia la sua formazione, è possibile sostenere che la mafia sia “mistificatrice”: in grado di comprendere quelle che sono le principali tendenze, creare dei vuoti, generare dei bisogni per poi proporsi essa stessa come la soluzione ad ogni problema. Soprattutto in questo periodo.

“Per tanto tempo, il riciclaggio è stato ritenuto un’attività di esclusiva pertinenza delle mafie internazionali ma, dalla fine del secolo scorso, esso viene ricondotto con dovizia e costanza anche dalle organizzazioni terroristiche. Difatti, l’utilizzo del circuito finanziario – da parte di quest’ultime – per autofinanziarsi tramite l’utilizzo di capitali leciti sta sostituendo un altrettanto concreto fattore di inquinamento dei mercati e di pericolo per la società civile”[7].
In questo caso, a fianco al fenomeno del “money laundering” si cela un altrettanto complesso meccanismo sommerso definito “money dirtying”. Sebbene entrambi abbiano lo scopo comune di tenere nascosto la provenienza del denaro, vi è una principale differenza da sottolineare: se nel primo caso i proventi rappresentano il frutto delle attività criminose poi successivamente immessi nel circuito economico legale; il secondo, invece, parte dal presupposto che le attività dalle quali provengono i profitti siano lecite e che il suo seguente utilizzo ne rappresenti l’illiceità. In parole semplici, il riciclatore terrorista più che concentrarsi sulla produzione del denaro si dedicherebbe sulle modalità del consumo.  Il suo timbro illegale, nella sua complessità, quindi non è marcato dalla sua origine, ma dalla destinazione ultima.

Si descrivono brevemente, anche in questo caso, quali sono le tre fasi principali del money dirtying: 

  • Collection: raccolta dei proventi ottenuti da attività prevalentemente lecite;
  • Trasmission and dissimulation: trasmissione e occultamento dei proventi con lo scopo principale di nascondere i fini ultimi del percorso del denaro;
  • Use: l’utilizzo delle risorse economiche raccolte per il compimento di attentati terroristici.   

In generale i terroristi raccolgono grosse quantità di denaro in paesi diversi e lassisti dal punto legislativo (Isole Cayman, Barbados, Lussemburgo ed ecc…), rispetto a quello che sarà il paese target oggetto dell’attentato terroristico. Anche in questo caso, la flessibilità offerta dalla globalizzazione e dalle moderne tecnologie informatiche gioca un ruolo determinante (si pensi all’online banking, e-cash, cyber payment ed ecc…). In questo senso, anche in Italia, vengono molto utilizzati i Money transfert: il denaro, spesso spezzettato in piccole quantità, verrebbe spostato in ogni parte del mondo finanziando così ogni attività terroristica o criminale. Che si tratti di nascondere la provenienza illecita del denaro oppure di favorire la realizzazione di attentati terroristici, il punto principale rimane sempre lo stesso la complessità: i soldi seguirebbero tutta una serie di percorsi ben nascosti, all’interno di centri finanziari di notevole opacità, dietro attività commerciali e ragioni economiche fittizie.        

Il tema è così caldo da richiedere un impegno costante anche da parte della Commissione europea: 

“Oggi, grazie a un piano d’azione organico e di ampia portata, rafforziamo ulteriormente le nostre difese per contrastare il riciclaggio di denaro e il finanziamento del terrorismo. Poiché è importante che non vi siano anelli deboli nelle nostre norme e nella loro attuazione, ci impegniamo a realizzare le azioni previste, in modo rapido e coerente, nei prossimi 12 mesi. Con queste misure rafforziamo inoltre il ruolo globale dell’Ue nella definizione di norme internazionali per la lotta contro il riciclaggio di denaro e il finanziamento del terrorismo”. Il piano d’azione si fonda su sei pilastri: applicazione efficace delle norme dell’Ue; un corpus normativo unico; vigilanza a livello dell’Unione; un meccanismo di coordinamento e di sostegno per le unità di informazione finanziaria degli Stati membri; attuare le disposizioni di diritto penale e lo scambio di informazioni a livello unionale; ruolo Ue a livello mondiale”[8].  
In conclusione, i passi avanti che si sono fatti in questi anni in termini di normative, capacità, figure professionali e tecniche investigative, sono stati essenziali per riuscire a limitare un fenomeno sempre in forte espansione. Nonostante ciò, per la complessità del caso, niente deve essere dato per scontato o semplicemente abbandonato a se stesso: la “macchina investigativa” deve assiduamente andare incontro a tutte quelle  opportunità che le organizzazioni criminali tenteranno di sfruttare. In questo senso nuove valutazioni del rischio vanno ricercate e analizzate assieme allo sviluppo di strumenti previsionali intelligenti per quanto riguarda il rilevamento delle anomalie.  
Di fronte a una crisi economica come quella attuale, i controlli (es. documentazione antimafia, whitelist ed ecc…) e le analisi predittive giocheranno un ruolo vitale per il nostro tessuto economico. Non dimentichiamoci che le nostre piccole e medie imprese, seppur siano le più vulnerabili in termini di eventuali proposte criminali, rappresentano il cuore pulsante della nostra nazione.     

Bibliografia

  • Davide Milosa “Milano, uno tsunami di denaro sporco: oltre un miliardo di euro di operazioni sospette in sei anni”,il fatto quotidiano, maggio 2020.
  • Filippo la Rosa, “Il gioco d’azzardo in Italia”, FrancoAngeli, 2016.
  • B., “Commissione UE:nuova strategia contro il riciclaggio di denaro e il finanziamento del terrorismo”, Sir agenzia informazione, maggio 2020.
  • Giorgio Toschi “ Toschi: GDF in prima linea nella prevenzione e repressione del riciclaggio”, convegno sui presidi antiriciclaggio, 11 maggio 2018.
  • Lorenzo Venezia, “Alcuni metodi di riciclaggio di denaro”,Dirittoconsenso, maggio del 2019.
  • Ruggero Buciol, “The money Laundering, la repressione penale del riciclaggio”, Key SRL.
  • Stefano D’auria, “Riciclaggio e terrorismo”, Gnosis.
  • [1] Ruggero Buciol,  “The money Laundering, la repressione penale del riciclaggio”, Key SRL.
  • [2] Davide Milosa “Milano, uno tsunami di denaro sporco: oltre un miliardo di euro di operazioni sospette in sei anni”,il fatto quotidiano, maggio 2020. 
  • [3] Giorgio Toschi “ Toschi: GDF in prima linea nella prevenzione e repressione del riciclaggio”, convegno sui presidi antiriciclaggio, 11 maggio 2018.
  • [4] Lorenzo Venezia, “Alcuni metodi di riciclaggio di denaro”,Dirittoconsenso, maggio del 2019.
  • [5] Intese come l’individuazione di una criticità in atto.
  • [6] Filippo la Rosa, “Il gioco d’azzardo in Italia”, FrancoAngeli, 2016.
  • [7] Stefano D’auria, “Riciclaggio e terrorismo”, Gnosis.
  • [8]  G.B., “Commissione UE:nuova strategia contro il riciclaggio di denaro e il finanziamento del terrorismo”, Sir agenzia informazione, maggio 2020. 

.AICIS 25.2.2020. Angelo Alabiso Criminologo qualificato AICIS

 


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RICICLAGGIO E AUTORICICLAGGIO

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Parla un professionista

 

da IL MUTAMENTO di Nino Amadore

Il riciclaggio di denaro è quell’insieme di operazioni mirate a dare una parvenza lecita a capitali la cui provenienza è in realtà illecita, rendendone così più difficile l’identificazione e il successivo eventuale recupero.

In questo senso è d’uso comune la locuzione di riciclaggio di denaro sporco. Esso è uno dei fenomeni su cui si appoggia la cosiddetta economia sommersa e costituisce dunque un reato per cui vale l’incriminazione per riciclaggio.
L’incriminazione del riciclaggio è considerato uno strumento nella lotta alla criminalità organizzata, la cui attività è caratterizzata da due momenti principali: quello dell’acquisizione di ricchezze mediante atti delittuosi e quello successivo della pulitura, consistente nel far apparire leciti i profitti di provenienza delittuosa. Tale reato è economico, politico e statale.
Denaro sequestrato dalla DEA al cartello messicano della Familia Michoacana.
Il riciclaggio costituisce un “ponte” tra la criminalità e la società civile; si stima che i flussi di denaro illecito in Italia siano mediamente superiori al 10 per cento del prodotto interno lordo (P.I.L.), per cui sono suscettibili di generare gravi distorsioni all’economia legale, alterando le condizioni di concorrenza e i meccanismi di allocazione delle risorse[1].
Tutelare il sistema economico significa, in primo luogo, impedire il reinvestimento nel processo produttivo delle ingenti somme di capitali “sporchi” prodotti dalla criminalità organizzata, intercettandoli nel momento del loro contatto con il sistema bancario e finanziario. Da qui deriva l’importanza strategica della lotta al riciclaggio dei proventi criminali, specialmente nell’attuale momento storico in cui la crisi finanziaria internazionale ha portato la criminalità ad affinare la propria attitudine ad infiltrarsi nel tessuto economico legale, per acquisire a basso prezzo imprese in difficoltà economica e rendere sempre più pervasiva la sua presenza sul territorio.

Fasi del riciclaggio  In pratica, riciclare denaro sporco è l’azione dell’investire i capitali illeciti in attività lecite. Tale operazione si divide sostanzialmente in tre fasi:

  • Introduzione nel mercato(“Placement“): il denaro ricavato dal reato, mediante una serie di operazioni (depositocambio, trasferimento, acquisto, ecc.) viene collocato presso istituzioni e intermediari finanziari oppure direttamente sul mercato con l’acquisto di beni, spesso grazie alla complicità di prestanome: questa fase serve ai criminali per sbarazzarsi del denaro contante;
  • Stratificazione(“Layering“): è la vera e propria fase di “lavaggio” del denaro, che consiste nell’effettuazione di operazioni finanziarie complesse per camuffare l’origine illegale dei capitali;
  • Integrazione(“Integration“): il denaro viene investito nell’economa legale attraverso la consulenza di professionisti specializzati (notai, avvocati, banchieri, ecc.), che spesso trasferiscono i capitali da investire in Paesi in cui vige un rigoroso segreto bancario (i cosiddetti “paradisi fiscali“)[2].

Effetti del riciclaggio Il riciclaggio è in genere vietato dagli ordinamenti giuridici. Infatti, oltre alla deprecabilità delle condotte criminose a monte e il tentativo di mascherarle, esso genera anche inaccettabili distorsioni nel ciclo economico, alterando i normali meccanismi di accumulo della ricchezza e di approvvigionamento delle fonti di finanziamento.

In particolare, il riciclaggio genera fenomeni imprenditoriali che, a causa della facilità di reperimento dei capitali, sono più competitivi della concorrenza. Operando, spesso, nel commercio al dettaglio (settore più idoneo allo scopo criminoso, perché fa largo uso di moneta contante), il riciclatore di denaro riesce a rilevare o comunque mantenere sul mercato attività poco o per nulla remunerative, il cui unico scopo è restare aperte nonostante il passivo finanziario accumulato.

In questo modo egli riesce a praticare condizioni più vantaggiose, oppure a rimanere sul mercato nonostante situazioni di sovraffollamento del settore di riferimento, o ancora a garantire trattamenti lavorativi più appetibili e vantaggiosi.

In tal modo, da un lato la criminalità falsa i naturali meccanismi di concorrenza del mercato tenendo bassi i prezzi e provocando disoccupazione, e dall’altro si garantisce un certo consenso sociale che può sfruttare per perseverare nelle finalità illecite più disparate.

Infine tali attività, poiché illegali, sono anche intrinsecamente instabili e precarie, a tutto discapito anche delle garanzie economiche di coloro che vi prestano la loro attività lavorativa.  Il reato di riciclaggio nell’ordinamento italiano

Delitto di

Riciclaggio

Fonte

Codice penale italiano

Libro II, Titolo XIII, Capo II

Disposizioni

art. 648-bis

Competenza

tribunale collegiale

Procedibilità

d’ufficio

Arresto

facoltativo

Fermo

consentito

Pena

reclusione da 4 a 12 anni e multa da 5 000 a 25 000 euro


Riciclaggio. 
L’articolo 648-bis del codice penale, introdotto dal decreto-legge 59/1978, incrimina chiunque «fuori dai casi del concorso nel reato, sostituisce o trasferisce denaro, beni o altre utilità provenienti da delitto non colposo, ovvero compie in relazione ad essi operazioni, in modo da ostacolare l’identificazione della loro provenienza delittuosa». Tale condotta è punita con la reclusione da quattro a dodici anni e con la multa da 5 000 a 25 000 euro.

La pena è aumentata quando il fatto è commesso nell’esercizio di un’attività professionale.

La pena è diminuita se il denaro, i beni o le altre utilità provengono da delitto per il quale è stabilita le pena della reclusione inferiore nel massimo a 5 anni.

Ai fini dell’integrazione della condotta criminosa è quindi essenziale che il riciclatore sia estraneo al fatto illecito il cui frutto è il denaro o il bene riciclato e conosca la provenienza delittuosa di ciò che sostituisce o trasferisce.

Il reimpiego  Ulteriore fattispecie rispetto al riciclaggio è quella prevista dall’articolo 648-ter del codice penale, introdotto dalla legge 55/1990. Tale norma punisce «chiunque, fuori dei casi di concorso nel reato e dei casi previsti dagli articoli 648 e 648 bis, impiega in attività economiche o finanziarie denaro, beni o altre utilità provenienti da delitto». La sanzione penale è la medesima del riciclaggio: reclusione da quattro a dodici anni e multa da 5 000 a 25 000 euro. Anche qui come per l’art 648 bis la multa prevista è stata depenalizzata: è ora prevista la multa da 1032 euro a 15493. A dimostrare l’insidiosità delle condotte appena descritte, si evidenzia come entrambe siano aggravate dalla circostanza della commissione nell’esercizio di un’attività professionale.

Con il termine collaterale si indicano operazioni di ricapitalizzazione che servono a effettuare aumenti di capitale sociale a costo zero, senza alcun acquisto e deposito di garanzie reali a tutela degli azionisti. Periti compiacenti certificano il deposito di garanzie a fronte dell’aumento di capitale e a tutela degli azionisti, che in realtà sono prive di valore legale, quali titoli di debito scaduti o azioni di società inesistenti, o che hanno terminato la loro attività. Chi intende riciclare denaro di provenienza illecita, sottoscrive azioni prive di garanzie, ottenendo il versamento su conti correnti bancari delle società quotate degli aumenti di capitale e dell’eventuale sovrapprezzo raccolto.

Il sovrapprezzo è rilevante ad esempio nel caso di “scalate” di una società quotata o di una cordata di investitori su un’altra società, oppure nei casi di privatizzazione di società pubbliche, può arrivare ad essere una maggiorazione del 30% rispetto al valore di mercato del titolo, e in questo senso un’ulteriore opportunità di riciclaggio.

Entrando di diritto nella gestione aziendale in proporzione alle azioni sottoscritte, si assicurano di poter investire tali somme di denaro, come fossero depositate in conti correnti propri. La società ottiene la pubblicazione del bilancio, di coprire delle grosse perdite societarie, o un più agevole accesso al credito, beneficiando di migliori indicatori di bilancio (solvibilità e solidità finanziaria) attraverso un più alto rapporto fra capitale proprio e di terzi.

L’autoriciclaggio è il riciclaggio di denaro di provenienza illecita, compiuto dalla stessa persona che ha ottenuto tale denaro in maniera illecita.

L’articolo 648-ter.1, introdotto dalla legge 186/2014, incrimina chiunque “avendo commesso o concorso a commettere un delitto non colposo, impiega, sostituisce, trasferisce, in attività economiche, finanziarie, imprenditoriali o speculative, il denaro, i beni o le altre utilità provenienti dalla commissione di tale delitto, in modo da ostacolare concretamente l’identificazione della loro provenienza delittuosa.” Tale condotta è punita con la reclusione da 2 a 8 anni e la multa da 5 000 a 25 000 euro.

Nei casi in cui il denaro, i beni o le altre utilità provengono dalla commissione di un delitto non colposo punito con la reclusione inferiore nel massimo a 5 anni, la pena è la reclusione da 1 a 4 anni e la multa da 2 500 a 12 500 euro.

Non sono punibili le condotte per cui il denaro, i beni o le altre utilità ottenute con il crimine vengono destinate alla mera utilizzazione o al godimento personale, purché non ci sia stata l’intenzione in tal modo di occultare i frutti del reato.

La pena è aumentata quando i fatti sono commessi nell’esercizio di un’attività bancaria o finanziaria o di altra attività professionale.

La pena è diminuita fino alla metà per chi si sia efficacemente adoperato per evitare che le condotte siano portate a conseguenze ulteriori o per assicurare le prove del reato e l’individuazione dei beni, del denaro e delle altre utilità provenienti dal delitto.

Confisca L’articolo 648-quater del codice penale, introdotto dal decreto legislativo 231/2007, dispone che in caso di condanna o patteggiamento i beni che costituiscono il prodotto o il profitto dei reati di riciclaggio, reimpiego e autoriciclaggio siano sempre sottoposti a confisca su ordine del giudice.

Il Pubblico Ministero può compiere ogni attività di indagine che si renda necessaria circa i beni, il denaro o le altre utilità da sottoporre a confisca.

Il Registro unico informatico  normativa italiana relativa all’antiriciclaggio (D.Lgs. n. 56 del 20 febbraio 2004 e decreto n. 141 del 3 febbraio 2006) prevede, tra l’altro, che i dottori commercialisti, i revisori contabili, società di revisione, consulenti del lavororagionieri e periti commercialiavvocatinotai che forniscono prestazioni professionali avente a oggetto mezzi di pagamento, beni o utilità di valore superiore a € 12.500 debbano conservare un Archivio Unico Informatico antiriciclaggio (D.M. n. 141), nel quale registrare le anagrafiche dei clienti e dei soggetti nei confronti dei quali effettuano le prestazioni previste dalla legge antiriciclaggio. Le modalità operative per la tenuta del registro antiriciclaggio e i vari adempienti consequenziali sono state definite con il provvedimento Uic del 24 febbraio 2006.
Inoltre la legge prevede che gli operatori che si occupano di recupero di crediti per conto terzi, custodia e trasporto di denaro contante, di titoli o valori a mezzo di guardie particolari giurate, trasporto di denaro contante e di titoli o valori senza l’impiego di guardie particolari giurate, agenzia di affari in mediazione immobiliare, commercio di cose antiche, esercizio di case d’asta o gallerie d’arte, attività di commercio, comprese l’esportazione e l’importazione, di oro per finalità industriali o di investimento, fabbricazione, mediazione e commercio, comprese l’esportazione e l’importazione, di oggetti preziosi, gestione di case da gioco, fabbricazione di oggetti preziosi da parte di imprese artigiane, mediazione creditizia, agenzie in attività finanziaria che forniscono prestazioni professionali avente a oggetto mezzi di pagamento, beni o utilità di valore superiore a € 12.500 sono tenuti a registrare le anagrafiche dei clienti e dei soggetti nei confronti dei quali effettuano le prestazioni previste dalla legge antiriciclaggio nel suddetto Archivio Unico Informatico (DM n. 143). Le modalità operative per la tenuta del registro antiriciclaggio e i vari adempienti consequenziali, sono state definite con il provvedimento Uic del 24 febbraio 2006.

La normativa europea anti-riciclaggio

Un’importante azione contro il riciclaggio è stata svolta dall’Unione europea, da ultimo con la direttiva 2005/60/CE tradotta nel decreto legislativo 231/2007 del 16 novembre 2007. Tale norma, oltre ad importanti aspetti definitori, conferma la tendenza a limitare l’uso del contante come strumento essenziale nella lotta al riciclaggio, aumentando il numero dei soggetti obbligati ad adempimenti e comunicazioni alle autorità in caso di operazioni sospette.

Il reimpiego

Delitto di

Impiego di denaro, beni o utilità di provenienza illecita

Fonte

Codice penale italiano

Libro II, Titolo XIII, Capo II

Disposizioni

art. 648-ter

Competenza

tribunale collegiale

Procedibilità

d’ufficio

Arresto

facoltativo

Fermo

consentito

Pena

reclusione da 4 a 12 anni e multa da 5 000 a 25 000 euro

 

Autoriciclaggio

Delitto di

Autoriciclaggio

Fonte

Codice penale italiano

Libro II, Titolo XIII, Capo II

Disposizioni

art. 648-ter.1

Competenza

tribunale collegiale

Procedibilità

d’ufficio

Arresto

*(comma 1) facoltativo;

  • (comma 2) non consentito

Fermo

consentito

Pena

 

MAFIA E INVESTIMENTI