Lirio Abbate su Repubblica del 30/06/2023
Le intercettazioni svelano il piano criminale del killer fascio-mafioso Paolo Bellini.
Le conversazioni registrate pochi mesi fa ci fanno toccare con mano come un estremista di destra condannato per la strage alla stazione di Bologna è capace di uccidere adesso l’ex moglie perché ha testimoniato contro di lui davanti ai giudici.
E i microfoni captano pure la vendetta trasversale che vuole mettere in atto contro il presidente della Corte che lo ha giudicato colpevole, puntando a voler «chiudere la carriera» al figlio, un modo per dire che voleva la sua eliminazione.
Ancora una volta le intercettazioni aiutano lo sviluppo di un’indagine, e in questo caso prevengono ed evitano azioni di sangue e di morte.
Un neofascista di Avanguardia nazionale è Paolo Bellini. Personaggio in bilico tra terrorismo nero, servizi segreti, mafia e ’ndrangheta, è entrato e uscito dalle carceri come se fosse casa sua. Ha fatto credere di collaborare con la giustizia quando invece della giustizia si è preso spesso gioco, deviando le sue dichiarazioni a protezione di amici e compari.
Di certo Bellini è stato un criminale al servizio di molti padroni, con fortissime protezioni.
Ora ci sono magistrati di tre procure, Bologna, Firenze e Caltanissetta, che indagano sul suo passato che lega, con un filo nero, la loggia P2 di Licio Gelli che ha finanziato la strage del 2 agosto in cui Bellini ha fatto da quinto uomo nell’attentato, ai boss di Cosa nostra che ha agevolato ed istigato alla vigilia dell’attentato a Giovanni Falcone, per poi andare a colpire il patrimonio storico, artistico e monumentale del Paese.
Con finalità di terrorismo e di eversione, come scrivono i pm di Firenze e Caltanissetta che indagano, «consistite nel ricattare lo Stato per condizionare la politica legislativa, seminando il terrore e il panico».
Non è certo Bellini la mente di tutto ciò.
Ma nel 1993 c’è uno scenario traballante che guardava alla politica che cambiava e a un nuovo partito, Forza Italia, che arrivava sulla scena parlamentare.
Una scena che potrebbe cambiare forma se si materializzasse la foto che Massimo Giletti ha detto ai pm di aver visto nelle mani del favoreggiatore dei mafiosi, Salvatore Baiardo.
Un’immagine in cui, dice, si riconosceva Silvio Berlusconi accanto ad altre due persone che Baiardo ha detto essere il boss Giuseppe Graviano e il generale dei carabinieri Francesco Delfino.
Se tutto questo fosse vero si ribalterebbe la situazione provocando uno scossone politico e giudiziario.
Nelle intercettazioni Baiardo fa riferimento alla foto mostrata al conduttore televisivo. E lo ribadisce pure parlando con un altro giornalista, Paolo Mondani di Report, il quale registra la conversazione.
Baiardo però nega tutto ai pm. E sull’esistenza di questa immagine e su quello che ha detto Giletti ai pm legato alla foto e a Berlusconi si innesta la lunga deposizione dell’editore Urbano Cairo davanti ai pm di Firenze.
Quattro ore per rispondere alle domande su una storia emersa oggi ma che riguarda un periodo in cui, guarda caso, Cairo era al fianco dell’imprenditore Berlusconi come suo stretto collaboratore.