GIUDICE PAOLO di Marilena Monti

Col sole che brucia.
Coi gradi assoluti di luglio.
Possibile farsi riparo
e darsi frescura con niente?
Presenti.
Dolenti.
Furenti.
Pensosi.
Penosi gli sguardi.
Duemila, tremila, seimila.
I timidi, i buoni, i pavidi e gli sbruffoni.
Magliette celesti,
ragazze,
signore ed occhiali,
scolari.
Tacete!
Ché Paolo dorme per sempre,
ormai non lo sveglia il mattino.
Onesti.
Parenti di un sangue impreciso.
Palermo è la madre violata.
Il giudice ucciso è il padre caduto. L’ennesimo.
Tutti:
onesti, feroci, orfanelli…
Per oggi né mare, né strade affollate:
fu atroce l’estate dell’Isola azzurra,
fu fossa di pioggia sanguigna e amara di pianto!
“Andiamo in vacanza, andiamo a raccogliere fiori, e pigri diletti e dispetti,
manciate di sabbia
e spruzzi e aranciata gelata, e fiori di zucca a frittata…
meloni, gelati, canzoni…
Andiamo a inventarci un amore,
a fare bambini a Mondello,
ché luglio è maturo,
ed è bello…”
E invece vestiti e investiti di un compito grave,
andiamo a vedere che Paolooggi parte per sempre.
“Che vengano i giusti
– ha detto la moglie, e la madre –
che vengano i buoni!”.
Discreti.
Mattino otto e trenta.
Transenne.
Asfalto delira cocente.
Le scarpe mordicchiano i piedi.
Li abbiamo comprati anche noi dei fiori vivaci!
Non sono “fiori di stato”
stirati, eleganti e bugiardi!…
I nostri son belli e sdruciti.
Son fiori arrabbiati e cocenti di mani che stringono gambi sudati, bagnati di pianto.
Davanti la chiesa: duemila, tremila, ottomila.
La strada è una biscia di immobili corpi serrati, che tremano, coi trenta gradi, come fosse gennaio.
Cercare calore è possibile
il venti di luglio?
E il sole impietoso tortura le teste scoperte.
Immobili.
Quieti e rabbiosi.
Devoti ad un patto recente.
Puliti, lucenti,
bellissimi e veri:
Palermo!
Da occhi, da baffi, da mani;
da rughe, da guance,
il patto si fa più compatto
e cresce il dolore.
“Guardiamolo in faccia, il dolore,
per l’ultima volta!
Domani saremo occupati ad alzare la testa,
a dire di no,
a volere il diritto,
a negare
il favore!
Ti giuro,
Giudice Paolo dagli occhi di miele e mestizia,
che noi ti faremo giustizia!”.
Respira la folla,
tenendo il respiro.
Nessuno che urli.
Qualcuno è svenuto in silenzio.
Si compie nel piccolo tempio,
il rito d’addio.
A Dio.
A quale Dio,
si chiede Palermo,
offriamo le lacrime
e il patto! …
A quale celeste sovrano chiediamo conto e ragione se Paolo è in croce,
con gli altri,
i ragazzi,
quotidiani soldati trafitti…
Silenzio.
La voce,
da dentro la chiesa.
Negli altoparlanti ripete
parole di rito,
parole di pianto.
Promesse solenni.
Applaude Palermo.
Le bocche serrate
e gli occhi a dare,
col pianto,
una tregua al calore
dell’ingiustizia!
Parole taciute.
Oggi non c’è da gridare!
Oggi si nutre e si cresce
una nuova creatura,
lucida e chiara
futura
e presente:
il cuore, la mente
e l’amore l’hanno
voluta.
Palermo s’ingravida
al sole di luglio…
nei corpi assetati,
in tanto silenzio,
nel pianto,
nel muto linguaggio di mani
che paiono quiete.
Civili.
Belli e civili.
Nobili e dignitosi.
Austeri e teneri
figli.
Parenti di un sangue
comune
(genetici-azzurri legami…)
bastardi di storie
infinite!
Soldati di luce.
Coscienti.
Feriti e
uccisi
dalla morte medesima
che uccise quei Giusti!
Feroci.
Furenti.
Composti.
Gentili.
Assetati.
Uniti, eterni, splendenti…
I giudici giusti
caduti!
I giudici buoni,
gli arcangeli buoni
del nostro diritto!
E piange Palermo
Al mattino!
Le dieci e cinquanta.
Da tetti, terrazze,
finestre…
Il grido incredibile
è muto.
Mentre Paolo è
nel legno.
Con la sua devozione
e la sua solitudine.
E i vivi
respirano amore,
in questo momento,
non odio,
e pioggia di fiori, scomposta freschezza,
e lacrima ennesima
e tenerezza.
“Ti giuro,
Giudice Paolo
dagli occhi di miele
e mestizia,
che noi
ti faremo Giustizia