Ue: Rapporto sullo stato di diritto, anche Italia sotto osservazione
5 luglio 2013 BRUXELLES (Ansa Europa) – “Sebbene in alcuni Stati membri dell’Ue permangano preoccupazioni relative allo stato di diritto, il rapporto è diventato un motore fondamentale per il cambiamento e le riforme positive: il 65% delle raccomandazioni dell’anno scorso sono state affrontate in tutto o in parte“. Lo fa sapere la Commissione Europea presentando il rapporto sullo Stato di Diritto nell’Unione 2023. “Ciò dimostra che ci sono importanti sforzi per dare seguito alle raccomandazioni: dato che le riforme per migliorare il quadro richiedono tempo, ciò riflette uno sviluppo significativo nell’arco di un solo anno. Allo stesso tempo, permangono preoccupazioni sistemiche in alcuni Stati membri“.
In Italia sono stati compiuti “progressi significativi” per quanto riguarda la digitalizzazione del sistema giudiziario, in particolare nel campo della giustizia civile. Il Rapporto sullo Stato di diritto del 2022 raccomandava all’Italia di “proseguire gli sforzi per migliorare ulteriormente il livello di digitalizzazione del sistema giudiziario, in particolare per i tribunali e le procure penali”.
L’Ue chiede all’Italia di “proseguire il processo legislativo per riformare e introdurre garanzie per il regime di diffamazione, la protezione del segreto professionale e delle fonti giornalistiche, tenendo conto degli standard europei sulla protezione dei giornalisti“. Inoltre è necessario “proseguire gli sforzi per creare un’istituzione nazionale per i diritti umani, tenendo conto dei Principi di Parigi delle Nazioni Unite”.
“Sono stati compiuti alcuni progressi nell’adozione di una legislazione completa sui conflitti di interesse”, si legge. “Il Rapporto sullo Stato di diritto del 2022 ha raccomandato all’Italia di adottare norme complete sul conflitto di interessi: gli sforzi precedenti per adottare una legislazione completa sui conflitti di interesse per i titolari di cariche politiche, compresi i parlamentari, si sono arenati nel corso degli anni”.
Nel rapporto l’Ue sprona però l’Italia ad “adottare norme complete sui conflitti di interesse e sulla regolamentazione delle attività di lobbying per istituire un registro operativo delle attività di lobbying, compresa un’impronta legislativa”. L’Ue chiede poi a Roma di “affrontare in modo efficace e rapido la pratica di incanalare le donazioni attraverso fondazioni e associazioni politiche e introdurre un registro elettronico unico per le informazioni sui finanziamenti ai partiti e alle campagne elettorali”.
Malgrado gli impegni assunti nell’ambito del piano nazionale di ripresa e resilienza (Pnrr) relativi a determinati aspetti del sistema giudiziario, in Polonia“permangono gravi preoccupazioni in merito all’indipendenza della magistratura”, si legge nel rapporto annuale. Le riforme in materia di giustizia, al centro di una lunga controversia con Bruxelles, sono necessarie allo sblocco dei fondi europei per la ripresa destinati a Varsavia, pari a circa 36 miliardi di euro.
La Commissione rileva l’adozione da parte di Varsavia di una legislazione volta ad “aumentare gli standard di alcuni aspetti dell’indipendenza della magistratura” e l’impegno ad “un’ulteriore riforma del regime disciplinare dei giudici”, ma sottolinea le “gravi preoccupazioni relative all’indipendenza del Consiglio nazionale della magistratura”. “Vi sono anche seri dubbi sulla conformità di un certo numero di giudici della Corte Suprema al requisito di un tribunale precostituito per legge”, osserva ancora palazzo Berlaymont, evidenziando che “alcuni magistrati continuano a essere oggetto di indagini e procedimenti disciplinari e trasferimenti forzati”. L’esecutivo comunitario ricorda il deferimento della Polonia alla Corte di giustizia dell’Unione “per violazioni del diritto dell’Ue da parte del Tribunale costituzionale e della sua giurisprudenza”. Nonostante l’adozione di “alcuni provvedimenti per garantire l’indipendenza funzionale della procura dal governo”, le funzioni del ministro della Giustizia e del procuratore generale “non sono ancora state separate”.
La legge che istituisce una commissione di inchiesta sull’influenza russa in Polonia, inoltre, “desta serie preoccupazioni e ha innescato modifiche”. La legge, contro cui l’Ue ha avviato una procedura d’infrazione, consente alla commissione d’inchiesta di bandire dai pubblici uffici persone ritenute agenti dell’influenza russa. Per i detrattori la legge, nota come ‘lex Tusk’, sarebbe stata ideata nel contesto delle elezioni politiche di autunno prossimo per colpire il principale leader d’opposizione, l’ex premier polacco Donald Tusk.
Il congelamento dei fondi europei di coesione e per la ripresa deciso dall’Ue nei confronti dell’Ungheria inizia a dispiegare i suoi effetti nel Paese, dove si registrano alcuni progressi nel sistema giudiziario, ma il quadro complessivo resta molto critico sotto diversi profili, dalla lotta alla corruzione al pluralismo dei media. L’esecutivo europeo rileva come siano state “adottate delle riforme legislative volte a dare seguito alle raccomandazioni in materia di giustizia” contenute nel rapporto precedente e nelle diverse procedure attivate nei confronti di Budapest. Tuttavia, “le campagne diffamatorie continuano a esercitare un’indebita pressione sui giudici, compromettendo la loro libertà di espressione”, denuncia il rapporto, in cui si sottolinea come il livello di indipendenza giudiziaria percepita nel Paese sia diminuito tra il pubblico in generale e continui a essere basso tra le imprese.
Per quanto riguarda la corruzione, malgrado Budapest “stia introducendo una serie di riforme” in materia “in risposta al meccanismo di condizionalità dell’Ue”, “la mancanza di un solido track record di indagini sulle accuse di corruzione riguardanti funzionari di alto livello e la loro stretta cerchia resta una seria preoccupazione”. “Nessun progresso” è stato registrato sul fronte della libertà dei media: secondo il Media Pluralism Monitor di quest’anno, l’Ungheria, insieme a Polonia, Bulgaria e Romania, è considerata un paese “ad altissimo rischio”.
In particolare, il rapporto fa riferimento alle “campagne diffamatorie” e alla “diffusione di spyware contro alcuni giornalisti investigativi e professionisti dei media”, aspetti che restano “motivo di grave preoccupazione”. Nel mirino della Commissione finiscono anche “l’ampio e prolungato uso dei poteri di emergenza del governo” che ha finito per minare la certezza del diritto, nonché “l’inefficace attuazione da parte delle autorità statali delle sentenze dei tribunali europei” che resta “fonte di preoccupazione”. Nessun progresso, infine, è stato registrato né per riformare le attività di lobby e le porte girevoli, né per rimuovere gli ostacoli che gravano sulle organizzazioni della società civile, che resta “sotto pressione”.
Il portavoce del premier ungherese Zoltan Kovacs ha affermato su Twitter che “l’Ungheria è sotto attacco” perché non aderisce “al gruppo favorevole alla guerra”. “Non vogliamo ghetti di migranti, ci rifiutiamo di abolire il programma di riduzione dei costi delle utenze”, ha scritto il portavoce dopo la pubblicazione del report. La relazione “attacca l’Ungheria” confermando come “la pressione continua” nonostante Budapest abbia “rispettato tutti gli impegni” assunti con la Commissione europea, ha dichiarato il portavoce.
Sulle violenze registrate nel corso delle violenze in Francia il commissario Reynders ha detto che la Commissione esamina “anche come vengono esercitati i diversi diritti nel Paese”. “Le persone possono esercitare il diritto di protestare, ma questo non dà loro il diritto di saccheggiare o danneggiare beni pubblici o proprietà pubbliche”, notando tuttavia che l’esecutivo Ue è preoccupato “per il modo in cui le forze dell’ordine a volte usano la forza”.
L’Italia è davvero il Paese europeo in cui i processi durano di più?
La lentezza della giustizia italiana è spesso oggetto di critiche. Andiamo a vedere quanto sono giustificate facendo un confronto con le altre nazioni europee
La durata dei processi in Italia è da anni al centro delle critiche. Dalla politica all’imprenditoria, sono diversi i settori che hanno spesso lamentato l’ostacolo agli investimenti (italiani e stranieri) rappresentato dai tempi lunghi della giustizia.
Ma qual è la situazione in concreto? Quanto durano i processi civili e penali in Italia? Siamo davvero il fanalino di coda delle classifiche europee? Andiamo a vedere i numeri.
La durata dei processi in Italia: un confronto con l’Europa
Il Consiglio d’Europa, organizzazione internazionale (distinta dall’Unione europea) che si occupa di tutela dei diritti umani, dello stato di diritto e della democrazia, pubblica annualmente un rapporto sull’efficienza e la qualità dei sistemi giudiziari europei.
L’ultima edizione disponibile di questo rapporto, redatto da un’apposita commissione (la European Commission for the efficiency of justice, o Cepej), è dell’ottobre 2018 e contiene dati relativi al 2016. Grazie a questi possiamo sapere la durata media dei processi – civili, amministrativi e penali – in Italia e confrontarla con quella degli altri Stati europei. Il rapporto prende in esame anche Paesi europei che non fanno parte della Ue – come la Russia, la Turchia o l’Ucraina – e che hanno sistemi giudiziari differenti dagli standard dell’Europa occidentale. Noi limiteremo quindi il confronto ai 28 Stati membri dell’Unione.
La giustizia civile
Un processo civile in Italia che attraversi tutti e tre i gradi di giudizio (Tribunale, Appello e Cassazione) dura in media otto anni. Servono infatti 514 giorni, in media, per concludere il primo grado, quasi mille giorni (993, per la precisione) per il secondo e ben 1.442 giorni per il terzo. In totale, dunque, poco meno di tremila giorni (2.949), corrispondenti quasi esattamente a otto anni. La media dei Paesi membri del Consiglio d’Europa è invece di 233 giorni in primo grado, 244 giorni in secondo grado e 238 in ultima istanza. In totale, dunque, si arriva a poco meno di due anni (715).
Siamo il Paese con la durata dei processi civili maggiore nell’Unione europea. La sola Grecia fa peggio di noi nel primo e nel secondo grado, rispettivamente con 610 e 1.149 giorni, ma fa meglio in ultima istanza. Non sono riportati i dati relativi al 2016 e al 2014 per il Paese ellenico, ma quelli relativi al 2012 – quando in Italia la durata media del terzo grado era di 1.470 giorni e in Grecia di 346 giorni – descrivono una distanza tale che è difficilmente immaginabile sia stata colmata nel frattempo.
Bisogna però anche considerare che, come dimostrano i dati ministeriali sull’arretrato nella giustizia civile, la maggior parte dei processi viene definito senza bisogno di arrivare a un pronunciamento della Cassazione.
Dunque, nel confronto sui primi due gradi di giudizio civile, possiamo dire che la sola Grecia faccia peggio dell’Italia. Durante il suo governo, Matteo Renzi aveva sostenuto di aver portato la durata dei processi civili di primo a circa un anno ma, come avevamo allora verificato, si trattava di un’affermazione sostanzialmente scorretta, che si basava su proiezioni oltretutto non in linea con la metodologia Cepej.
La giustizia amministrativa
La situazione è solo leggermente migliore per l’Italia se guardiamo ai dati sulla giustizia amministrativa, cioè quella branca del sistema giudiziario che si occupa – semplificando – della tutela dei diritti dei cittadini nei confronti della pubblica amministrazione.
In Italia un processo amministrativo “completo”, che ha due soli gradi (i Tar e il Consiglio di Stato), dura in media 5 anni abbondanti: 925 giorni in primo gradoe 986 in ultimo grado.
Ci sono pochi Paesi europei che fanno peggio di noi: Cipro, dove il primo grado dura 1.582 giorni e l’ultimo grado 2.522 giorni (in totale si arriva a più di undici anni); la Grecia, dove il primo grado dura in media 1.086 giorni, il secondo 915 giorni e il terzo (il sistema è dunque diverso da quello italiano, con un grado in più) 893 giorni, per un totale di quasi otto anni; il Portogallo, con un primo grado che dura 911 giorni, un secondo che ne dura 714 e un terzo 322 (in totale si arriva così a 5 anni e 4 mesi, solo poco più dell’Italia ma con un grado di giudizio in più).
La giustizia penale
Il settore più rapido della giustizia italiana è quello penale: qui un processo che attraversi tutti e tre i gradi di giudizio dura in media 3 anni e 9 mesi (310 giorni in primo grado, 876 in secondo e 191 in Cassazione).
Siamo comunque tra i peggiori nella Ue.
In primo grado, il nostro dato è il peggiore di tutti, con solo Cipro ad avvicinarsi con 304 giorni di durata media. La media europea è invece di 138 giorni.
In secondo grado, il dato italiano è superato solo da quello di Malta (1.025 giorni), che però ha solo due gradi di giudizio.
In terzo grado sono due i Paesi Ue che hanno una durata media superiore a quella italiana: Cipro (653 giorni) e Irlanda (275 giorni).
La media dei Paesi membri del Consiglio d’Europa è invece di 138 giorni in primo grado, 143 giorni in secondo grado e ancora 143 in ultima istanza. In totale, dunque, si arriva a poco più di un anno.
Non possiamo dire con sicurezza, per incompletezza dei dati – mancano ad esempio quelli relativi alla Grecia o quelli del secondo grado aggiornati per Cipro – che l’Italia sia la peggiore nella Ue per durata dei processi penali. Siamo tuttavia sicuramente, se non gli ultimi, nelle ultime posizioni.
Conclusione
In Italia (dati 2016) la durata media di un processo civile è di otto anni, quella di un processo amministrativa è di cinque anni abbondanti e quella di un processo penale di tre anni e nove mesi. Il confronto con gli altri Paesi dell’Unione europea è necessariamente approssimativo, considerate le differenze tra i vari sistemi giudiziari e l’assenza di dati per tutti gli Stati. Premesso questo, dai dati della Commissione del Consiglio d’Europa che si occupa dell’efficienza dei sistemi giudiziari risulta in modo chiaro che l’Italia si trovi nelle ultime posizioni della classifica. AGI 2.8.2019
QUANTI SONO I MAGISTRATI IN ITALIA ?
RELAZIONE ANNUALE CORTE GIUSTIZIA EUROPEA
RELAZIONE ANNUALE
Il monitoraggio fornisce ogni trimestre informazioni a livello nazionale sull’andamento dei procedimenti pendenti civili e penali e dell’arretrato civile.
Le statistiche sulle pendenze misurano il numero di procedimenti aperti alla fine del periodo.
Le statistiche sull’arretrato rilevano i procedimenti che, alla data di riferimento, non sono stati risolti entro i termini di ragionevole durata previsti dalla legge (cosiddetti procedimenti “a rischio Pinto”) :
- 3 anni per i procedimenti in primo grado
- 2 anni per i procedimenti in appello
- 1 anno per i procedimenti in Cassazione
Aggiornamenti pubblicati il 9 maggio 2023
Il Monitoraggio nazionale, elaborato trimestralmente, sull’andamento dei procedimenti pendenti civili e penali e dell’arretrato civile evidenzia per il 2022 un miglioramento rispetto alla fine del 2021.
Sebbene i due dati non siano immediatamente confrontabili, qui si considera il totale dei procedimenti pendenti dinanzi a tutti gli uffici giudiziari italiani, la tendenza osservata è coerente con quella rilevata in ambito PNRR.
Rispetto alla fine del 2021, le pendenze totali nel settore civile si riducono del 6,2%, portandosi, per la prima volta dal 2003, al di sotto dei 3 milioni; nello stesso periodo, l’arretrato civile è diminuito del 5,4% in Corte di Cassazione, del 18,9% in Corte di appello e del 5,8% in Tribunale.
Nel settore penale la riduzione delle pendenze è del 12,1%; del 7,7% se si escludono i procedimenti dinanzi al giudice di pace, riportando i valori assoluti su livelli non dissimili da quelli del 2005.
►giustizia CIVILE
Oggetto di rilevazione sono i procedimenti pendenti dinanzi a tutti gli uffici giudiziari italiani (Corte di Cassazione, Corte d’appello, Tribunale ordinario, Giudice di pace e Tribunale per i minorenni), distinti per area SICID (affari contenziosi, controversie in materia di lavoro e previdenza, procedimenti speciali e sommari e volontaria giurisdizione) e SIECIC (procedure esecutive e concorsuali). Sono esclusi dal calcolo i procedimenti del giudice tutelare, quelli di accertamento tecnico preventivo in materia previdenziale (ATP) e l’attività di ‘ricevimento e verbalizzazione di dichiarazione giurata’. Nota metodologica
►giustizia PENALE
Oggetto di rilevazione sono i procedimenti pendenti dinanzi agli uffici giudiziari giudicanti (Corte di Cassazione, Corte d’appello, Tribunale ordinario, Giudice di pace e Tribunale per i minorenni), distinti, per il Tribunale ordinario, tra rito monocratico, collegiale, corte di assise, sezione indagini e udienza preliminare. Nota metodologica
Monitoraggio mensile dei procedimenti civili iscritti e definiti
aggiornamento del 15 luglio 2021
Le misure volte a prevenire la diffusione del contagio e gli interventi di sostegno economico e finanziario alle famiglie e alle imprese adottati nel corso del 2020 e nei primi mesi del 2021 hanno determinato un calo significativo delle iscrizioni e delle definizioni dei procedimenti civili.
Negli ultimi mesi, il regredire della pandemia ha consentito un progressivo allentamento di tali misure con conseguente ripresa dell’attività economica e sociale.
In prospettiva, l’uscita dall’emergenza si accompagnerà a importanti trasformazioni del sistema di produzione e dei rapporti economici e sociali.
Al fine di cogliere con tempestività i relativi effetti sull’attività giudiziaria la Direzione generale di statistica e analisi organizzativa ha avviato uno specifico monitoraggio mensile.
I dati sono forniti con disaggregazione per materia, area geografica e circondario.
Mediazioni civili e commerciali
Monitoraggio statistico dei procedimenti di mediazione civile e commerciale trattati presso gli Organismi abilitati. La rilevazione, che ha preso avvio con l’entrata in vigore del decreto legislativo 4 marzo 2010, n. 28, copre tutte le tipologie di mediazione: obbligatoria in quanto condizione di procedibilità, volontaria e demandata dal giudice. Nota metodologica
Andamento dei flussi in entrata e in uscita dei procedimenti civili
anni 2011 – I trimestre 2023
anni 2003 – 2022
I tempi della giustizia civile in Italia: gli anni della pandemia e il PNRR
Giustizia a due velocità: classifica dei tribunali più rapidi
In Italia fra tribunale, appello e Cassazione un processo civile dura in media 8 anni. Per incassare i soldi del Pnrr è occorre tagliare i tempi. Ecco le città in cui ci vuole meno per arrivare a sentenza
L’Italia è fra i Paesi dell’eurozona in cui ci vuole più tempo per ottenere giustizia, tanto che negli anni il Consiglio d’Europa ha più volte bacchetto Roma per l’eccessiva durata dei processi e per le bizantine procedure d’indennizzo. L’Europa ha altresì invitato più volte l’Italia a mettere in atto le riforme necessarie per abbreviare la durata dei processi.
Quanto dura un processo in Italia
In media un processo civile in Italia, che comprenda tutti e tre i gradi di giudizio (tribunale, appello e Cassazione) dura 8 anni. Servono 514 giorni per il primo grado, 993 giorni per l’appello e 1.442 giorni per il terzo grado. Totale: 2.949 giorni, pari a poco più di 8 anni.
Se la cava con 5 anni di traversie giudiziarie chi abbia a che fare con la giustizia amministrativa, che ha due soli gradi di giudizio. Fra il primo grado davanti al Tar (925 giorni di media) e l’appello innanzi al Consiglio di Stato (986) se ne vanno 5 anni.
Un altro mondo quello della giustizia penale, in cui i tempi sono molto più rapidi: di media se ne vanno 3 anni e 9 mesi per affrontare i tre gradi di giudizio: 310 giorni in primo grado, 876 per l’appello e 191 per la Cassazione. Il dato è precedente alla riforma Cartabia in vigore dal 28 febbraio 2023 che si è posta l’obiettivo di ridurre del 25% i tempi della giustizia penale.
Eccessiva durata del processo
La Convenzione Europea dei Diritti dell’Uomo stabilisce il diritto alla ragionevole durata del processo, in mancanza della quale si ha diritto a un indennizzo. La Legge Pinto, e le successive modifiche, hanno quantificato quale debba essere una durata ragionevole: tre anni per il processo in primo grado, due anni per il secondo grado e un anno per il grado di legittimità.
La giustizia civile in Italia
La riforma per accorciare i tempi dei processi in Italia è uno degli obiettivi da rispettare per incassare i fondi del Pnrr. La meta è quella di ridurre del 40% i tempi dei processi della giustizia civile per offrire un migliore servizio ai cittadini e per incentivare gli investitori esteri a spostare i loro business in Italia.
Per quanto riguarda la sola giustizia civile emerge un profondo divario fra le performance dei tribunali del Nord Italia rispetto ai tribunali del Sud.
Truenumbers effettua un confronto fra i dati riportati dal ministero della Giustizia (anno 2022 rispetto ad anno 2014). Sono due i parametri presi in considerazione dal ministero: la durata media effettiva dei processi civili e la cosiddetta “clearance rate“, l’indicatore europeo per misurare la capacità dei singoli uffici di smaltire le pratiche.
I tribunali più veloci si trovano al Nord: a Ferrara un processo civile dura mediamente meno di un anno (278 giorni). A Udine ci vogliono 357 giorni. Seguono Rovereto (358) e Verbania (359). Anche a Vercelli e Asti le sentenze arrivano in meno di un anno.
Per quanto riguarda il clearance rate (tasso di liquidazione delle pratiche) due posti nel podio dei migliori tribunali spettano a due realtà del Sud. Fra i migliori tribunali troviamo Barcellona Pozzo di Gotto (28%), Grosseto e Foggia(entrambi a quota 20%).
Per quanto riguarda le grandi città, di media a Torino servono 520 giorni per ottenere una sentenza civile. A Milano ne servono 564 e a Roma 806. A Napoli servono 1.080 giorni.
Intanto il ministero della Giustizia ha lanciato un piano di assunzioni da 13mila posti. La speranza è che il nuovo personale possa aiutare a smaltire le pratiche arretrate. Le nuove assunzioni seguono quelle del 2022 quando furono messi a bando quasi 5.500 posti.
Mauro Di Gregorio 14 Luglio 2023 QUI FINANZA
Tempi della giustizia, la classifica ragionata dei tribunali peggiori