I pizzini di BERNARDO PROVENZANO, Binnu u tratturi

 

 

La risposta di PROVENZANO alla richiesta di un suo parere relativamente ad un contenzioso sorto fra “due province”



Provenzano, il boss dei boss tradito da un pizzino

– Usava i pizzini Bernardo Provenzano. Il boss dei boss di Cosa Nostra, morto oggi all’età di 83 anni, non comunicava via telefono, radio e tanto meno si fidava di quel Web che prendeva già piede nei suoi ultimi anni di reggenza. Per non farsi intercettare aveva scelto di comandare l’organizzazione criminale più potente del nostro Paese attraverso dei comuni biglietti. Scriveva a penna alla compagna, ai figli e al nipote Carmelo Gariffo. E impartiva ordini al suo clan. Fu proprio un pizzino, però, a tradirlo. Era l’11 aprile 2006, Provenzano veniva catturato a due passi da Corleone, il Paese in cui era nato l’11 gennaio 1933.
CHI ERA – Zu Binnu, oppure Binnu u tratturi (Bernardo il trattore, per la violenza con cui stroncava le vite dei nemici) è stato uno dei criminali più spietati degli ultimi 50 anni, re di Cosa Nostra dal ’93 al 2006 e condannato in contumacia a 3 ergastoli. Il boss siciliano rappresentava in carne e ossa alcune delle pagine più nere della storia italiana recente. E’ lui a impartire l’ordine degli attentati di Capaci e via d’Amelio nel 1992, le stragi in cui persero la vita i giudici Giovanni Falcone e Paolo Borsellino. E c’è sempre la sua mano nell’autobomba di via dei Georgofili a Firenze.
GLI INIZI – Terzo di sette figli di Angelo, bracciante agricolo, non finisce la seconda elementare per seguire il padre nei campi. Giovanissimo, si unisce al mafioso Luciano Liggio, che lo affilia alla cosca locale. Subito la sua fama è quella di terribile killer sanguinario e di ottimo tiratore di pistola. A inizio anni Sessanta è spietato protagonista della prima guerra di mafia palermitana contro il clan Navarra, quando, nel pieno del conflitto, si registra più di un omicidio al giorno. Diventa latitante il 18 settembre 1963: i carabinieri di Corleone lo denunciano per l’omicidio di Francesco Paolo Streva, uomo del clan Navarra, commesso una settimana prima. In un rapporto protocollato dalle forze dell’ordine,  Provenzano viene definito senza mezzi termini “elemento scaltro, coraggioso e vendicativo che si sposta con due pistole alla cintola”. Approda ai vertici di Cosa nostra all’inizio degli anni ’80 e in quel periodo riesce a gestire la sua latitanza nella zona di Bagheria riciclando denaro sporco grazie a fortunati investimenti nel settore immobiliare.
IL BOSS DEI BOSS – La sua furia omicida non si ferma: nel 1981 con Totò Riina(al cui cospetto per alcuni  Provenzano era “un nuovo Einstein”) dà linfa alla seconda guerra di mafia, eliminando i boss rivali (i clan Inzerillo e Bontate arricchitisi con il traffico di droga) e formando una nuova ‘Commissione’, composta da capimandamento fedelissimi. Il collaboratore di giustizia Nino Giuffrè dichiarerà che Riina e Provenzano “non si alzavano da una riunione se non quando erano d’accordo”. Nel 1993, dopo l’arresto di Riina, Provenzano rimane l’unico vertice della Cupola.
I PIZZINI – Nei 13 anni alla guida della mafia, sfugge più volte alla cattura. La svolta è proprio l’intercettazione di quei pizzini che per anni lo avevano tenuto nell’ombra, rendendo inaccessibili le sue mosse. A tradirlo è l’ultimo biglietto, inviato alla compagna la mattina stessa dell’arresto. “Complimenti, sono io quello che cercate”, dice il Boss agli agenti che lo trovano l’11 aprile 2006 in una masseria in località Contrada dei Cavalli, poco fuori Corleone, a due passi da dove era nato. Provenzano non oppone la minima resistenza, limitandosi a chiedere che gli venga fornito l’occorrente per le iniezioni che deve effettuare in seguito all’operazione alla prostata. Per il ministero della Giustizia aveva meritato il carcere duro, anche quando per i medici non era più capace di incapace
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 

 

Non sapete quello che state facendo, sussurrò Bernardo Provenzano ai poliziotti che lo ammanettavano dentro il suo covo di Corleone, a Montagna dei Cavalli, l’11 aprile 2006, dopo 43 anni di latitanza. Erano le 11.21 di una mattina che il capo di Cosa Nostra aveva dedicato alla scrittura dei pizzini, l’unico strumento che utilizzava per comunicare con il mondo al di fuori della sua casa bunker. Bernardo Provenzano aveva comandato da sempre così, battendo i tasti delle sue macchine per scrivere. Dovunque si trovasse. Poi affidava quei messaggi, ripiegati sino all’inverosimile e avvolti dallo scotch trasparente, nelle mani di fidati mafiosi. La centrale di comando su cui si era fondato il trono di Bernardo Provenzano stava per intero su un tavolino.” Chi è il misterioso “Nostro Signore Gesù Cristo”, sempre beninformato sul corso delle indagini, che Provenzano ringraziava nei suoi pizzini per avergli svelato la telecamera nascosta dai carabinieri e per avergli offerto un rifugio sicuro dopo un blitz della polizia? Chi sono gli altri destinatari dei messaggi, indicati con numeri in sequenza da 2 a 164? L’arresto del padrino di Corleone non rappresenta la fine della lotta alla mafia, ancora molti sono i nodi da sciogliere.
A distanza di dieci anni dalla sua prima pubblicazione, e nel venticinquesimo anniversario della sanguinosa stagione delle stragi del 1992, la nuova edizione di un libro considerato un documento fondamentale per la comprensione dei meccanismi di Cosa Nostra. Quella che era partita come un’inchiesta giudiziaria è diventata un libro che tenta di spiegare il potere di un capo avvolto nel mistero per quasi mezzo secolo. Il titolo anticipa tutto il resto: “Il codice Provenzano”. L’arresto di Bernardo Provenzano ha segnato indubbiamente un momento cruciale nel percorso di contrasto alla mafia corleonese, quella che ha scandito una lunghissima stagione di sangue in Sicilia, e non solo, a partire dal 1978. Anche l’ultimo dei grandi capi in latitanza è finito in manette. Così, dal punto di vista delle statistiche, un’epoca è stata chiusa. Ma nella lunga stagione dei corleonesi, restano ancora troppi elenchi senza nomi. Quelli dei favoreggiatori a volto coperto, dei complici eccellenti e dei mandanti “altri” dei delitti politico-mafiosi. Per questa ragione, una stagione non può dirsi conclusa. E non può essere liquidata con un arresto, seppur importantissimo.

 
 

 

BERNARDO PROVENZANO, BINNU U TRATTURI