Giovanni Motisi, l’ultimo latitante e i misteri irrisolti dell’omicidio Cassarà

 

 

Ci sono giorni in cui le storie di Palermo continuano a intrecciarsi in modo vorticoso, fra passato e presente. Il 6 agosto è uno di questi. Trentotto anni fa, era il 1985, i killer di Cosa nostra uccisero il vice questore Ninni Cassarà, il brillante capo della Sezione Investigativa della squadra mobile, il principale collaboratore del giudice Falcone.
Tra quegli assassini, che assassinarono anche l’agente Roberto Antiochia, c’era Giovanni Motisi, oggi l’ultimo grande latitante di Cosa Nostra.
Un’altra primula scarlatta, dal 1998, come lo è stato Matteo Messina Denaro fino allo scorso 16 gennaio. Un altro fantasma, che sembra sfuggente nonostante l’impegno della Procura di Palermo e delle forze dell’ordine.
Il 6 agosto è davvero un miscuglio di storie. E di misteri.
Le sentenze che hanno condannato gli autori ei mandanti del Duomo per il delitto Cassarà, hanno fatto avanzare il pesante sospetto che sia stata una talpa all’interno della squadra mobile a sparare agli assassini.
L’investigatore non era più tornato nella sua abitazione di via Croce Rossa dopo l’omicidio del commissario Beppe Montana, il capo della sezione Catturandi ucciso lo scorso 28 luglio.
Allora chi ha avvertito Motisi e tutto il commando, composto da una quindicina di uomini, che Cassarà sarebbe uscito il 6 agosto? Quella mattina il poliziotto aveva telefonato alla moglie Laura per annunciare il suo ritorno a casa. Poi, alle 14:50, ha lasciato l’ufficio. Ci sono voluti sei minuti per raggiungere via Croce Rossa, gli assassini erano già appostati. Si erano divisi in squadre. Motisi alloggiava con Salvatore Biondino, autista di Salvatore Riina, e con Salvatore Biondo detto il “piccolo”, in un furgone: si sono sistemati davanti all’abitazione Cassarà quando la sua auto ha varcato l’ingresso. Pronti a ogni imprevisto mentre Calogero Ganci, Nino Madonia e Francesco Paolo Anzelmo sparavano dalle postazioni sulle scale del palazzo di fronte.
Giovanni Motisi detto il “pacchione”, il grasso, aveva allora 26 anni, era un mafioso della famiglia Pagliarelli. Ma era soprattutto un fidato killer del gruppo dei vigili del fuoco scelto da Riina per ottimi omicidi.
Anzelmo, uno dei sicari di Cassarà che poi collaborò con la giustizia, raccontò all’allora sostituto procuratore Gioacchino Natoli, che anche Motisi partecipò alle riunioni preparatorie in vicolo Pipitone. «La prima si è tenuta ai primi di luglio. L’ordine della commissione presieduta da Riina era di uccidere Cassarà e Montana». Ed è stato eseguito.
Motisi, che oggi ha 64 anni, conserva molti segreti su quella stagione di morte. Strana storia su di lui.
Dopo essere stato un killer, divenne capo della contrada dei Pagliarelli, per meriti criminali straordinari. Ma alla fine degli anni ’90 fu estromesso da tutte le posizioni. Per ordine di uno dei mafiosi più autorevoli del clan, Nino Rotolo.
Un caso piuttosto singolare. Perché, come ha detto Buscetta al giudice Falcone, da Cosa nostra si esce «solo con la morte o collaborando con la giustizia».
E Giovanni Motisi non è un pentito. Non sembra nemmeno che sia morto. Ma cosa ha fatto di così irrispettoso nei confronti dei capi mafia da essere espulso?
Qualche pentito diceva che aveva una gestione allegra della cassa, certo non divideva con gli altri mafiosi i proventi delle estorsioni. Il pentito Angelo Casano ha aggiunto: «Non si è mai presentato, non ha mai dato risposte». All’inizio degli anni 2000, Motisi avrebbe lasciato anche la moglie che chiedeva ai vertici del mandato di poter iniziare anche lei una nuova vita. Inizialmente è arrivato un no. Poi, però, il boss Rotolo ha autorizzato. Ed è stato intercettato dalla squadra mobile mentre diceva: «Se un giorno dovesse venire qualcuno mandato da Giovanni (Motisi ed), cercami e so cosa dirgli, te lo posso promettere: mio caro, te ne sei andato e non ti sei preoccupato».
Non sono scattate altre misure punitive, anche perché Motisi è nipote di un altro autorevole padrino di Cosa nostra, Matteo Motisi classe 1918, che era stato ai vertici del mandamento Pagliarelli. Semplicemente, il capo si sarebbe fatto da parte. E in nessuna indagine è ricomparso. Così, adesso, Giovanni Motisi è un fantasma che aleggia su Palermo. LA REPUBBLICA 6.8.2023


Dopo l’arresto di Messina Denaro, continua la caccia a Giovanni Motisi

Con l’arresto avvenuto ieri a Palermo di Matteo Messina Denaro non si è ancora chiusa la “caccia” ai superlatitanti di Cosa Nostra. Pur chiudendosi il cerchio che gli investigatori dell’Arma dei Carabinieri avevano tracciato attorno a “U sicco”, una maglia rimane ancora aperta. Si tratta della cattura di Giovanni Motisi, detto “U pacchiuni”, killer di fiducia di Totò Riina.
Classe 1959, palermitano, esponente di spicco di Cosa Nostra, già a capo del mandamento mafioso di Pagliarelli, Giovanni Motisi ha fatto perdere le tracce dal 1998. Ricercato prima per diversi omicidi e, dai primi anni degli anni 2000, per associazione di tipo mafioso e per strage, è stato già condannato alla pena dell’ergastolo per il delitto del commissario Giuseppe Montana, ucciso nel luglio del 1985.
Secondo alcuni collaboratori di giustizia, il Motisi avrebbe preso parte alle riunioni di Cosa Nostra in cui si decise di assassinare il generale Carlo Alberto dalla Chiesa. Nel 1999, durante la perquisizione della sua villa di Palermo che si trovava nella stessa zona in cui Riina si nascose negli ultimi mesi di latitanza con la moglie e i figli, fu rivenuta una fitta corrispondenza tra lui e la moglie, Caterina Pecora. Non solo biglietti, ma regali e vestiti, segno della presenza più o meno continuativa del boss a Palermo e che avrebbe affidato ai suoi fiancheggiatori i regali per la moglie.
Qualche anno dopo, nel 2007, in una villa a Casteldaccia fu rinvenuta una fotografia che testimoniava la sua presenza in Sicilia perché aveva preso parte alla festa di compleanno di sua figlia in un luogo non meglio identificato ma forse nella stessa villa. Da allora nessuna traccia di lui, tanto da alimentare il sospetto che Motisi potesse essere morto ma la sua ricerca non è mai dichiarata conclusa e tra le ipotesi si ritenne che possa essersi nascosto in Francia. Oltre alla già citata villa di Casteldaccia, uno dei suoi covi di latitanza fu scoperto in un appartamento in via Enrico Toti, poco distante dall’Università di Palermo, nel quale Motisi ha soggiornato senza dare nell’occhio tant’è che si ritiene che «le tapparelle non furono mai state alzate neppure di un millimetro».
Sulla base delle dichiarazioni di Angelo Casano, suo subalterno, si ha avuto contezza che nel 2002 il Motisi fu destituito nella reggenza di Pagliarelli a favore di Nino Rotolo, trasferito ai domiciliari per motivi di salute.
Dal 2016 il nome di Giovanni Motisi è stato inserito nella lista dei criminali più ricercati d’Europa promossa dall’Europol. Le ultime informazioni sul Motisi risalgono al 2017 quando Gaetano Scotto, intercettato, chiese informazioni ad altri proprio sul Motisi. Le tracce più recenti hanno portato gli investigatori in Spagna, Inghilterra e in Sud America.
Sul suo nome è caduto il silenzio più assoluto. Ma, come dichiarato ieri dal Procuratore De Lucia durante la conferenza stampa dopo la cattura della primula rossa di Castelvetrano, «L’obiettivo della mafia è sempre lo stesso: individuare nuovi capi e strutture dirigenti» quindi dopo la cattura di Matteo Messina Denaro, la lotta per il ruolo apicale di Cosa Nostra è aperta e Giovanni Motisi potrebbe essere il candidato ideale essendo l’ultimo erede della cultura stragista che fu di Riina prima e di Messina Denaro poi.

17 Gennaio 2023 GLI STATI GENERALI di Roberto Greco


Giovanni Motisi: l’altro super latitante mafioso è “invisibile” da 25 anni

Nella foto ricordo, ‘u pacchiuni ha un sorriso bonario e, come da soprannome, un bel faccione pieno. Alle spalle un mazzo di fiori recisi e lenzuola bianche appese ai muri, perché Giovanni Motisi “’u pacchiuni”, il grasso” nel dialetto siciliano, è proprio un fantasma. Aveva fatto mettere quei drappi alle pareti per renderle totalmente irriconoscibili, quando partecipò al compleanno della figlia in un villino di Palermo non lontano dal quartiere Uditore, dove è nato il primo gennaio 1959. Da allora, correva il 1998, nessuno l’ha più visto e ora che hanno preso il numero uno della lista, è proprio lui il secondo nome. Il pesce più grosso rimasto ancora libero, il latitante più pericoloso di Sicilia e probabilmente d’Italia. “Most wanted” da 25 anni, un quarto di secolo, ricercato dal 1999 anche in campo internazionale e segnalato da qualcuno in Francia, ad un certo punto, per l’amicizia con qualche boss siciliano esule da quelle parti. Dal 2016, l’Europol lo ha inserito tra i criminali più ricercati in Europa. Secondo Vincenzo Musacchio, criminologo forense e docente di strategie di lotta contro la criminalità organizzata al Riacs di Newark (Rutgers Institute on Anti-Corruption Studies), oltre che amico e collaboratore di Antonino Caponnetto che guidò il pool antimafia con Falcone e Borsellino, potrebbe essere proprio lui a raccogliere l’eredità di Matteo Messina Denaro e diventare il nuovo boss dei boss.
Negli schedari del GIIRL, Gruppo integrato interforze per la ricerca dei latitanti più pericolosi, il suo fascicolo è in cima a tutti gli altri. Un curriculum di tutto rispetto, quello di Motisi che negli anni ’90 era un pezzo da novanta nella Palermo della guerra di mafia tra Corleonesi e il resto del mondo. Boss del mandamento di Pagliarelli che avrebbe tenuto in pugno fino a tempi molto recenti, secondo riscontri investigativi, dove ha preso il posto di Nino Rotolo, costretto ai domiciliari, ereditando il bastone del comando del clan dallo zio Matteo. Condannato nel 1998 per omicidio, tre anni dopo per associazione di stampo mafioso e nel 2002 per strage.

Nel 1999, quando hanno perquisito la sua villa a Palermo, non lontana dal rifugio di Totò Riina e famiglia, hanno trovato dei “pizzini” scambiati con la moglie, Caterina Pecora, che riguardavano – evidentemente in codice – falegnami ed elettricisti impegnati in lavori nella loro abitazione. Secondo il pentito Calogero Ganci, Motisi faceva parte della “commissione” che ha discusso dell’omicidio del generale Carlo Alberto Dalla Chiesa, poi ucciso con la moglie Emanuela Setti Carraro e all’agente di scorta. Quel giorno, nel racconto dell’illustre collaboratore di giustizia, Giovanni Motisi era in compagnia di Antonino Madonia, Raffaele Ganci, Francesco Paolo Anzelmo, Giuseppe Giacomo Gambino, Pino Greco, Vincenzo Galatolo, Antonino Rotolo e Giuseppe Lucchese, un gotha di padrini e mafiosi di alto profilo.
Lui stesso è stato un killer di fama, il preferito da Totò Riina, secondo gli investigatori che poi lo hanno associato all’ala moderata di Cosa Nostra, quella guidata da Bernardo Provenzano. È stato condannato all’ergastolo per l’omicidio del commissario Beppe Montana, il 28 luglio 1985. Quando Palermo era diventata una specie di Beirut italiana, con una mattanza quasi quotidiana per le strade e nei bar. I corleonesi che sono scesi dalle montagne e hanno sterminato a colpi di canne mozze tutto il gotha dell’onorata società, la nobiltà mafiosa di Palermo compresi figli, nipoti e familiari. Quasi 1000 morti in poco più di due anni, fino al 1983, metà di loro ammazzati senza pietà e gli altri spariti per sempre, dopo sequestri finiti con torture e corpi sciolti nell’acido o fatti comunque sparire.
Motisi era già un giovane e promettente sicario agli ordini dei corleonesi, quando il giovane commissario Montana ebbe l’intuizione che ha cambiato la lotta alla mafia da parte dello Stato. Quella cioè di creare un gruppo di investigatori che a tempo pieno e non solo per riempire fogli e scartoffie, si dedicassero a dare la caccia ai mafiosi latitanti e a piede libero. Per togliergli la terra sotto ai piedi e levarli dal contesto in cui, pur se nascosti e irreperibili, continuavano indisturbati i propri affari, dettavano legge e impartivano ordini ai propri sottoposti, all’esercito di soldati sparsi sul territorio. La sezione “catturandi” che il commissario Montana ha costruito e guidato fino a quando non è stato crivellato di colpi, a spararli anche Giovanni Motisi, ha portato in carcere decine di mafiosi, scoprendo i loro covi e i loro arsenali. Montana ha lavorato al fianco di Ninni Cassarà, il vice questore massacrato qualche giorno dopo di lui (6 agosto 1985), e col pool di Falcone e Borsellino.
Buona parte dei 475 imputati per il maxi processo all’Ucciardone furono catturati proprio da Montana e dai suoi uomini che hanno dato un grande contributo anche al famoso “rapporto dei 162”, una mappa minuziosa e accurata del potere mafioso aggiornato alla guerra che ha portato al trionfo dei corleonesi e alla presa di Palermo, cambiando gli assetti e la gerarchia di Cosa Nostra.  
Nonostante questo, la “catturandi” di Montana era una squadra messa in piedi con pochissimi mezzi e ancora meno riscontri nella struttura di polizia che lo Stato utilizzava per combattere la criminalità organizzata. Montana e Cassarà guidavano un pugno di uomini che doveva inventarsi di tutto per infiltrarsi nel territorio e dare la caccia ai latitanti. Si facevano prestare le auto da amici o dalle fidanzate, perché quelle di servizio erano sfasciate o già conosciute.Facevano collette tra di loro per pagarsi l’affitto degli appartamenti nei quali effettuare appostamenti o indagini, trovavano il necessario in modo fortunoso, come un cannocchiale prestato da un ottico o una parrucca rimediata da un’amica. Andavano alle feste di paese per rimorchiare ragazze e attraverso di loro cercare di avere informazioni sul territorio e sui padrini a cui davano la caccia.
Le immagini dell’arresto di Matteo Messina Denaro e del suo fiancheggiatore, inseguito dai telefonini cellulari delle persone, in un via vai di mezzi e uomini degno di un’operazione di guerra, con ampio spiegamento di risorse e tecnologia, misurano in modo netto i 40 anni che sono passati dai pionieri della lotta alla mafia: la “catturandi” del commissario Montana, nella pneumatica assenza dello Stato alla voce mezzi e risorse, si inventava ogni giorno il proprio mestiere di segugi antimafia e per questo, proprio per questo, la mafia decise di toglierlo di mezzo. Lo fecero un giorno d’estate, alla vigilia delle sue ferie, quando era al mare a Porticello in compagnia della fidanzata, del fratello e di amici. Un commando di sicari lo affrontò armi in pugno mentre era impegnato a sistemare la propria barca e lo freddarono senza pietà, avevano già pronti tre piani per ucciderlo perché Beppe Montana doveva essere tolto di mezzo a qualsiasi costo: uno dei killer era proprio Giovanni Motisi. Un giovane e spietato killer mandato dalla cupola dei corleonesi, di cui era già un fidato braccio armato destinato poi a diventare un potente boss. E poi, da 25 anni, un fantasma. Il nuovo padrino di Palermo, forse.

[di Salvatore Maria Righi] 18 Gennaio 2023 – L’INDIPENDENTE 


Il blitz al Villaggio, l’ultimo mistero del clan di Pagliarelli: “Il latitante Giovanni Motisi espulso da Cosa nostra”

C’è un fantasma che aleggia sul mandamento di Pagliarelli dove il Gico della Guardia di finanza ha fatto irruzione martedì notte. Il fantasma di Giovanni Motisi, che sino alla fine degli anni Novanta, era il capo del mandamento: “Poi Nino Rotolo lo aveva estromesso da ogni incarico – scrive il gip Walter Turturici nel provvedimento di custodia cautelare che ha fatto scattare 26 arresti nell’ambito della famiglia del Villaggio Santa Rosalia – e tale circostanza – si legge nel provvedimento – è stata poi ampiamente confermata da tutte le successive attività d’indagine che, dai primi anni 2000 ad oggi, non hanno mai fornito alcun elemento che abbia potuto far supporre un ruolo attivo di Motisi nella consorteria mafiosa”.
Un caso alquanto unico. Perché, come disse Buscetta al giudice Falcone, da Cosa nostra si esce “solo con la morte o collaborando con la giustizia”. E Giovanni Motisi non è un pentito. Non sembra neanche che sia morto. Ma cosa fece di tanto irriguardoso nei confronti dei vertici mafiosi da essere espulso?
Qualche pentito ha raccontato che aveva una gestione allegra della cassa del mandamento. Ma non furono presi altri provvedimenti punitivi, anche perché Giovanni Motisi è nipote di un autorevole padrino di Cosa nostra, Matteo Motisi classe 1918, che era stato al vertice del mandamento di Pagliarelli.
Giovanni Motisi detto “u pacchiuni”, il grasso, ha una storia davvero molto particolare. A 25 anni era un killer, per questo è stato condannato all’ergastolo per l’omicidio del vicequestore Ninni Cassarà  e dell’agente Roberto Antiochia, trucidati il 6 agosto 1995. Poi, è diventato un capo. “Ma non si faceva mai vedere, non dava mai risposte”, ha raccontato il pentito Angelo Casano. All’inizio degli anni Duemila, avrebbe lasciato anche la moglie, che chiese al vertice del mandamento di potersi rifare una vita pure lei, divorziano. Inizialmente, era arrivato un no. Poi, invece il boss Nino Rotolo autorizzò. E venne intercettato dalla squadra mobile mentre diceva: “Se un domani dovesse venire qualcuno mandato da
Giovanni (Motisi ndr), cerca me e io so cosa gli devo dire, questo te lo posso promettere: Bello mio, tu te ne sei andato e non ti sei preoccupato”.
A Motisi veniva contestato anche di non condividere i soldi delle estorsioni con il clan. Poco a poco, il boss si era allontanato dall’organizzazione. Ma è rimasto un fantasma che continua ad aleggiare su Pagliarelli. 


Giovanni Motisi, noto anche con lo pseudonimo di ‘U Pacchiuni (il grasso)[1](Palermo, 1º gennaio 1959), è un mafioso italiano membro di Cosa nostra, capo del clan Motisi. È nella lista tra i latitanti di massima pericolosità. Reggente del mandamento Pagliarelli[2], secondo il pentito Angelo Casano, subentrò al boss Nino Rotolo, costretto ai domiciliari. Ha rimpiazzato lo zio Matteo Motisi come capo dell’omonimo clan: attualmente è considerato uno dei più potenti capi mafiosi di Palermo. Motisi, dopo la cattura di Marco Di Lauro e Matteo Messina Denaro, è diventato il latitante più pericoloso e ricercato d’Italia.[3][4]
Latitante dal 1998, è nell’elenco dei latitanti più pericolosi d’Italia del Ministero dell’Interno. Sempre dal 1998 è ricercato per omicidio, dal 2001 per associazione di tipo mafioso, e dal 2002, per strage[5].
Dal 10 dicembre 1999 è ricercato anche in campo internazionale. Deve scontare la pena dell’ergastolo.
Killer di fiducia di Totò Riina, secondo le dichiarazioni di Calogero Ganci, collaboratore di giustizia, era presente in Cosa Nostra nel momento in cui si era discusso di assassinare il generale Carlo Alberto Dalla Chiesa: rammentava, tra le persone presenti quel giorno, di quando si era parlato per la prima volta di uccidere il generale: Antonino Madonia, Raffaele Ganci, Francesco Paolo Anzelmo, Giuseppe Giacomo Gambino, Pino Greco, Vincenzo Galatolo, Antonino Rotolo, Giuseppe Lucchese, e un certo Salerno, del quale non ricordava il nome di battesimo, infine Giovanni Motisi.
Per gli inquirenti si sarebbe avvicinato all’ala moderata di Cosa nostra guidata da Bernardo Provenzano. Venne condannato all’ergastolo per l’omicidio del commissario Giuseppe Montana, ucciso il 28 luglio 1985[6][7]. Promossa dall’Europol, nel 2016 la sua figura venne inserita nella lista dei criminali più ricercati d’Europa.
Dopo l’arresto di Matteo Messina Denaro del 16 gennaio 2023[8], Giovanni Motisi diviene il latitante numero uno ricercato in Italia. WIKIPEDIA 

Note

  1. ^ Super latitanti, chi sono gli ultimi tre nell’elenco dei ricercati, su quotidiano.net, 2 marzo 2019. URL consultato il 17 luglio 2019 (archiviato il 3 marzo 2019).none
  2. ^ Alessandra Ziniti, Un manager del pizzo col vizio di scrivere, su ricerca.repubblica.it, la Repubblica, 15 febbraio 2009. URL consultato il 19 luglio 2019 (archiviato il 19 luglio 2019).none
  3. ^ Tre latitanti più ricercati d’Italia, Motisi prende il posto di Di Lauro: Messina Denaro la ‘preda’ più ambita.none
  4. ^ Restano 4 i super latitanti di massima pericolosità, su ansa.it, 16 gennaio 2023.none
  5. ^ Direzione Centrale della Polizia Criminale – Elenco dei latitanti di massima pericolosità, su interno.gov.it, Ministero dell’interno, 18 luglio 2019. URL consultato il 19 luglio 2019 (archiviato il 1º gennaio 2015).

    «è ricercato dal 1998 per omicidi, dal 2001 per associazione di tipo mafioso ed altro, dal 2002 per strage ed altro»

    none

  6. ^ “U pacchiuni” come Messina Denaro: un palermitano in cima alla lista dei ricercati, su palermotoday.it, Palermo Today, 29 aprile 2018. URL consultato il 20 luglio 2019 (archiviato il 2 maggio 2018).none
  7. ^ Super latitanti, chi sono gli ultimi tre nell’elenco dei ricercati, su quotidiano.net, 2 marzo 2019. URL consultato il 20 luglio 2019 (archiviato il 3 marzo 2019).none
  8. ^ Arrestato Matteo Messina Denaro, su ANSA, 16 gennaio 2023.none

Bibliografia

  • Vincenzo Ceruso, Le più potenti famiglie della mafia. Tutti i nomi e i cognomi di Cosa Nostra, dalle origini a Matteo Messina Denaro, Newton Compton Editori, 2023 [2020], ISBN 978-88-227-7658-7.none

 


 

 

 

 

 

CATTURATE MOTISI – La sorella di Ninni Cassarà scrive al Capo della Polizia Vittorio Pisani