CATANIA – “Riconosco nella foto n. 3 Mancari Giuseppe detto ‘U pipi’, storico boss di Biancavilla, che nell’ultimo anno circa non si esponeva molto e con me ha avuto pochi rapporti per quanto riguarda le attività illecite”. Un album di foto da riconoscere e un soldato della mafia, Vincenzo Pellegriti, che decide di collaborare con la giustizia. Inizia così il terremoto in una delle più agguerrite articolazioni del clan Ercolano – Santapaola, la famiglia Toscano – Tomasello – Mazzaglia.
Vincenzo Pellegriti riconosce numerose fotografie, i verbali integrali contengono tutti i nominativi che sono finiti al centro dell’operazione ‘Ultimo atto’ dei carabinieri, sotto il coordinamento del procuratore aggiunto Francesco Puleio. Ma non solo, ci sono anche i retroscena di alcuni omicidi.
Chi è il pentito Vincenzo Pellegriti
“Ho deciso di collaborare perché voglio dare un futuro migliore ai miei figli e alla mia famiglia e voglio chiudere con la vita fatta sino ad oggi, anche perché deluso dall’organizzazione criminale e dalle persone che ne fanno parte…”. Inizia così la collaborazione di Pellegriti, un lungo curriculum criminale, nel 2000 lavorava come muratore a Milano, quando incontrò “Vincenzo Cardillo, che ben conoscevo da bambino e mi propose di tornare a Biancavilla. Dovevo cominciare a spacciare stupefacenti per conto del clan Toscano-Mazzaglia-Tomasello di cui lui faceva parte ”, dice agli inquirenti.
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Le tensioni
Numerosi omicidi, una lunga scia di sangue, all’interno del clan si creano diversi sottogruppi. Le tensioni sfociano spesso in omicidi. Nel 2010 viene ucciso Giuseppe Mazzaglia, detto “Fifiddu”, in quel momento era il boss. Scatta la lotta intestina per la successione, proprio mentre Vito Amoroso e Alfredo Maglia sono detenuti. Alcune vetture degli uomini di Mazzaglia vengono incendiate e Maglia, poco dopo, diventa il reggente.
Nel 2012 viene ucciso Roberto Ciadamidaro, vicino proprio a Mazzaglia e Maglia, a sua volta ammazzato un anno dopo. E ancora, nel 2014 tocca ad Agatino Bivona, è uno degli uomini di fiducia di Amoroso. E poi c’è l’omicidio di Nicola Gioco, agli Amoroso viene sequestrato un arsenale, il clan è in piena guerra.
Il pentito svela i retroscena delle tensioni
Pellegriti spacciava per conto di Pippo Amoroso e ricorda che “c’erano molti contrasti interni per chi doveva comandare e dei gruppi interni ognuno che faceva riferimento ad un soggetto diverso”.
Dopo l’omicidio di Maglia, il clan sposta il controllo del bancomat del gruppo: i trasporti su gomma con i mezzi pesanti. Si tratta di un affare da 200 euro a bancale, per le lunghe percorrenze, come hanno svelato oggi i carabinieri, dopo gli arresti. Le società in ballo valgono 5 milioni di euro.
Dopo l’omicidio, “i Maglia vengono messi da parte insieme a Placido Tomasello, detto ‘U canuzzu’ ed era stata loro tolta anche l’agenzia di trasporti che si occupa del trasporto di merci con camion da parte di Alfio Monforte e di Pippo Amoroso”.
Retroscena di un tentato omicidio
Il boss Mancari avrebbe “preso le difese – secondo il pentito – di Tomasello e dei Maglia dicendo di lasciare a loro almeno questa attività per sopravvivere e fu per reazione a questo che gli spararono”.
Sempre nello stesso periodo, un colpo di pistola viene sparato contro l’altro pezzo da novanta, Pippo Amoroso.
L’ascesa di Mancari
Giuseppe Mancari conquista terreno, gli sparano addosso, ma sopravvive, è un ergastolano con una lunga storia, tornato a piede libero grazie a indulti e sconti di pena.
“Ricordo che Mancari Giuseppe ci disse di non mandare più soldi ai carcerati – racconta il collaboratore – ma di farci gli affari nostri e continuare nelle attività illecite per conto nostro. Io ho continuato a spacciare gestendo piazze di spaccio ed avevo anche persone che lavoravano per me e mandavo soldi in carcere solo a chi ritenevo più vicino a me, come Roberto Maglia, Vincenzo Cardillo, Alfio Muscia e Carmelo Vercoco .
Poco dopo, i carabinieri di Paternò mostrano un album a colori con 23 fotografie: il pentito traccia, nome per nome, la mappa della mafia. Antonio Condorelli