Parlo di storie inedite che riguardano anche le stragi di mafia del ’92

 

Parlo di storie inedite che riguardano anche le stragi di mafia del ’92. Le cause scatenanti sono, principalmente,da ricercare nella mia provincia. È stato l’allora ministro di Sciacca, Calogero Mannino, a allertare un suo amico maresciallo, Giuliano Guazzelli, che verrà ucciso ad aprile del 1992, dopo che Mannino lo aveva mandato a Roma dai generali Subranni e Mori; quelli della trattativa Stato-mafia, per essere reclutato nei servizi segreti. Il Mannino mandò questo maresciallo in avanscoperta, causandone inconsapevolmente l’uccisione, per cercare protezione, dopo che a marzo,sempre del ’92, avevano ucciso l’europarlamentare Salvo Lima, suo collega di partito nella Democrazia Cristiana e ritenuto il trade d’union tra Stato e mafia. Lima non era riuscito a mantenere fede ai patti con la mafia che prevedevano l’assoluzione, da parte di magistrati compiacenti e conniventi della Suprema Corte, di Totò Riina e degli altri boss. Mannino a quel punto temeva seriamente per la sua vita ed allora pensò bene di fare spostare il tiro. Tramite i generali Mori e Subranni, ai quali si era rivolto, creò i contatti con Vito Ciancimino. Cosicché ai Corleonesi fu spiegato che la colpa della conferma in Cassazione delle loro condanne definitive all’ergastolo, era di Falcone che, nel frattempo, era stato chiamato a ricoprire, dall’allora ministro della Giustizia Claudio Martelli, l’incarico di direttore degli affari penali. Da quella postazione Falcone fece disporre la rotazione dei presidenti di sezione della Cassazione, non consentendo ai mafiosi, già condannati in appello, di essere assolti in Cassazione.

È inammissibile che la Fondazione Leonardo Sciascia riproponga, il 21 settembre prossimo, un altro convegno sulla giustizia, a senso unico, esattamente così come è successo due anni fa.

Due dei partecipanti sono peraltro gli stessi. Ci riferiamo all’attuale procuratore di Palermo Maurizio De Lucia, indagato perché sospettato di avere passato notizie riservate all’ex numero due di Confindustria Antonello Montante, relative all’inchiesta per mafia a suo carico ancora pendente. La posizione del De Lucia è stata comunque archiviata dalla Procura di Perugia nel 2019. Si trattava allora di indagare anche sulle sue frequentazioni con Montante e su un messaggio di solidarietà inviatogli dal De Lucia qualche giorno dopo che il falso paladino dell’antimafia era stato raggiunto da un avviso di garanzia per mafia. E quando ci riferiamo a Montante stiamo parlando del compare di due boss mafiosi, Paolino Arnone, morto suicida in carcere e del figlio Vincenzo Arnone, il cui nonno era compare dello storico capomafia della Sicilia Genco Russo di Mussomeli. Stiamo cioè parlando di quel Montante che Sciascia avrebbe tranquillamente definito un mafioso travestito da falso professionista dell’antimafia. Un soggetto peraltro già condannato in appello ad 8 anni di reclusione per associazione a delinquere finalizzata alla corruzione ed allo spionaggio.

L’altro giudice che sarà nuovamente presente a Racalmuto, assieme al De Lucia, è Giovan Battista Tona, il magistrato nisseno che è il relatore che deve depositare le motivazioni riguardanti proprio la suddetta condanna di Montante ad 8 anni di reclusione. Motivazioni che dall’8 luglio dello scorso anno ancora non sono state depositate.

Due anni fa abbiamo già sentito a Racalmuto il Dottor De Lucia dire, in assenza di qualsivoglia contraddittorio, che Leonardo Sciascia ha sbagliato nel mettere sullo stesso piano mafia ed antimafia. Senza minimamente prendere in considerazione il fatto che è proprio il caso Montante la chiara dimostrazione che, nella fattispecie, esisteva proprio questa micidiale commistione tra Stato ed Antistato, mafia ed antimafia. Commistione di cui nemmeno lo stesso De Lucia, che era un assiduo frequentatore di Antonello Montante, nonché molti suoi colleghi magistrati, si sono minimamente accorti.

Due anni fa è stato sostenuto, sempre a Racalmuto, da un altro illustre relatore, l’allora procuratore generale presso la Cassazione Giovanni Salvi, che sono stati fatti dei notevoli passi in avanti rispetto a quanto raccontato da Sciascia ne ‘Il giorno della civetta’. Quando i mafiosi andavano a braccetto non solo con i politici, ma anche con gli esponenti delle forze dell’ordine ed i magistrati. Il caso Montante parrebbe dimostrare l’esatto contrario. La situazione oggi sembra essere infatti pressappoco la stessa. Anzi, l’ultimo elemento di novità è proprio quello per cui Sciascia aveva suonato uno dei suoi assordanti campanelli d’allarme, col suo famoso articolo sui ‘professionisti dell’antimafia’, pubblicato dal Corriere della Sera nel 1987. E cioè che qualcuno, con la scusa di combattere la mafia, non solo avrebbe potuto calpestato lo Stato di Diritto, con l’uso improprio della legislazione antimafia, ma si sarebbe spinto ben oltre. Ed è proprio il caso di Montante, un grande amico e compare dei mafiosi, travestito da antimafioso, ed il cui mito di apostolo dell’antimafia è stato creato e fatto crescere dentro le aule di giustizia. Tanto che dopo la cattura di Bernardo Provenzano nel 2007 è diventato una sorta di capo dei capi di quella che possiamo definire una certa ‘mafia dell’antimafia’.

Duole dover risentire di nuovo,il 21 settembre prossimo che Sciascia quando prendeva di mira un certo modo di amministrare la giustizia sbagliava a muovere le sue caustiche critiche. Il De Lucia, due anni fa nel paese di Sciascia ha sostenuto infatti che bisogna porsi dei limiti nel criticare i magistrati. E chi li stabilisce questi limiti? Ma naturalmente lo stesso magistrato criticato, se necessario, anche attraverso una richiesta di risarcimento economico di 50 mila euro, come ci risulta abbia fatto proprio lui, con Salvatore Petrotto, ex sindaco di Racalmuto ed ex presidente della Fondazione Leonardo Sciascia, per 13 anni. Si tratta di una richiesta risarcitoria avanzata nei confronti di chi gli aveva mosso alcune critiche riguardo al suo operato, quando era procuratore di Messina e quando era in servizio presso la procura nazionale antimafia. Quando cioè si è incontrato per tre volte consecutive con il capo della Security di Confindustria che gli chiedeva notizie sull’inchiesta per mafia di Montante.

Ecco, questi sono i limiti oltre i quali non si deve andare. Non bisogna cioè mettere minimamente in discussione le opacità relative all’operato non solo di De Lucia, ma di qualsiasi magistrato. Anche quando sbagliano o agiscono in mala fede. A quel punto il cittadino rimane nudo, al cospetto di chi esercita un potere a volte del tutto fuori controllo ed in maniera irresponsabile. E neanche dentro la sede della Fondazione Leonardo Sciascia, è possibile fare emergere determinate verità, seppure scomode. Visto che in questo, così come in molti altri casi, i potenti di turno, come è noto, fanno sempre ricorso alle querele – bavaglio, per zittire qualsiasi voce dissenziente. È così che si onora la figura e la memoria di Leonardo Sciascia? Nel paese del più grande difensore dei sacrosanti principi di tolleranza propugnati, a partire dal Settecento dai Filosofi Illuministi, accade anche questo. Che non si rende un buon servizio a chi come Sciascia ha sempre difeso le istanze libertarie con il Partito Radicale di Marco Pannella. Accade che un magistrato amico di un falso paladino dell’antimafia come Montante, impedisce di parlare, a colpi di querele, chi è stato peraltro presidente di una delle più importanti istituzioni culturali della Sicilia. Nata per onorare Sciascia ed il suo libero, ma veramente libero, pensiero.

Si impedisce di far continuare a gridare, forte e chiaro, determinate verità che sono l’esatta antitesi rispetto a quanto fin qui sostenuto da chi fa finta di non capire che, in Italia, è stato per primo Sciascia a svelare questo genere di imposture; come quelle che si continuano a perpetrare in Sicilia, continuando ad onorare, anzi a disonorare, non solo il suo pensiero, ma anche l’affermazione di quella Giustizia Giusta che ad oggi continua ad essere negata. Facendo ricorso a questo genere di convegni, lo ripetiamo a senso unico, si cerca di centrare il solito obiettivo che è quello di far prevalere quel pensiero unico, oggi assai prevalente e smaccatamente liberticida. Si vuole scoraggiare la gente. Si vuole incutere timore e paura. Ma ormai tutti quanti abbiamo capito che, anche dentro la magistratura, e di questo ne era ben consapevole Paolo Borsellino, c’erano ieri e ci sono ancora oggi, quelli che ebbe a definirli dei giuda; a giugno del 1992, a Palermo, a Casa Professa, nell’ultima sua apparizione pubblica, dopo la strage di Capaci e prima che lo riducessero a brandelli in via D’Amelio.

Ecco perché alcuni soggetti pretendono ancora di utilizzare, come proprio ed esclusivo palcoscenico, la Fondazione Sciascia. Per tentare di mettere a segno l’ennesima cocente impostura. Così, un anno si ed un anno sempre, se la cantano e se la suonano da soli; davanti ad una clac intimorita, plaudente ed ossequiosa. Bisogna ancora continuare a sopportare che alcuni magistrati, e tra questi, in questo momento, in primis De Lucia, facciano la morale a Sciascia, continuando a sostenere che quasi tutte le sue riflessioni riguardanti la giustizia, vanno confinate nell’ambito della speculazione, per così dire astrattamente filosofica. Parliamo di una filosofia del diritto che lui ed alcuni suoi colleghi sono costretti a sopportare ed a rintuzzare costantemente e sistematicamente, perché Sciascia per loro rappresenta quella coscienza critica che mal digeriscono. E, seppure con molto garbo, ai limiti della più becera ipocrisia, ci provano sempre a profanare il pensiero di chi, assieme a Pier Paolo Pasolini, è stato uno dei due più grandi intellettuali italiani del Secondo Dopoguerra. Cercano di circoscrivere la sfera dei loro ragionamenti all’interno di un contesto, per così dire, squisitamente letterario. Evitano accuratamente di scendere sul terreno della concretezza. Nei loro discorsi non si fa alcun riferimento a fatti realmente accaduti ed a personaggi reali. Tutto è e deve rimanere evanescente. Tutto deve rimanere rigorosamente confinato in un cono d’ombra ed indecifrabile. Depistaggi, morti improvvise e sospette di investigatori, collaboratori e testimoni di giustizia, frettolose archiviazioni di delicati casi giudiziari, gestione sospetta dei cosiddetti pentiti, gestione dei patrimoni sequestrati e/o confiscati in maniera più o meno legittima, scioglimenti per mafia per delle inesistenti infiltrazioni mafiose, gestione illegale di rifiuti, acqua, energia, banche, sanità; aste giudiziarie truccate, incarichi, carriere e promozioni di magistrati del tutto discutibili e soprattutto tante, tantissime querele bavaglio contro chi si azzarda a dire la verità, tutta la verità, nient’altro che la verità. Di tutto si deve parlare, di aria fritta o di sesso degli angeli, tranne che di queste calamità giudiziarie con cui hanno devastato l’intera nazione da quando, in modo particolare, tolti di mezzo Falcone e Borsellino, dalla trattativa Stato-mafia, si è passato al definitivo accordo. Tanto che nessuno si accorge che mafia e Stato hanno lo stesso volto. La mafia cioè si è fatta Stato. La mafia di oggi non è più cosa nostra, ma la ‘cosa unica’. Possiamo pure chiamarla, se vogliamo, massomafia. Ed è più pericolosa e più forte che mai.

È da ciechi, se non da folli, sostenere che bisogna distinguere la mafia da da certa antimafia, soprattutto, e lo ribadiamo, dopo il caso Montante. Ci riferiamo ovviamente alla solita antimafia che ancora oggi va per la maggiore. E non è valso niente, per qualcuno, ad esempio, leggere, nelle motivazioni della sentenza di condanna in primo grado di Montante, scritte da un magistrato coraggioso, la Dott.ssa Graziella Luparello, che il sistema che quel compare di due mafiosi aveva messo su si può definire tranquillamente: ‘mafia trasparente’. Certo che per il De Lucia, ma anche per molti suoi colleghi che non si sono accorti di nulla, accettare una verità così scomoda, è davvero difficilissimo. Sono forse queste le reali preoccupazioni di chi, ormai quasi ogni anno, avverte la necessità di pontificare, a reti unificate, da dentro la Fondazione Sciascia. E così si continua imperterriti a profanare questa importante Istituzione culturale, intitolata al più grande ‘moralista civile’ del Novecento, che era solito lanciare stilettate e micidiali fendenti, quando contrastava, a viso aperto, impostori e suoi detrattori, con uno stile ed una profondità culturale che faceva rimordere anche le coscienze malate di chi, ieri come oggi, era dedito a violentare le Istituzioni democratiche.

Quelli animati dallo scrittore di Racalmuto erano dibattiti veri e non dei monologhi, come quelli di oggi. Vivo Sciascia, si poteva, senza infingimenti di sorta, si riusciva, anche in maniera impietosa, a condannare pubblicamente, senza paura, questo modo ingiusto, da parte di molti magistrati, di amministrare la giustizia.