2.10.2022 COMMISSIONE ANTIMAFIA – Resoconto stenografico audizione LUCIA BORSELLINO – FABIO TRIZZINO

XIX LEGISLATURA
Commissione parlamentare di inchiesta sul fenomeno delle mafie e sulle altre associazioni criminali, anche straniere
 
Seduta n. 13 di Lunedì 2 ottobre 2023
Bozza non corretta
TESTO DEL RESOCONTO STENOGRAFICO

PRESIDENTE  CHIARA COLOSIMO

  La seduta comincia alle 14.

  PRESIDENTE. Buongiorno a tutti. Avverto che se non vi sono obiezioni la pubblicità dei lavori della seduta odierna sarà assicurata anche tramite impianto audiovisivo a circuito chiuso, nonché via streaming sulla web-tv della Camera.

Seguito dell’audizione di Lucia Borsellino e Fabio Trizzino, legale di Lucia, Manfredi e Fiammetta Borsellino.

  PRESIDENTE. L’ordine del giorno reca il seguito dell’audizione di Lucia Borsellino e Fabio Trizzino, legale di Lucia, Manfredi e Fiammetta Borsellino, a cui rinnovo il benvenuto da parte della Commissione.
  Ricordo che la seduta odierna si svolge nelle forme dell’audizione libera ed è aperta alla partecipazione da remoto dei componenti della Commissione. I lavori potranno proseguire in forma segreta a richiesta dell’audito o dei colleghi. In tal caso non sarà più consentita la partecipazione da remoto e verrà interrotto la trasmissione via streaming sulla web-tv.
  Prima di dare la parola all’avvocato Trizzino per il prosieguo della sua audizione, tengo a sottolineare che, come indicato la scorsa volta, questa audizione prenderà tutto il tempo necessario per lasciare il giusto spazio sia agli auditi sia a chi vorrà intervenire per domande e richieste di chiarimenti. È già stato convocato un Ufficio di presidenza anche per stabilire come si dovrà proseguire, una volta conclusa la presente audizione.
  Do la parola all’avvocato Trizzino, ringraziandolo ancora per la disponibilità.

FABIO TRIZZINO, legale di Lucia, Manfredi e Fiammetta Borsellino. Grazie presidente e grazie a voi che siete qui presenti. Riprendiamo il discorso da dove l’avevamo interrotto e cioè dall’assegnazione, il 18 luglio 1992 di mattina, della titolarità del fascicolo di Gaspare Mutolo al dottor Borsellino. Per noi questa era una circostanza assolutamente pacifica perché consacrata definitivamente, con sentenza anche della Cassazione, nell’ambito dei processi Borsellino-bis, ter e anche quater abbreviato.
Senonché, abbiamo dovuto tornarci perché all’udienza del 18 ottobre 2021 presso il tribunale di Avezzano – il dottor Scarpinato devo dire in maniera molto meno decisa rispetto al dottor Lo Forte, il quale rese questa dichiarazione ad Avezzano il 15 novembre del 2021 – in quella sede, dicevo, entrambi hanno sostenuto che in realtà il contenuto della telefonata del dottor Giammanco a Paolo Borsellino la mattina del 19 aveva per contenuto la definizione della assegnazione in termini formali del fascicolo relativo alla collaborazione di Gaspare Mutolo. Entrambi poi sono stati sentiti a distanza di qualche settimana, precisamente il 26 novembre del 2021 a Caltanissetta. Su questa circostanza ovviamente si è ritornati.
Mentre ad Avezzano la collega Giannetti ha cercato in tutti i modi di rappresentare al tribunale quanto cristallizzato nelle sentenze definitive, a Caltanissetta – che è la sede naturale dell’accertamento circa l’assegnazione del fascicolo Mutolo il 18 mattina – i due dichiaranti, che sicuramente non ricordavano bene, hanno finito per ammettere che non erano a conoscenza delle dichiarazioni della signora Agnese Borsellino, soprattutto nell’ambito del procedimento Borsellino uno, dove all’udienza del 23 marzo 1995 venne fatto il racconto circa il contenuto preciso della telefonata che il dottor Borsellino ricevette e del suo grande turbamento, e che si riferiva alla assegnazione tanto reclamata dal dottor Borsellino in relazione a quel famoso segreto di cui il dottor Teresi, il dottor Ingroia e lo stesso dottor Scarpinato erano stati destinatari.
Borsellino vedeva una connessione evidente, per il tramite dell’omicidio Guazzelli e quanto saputo e quanto saprà da Catania – questo è un altro punto fondamentale con riferimento alla collaborazione di Lipera – il dottor Borsellino sa delle cose sul dottor Giammanco, per cui da un lato decide di rompere il flusso della comunicazione completa delle informazioni, come vi ho ricordato l’altra volta, e dall’altro ha interesse a entrare nel comparto, nella direzione, nel coordinamento delle indagini su Palermo.
Incalzati dai pubblici ministeri e dalle parti civili, soprattutto il dottor Lo Forte, che era colui che sosteneva con più convinzione che la ricostruzione secondo cui la telefonata del 19 non riguardava Palermo ma Mutolo, è costretto ad ammettere che la sua era una semplice ipotesi – questo voi lo leggerete dai verbali che io non vi leggo qui perché altrimenti ci vorrebbero dieci sedute e non voglio francamente tediarvi.
Dalla lettura dei verbali delle deposizioni, che provvederò a depositare e a cui facevo riferimento, al processo di Avezzano e al processo-depistaggio di Caltanissetta, vi renderete conto che alla fine il dottor Lo Forte è costretto ad ammettere che la sua è un’illazione. Tra l’altro essa sembra priva anche di una sua logicità intrinseca, perché a un certo punto il dottor Lo Forte dice che probabilmente era accaduto il 18, però poi ha telefonato per confermare.
Borsellino si porta il fascicolo di Mutolo e glielo trovano nella borsa subito dopo l’attentato, come ha dichiarato Vittorio Aliquò in commissione, dicendo che il fascicolo di Mutolo era nella borsa del giudice Borsellino subito dopo l’attentato e che faceva parte delle cose sequestrate, così come da verbale di sequestro.
D’altra parte, va ricordato – su questa questione vado rapidamente – che troverete, nei verbali del CSM, sia il dottor Lo Forte, sia il dottor Gioacchino Natoli, sia lo stesso dottor Scarpinato ricordare l’episodio della telefonata. Sul dottor Scarpinato ho qualche dubbio, ma sicuramente Lo Forte e Gioacchino Natoli – che erano i soggetti che interrogarono Mutolo nel pomeriggio del 17 luglio del 1992 – parlano della famosa telefonata di intercessione a Giammanco per ottenere la delega che finalmente poi avrà il 18 di mattina. Il 18 di mattina la delega Mutolo, sto parlando della delega Mutolo.
  Fatta questa precisazione che mi consente di riprendere il discorso là dove lo avevo interrotto la volta scorsa, andiamo a vedere un evento fondamentale che precede il famoso incontro del dottor Borsellino alla caserma Carini del 25 giugno del 1992, un incontro segreto. Qui sostanzialmente si conferma l’importanza della lettura dei verbali della commissione del CSM perché nei processi sulla strage di via D’Amelio si è sempre parlato di questo incontro in quanto connesso ai contrasti genericamente intesi – l’assegnazione del fascicolo Mutolo era un evento sentinella di questi contrasti – per cui abbiamo sempre pensato che il dottor Borsellino avesse preferito incontrare il colonnello Mori e il capitano De Donno per questo motivo, perché i rapporti con il dottor Giammanco erano pessimi.
In un’ottica però di, attenzione, ulteriore rafforzamento di quanto cristallizzato in sentenze definitive – e vi ripeto, vi sto portando dati consacrati in sentenze definitive – le circostanze si stanno arricchendo, stanno trovando ulteriore riscontro oggettivo esterno a quanto già contenuto nelle sentenze.
Da questo punto di vista vi dimostrerò essere di importanza capitale l’audizione della dottoressa Maria Falcone, che non è mai entrata nei processi, perché finalmente riusciamo ad arricchire e a rafforzare le motivazioni che portarono Paolo Borsellino all’incontro segreto.
Vi rimando totalmente al verbale del 30 luglio del 1992 – se c’è qualche imprecisione sulle date, essendo fatti documentali vi renderete conto che ho da Pag. 6tenere a mente migliaia di dati.
Cosa dice Maria Falcone? Maria Falcone dice una cosa fondamentale. Dice, in occasione del trigesimo, quindi il 23 giugno 1992, che, di fronte alla necessità di lei e di Alfredo Morvillo, che aveva perso la sorella, di dichiarare davanti al mondo le ragioni che avevano costretto suo fratello ad abbandonare Palermo, Paolo dice loro: «State calmi perché sto scoprendo delle cose tremende, inimmaginabili». Alla fine della sua audizione, incalzata giustamente dai commissari del CSM, lei aggiunge che Paolo intanto non riferisce ovviamente i particolari perché è un magistrato all’antica e con gli estranei parla solo quando ha prove e in secondo luogo le dice: «Io metto in relazione la scoperta di queste cose tremende con Giammanco» e le chiede di non uscire con una campagna giornalistica d’attacco nei confronti del dottor Giammanco.
Questo poi lo dovremo recuperare, perché ci sono testimonianze, per esempio di Carmelo Canale, secondo cui Borsellino gli aveva detto che voleva arrestare Giammanco o far arrestare Giammanco.
Questo deve essere un elemento estremamente importante.
Quindi Borsellino incontra Mori e De Donno fuori dall’ufficio della Procura, perché avrà scoperto delle cose tremende sul conto del suo capo.
Ciò, vi rendete conto, arricchisce e rafforza la rappresentazione contenuta nelle sentenze definitive. Si parla di contrasti, ma si parla di circostanze talmente gravi, di cui è a conoscenza il dottor Borsellino, che lo hanno vieppiù rafforzato nel convincimento che quel capo era un infedele.
Immaginate quindi la sorpresa quando abbiamo avuto modo di leggere queste cose, perché ci mancava questo anello che soprattutto ci ha consentito di valorizzare le dichiarazioni rese in diverse sedi sia dal capitano De Donno sia soprattutto dal sostituto procuratore di Catania, Felice Lima, con l’avvio della collaborazione di Lipera che stava fondamentalmente raccontando fatti non solo relativi alla suaposizione rispetto alle indagini del rapporto mafia-appalti – su questo cercherò di essere telegrafico in questo momento. Egli viene arrestato il 9 luglio del 1991, all’esito della prima tranche degli sviluppi portati avanti dalla Procura di Palermo una volta inserita nel cosiddetto fascicolo Calderone 2789 del 1990 l’annotazione del ROS a cui facevo riferimento prima.
Ho dimenticato di leggere la parte più importante.
Ho detto «annotazione», ma dovevo dire «fatti accertati fin dal 1988 nel territorio della regione Sicilia e dell’intero territorio nazionale». Scusate, questo è un elemento fondamentale che giustifica l’importanza delle premesse di contesto che ho fatto all’inizio.
  Dovrò dunque dimostrare la possibilità di una ricostruzione che va a confermare le dichiarazioni del capitano De Donno e soprattutto le dichiarazioni di Felice Lima sul fatto che il dottor Borsellino conoscesse in parte le dichiarazioni di Lipera, il quale è vero che comincerà a parlare di accuse verso alcuni magistrati della Procura in relazione all’illecita divulgazione del dossier e su cui per verità c’è stato un procedimento a Caltanissetta, che si è chiuso con un’archiviazione da parte della dottoressa Gilda Lo Forte, che però va letta tutta. Va letta tutta perché in quella ricostruzione emergono i dubbi su chi abbia divulgato il dossier – e vi ho dimostrato che Siino può andare da Guazzelli a chiedere che la sua posizione venga in qualche modo ammorbidita perché Siino tra il 20 febbraio e il 9 luglio 1991 ha conoscenza di un atto che doveva rimanere segreto.
Questo è un discorso che affronterò allorché dovremo occuparci della gestione che la Procura di Palermo fece del rapporto del ROS e delle discovery realizzate, una per certi versi legittima, un po’ troppo larga probabilmente, un’altra assolutamente illegittima, che è quella dell’agosto del 1991, quando il procuratore Giammanco deposita l’informativa al ministero. Questa è una cosa su cui dobbiamo tornare perché è di una rilevanza fondamentale, anche perché devo dare atto di una querelle.
Devo dire che qui il dottor Scarpinato ha reiteratamente negato una circostanza e cioè che il capitano De Donno lo avesse informato subito dopo la collaborazione di Lipera del fatto che Lipera stesse parlando.
Il dottor Scarpinato in ogni sede ha reiteratamente negato che ci sia stato questo incontro prima della morte di Borsellino.
Ha confermato che ci fu un incontro, se non erro nel settembre 1992, a Roma, in cui avrebbe consegnato a De Donno, o meglio, in cui il De Donno gli avrebbe chiesto una copia dell’archiviazione del 13 luglio-14 agosto 1992, su cui dovrò tornare ovviamente, anche e soprattutto in ragione di ciò che abbiamo acquisito, sempre leggendo i verbali della Commissione.
Finalmente potete leggere le parole della dottoressa Falcone alle pagine 38-41 del relativo verbale alla commissione.
 Arriviamo quindi all’incontro alla caserma Carini.
Ora abbiamo più particolari: contrasti con Giammanco, si trattava di una fase in cui Borsellino apprende cose tremende, sa verosimilmente quello che ha cominciato a dire Lipera a Catania e quindi queste sono ragioni più che sufficienti per giustificare l’incontro «carbonaro».
Vi dicevo l’altra volta che bisogna capire chi ha attaccato chi, chi si è dovuto difendere e chi, in stato di necessità, doveva in qualche modo cercare di salvare sé stesso da un evento mortale e non c’è riuscito, come sappiamo.
La condotta di Borsellino, laddove sia contestabile sotto il profilo disciplinare, con riferimento all’interruzione della circolarità e con riferimento all’incontro «carbonaro» a mio giudizio è totalmente scriminata dall’esistenza di questo stato di necessità.
L’incontro alla caserma Carini viene organizzato grazie a una intermediazione. Borsellino chiede al maresciallo Canale di attivarsi per poter incontrare appunto Mori e De Donno.
Non deve sfuggire a questa Commissione che il dottor Borsellino non conosceva minimamente il capitano De Donno e viceversa.
Il dottor Borsellino conosceva solo di vista il colonnello Mori e aveva un buon rapporto di stima reciproca con il generale Subranni. Quella è la sede in cui per la prima volta il dottor Borsellino conosce personalmente De Donno, sapendolo comunque uno dei più fidati collaboratori del dottor Giovanni Falcone.
Tanto ciò è vero che nel 1998 c’è una dichiarazione al processo Borsellino-ter del capitano De Donno che dice che Giovanni Falcone gli aveva chiesto la disponibilità, qualora fosse diventato il capo della Procura nazionale antimafia, di andare a lavorare con lui nell’ottica di una costituzione di una squadra investigativa che lavorasse proprio sul dossier mafia-appalti.
Sul punto c’è da dire sostanzialmente questo.
La data, grazie all’agenda del colonnello Mori, si riesce a stabilire molto semplicemente, ed è il 25 giugno, quindi siamo a due giorni dopo il trigesimo.
Sul luogo anche qui fu il colonnello Mori, sentito nei vari processi, a ricordarlo meglio di De Donno, cioè la caserma Carini. La cosa interessante è il racconto che fanno dell’incontro sia il capitano De Donno sia il colonnello Mori. L’incontro fu estremamente rapido, anche perché immaginate il rischio del procedimento disciplinare: sono cose che sono state fatte in un momento di grave pericolo e di grande necessità. Borsellino andò dritto al punto.
Disse che voleva approfondire le indagini di mafia-appalti di cui conosceva i primi esiti. Il 9 marzo 1992 abbiamo la richiesta di rinvio a giudizio del primo troncone nei confronti di Farinella Cataldo, latitante – sembra che si sia dato latitante perché sapeva che c’erano delle indagini – Lipera Giuseppe, Morici Serafino, Falletta, Cascio Rosario, Buscemi Vito, poi c’è un altro nome che in questo momento non ricordo, ma è tutto documentato. Borsellino è come se non sia contento di questi esiti e poi lo scopriremo fondamentalmente il 14, nella riunione in cui ha delle precise istanze, perché il dottor Borsellino conosceva perfettamente il dossier, aveva fatto delle indagini di competenza a Marsala.
A differenza di tutti coloro che erano presenti a quella riunione, Borsellino era l’unico che conosceva le carte del rapporto e ve lo dimostrerò. Andò subito dritto al punto. Mori pose come condizione però che se ne occupasse lui.
Borsellino infatti disse che dovevano riferire solo a lui: vi rendete conto che, in un momento in cui il dottor Borsellino non ha neanche la delega su Palermo, arriva a dire a Mori che dovevano riprendere il rapporto mafia-appalti e dovevano riferire solo a lui? Con De Donno invece la situazione è ancora più specifica, perché ora vi racconterò un particolare, dal mio punto di vista estremamente significativo. Borsellino appena vede De Donno gli dice: «Sa, mi hanno parlato malissimo di lei in Procura, io ho preso le mie informazioni e ho riveduto totalmente la mia opinione su di lei». Questo è molto importante perché nel processo Borsellino-bis, Carmelo Canale, il 24 marzo 1988, quando gli viene chiesto come e perché Borsellino organizzi quella riunione – non era tenuto a sapere che Borsellino avesse scoperto delle cose tremende – lui afferma che Borsellino gli disse che siccome in Procura si parlava male di De Donno e siccome era arrivato un anonimo che in Procura attribuiscono a De Donno – questo è un punto fondamentale – che riguarda Catania – altro punto fondamentale – lui voleva andare a incontrare De Donno.
Questo spiega anzitutto che Borsellino sapeva di Catania e che Canale lo confermava, dicendo che Borsellino voleva andare a parlare con De Donno dell’anonimo di Catania.
Ora vi leggerò cosa c’è nell’anonimo di Catania. Quindi appena incontrato De Donno gli dice che aveva cambiato opinione, che voleva rivitalizzare il rapporto, perché lì c’è la morte di Giovanni Falcone, gli chiese di quali uomini e mezzi avesse bisogno, di presentargli una sua squadra, fondamentalmente il sunto del verbale è questo.
 Quando sarebbe tornato da una rogatoria in Germania ne avrebbero parlato. Considerate che il 26, il 27 e il 28 Borsellino è a Giovinazzo, il 29 abbiamo il famoso incontro con Giammanco, il 30 giugno e il primo luglio si trova a Roma a interrogare Leonardo Messina e Gaspare Mutolo, poi il 4 è a Marsala. Poi Borsellino il 6, il 7, l’8 e il 9 è in Germania per la famosa rogatoria che doveva andare a fare, quindi «ne parliamo dopo».
De Donno dice che Borsellino non l’aveva più incontrato: il 25 è stata la prima e l’unica volta in cui ha incontrato Borsellino, perché di fatto, dopo l’arrivo dalla Germania, Borsellino non ha il tempo perché campa per altri sei giorni, campa altri sei giorni. Credetemi, per questo è lunga questa ricostruzione e non posso saltare i passaggi, perché ogni particolare e ogni dettaglio ci consentono storicamente di fare chiarezza una volta per tutte, secondo noi, secondo una plausibile ricostruzione – non portiamo dogmi o verità – su quello che è successo fra le due stragi.
  Sul punto è interessante quello che ci dice il dottor Scarpinato sempre nelle famose recenti dichiarazioni ad Avezzano, soprattutto, e a Caltanissetta. Sono dati documentali, io mi limito soltanto a riferire, sono dati oggettivi. Il dottor Scarpinato parla una prima volta dell’interlocuzione con il dottor Borsellino nell’aprile del 1999, interrogato dalla Procura di Caltanissetta, nell’ambito del procedimento inerente alle reciproche accuse tra Siino, De Donno e Lo Forte. Il dottor Scarpinato in quella sede dichiara semplicemente che in un’epoca successiva all’insediamento di Paolo Borsellino ebbe a parlare un attimo di mafia e appalti, in piedi, davanti all’ufficio del dottor Borsellino, con una persona presente, la quale gli chiese qualcosa appunto su Pantelleria, ma l’incontro durò pochi minuti e basta.
Questa è la prima affermazione del dottor Scarpinato, tanto è vero che se andate a leggervi il verbale dell’esame del dottor Scarpinato al processo-depistaggio, il pubblico ministero d’udienza lo incalza in qualche modo parlando di mafia-appalti – in poche parole il senso è questo – e il dottor Scarpinato dice: «Siccome ho fatto una querela nei confronti di giornalisti, oggi sono in grado di ricostruire meglio la vicenda».
Allora ci racconta che l’incontro avvenne sicuramente dopo il 17 maggio, perché c’era stato il rinvio a giudizio di Lipera, Cataldo Farinella, Siino – ecco avevo dimenticato tra i nomi di quelli di prima il «ministro dei lavori pubblici», considerato come tale, Angelo Siino.
Quindi dice che era in grado di riferirlo meglio, cioè che avvenne sicuramente dopo la richiesta di rinvio a giudizio, quindi sarà stato il 16 o il 17 maggio. L’incontro, emerge dalle carte, in realtà fu chiesto da Borsellino a Ingroia, cioè ci fu la mediazione di Ingroia per parlare con il dottor Scarpinato, perché il dottor Scarpinato era uno dei titolari del fascicolo relativo alle indagini su mafia-appalti e il dottor Borsellino individuò nel dottor Scarpinato, tra quei titolari – avrà avuto le sue ragioni – la persona con cui conferire, tant’è vero che gli rivela il segreto legato alla necessità del collegamento, per il tramite di Guazzelli, Lima Falcone, e gli dice per favore di non riferire al dottor Giammanco. Il dottor Scarpinato aggiunge dunque questo ulteriore particolare legato fondamentalmente alla mediazione, cosa che comunque conferma Ingroia, che dice: «Paolo mi chiese a chi potevo rivolgermi.
Siccome io ero di Magistratura democratica come il dottor Scarpinato, eravamo della stessa corrente e in più era il titolare del fascicolo».
La cosa veramente importante di quell’esame, che ricavate dall’incrocio delle dichiarazioni rese ad Avezzano e a Caltanissetta, è che il dottor Scarpinato ci dice per la prima volta che il dottor Borsellino gli aveva detto che aveva avuto o doveva avere un incontro segreto per capire il discorso dell’anonimo di Catania.
Questa è una cosa che francamente miha fatto saltare in aria perché dell’incontro alla caserma Carini lo sapevano Canale, Mori, De Donno e, per sua stessa ammissione, anche il dottor Scarpinato.
Questo lo dico perché il dottor Scarpinato in quelle dichiarazioni collega, se volete la leggo – forse questo è un punto che andrebbe letto proprio perché è un punto chiave. A questo punto vorrei leggerla la dichiarazione proprio perché è necessaria. Il dottor Scarpinato a un certo punto dice: «Io mi riferivo al corvo-bis che era arrivato il 23 o il 24 giugno».
Ma, come ci dice Canale, la necessità dell’incontro non è per il corvo-bis ma è per Catania.
A Catania si dice fondamentalmente questo, ora lo andiamo a prendere se volete. È come se nel suo ricordo – senatore Scarpinato io mi rendo conto, sono passati trent’anni, si può fare una sovrapposizione di ricordi – però a un certo punto in una prima dichiarazione lei si riferisce a al problema…

PRESIDENTE. Avvocato, nel racconto si rivolga alla Commissione e non direttamente al singolo commissario, grazie.

FABIO TRIZZINO, legale di Lucia, Manfredi e Fiammetta Borsellino. Chiedo scusa per questa intemperanza. Il dottor Scarpinato sovrappone, nel senso che mette insieme l’anonimo del maggio del 1992 con quello del 23 e 24 giugno del 1992. In termini logici, considerato tutto quello che è l’altro materiale acquisito, cioè in primis la dichiarazione di Canale – che è colui a cui viene chiesto dal dottor Borsellino di organizzare l’incontro – quand’anche fosse il corvo-bis questo non cambia nulla, perché, essendo arrivato quell’anonimo il 23 o il 24 giugno, il dottor Borsellino dice al dottor Scarpinato: «Io domani andrò a incontrare i ROS». L’importante cioè è che tutto ciò che riguarda gli anonimi sia prima del 24 e soprattutto – e questa è una circostanza che non c’era stata mai detta – che anche il dottor Scarpinato era stato destinatario di una confidenza, malo dichiara lui, non lo dico io, attenzione lo dichiara lui al processo di Avezzano e di Caltanissetta, noi non lo sapevamo, noi avevamo la dichiarazione del dottor Scarpinato dell’aprile del 1999, punto. È un altro elemento che si aggiunge. Comunque sia, il dottor Borsellino dice al dottor Scarpinato che avrebbe, o aveva, o avrebbe fatto un incontro segreto con i ROS, questa è l’altra circostanza assolutamente nuova.
A questo punto, vi leggo proprio quanto riferito il 18 ottobre del 2021 ad Avezzano: «Lo sto dicendo perché c’è un accenno a mafia-appalti, mi chiese cosa ne pensavo, mi disse che era molto rilevante» parlando dell’anonimo, attenzione «o era molto rilevante o era qualcuno che voleva depistare ed era rilevante lo stesso.
Mi disse che gli avevano detto che forse quell’anonimo poteva venire dall’ambiente del ROS», perché alla fine dell’anonimo si diceva «rivedetevi l’inchiesta mafia-appalti». «Mi disse che avrebbe avuto degli incontri segreti di cui non dovevo parlare con Giammanco per capire chi era l’autore di quell’anonimo, quello fu l’unico accenno che mi fece».
Queste sono le parole. Se noi consideriamo che questa circostanza non c’è mai stata detta prima, quindi il numero delle persone che conoscono dell’incontro segreto con Borsellino aumenta. Non mi risulta dalla lettura delle sentenze che anche il corvo-bis venisse attribuito al ROS.
Era l’appunto su Lipera che viene attribuito al ROS e quello arriva il 30 aprile del 1992 al ROS, il 3 viene spedito a Catania in cui arriva il 6 e da qui iniziano le indagini di Lima, il 12, con ricevuta dal dottor Lo Forte, quell’anonimo è nelle mani della Procura di Palermo. In quell’anonimo c’è scritto sostanzialmente questo: «Spremete Lipera a Catania perché guardate che la Rizzani de Eccher di Udine ha fatto tante anomalie con riferimento a Mascali e altro, quindi fate parlare Lipera che sa tante altre cose perché ci sono stati pochi arresti», se volete ve lo leggo letteralmente. Rimane dunque inquesto contrasto ma alla fine la sostanza poco cambia dal mio punto di vista. Borsellino vuole sapere perché è in atto una campagna di delegittimazione nei confronti del ROS, questo è il punto chiave. Borsellino quando incontra De Donno gli dice: «Di lei parlano tutti male, lo considerano un esaltato, io invece ho avuto modo di prendere le mie informazioni e so che lei è una persona veramente in gamba», questo gli dice Borsellino, secondo la testimonianza di De Donno, ovviamente, però il fatto stesso che voglia organizzare un incontro segreto, voglia rivitalizzare – certo Borsellino i suoi errori li ha fatti anche lui, probabilmente, non era perfetto – diciamo che però tutto conduce verso un’attestazione di fiducia verso il ROS e il lavoro che stava svolgendo, giusto o sbagliato, non tocca a noi dirlo, io mi sto limitando a riportare fatti e circostanze. Quindi si lasciano con questo intento e poi sappiamo che è finita e Borsellino non ha potuto procedere oltre.
  Ritornando un attimo indietro, perché procedere a braccio porta sostanzialmente a questa difficoltà, volevo dire che tornare al malessere e al tentativo di Borsellino di raccogliere elementi contro il Procuratore per iniziative giudiziarie, attenzione, non per fare una semplice contestazione, cioè per trasmettere all’autorità competente – Caltanissetta.

È la stessa dottoressa Consiglio che ce lo dice nella sua audizione dinanzi al Consiglio superiore della magistratura nella quale afferma che Antonio Ingroia le disse che Paolo stava cercando di raccogliere tutto il materiale per poi mandarlo all’autorità competente e poi, dice Antonella, è finita. Certo, è finita. Non sto qui a tediarvi sulle modalità dell’incontro e su chi si mise in mezzo e chi no.
Ecco cosa dice esattamente l’anonimo arrivato il 30 aprile del 1992, trasmesso anche a Palermo: «Se volete scoprire gli imbrogli degli appalti a Catania interrogate Lipera che è arrestato a Palermo. Come mai la ditta di Udine Pag. 16ha preso lavori e ha fatto costruzioni in tutta la provincia? Controllate Mascali e Villafranca.
Chiedete informazioni al giudice Lima – Felice Lima di cui dovremmo parlare – che ha fatto arrestati, ma è ancora troppo poco». Su questo voglio dire che il dottor Felice Lima ha dichiarato nel 1996, davanti al Consiglio superiore della magistratura, nell’ambito di un procedimento disciplinare, che il suo capo Alicata era d’accordo con lui nel considerare che questo anonimo provenisse dall’imputato Susinni, in quanto si era sempre rifiutato di parlare e aveva rinfacciato a Felice Lima, nell’ambito dei procedimenti per cui era sotto processo addirittura, che avevano preso il pesce piccolo e che stavano trascurando altre importanti piste d’indagine. Per cui, Felice Lima di fronte all’arrivo di questo anonimo parla con il dottor Alicata e convergono entrambi nel considerare un possibile autore dell’anonimo lo stesso Susinni.
  Teniamo presente questa campagna di delegittimazione quale sembrerebbe emergere dalla lettura degli atti nei confronti di De Donno, perché in quel momento i ROS sono probabilmente il nemico e quindi c’è un problema legato ai ROS in Procura. I ROS si sono lamentati del fatto che al rapporto non è stata data la giusta valorizzazione.
Lo pensava anche Giovanni Falcone e ve lo dimostrerò, lo pensava anche Paolo Borsellino e ve lo dimostrerò. Quindi tra la Procura di Palermo e i vertici del ROS i rapporti diventano sempre più tesi e la questione diventa ancora più potente quando da uno scambio di lettere tra il generale Subranni e il dottor Giammanco, al di là del burocratese e al di là delle formule, in realtà emerge il dispiacere del generale Subranni che lamenta l’eccessiva discovery del deposito degli atti al tribunale del riesame – e io vi dimostrerò un esempio di discovery eccessiva.
Per me è una possibile ricostruzione che è nulla di fronte all’iniziativa di Giammanco di inviare il plico al Ministero e forse, qui non sono sicuro, lo dichiara forse il dottor Pignatone, addirittura alla Presidenza della Repubblica e alla Presidenza del Consiglio, quasi a delegare all’autorità politica la risoluzione delle potenzialità investigative connesse a un atto di rilevanza penale, a una notizia di reato.
Non si è mai sentito dire che un rapporto che costituisce notizia di reato venga spedito alle autorità politiche. Questo per dire a chi oggi, giornalisti autorevoli, mi dicono che il rapporto era una pista di nulla.
Allora, se era una indagine come le altre, non vedo perché il dottor Giammanco, violando la legge, manda il rapporto a Falcone e al ministro Martelli.
In realtà, anche lì, c’è una lettera con cui Martelli duramente rispedisce al mittente l’iniziativa di Giammanco, e Falcone, con la Ferraro che materialmente redige l’altra lettera istituzionale, chiede al CSM di procedere nei confronti di Giammanco per la grave irregolarità che aveva compiuto, ma ovviamente, siccome non c’erano i giudici Falcone e Borsellino di mezzo, che sono stati costretti, anche per delle interviste fondamentalmente a un giornale, a doversi giustificare, lì il discorso cambia.
  Su questo poi mi attarderò un poco perché sono i passaggi fondamentali, perché altrimenti non si capisce perché il dottor Borsellino si lamenta. È importante riuscire a dimostrare l’enorme divaricazione, a nostro giudizio, tra le potenzialità investigative del dossier e i risultati concreti in termini procedurali.
Vi basti solo un dato, per il momento. Borsellino sulla base di un appalto relativo al porto turistico di Pantelleria nel maggio del 1991, arresta 17 persone – un appalto! – tra cui il sindaco di Pantelleria Petrillo, che troveremo anche nel rapporto, con riferimento a tre gare importanti di Pantelleria. Da quel rapporto gigantesco di quasi mille pagine alla fine ci sono stati sette arrestati e nient’altro.
Lì c’è disegnato il mondo, non è solo la SIRAP, perché c’è il Consorzio Cempes, 400 pagine sui lavori legati al collettore emissario est, i lavori per la circonvallazione,Pag. 18i lavori dello stadio di Palermo e di via Lanza di Scalea, una roba indescrivibile. Non è solo la SIRAP, che è una delle stazioni appaltanti, una, ma lì le stazioni appaltanti sono tante.
Questo poi lo vedrete perché di tutte queste cose io vi lascerò documentazione, voi avrete alla fine della mia relazione una sessantina di allegati e facendo riferimento a questa ipotesi ricostruttiva in cui cerco di fornirvi degli assist interpretativi – che come tali vanno presi, non sono verità – potete in qualche modo orientarvi.
Non l’ho detto l’altra volta, presidente, ma io ho cominciato a dedicarmi a questo lavoro nel 2015, questo è un punto fondamentale, perché fino al 2015, per motivi anche intuibili, la famiglia si è tenuta lontana da queste carte per un motivo molto semplice. Noi non viviamo più, l’elaborazione del lutto è impossibile, a questo punto noi siamo costretti.
Oggi è la festa dei nonni, quel nonno che Paolo Borsellino non poté mai essere, quindi è una questione proprio di dignità e di impegno. Le nuove generazioni della famiglia, anziché in qualche modo cercare di vivere la propria vita, sono costrette a impegnarsi in questa ricerca della verità, che non è semplice.
Non è semplice, perché anch’io faccio fatica a esprimere emotivamente il tutto, ma nello stesso tempo mi sono imposto un certo rigore metodologico perché è sugli atti che voglio essere contrastato, sul campo degli atti, sul campo delle dichiarazioni, sul campo delle interpretazioni e, soprattutto, dando per scontato che siamo in una democrazia costituzionale che ci dice che le sentenze definitive in questo Paese hanno un valore, salvo l’istituto della revisione, e noi ne sappiamo qualcosa, perché il processo uno e il processo bis sono stati totalmente abbattuti sulla scorta delle emergenze e del grandissimo lavoro fatto dalla procura del dottor Lari e di tutti i magistrati che vi si sono avvicendati, un lavoro sfiancante e terribile per cui sono dovuti ripartire dalle fondamenta.
  Il 25 giugno per Paolo Borsellino è una giornata altrettanto importante perché, dopo l’incontro alla caserma Carini di cui vi ho parlato, abbiamo il suo testamento spirituale a Casa Professa. Casa Professa è il testamento spirituale di un uomo. Lì sostanzialmente firma la sua condanna a morte. Nel momento in cui dice: «Io sono testimone, io so cose che devo riferire all’autorità giudiziaria», da quel momento convergono numerose dichiarazioni di collaboratori di giustizia che dicono Paolo Borsellino in quel modo si sovraespose. Molto importante è una dichiarazione che farà poi Siino nel 1997 quando racconterà che si trovava a Termini Imerese per un processo e stava con Montalto Salvatore. Tenete a mente questo boss, Montalto Salvatore, il quale riferisce a Siino: «Cu ciu purtava a Borsellino di parrari di queste cose?».
Sapete perché la figura di Salvatore Montalto, secondo la nostra opinione, è fondamentale? Perché Salvatore Montalto è direttamente ricollegabile alla famiglia di Passo di Rigano di Salvatore Buscemi.
Noi siamo arrivati alla conclusione che i soggetti esterni, magari ce ne sono altri, io non lo voglio escludere, che chiesero a Riina l’esecuzione accelerata della morte di Borsellino fanno parte di quel mondo della famiglia dell’Uditore-Passo di Rigano da cui provengono Salvatore Buscemi, Nino Buscemi, poi c’è Lipari Giuseppe, tutti quei soggetti che nell’archiviazione del 13 luglio come vi ricordavo vengono sostanzialmente liquidati con tre parole tre, quando nel rapporto vi è una descrizione compiuta, finanche genealogica, di tutte le interconnessioni della famiglia Buscemi.
I carabinieri del ROS arrivano alla conclusione che Vito Buscemi, quello che verrà arrestato il 17 febbraio 1992 in seconda battuta, è il «Buscemino» perché in realtà il «Buscemone» erano Nino Buscemi e Salvatore Buscemi.
Facendo riferimento a telefonate nel rapporto con Salvatore Buscemi di cui si parla con estremo rispetto, vedremo che Salvatore Buscemi nel momentoPag. 20in cui muore Borsellino è stato condannato definitivamente per associazione a delinquere di stampo mafioso e traffico di sostanze stupefacenti, quindi non era uno stinco di santo, e nel rapporto viene inserito che Vito Buscemi di fatto è un prestanome di tutta la famiglia Buscemi di Passo di Rigano e che con Montalto Salvatore avevano ordito il tradimento a carico di Inzerillo Salvatore.
Abbiamo Montalto che era il traditore di Inzerillo che si allea con Riina per far fuori Inzerillo e in cambio Salvatore Buscemi e Bonura ricevono per questo tradimento la titolarità del mandamento di Passo di Rigano, Buscemi Salvatore, e la titolarità del mandamento dell’Uditore, il Bonura, e ci viene a dire: «Cu ciu purtava a Borsellino di parrari di queste cose?». È come se si venisse a creare, secondo la mia e la nostra ipotesi, una liaison tra il mondo del Buscemi e la necessità di un’accelerazione.
Questo per dirvi come è complicato.
Mi dovete scusare se mi attardo un poco, ma vorrei facilitare in questo modo il lavoro della Commissione, perché altrimenti credo che ci vorrebbero almeno due legislature solo per leggere la messe di atti che ho letto, considerati i vostri numerosi impegni come legislatore.
Voi non vi occupate solo di questo, voi siete il legislatore, quindi vi dovete occupare di cose di maggiore attualità, la crisi economica, la manovra finanziaria.
Io vi voglio sostanzialmente agevolare in questa ricostruzione non portando, ripeto, nient’altro che elementi di fatto.
  A Casa Professa il giudice insiste sul fatto che Giovanni Falcone viene ucciso fondamentalmente in un’ottica preventiva perché molti hanno paura che possa tornare a fare nuovamente il magistrato, lo dice a chiare lettere, questa testimonianza la potete sentire su YouTube.
Dice una cosa importantissima, tende a dire che le annotazioni del diario di Falcone sono autentiche e qui ora dobbiamo aprire un capitolo fondamentale,su cui, secondo me, in questi 31 anni, non si è insistito abbastanza e, nei limiti in cui è possibile impetrare una richiesta in questa sede, io domando alla Commissione e al suo presidente di chiedere all’autorità giudiziaria competente, con tutte le formule di segretezza del caso, le annotazioni, che probabilmente sono a Caltanissetta.
Io vi dimostrerò che anziché essere 14, come ha sostenuto la Milella e come è emerso in seno alla commissione del CSM, le annotazioni di Falcone sono 39, questo è un punto fondamentale.

Sto andando velocemente perché mi rendo conto che non posso attardarmi molto. 

La storia delle annotazioni sul diario di Falcone è molto importante perché intanto è una voce che viene dall’interno della Procura e dobbiamo riflettere tutti quanti qua dentro sul fatto che le nostre torri gemelle, come disse con quella bellissima espressione Camilleri, hanno avuto lo stesso destino, cioè problemi con il dottor Giammanco e con altri colleghi della Procura perché dalle annotazioni di Giovanni Falcone emerge chiaramente.
Non è che Giovanni Falcone e Paolo Borsellino fossero la verità o la voce della verità, però c’è qualcosa che dà loro una certa dignità e una certa autorevolezza, visto che sono stati macellati da Cosa nostra. Un motivo c’era. Forse si erano guadagnati sul campo una certa credibilità. La questione dei diari di Falcone è questa.
Il 20 giugno del 1992, il dottor Ayala rilascia un’intervista in cui dice: «Guardate che i diari di Falcone esistono e io li ho visti in vita», e la stessa cosa dice Paolo Borsellino. Dice: «Anch’io li ho visti parzialmente, in vita» e su questo dobbiamo tornare perché è pure importante, «parzialmente».
Questa ricostruzione secondo cui dei colleghi, cioè Ayala e Borsellino, avessero potuto vedere in vita le annotazioni di Falcone ce lo conferma autorevolissimamente il 2 dicembre del 1998, nel Borsellino-ter, il presidente Leonardo Guarnotta. Guarnotta ci dice: «Con Paolo un sabato mattina andammo in ufficio – era il marzo del 1991 – per chiedere conto e ragione a Giovanni della scelta di andare a lavorare al ministero con Martelli come direttore degli affari penali».
Entrano Guarnotta e Paolo Borsellino, che lavorava a Marsala, però di solito il sabato andava a fare un giro a incontrare i vecchi amici dell’epoca del pool, quelli che c’erano, con cui si era creato veramente un rapporto bellissimo.
Così ce lo descrive Guarnotta: «In stanza c’era già Ayala, e il dottor Falcone, di fronte alle nostre rimostranze secondo cui avremmo dovuto sapere dal giornale che lui andasse a lavorare a Roma, non disse una parola, schiacciò un bottone e vennero stampate una serie di annotazioni», che erano le annotazioni che ora se volete vi leggo.
Questo conferma anche la testimonianza di sua eccellenza Siclari, nell’ambito della commissione del CSM, il quale dichiara che Paolo Borsellino gli disse che in parte le annotazioni di Giovanni Falcone le aveva viste in vita e lui si faceva il problema morale, guardate un poco, che non avesse raccontato questa cosa a Giammanco.
Allora Siclari gli ha detto: «Ma che te ne frega?» «Ora viene fuori la notizia». Siclari lo consiglia: «Non ti preoccupare, perché ti fai questo problema?». Quindi Borsellino, Ayala e Guarnotta conoscono le annotazioni in parte di Giovanni Falcone.
  Andiamo all’intervista di Ayala del 20 giugno che dice: «Attenzione ci sono le annotazioni di Giovanni Falcone, lì dobbiamo cercare anche un possibile movente della strage».
Qui entra in gioco una dichiarazione di Ingroia resa alla commissione regionale siciliana davanti a Fava – non ricordo se lo conferma anche al processo-depistaggio, ricordo che si trova nell’audizione presso la commissione regionale presieduta dall’onorevole Claudio Fava. Lui dice: «Paolo si lamentò del fatto che, siccome Giovanni Falcone aveva criticato Chinnici, che teneva il diario, come mai Giovanni cominciò a tenere il diario?»

Allora giustamente il presidente Fava risponde perché ci sono situazioni motivate. Ingroia in quella sede afferma: «La cosa assurda è che anche Paolo Borsellino poi lo fa, con la famosa agenda rossa». Perché quando ci sono situazioni di quel tipo, diceva Rocco Chinnici – fu questa la giustificazione che Rocco Chinnici diede a Giovanni Falcone – io scriverò nel diario in modo da poter dare a chi deve indagare la possibilità di risalire anche ai miei assassini.
Quindi abbiamo Rocco Chinnici, Giovanni Falcone e Paolo Borsellino, il quale comincia a utilizzare un’agenda rossa, di cui non sappiamo nulla perché sparisce, non dico alle 16 e 58 del 19 luglio, ma quasi.
Il 20 Ayala fa questa intervista, il 21 giugno – questo mi è stato detto, quindi verificatelo, perché sinceramente non l’ho verificato io, ve lo riporto e farete fare le necessarie verifiche su questo dato – il 21 giugno la «Falange armata» rivendica la non veridicità delle affermazioni di Ayala.
Quindi la «Falange armata» interviene immediatamente a dire che Ayala sta dicendo cavolate, Ayala sta mentendo. Questo è un punto secondo me estremamente significativo.
A proposito della Falange armata, come etichetta su cui bisogna fare tante considerazioni perché sul fatto che sul campo abbiano agito gli uomini di Cosa nostra non ci sono dubbi che tengono, ed è molto raro che Cosa nostra appalti a qualcuno l’esecuzione di delitti di quel tipo, molto raro! Resta questo dato, dovete verificarlo, che la Falange armata il 21 giugno vuole smentire Ayala.
  Cosa era scritto in questi diari? La questione si pone sul numero di 14 o 39.
La giornalista Liliana Milella il 25 giugno del 1992 si presenta spontaneamente a Tinebra per spiegare il motivo della pubblicazione di queste annotazioni sul quotidiano «Il Sole-24 ore» del giorno precedente e spiega l’origine di come le abbia avute. Racconta che le aveva avute da Giovanni Falcone nel luglio dell’anno precedente.
Falcone gliele consegnò perché di lei si fidava particolarmente in quanto sapeva di appartenere a una testata giornalistica che tutto cercava tranne che gli scoop e poi «Il Sole 24 Ore» aveva avuto modo di organizzare dei dibattiti in cui Giovanni Falcone aveva detto la sua su tutte quelle questioni legate all’organizzazione della lotta alla mafia. Lei spiega di averle dovute pubblicare perché in poche parole lo scoop era già finito, perché, da una parte, abbiamo Ayala che dichiara che ci sono i diari di Falcone, dall’altra, il 22 giugno Peppino D’Avanzo sul settimanale «l’Espresso» e il Francesco la Licata 23 giugno sul quotidiano «la Repubblica», pubblicano degli articoli in cui si dice che le annotazioni sono 39, quindi c’è questa difformità che andava in qualche modo risolta. In effetti, pensandoci bene, le annotazioni che sono in possesso della Milella si fermano al 6 febbraio 1991.
Siamo quindi in un’epoca antecedente al deposito dell’annotazione del ROS, che avviene il 20 febbraio del 1991, ma dagli articoli di D’Avanzo su «la Repubblica» e su «l’Espresso» vengono citate due annotazioni in cui letteralmente Giovanni Falcone si lamenta dell’assegnazione del fascicolo relativo all’omicidio del colonnello Russo e del professor Costa, avvenuto a Ficuzza nell’agosto del 1977, di cui parlerò, e soprattutto del fatto che, in riferimento al rapporto di mafia-appalti, i fedelissimi del procuratore Giammanco definiscono quel rapporto carta straccia da cui non c’è nulla da prendere.
Questo dice D’Avanzo su «l’Espresso» del 22 giugno 1992 e su «la Repubblica» del 23 giugno 1992. È chiaro che dunque, oltre a quelle del 6 febbraio del 1991, ci sono annotazioni che riguardano la gestione del rapporto mafia-appalti. Di queste noi, voi, il popolo italiano, non ne hanno assolutamente avuto mai disponibilità. Che cos’era successo? Era successo che queste annotazioni per errore non erano state mandate alla Procura della Repubblica competente, cioè Caltanissetta.
Se vogliamo, con riferimento Pag. 25alla strage di Capaci, un problema di competenza poteva anche porsi, se ci pensiamo un attimo. Non so come lo risolsero perché poi alla fine mi sono sempre occupato solo di Paolo Borsellino. Se ci pensiamo un attimo Giovanni Falcone era un magistrato fuori ruolo. Anche la dottoressa Morvillo era un magistrato fuori ruolo, perché da una settimana era stata nominata nella commissione per gli esami in magistratura.
Non ricordo in questo momento la formulazione precisa dell’articolo 11 del codice di procedura penale, se faccia riferimento a magistrati che prestano o hanno prestato, forse più «prestano le funzioni» con riferimento a eventuale autore di reato o persona offesa dal reato, per incardinare la competenza funzionale.
Però lì un problema di competenza poteva anche porsi, attenzione, perché non erano magistrati che stavano indagando a Palermo, non era quella la loro sede, ma è stata risolta così la questione, su Borsellino non ci sono dubbi.
Questi dischetti arrivano a Palermo e per tre giorni prima che il dottor Vaccara, cioè il magistrato di collegamento che la Procura di Caltanissetta aveva affiancato a Borsellino…anche lì bisogna un pochino smitizzare il discorso, e noi per primi lo facciamo, melius re perpensa, che Paolo Borsellino non abbia potuto parlare con Caltanissetta è dipeso da ragioni di due tipi, una obiettiva legata al fatto che il dottor Tinebra si insedia il 15 luglio e c’era una reggenza del procuratore Celesti, se non sbaglio, quindi il dottor Borsellino era pieno di impegni, come vi ho dimostrato, e poi il dottor Borsellino doveva cumulare le notizie da portare a Caltanissetta se doveva denunciare qualcosa in particolare nei confronti di Giammanco, per riconnettere il movente della strage di Falcone, anche a quello che aveva fatto e che avrebbe voluto fare sul dossier mafia-appalti.

Anche lì cerchiamo di essere obiettivi perché, ripeto, uno studio più attento delle carte depotenzia, e noi siamo i primi a dirlo, il fatto che il dottorBorsellino non poté parlare con Caltanissetta, perché c’era un reggente e il dottor Tinebra doveva ancora insediarsi. La seconda ragione è che c’era questo magistrato di collegamento, il dottor Vaccara, a cui il dottor Borsellino, questo ce lo dice Ingroia, doveva spiegare cos’era la mafia perché la buonanima del dottor Vaccara, che non c’è più, non era ferrato in questioni di mafia. È stata una formula organizzativa di attenzione verso il dottor Borsellino per potere in qualche modo stabilire un canale di collegamento con Caltanissetta. Dicevo quindi che questi floppy disk rimangono lì.
L’annotazione riportata dal giornalista D’Avanzo è troppo precisa ed è come se l’avesse letta. Poi ci sono sempre le fughe di notizie, insomma questi floppy disk transitano a Palermo e stanno tre giorni, poi Vaccara li porta a Caltanissetta. Da lì poi non si capisce più niente, tant’è vero che la dottoressa Falcone dice al CSM nel 1992 che volevano fare chiarezza sulla questione e sapere quante erano effettivamente queste annotazioni.
Ripeto, lei viene sentita il 30 luglio, quindi dopo che la questione è stata sviscerata dagli articoli di D’Avanzo su «l’Espresso» e «la Repubblica». Dice che avevano nominato un loro consulente perché volevano capire quante erano queste annotazioni. Allora molto velocemente leggiamole questa annotazioni.
Vi rimando, per la spiegazione della risoluzione delle questioni, al verbale della commissione del Consiglio superiore della magistratura con cui appunto, ripeto, sua eccellenza dottor Siclari, procuratore generale, cerca di spiegare l’attività investigativa lato sensusvolta per poter stabilire se, con riferimento ai cahiers de doléances che costituivano queste annotazioni, ci potessero essere profili di rilevanza disciplinare.
  Sono appunti che si fermano, come vi dicevo, al 6 febbraio 1991.
Il soggetto sottinteso è il dottor Giammanco. «Si è lamentato con il maggiore Insolia di non essere stato avvertitodel contrasto fra pubblica sicurezza e carabinieri a Corleone su Riina, primo dicembre 1990». Seconda annotazione: «Ha preteso che Rosario Priore gli telefonasse per incontrarsi con me e gli ha chiesto di venire a Palermo anziché andare io a Roma, 7 dicembre 1990». Sempre il 7 dicembre 1990, terza annotazione: «Si è rifiutato – Giammanco – di telefonare a Giudiceandrea, giudice di Roma, per la Gladio, prendendo a pretesto il fatto che il procedimento ancora non era stato assegnato ad alcun sostituto».
Quindi Falcone è molto interessato a Gladio, farà le indagini su Gladio e arriverà a delle conclusioni su Gladio. Quarta annotazione: Giammanco – questo è un punto importante – «ha sollecitato la definizione di indagine riguardante la regione al capitano De Donno, procedimento affidato a Enza Sabatino, assumendo che altrimenti la regione avrebbe perso finanziamenti». «Ovviamente – dice Falcone – qualche uomo politico gli ha fatto questa sollecitazione ed è altrettanto ovvio che egli prevede un’archiviazione che solleciti l’ufficiale dei carabinieri. In tale previsione questo intorno al 10 dicembre 1990».
Questo appunto lo dobbiamo sviluppare perché su di esso Enza Sabatino dà una spiegazione completa a riscontro delle annotazioni di Falcone, perché queste annotazioni hanno anche un certo riscontro, anzi quasi tutte.
Altra annotazione: «Nella riunione di pool per requisitoria Mattarella mi invita in maniera inurbana a non interrompere i colleghi, infastidito per il fatto che Lo Forte e io ci eravamo alzati per andare a fumare una sigaretta. Rimprovera aspramente il Lo Forte, 13 dicembre 1990». Altra annotazione del 18 dicembre 1990: «Dopo che ieri pomeriggio si è deciso di riunire i processi Reina, Mattarella e La Torre, stamattina gli ho ricordato che vi è l’istanza della parte civile nel processo La Torre (PCI) di svolgere indagini su Gladio». Falcone è su Gladio. «Ho suggerito quindi al giudice istruttore di compiere noi le indagini in questione, incompatibili col vecchio rito, acquisendo copia delle istanze in questione».
Qui ci sono passaggi procedurali che soltanto i consulenti magistrati della Commissione potranno delineare. «Invece sia egli sia Pignatone insistono per richiedere soltanto la riunione, riservandosi di adottare una decisione soltanto in sede di requisitoria finale, un modo come un altro per prendere tempo».
Il 19 dicembre 1990 vi è un’altra riunione con lui, Sciacchitano e Pignatone: «Insistono nella tesi di rinviare tutto alla requisitoria finale e firmare la richiesta io di riunione dei processi nei termini di cui sopra». 19 dicembre 1990: «Non ha più telefonato a Giudiceandrea e così viene meno la possibilità di incontrare i colleghi romani che si occupano della Gladio».
19 dicembre 1990: «Ho appreso per caso che qualche giorno addietro ha assegnato un anonimo su Partinico, riguardante, fra gli altri, l’onorevole Avellone a Pignatone, Teresi e Lo Voi, a mia insaputa.
Gli ultimi due – cioè Vittorio Teresi e Francesco Lo Voi – non fanno parte del pool». 10 gennaio 1991: «I quotidiani riportano la notizia del proscioglimento da parte del giudice istruttore Grillo dei giornalisti Bolzoni e Lodato, arrestati per ordine di Curti Giardina tre anni addietro con imputazione di peculato.
Il giudice istruttore ha rilevato che poteva trattarsi soltanto di rivelazione di segreto d’ufficio e che l’imputazione di peculato era cervellotica. Il PM Pignatone aveva sostenuto invece che l’accusa in origine era fondata ma che le modificazioni del codice penale rendevano il reato di peculato non più configurabile.
Trattasi di altra manifestazione della furbizia di certuni che, senza aver informato il pool, hanno creduto con una ardita ricostruzione giuridica di sottrarsi a censura per una iniziativa (arresto di giornalisti) assurda e faziosa di cui non può essere ritenuto responsabile certamente il solo Curti Giardina, Procuratore capo dell’epoca».
16 gennaio 1991: «Apprendo oggi che, durante la mia assenza, ha telefonato il collega Moscati, sostituto procuratore della Repubblica a Spoleto, che avrebbe voluto parlare con me per una vicenda di traffico di sostanze stupefacenti nella quale era necessario procedere a indagini collegate. Non trovandomi, il collega ha parlato con il capo che naturalmente ha disposto tutto e ha proceduto all’assegnazione della pratica alla collega Principato, naturalmente senza dirmi nulla.
Ho appreso quanto sopra solo casualmente, avendo telefonato a Moscati». 17 gennaio 1991: «Solo casualmente, avendo assegnato a Scarpinato il fascicolo relativo a Ciccarelli Sabatino, ho appreso che Sciacchitano aveva provveduto alla sua archiviazione senza dirmi nulla.
Ho riferito quanto sopra al capo che naturalmente è caduto dalle nuvole. Sul Ciccarelli, uomo d’onore della famiglia di Napoli, il capo mi ha esternato preoccupazioni derivanti dal fatto che teme di contraddirsi con le precedenti note prese di posizione della Procura di Palermo in tema di competenza per i processi riguardanti Cosa nostra». 26 gennaio 1991: «Apprendo oggi, arrivato in ufficio, da Pignatone, alla presenza del capo, che egli e Lo Forte quella stessa mattina si erano recati dal cardinale Pappalardo per sentirlo in ordine a quanto riferito nel processo Mattarella da Lazzarini Nara.
Protesto per non essere stato previamente informato sia con Pignatone sia con il capo al quale faccio presente che sono prontissimo a qualsiasi diverso mio impiego, ma che, se si vuole mantenermi al coordinamento delle indagini antimafia, questo coordinamento deve essere effettivo. Grandi promesse di collaborazione e di lealtà per risposta». 6 febbraio 1991: «Oggi apprendo che Giammanco segue personalmente un’indagine affidata da lui stesso a Vittoria Randazzo e riguardante dei carabinieri di Partinico coinvolti in attività illecite. Uno dei carabinieri è stato arrestato a Trapani e l’indagine sembra abbastanza complessa».
  Vi ho letto questi appunti perché troverete le spiegazioni che dà il dottor Siclari e farete le vostre valutazioni. Il vero motivo invece è il contenuto di quella annotazione a cui mi riferivo prima, e cioè il fatto che a un certo punto sembra che ci siano delle annotazioni – dico sembra perché noi non le abbiamo viste, allora dobbiamo inferire e dedurre. Ecco l’importanza dei verbali del CSM, anche questa volta ci vengono in aiuto: la testimonianza della dottoressa Enza Sabatino.
Con riferimento alle annotazioni che vi ho appena letto il dottor Siclari a un certo punto si sbilancia e dice: «Guardate sono fatti che in qualche modo accadono fisiologicamente in una Procura, quindi personalmente ho dovuto muovermi celermente.
La mia discrezione e la rapidità, dice sua eccellenza Siclari, nasce dal fatto che non potevo contribuire – l’onestà di Siclari è enorme – e probabilmente può essere andata anche a discapito di un approfondimento che poteva essere necessario, ma, dato il contesto, cioè che c’era una campagna forte di delegittimazione nei confronti del procuratore Giammanco in quel momento in cui si sa dei diari, perché è dopo la strage di Falcone, io mi sono mosso, ho chiesto delle giustificazioni e alla fine mi sono fatto un’idea che tutto sia abbastanza chiarito» e dà delle spiegazioni.
Poi fa una valutazione: «Ma in fondo queste sono le annotazioni, perché Falcone, se avesse avuto motivi di rancore veri nei confronti del dottor Giammanco, in qualche modo da Roma, avendo raggiunto il livello ministeriale, il fatto stesso che il dottor Falcone non abbia preso iniziative successivamente vuol dire che anche lui alla fine si è sfogato. Prendiamole per annotazioni in cui il suo malessere ha trovato in qualche modo sfogo».
Le cose non stanno così quando un anno fa invece leggo l’audizione della Sabatino, perché l’audizione della Sabatino dà conferma della veridicità di quanto sostenuto da Bolzoni sia nell’articolo dell’Espresso sia nell’articolo di Repubblica e cioè Pag. 31che il vero momento di assoluta umiliazione del dottor Falcone da parte di Giammanco davanti a tutta la Procura, ha riguardato la titolarità dell’assegnazione del fascicolo sulle riaperte indagini per il duplice omicidio del colonnello Russo e del professore Costa.
Lì Falcone decide che è arrivato il punto di chiudere l’esperienza palermitana e dirà a Teresa Principato che lo riporta – altro riscontro in seno ai verbali della commissione: lui ci dice «chi rimane qua? Io me ne vado, andatevene anche voi», e lo vedrete nel verbale della dottoressa Teresa Principato della commissione, «chi rimane qua? Anzi vi consiglio di andarvene, altrimenti sarete complici di questo sistema». Cosa succede in quella riunione? Ce lo dice la dottoressa Sabatino.
Leggendo quei verbali vi renderete conto che i commissari sono convinti che le annotazioni sono quelle 14 di cui parla la Milella e vedrete che è la Sabatino che dice: «Guardate che ci sono altre annotazioni e io leggendo l’articolo di D’Avanzo sono saltata in aria perché io ho vissuto l’annotazione di Giovanni Falcone, io l’ho vissuta perché sono la protagonista. Quindi io sto qui a dirvi che, siccome l’annotazione che mi riguarda non c’è nell’articolo della Milella, ma è sull’Espresso, io sto qui a dirvi che, avendo vissuto l’esperienza di quell’annotazione, è vero quanto sostiene D’Avanzo, che gli scalini famosi sono 39, le annotazioni sono 39 e non 14». Cos’era successo di fatto? Dice che uno dei momenti caratterizzanti l’attività di coordinamento di un procuratore aggiunto è quello di potere stabilire lui l’assegnazione dei fascicoli ai sostituti cui affidarli. Tenete conto che era entrato da poco in vigore il codice di procedura penale per cui per potere gestire i vari procedimenti, secondo la nuova organizzazione che il codice aveva dato agli uffici, fu necessario reclutare anche sostituti procuratori che non erano a rigore all’interno del pool antimafia, e cioè che si occupavano di ordinaria, ed Enza Pag. 32Sabatino era una di questi.
Arriva il momento in cui Falcone deve assegnare, l’unico residuo esercizio di potere che era rimasto a quell’uomo all’interno di quella Procura.
Falcone dà il primo processo al dottor Vittorio Teresi, a carico di un certo La Licata, ricorda la Sabatino, a un certo punto, mentre sta per passare alla seconda assegnazione e fa il nome del colonnello Russo, Giammanco interrompe la seduta e dice: «No, qui tu non assegni niente, andiamo per ordine di tavolo, anzi questo me lo fa Enza», quindi Falcone viene umiliato dal suo Procuratore davanti a tutti, gli viene tolto il potere di assegnare i fascicoli, Falcone tace, in cuor suo, e il suo tacere ve lo spiegherà la sorella nel verbale della Commissione del CSM del 1992. Lui era distrutto, ma non era più disposto a iniziare un altro caso Palermo come nel 1988 perché non poteva competere con gli appoggi politici di Giammanco.
Questo lo trovate nell’audizione della dottoressa Maria Falcone del 30 luglio del 1992, elementi che non sono entrati, neanche a mia conoscenza, nei processi di Capaci. Questo è il vulnus che io denuncio in questa sede.
Vedete come ogni dettaglio è importante ai fini della definizione del contesto di quello che accadde in quelle situazioni.
La Sabatino dice che non poteva dire di no perché aveva letto il «maxi uno» in cui si parla di questo omicidio, omicidio che nel rapporto viene collegato, come quello di Basile, come quello dei poveri capitani Bommarito e Morici, uccisi nel giugno del 1983, alle indagini che Russo, Basile, Taleo, Bommarito e Maurici fanno su mafia-appalti e in particolare sulla Litomix Costruzioni S.r.l. dei Brusca di San Giuseppe Jato, e tutto viene ricostruito nel rapporto del ROS del 1991.
Enza Sabatino prende questo fascicolo e appena legge quella che è l’annotazione di Falcone che dice: «Mi ha umiliato davanti a tutti, io me ne vado» lei dice: «Guardate che è vero, io non voglio andare contro Giammanco, sono qui solo ad attestare l’autenticità dell’annotazione riferita da D’Avanzo perché io questo episodio l’ho vissuto personalmente, ho visto la faccia di Falcone, ho visto come è stato umiliato davanti a tutti».
Poi abbiamo Teresa Principato che ci racconta nel verbale che, dopo quella riunione, fu lì che Falcone pronunciò quelle frasi.
  Dimenticavo che nel rapporto viene indicato anche l’altro omicidio importante, quello del giornalista Mario Francese.
Mario Francese muore nel gennaio 1979 perché riconnette la scalata dei corleonesi al potere mafioso anche attraverso l’infiltrazione nel sistema degli appalti.
Mario Francese farà un’indagine straordinaria per cui, poverino, anche lui ha sacrificato la sua magnifica vita per noi, perché anche lui aveva toccato il punto centrale per cui la mafia spara e ammazza: gli interessi economici.
Cosa dice D’Avanzo in questo articolo? D’Avanzo, un grande giornalista che purtroppo non c’è più, aveva evidenziato in un virgolettato – quindi ritengo che aveva visto, come succede sempre nelle procure, ed è un problema che andrebbe introducendo qualche forma di responsabilità colposa rispetto alla gestione dei fascicoli e alle fughe di notizie, ma questo non c’entra – dicevo mette tra virgolette questa annotazione: «controversia che Falcone ingaggiò con Giammanco dopo che il Nucleo speciale dei carabinieri consegnò in Procura il rapporto su mafia-appalti, un lavoro certosino, durato anni, che raccontava come tutti gli appalti di Palermo passano attraverso la mediazione di Angelo Siino, titolare di una concessionaria d’auto, un uomo fidato dei corleonesi.
Falcone valutò il rapporto con grande attenzione, Giammanco e i suoi sostituti più fidati con scetticismo, anzi con scherno, “tanta carta per nulla, in questo rapporto non c’è scritto niente che meriti di diventare un’inchiesta giudiziaria, disse uno dei fedelissimi di Giammanco”».
Francamente uno degli onera probandi che incombono su di me, sia pure in termini molto veloci, perché qui non siamo in un’aula di giustizia, sarà quello di dimostrare che – come vi ho detto l’altra volta, se dalla mazzetta dell’ingegner Chiesa siamo arrivati alla mega-tangente Enimont – da questo rapporto vi è altro che carta straccia dove non c’è nulla che possa diventare inchiesta giudiziaria!
  Vi rendete conto che abbiamo delle annotazioni sicuramente successive al deposito dell’informativa, ma di queste però noi non abbiamo alcuna evidenza sotto il profilo di una riscontrabilità, come invece hanno quelle che vi ho letto e sono state depositate e allegate al verbale del 25 giugno 1992 della giornalista Milella davanti alla Procura della Repubblica di Caltanissetta.
La cosa interessante dell’audizione della dottoressa Sabatino è che il dottor Borsellino le chiese di ricordargli nuovamente questo episodio di cui all’annotazione – questo lo dichiara la Sabatino – perché dice che Paolo poi la chiamò per sapere delle due annotazioni che lo riguardavano e volle sapere di questa, cioè dell’umiliazione di Falcone davanti a tutti, e quella a cui ho fatto riferimento prima e cioè della sollecitazione che il procuratore Giammanco aveva ricevuto dalla presidenza della Regione, sollecitazione che poi è stata fatta anche al capitano De Donno, con riferimento a un’indagine relativa ai piani integrati del Mediterraneo che doveva chiudersi perché c’era il rischio che la Regione perdesse i fondi europei di circa 50 miliardi, legati appunto a questi piani integrati del Mediterraneo.
Qui si cerca sostanzialmente di giustificare il comportamento del dottor Giammanco, e lo fa il dottor Siclari, dicendo che non c’era niente di male se l’autorità politica potesse sollecitare.
Leggendo la Sabatino, non devo dirvelo io, ma io ne sono convinto, la Sabatino dice che doveva fare l’indagine e che a lei non interessava se interveniva il presidente della Regione Sicilia. «Io devo fare l’indagine», perché l’autonomia della magistratura è questa, in questo si declina l’autonomia della  magistratura. Giammanco arriva a dire addirittura: «Che cosa c’è di male se eventualmente io mi faccio latore delle esigenze del governo regionale?». No c’è di male secondo me, secondo me c’è di male, è così e questo poi rimanderà a un capitolo fondamentale che è quella dell’amicizia fortissima del dottor Giammanco con D’Acquisto e quindi con Salvo Lima.
Ingroia ci dirà fondamentalmente che già Borsellino a Marsala gli disse: «Guarda che Giammanco è un uomo di Lima». Giammanco è un uomo di Lima. Dopo l’assassinio di Salvo Lima un magistrato, credo Ingroia o Sabatino o Principato, però lo troverete nei verbali, dice, un’ora dopo l’assassinio, che dietro la porta del procuratore a bussare ed entrare c’era D’Acquisto.
Questo era l’andazzo nella Procura della Repubblica retta da Giammanco, cioè Giammanco era questo, è inutile che stiamo qui a girarci attorno, e quello che noi, come ho detto prima, denunciamo è che non si sia mai ritenuto di chiedere conto e ragione in nessuna sede e questo, a mio giudizio, lo dico sempre perché lo penso, introduce una forma di diritto penale del privilegio che è inaccettabile. Inaccettabile. Posso avere cinque minuti di pausa?

PRESIDENTE. Sospendo la seduta per alcuni minuti.

La seduta, sospesa alle 15.45, riprende alle 15.55.

PRESIDENTE. Riprendiamo la seduta, anche con la diretta web-tv della Camera. Prego avvocato Trizzino.

  FABIO TRIZZINO, legale di Lucia, Manfredi e Fiammetta Borsellino. Una precisazione velocissima sulla testimonianza del dottor Russo e della dottoressa Camassa con riferimento alla famosa espressione: «Un amico mi ha tradito, qui è un nido di vipere», riferendosi all’ufficio della Procura.

Tra le due dichiarazioni vi è contrasto non sul contenuto delle confidenze del dottor Borsellino – questo mi sembra importante – ma sulla data in cui questo incontro sarebbe avvenuto.
Il giudice del processo Borsellino-quater abbreviato, sentenza definitiva in Cassazione, come sempre si fa, mette a confronto le due versioni e, sulla base di una serie di deduzioni di ordine logico, propende per la tesi della dottoressa Camassa che parla di ultima settimana del mese di giugno, in cui sarebbe avvenuto questo incontro, mentre il dottor Russo lo collocava nella prima quindicina del mese di giugno.
Troverete nella sentenza del Borsellino-quater abbreviato lo svolgimento del ragionamento fatto dal giudice.
Oggi, in questa lunga opera di ricognizione e rivisitazione del materiale in atti, mi sono soffermato su un altro dettaglio e cioè su una dichiarazione proprio della dottoressa Camassa che non avevo valorizzato a sufficienza io stesso, come riportata nella sentenza a cui facevo riferimento, dalle pagine 343 e seguenti.
Si tratta di uno dei motivi per cui la dottoressa Camassa riconnetteva l’incontro all’ultima settimana di giugno e che finalmente era riuscita a ottenere un colloquio con il dottor Borsellino per organizzare la festa di addio alla procura di Marsala, che è avvenuta il 4 luglio del 1992.
«Ricordo in particolare che in occasione della festa del 4 luglio, incontrai il maresciallo Canale il quale, come del resto aveva fatto in precedenza, ebbe a confidarmi che a suo avviso il dottor Borsellino si fidava troppo dei vertici del ROS, facendo il nome dell’allora colonnello Mori e del generale Subranni, sostenendo che si trattava di personaggi pericolosi, senza precisare altro.
La cosa mi colpì perché parlando con Paolo in precedenti occasioni, avevo maturato la convinzione che egli avesse ottimi rapporti con il generale Subranni.
Intendo dire rapporti che esulavano le semplici relazioni d’ufficio».
Qual è l’inferenza e la deduzione che io faccio? Atteso che il dottor Borsellino conosceva solo di vista Mori e non aveva rapporti con. Mori , ma aveva con Subranni rapporti di lavoro e una stima reciproca, atteso che con Mori e De Donno il Canale non ebbe mai a collaborare, atteso che egli fu incaricato di organizzare l’incontro e atteso che Borsellino lo tenne fuori dalla porta, non partecipando cioè all’incontro, questa confidenza è avvenuta dopo il 25 giugno del 1992.
Il 26, il 27 e il 28 siamo a Giovinazzo, quindi sicuramente l’incontro è avvenuto nell’ultima settimana, cioè prima della festa del 4 luglio. Resta il dato obiettivamente sancito in una sentenza definitiva che l’incontro è avvenuto il 29 giugno del 1992, quella famosa giornata in cui ci mancava solo la crocifissione per Paolo Borsellino, giornata pesantissima di cui ho dato conto nel corso della precedente audizione.
Dal 29 arriviamo al 30 di giugno del 1992. Qui abbiamo secondo me la collaborazione incipiente, ma tra le più importanti in assoluto, perché attraverso l’interrogatorio di Leonardo Messina, boss di San Cataldo, uomo di fiducia del capo mafia nisseno Piddu Madonia, Borsellino apprende due cose fondamentali contenute nei verbali del 30 giugno e del primo luglio.
Apprende due cose, che rispetto al tempo in cui viene interrogato, Messina dice che tre mesi e mezzo prima c’era stata la riunione della Commissione regionale.
Borsellino in quel caso capisce che è morto perché la Commissione regionale è nel territorio di Enna, perché Enna era un territorio trascurato e negletto sotto il profilo del controllo del territorio da parte delle forze di polizia. All’interno dell’interrogatorio troverete fondamentalmente tutti i passaggi di cui parla Leonardo Messina, ma il significato di quella riunione regionale Borsellino lo capisce.
C’è una strategia criminale in corso, decisa ai più alti livelli.
Vedremo che le risultanze processuali successive, finanche nel processo Messina Denaro, che sarebbe il Borsellino-quinquies, si è dimostrato che l’ossequio alle regole era semplicemente formale, ma chi decise la strategia di attacco fu Salvatore Riina e i suoi fedelissimi, che costituirono la cosiddetta super-Cosa.
Questo è un punto chiave, perché i collaboratori ci dicono che dell’accelerazione dell’esecuzione della strage di via D’Amelio Riina si assunse in proprio la responsabilità.
Egli si limitò, così come richiedevano le «regole» dell’organizzazione, a contemplare la Commissione provinciale e la Commissione regionale, in vista della inevitabile reazione statuale, il fatto che bisognava togliere di mezzo amici e nemici, ma mai contemplò veramente le ragioni o meglio all’associazione contemplò unicamente l’istanza vendicativa, però era importante, ce lo dice Giuffrè: «Io da quella riunione del dicembre 1991 mi si è alzato il gelo, però in cuor mio ero felice perché finalmente dopo anni in cui subivamo colpi dallo Stato, grazie a Falcone e Borsellino, finalmente si era deciso che a questi bisognava fargliela pagare». Quindi c’è la spendita dell’istanza vendicativa a tutta l’associazione.
Questo atteggiamento del Riina va messo in connessione con le dichiarazioni di Brusca.
Quando Brusca nel 1998 comincia a disvelare qual è il disegno economico egemonico nel mondo degli appalti di Salvatore Riina ci dice una cosa che, dal mio punto di vista, è estremamente significativa.
Cioè il gruppo della super-Cosa che vedeva Messina Denaro, Giuseppe e Filippo Graviano, Biondino, uomini che poi sono quelli che hanno realizzato sul campo le stragi – poi vi spiegherò perché abortisce la missione romana e vi spiegherò, secondo il mio giudizio, secondo le idee che mi sono fatto leggendo gli atti, perché Rina ha necessità di ucciderli a Palermo, soprattutto Falcone. Questo è un punto su cui vi prego se dovessi dimenticarlo di aiutarmi a ricordarlo, perché per me è fondamentale.
Brusca ci dice che, nel disegno egemonico che doveva portare la sostituzione di Siino e Salamone con Bini, uomo della Ferruzzi, nel tavolino, si era deciso di fare una tangente sulla tangente, lo 0,8 della tangente che spettava ai politici doveva andare alla cassa dell’organizzazione, però cosa dice Brusca? «Noi questo non lo abbiamo detto ai membri della Commissione». Come vedete il Riina che decide la strategia stragista è il Riina che si comporta da vero dittatore e fa passare le informazioni che dice lui.
Quando vi dicevo nella scorsa audizione che l’accelerazione dell’esecuzione della strage non ha alcun interesse nell’ottica per esempio del «partito dei carcerati» e dell’organizzazione, vi voglio rappresentare che Salvatore Riina è un uomo ormai in pieno delirio di onnipotenza, ma è un uomo che è costretto a stringere le fila attorno a sé, portandosi i fedelissimi perché non è riuscito a mantenere una promessa che una rispetto a quello che è il «partito delle carceri» e che tutta l’organizzazione si aspettava.
Il maxiprocesso con le famose parole di Riina di accontentare tutti nell’associazione, poi gli ergastoli li facciamo cadere, quindi il teorema Buscetta, niente, non ce la fa e chi si mette di mezzo?
Falcone si mette di mezzo, il presidente Brancaccio, si mette di mezzo credo Violante, facendo il sistema di rotazione secondo cui il processo non andasse alla solita prima Sezione in composizione con certi magistrati che cercavano i cavilli dei cavilli dei cavilli, e vi assicuro che quando si fanno i mega processi di quel tipo un cavillo lo trovi se vuoi.
Quindi Riina ha un problema interno di leadership minata. La missione romana la Corte di appello di Catania del 2006 la considera una sorta di missione iocandi causa, la definisce una sorta di missione fatta più per gioco.
Quando oggi abbiamo celebrato il processo Messina Denaro, siamo riusciti a dimostrare la quantità di esplosivo trasportato, la quantità di armi esportate, l’organizzazione logistica degli Scarano, con i Nuvoletta di Napoli a Roma, per ammazzare Falcone, ma quale iocandi causa? Siccome fuori dal proprio territorio Messina Denaro, Sinacori, Brusca e Graviano erano come pesci fuor d’acqua – figuratevi Pag. 40che sbagliarono la trattoria dove si doveva trovare Falcone per ammazzarlo con un’azione di killeraggio! – a un certo punto nel marzo del 1992 Riina dice: «No, la dobbiamo fare qua!», deve dare un segnale anche alla sua organizzazione.
Guai a chi si permette di scalarmi perché sono in difficoltà, io vi dimostro cosa so fare ancora e quanto è forte quella parte di organizzazione di fedelissimi che mi sta accanto. Non solo, ma Palermo, secondo il vecchio paradigma del luogo capace di assorbire tutti i colpi più tremendi delle tragedie di mafia, Palermo stavolta non poteva assorbire due stragi di quel tipo.
Era impossibile, era visionario, era un folle! Solo un folle poteva pensare che non reagisse la società civile! Vorrei ricordare che l’autostrada di Capaci venne sventrata e avrebbe dovuto rimanere lì a futura memoria.
Ci fu chi dalla società civile sollevò il problema che non avrebbe dovuto essere ricostruita. Senonché doveva venire la regina Elisabetta a Palermo e questo ha avuto delle incidenze sulla conservazione dei reperti, e si dovette repertare in fretta perché doveva venire qualche giorno dopo la regina Elisabetta e bisognava ricostruire il tratto di autostrada che era stato sventrato in quel modo. Quindi Riina ha un problema all’interno.
Guai a chi si permette di pensare che la mia leadership è in crisi e io ve lo dimostro. Ora ci rendiamo conto delle frasi di Raffaele Ganci, fedelissimo di Riina, cosca della Noce, che dice a Salvatore Cangemi: «Questo ci consuma a tutti», perché la strage di Borsellino non ha senso nell’ottica dell’organizzazione pura e semplice di Cosa nostra, tanto è vero che ci dice Brusca che doveva uccidere Mannino e comincia già ad organizzarsi, poi, proprio facendo i calcoli in relazione alla collaborazione – questa è una mia tesi, un mio incrocio di dati, quindi prendetela per quella che è la deviazione arriva quando comincia a parlare Lipera, siamo lì – Brusca dice che era pronto a metà giugno, «mi dicono di lasciare perdere e cambiano obiettivo».
In più, Borsellino si dà da fare, magari questo incontro ha suscitato molta attenzione e molta paura, nel frattempo i ROS, o, meglio, De Donno parla con Ciancimino, il che può essere stato visto anche come un’ulteriore dimostrazione che sono su una certa pista perché De Donno è l’estensore del rapporto.
Ciancimino non sappiamo se ha riferito a qualcuno che De Donno lo aveva cercato. De Donno parla con la dottoressa Ferraro della necessità di questa azione info-investigativa volta a far pentire Ciancimino che era ben inserito nel sistema degli appalti, questa è la mia opinione, e anche avere probabilmente notizie – io vi parlo di De Donno – Mori sembrerebbe che lo abbia incontrato il 5 agosto, ma sinceramente per me il processo-trattativa, nel momento in cui è stato scritto che Borsellino non conosceva «mafia-appalti», è nato sulla base di un presupposto errato.
  Abbiamo quindi una serie di allarmi. Totò Riina in quel momento, ci descrive Brusca, è nel pieno della sua scalata al tavolino perché noi abbiamo il rapporto. Il rapporto è già passato e, rispetto a alle circostanze che poi ci riferiranno lo stesso Siino e Brusca nel 1997, è già quasi passato prossimo, perché le cose stavano andando molto più velocemente in un’altra direzione e cioè nel protagonismo di Buscemi, di Bini e delle società del gruppo Ferruzzi che erano in cointeressenza con Salvatore Riina.
Chi glielo dice a Borsellino? Glielo dice Leonardo Messina. Leonardo Messina dice: «La Calcestruzzi S.p.A. è di Riina». Qui arriviamo alla famosa archiviazione del giugno del 1992.
Questa, dal mio punto di vista, è una pagina difficile da definire, ne ho accennato l’altra volta. Si ha la smagnetizzazione e la distruzione di brogliacci di un’indagine proveniente da Massa Carrara in cui un sostituto procuratore, di nome Augusto Lama, era riuscito, con un’attività di indagine molto seria durata più di un anno, a dimostrare le attività diconcambio, di cointeressenze, di incorporazione e fusione tra società del gruppo Ferruzzi e società direttamente riconducibili a Nino Buscemi.
È uno dei campi di Salvatore Buscemi, quindi è quella stessa mafia di Passo di Rigano che era nel rapporto e che viene liquidata con tre parole tre. Brusca ci verrà a dire che il Buscemi godeva all’interno della Procura della Repubblica di un certo appoggio da parte di un certo magistrato.
Oggettivamente. Le conclusioni raggiunte il 13 luglio del 1992 sulla figura del Buscemi francamente sono difficili da interpretare, vista l’enorme massa di documentazione e di informazioni sui Buscemi.
Ricordate Montalto Salvatore? Uomo di Salvatore Buscemi e quindi di Nino Buscemi. Addirittura i collaboratori di giustizia ci verranno a dire che chi diede la battuta per assassinare Inzerillo Salvatore che era andato dall’amante, fu proprio Nino Buscemi, tanto è vero, e lo dice Guarnotta il 2 dicembre 1998, che neanche con Calderone, l’ultimo grande collaboratore di giustizia, erano riusciti a ricostruire le vicende, che non hanno portato a identificare neanche il movente, perché sull’omicidio di Salvatore Inzerillo chi veramente fa capire tante cose è lo stesso Gaspare Mutolo l’11 novembre del 1992. Il dottor Guarnotta ci dice: «Guardate che noi abbiamo fatto il maxi uno, il maxi due e il maxi ter grazie a Mutolo».
Ecco perché Borsellino non doveva parlare con Mutolo o gli doveva parlare secondo certe formule. Mutolo è quello che finalmente spiega innanzitutto il tradimento avvenuto all’interno della famiglia di Inzerillo da parte appunto di Salvatore Buscemi, Bonura, Carollo e Montalto Salvatore ed esprime invece qualche dubbio sul figlio Montalto Giuseppe.
Sul fatto che Nino Buscemi addirittura avesse portato la battuta, c’è un contrasto tra diversi collaboratori nel 1997, ma quel che conta è che noi già nel 1992 abbiamo delle indagini che statuiscono l’esistenza di una grande cointeressenza di interessi tra famiglie chiaro passato e presente mafioso e gruppi di imprese nazionali.
La Serafino Ferruzzi che era una delle più importanti imprese di rilevanza nazionale, per non parlare di quelle altre contenute dentro il rapporto, la Tor di Valle, la Gambogi costruzioni S.p.A., la CISA, la Lodigiani, la Torno.
Vorrei dire oggi a tutti i siciliani che mi stanno ascoltando e che si sono sempre chiesti perché ci misero trent’anni a fare la Palermo-Messina, ecco leggetevi il rapporto mafia-appalti e lo capirete perché ci hanno messo trent’anni a fare la Palermo-Messina. Scusate se ogni tanto veramente mi lascio prendere dalla emozione, però penso che quella morte poteva essere evitata.
Questo è il mio conflitto di interesse, quello emotivo, ecco io ho un conflitto di interesse di tipo emotivo, solo quello, ma cerco di essere freddo e razionale e soprattutto attento lettore degli atti, atti connotantisi per attendibilità e soprattutto consacrati in sentenze definitive in cui quella attendibilità è stata sancita.
  Rinvio alla lettera di trasmissione che io vi allegherò, con la precisa e puntuale descrizione con cui il dottor Augusto Lama riesce a dimostrare, con il nucleo della Guardia di finanza e dei Carabinieri, il livello delle cointeressenze fra le aziende della famiglia di Passo di Rigano e Riina e la Ferruzzi, ma sarà ancora più importante Mutolo nel 1994 quando racconterà di Pizzo Sella – chi è palermitano sa cos’è il Pizzo Sella – e il fatto che la CISA del gruppo Ferruzzi controllava la CISA di Cataldo Farinella, citata nel rapporto mafia-appalti, e queste trasformazioni, incorporazioni e holding di controllo sono tutte indicate nel rapporto.
La CISA di Cataldo Farinella, ma soprattutto la CISA nazionale è quella che porta avanti i lavori di Pizzo Sella, perché l’ingegner Bondì non è più in grado di gestirli. Pizzo Sella è un territorio che proveniva da Rosa Greco, che era la sorella di Michele Greco, e il cognato Notaro era l’intestatario della società Solaris che gestiva Pizzo Sella.
La stessa Procurai Palermo riuscirà a dimostrare nel 1997, allorché proporrà delle misure di prevenzione nei confronti del Buscemi, che un notaio lo stesso giorno in cui Ferruzzi interviene, stipula due passaggi da Solaris a Bondì e da Bondì alla Generali Impianti controllata da Ferruzzi e dai Buscemi.
Per evitare che l’acquisto derivasse immediatamente dalla Solaris di Michele Greco fanno nello stesso giorno un atto notarile di passaggio delle quote da Solaris a Bondì e da Bondì alla Generali Impianti, controllata da Buscemi e dal management della Ferruzzi, cioè Sironi, Visentin, Panzavolta e Bini.
Trovate tutto nel provvedimento relativo al procedimento n. 113/97, misure di prevenzione, con cui la Procura di Palermo chiese giustamente la assoggettabilità alle previsioni di cui alla legge sulle misure di prevenzione di una serie di beni della famiglia di Nino Buscemi, in particolare. E lì è spiegato tutto quello che vi ho detto per sommi capi. Il dato che conta è che già al momento in cui il rapporto è stato depositato, si capiva che, grazie anche alle carte provenienti da Massa Carrara, che vengono trasmesse nell’agosto del 1991, si crea il procedimento all’interno del quale abbiamo la richiesta di archiviazione del primo giugno 1992, accolta il 19 giugno del 1992 dal giudice Grillo, e poi il 25 giugno si ha il provvedimento di distruzione dei brogliacci.
Ma cosa c’era in quei brogliacci? Perché vengono distrutti? Ve lo dissi già l’altra volta: noi nel processo-depistaggio, grazie ai brogliacci trovati nel 1994 per l’attività di intercettazione dal 22 dicembre 1994 al 9 luglio 1995, siamo riusciti a capire che il gruppo Falcone-Borsellino bloccava le chiamate quando Scarantino parlava con i magistrati.
Questo per farvi capire che attraverso quelle trascrizioni – poi grazie a Dio le bobine, non essendo state smagnetizzate funzionavano pure, per cui siamo riusciti anche a trascrivere – ma se il gruppo Falcone-Borsellino avesse smagnetizzato le bobine, avremmo cercato di ricostruire attraverso i brogliacci. 

Qua no, sulle carte di Massa Carrara non c’era dove andare a cercare. Quando io dico che chi ha disposto la distruzione avrebbe dovuto giustificarsi di fronte a Borsellino, è perché Borsellino apprende da Leonardo Messina che la Calcestruzzi era in mano a Riina, e cosa aveva dimostrato Augusto Lama? Questo aveva dimostrato Augusto Lama! Il quale, per una intervista in cui rivelava queste cointeressenze, su input di Raul Gardini, amico di Martelli, subisce un procedimento disciplinare. Questo lo dichiara Augusto Lama ed è vero, è andata così.
Andiamo a vedere storicamente chi era Raul Gardini negli anni Ottanta. Vi rimando alla lettura del provvedimento sulla mandanti occulti-bis del 2003 in cui la Procura di Caltanissetta dice che a quel punto anche il suicidio di Gardini andava visto in un certo modo. Panzavolta era il vero ras della Calcestruzzi e l’unico, ex partigiano nella Resistenza, che dava del tu a Ferruzzi, l’unico che poteva considerarsi un primus inter pares nel rapporto con Ferruzzi. Panzavolta era spregiudicato, Bini ancora di più e quando il dottor Lama nel 1994 interrogherà il tesoriere in Svizzera della Serafino Ferruzzi S.p.A., questi gli dice che attraverso la liquidazione, che viene spiegata da Lama, di alcune società della Ferruzzi che si occupavano dello sfruttamento delle cave delle Alpi Apuane, «attraverso i soldi che abbiamo ricevuto dai mafiosi, fondamentalmente questo, siamo riusciti a liquidare i debiti del gruppo e una parte di quella provvista è finita al conto Gabbietta di Primo Greganti».
Sono atti pubblici, sono testimonianze. Come vedete, io faccio nomi e cognomi. Colui che si è reso protagonista di questa archiviazione e della distruzione dei brogliacci – proprio perché io faccio nomi e cognomi – è il dottor Gioacchino Natoli, che è da considerarsi un amico del giudice Borsellino. Però questo a noi non torna, a me non torna, come avvocato, prima ancora che come cittadino.
Non mi torna.
Non si distruggono, non si smagnetizzano bobine, quando si ha a che fare con indagini di mafia, perché la lettera di trasmissione di Lama riguardava un collegamento per mafia. Io sto inviando gli atti a Palermo perché, così come mi è stato dichiarato da Buscetta, da Mannoia e da Calderone, qui ci sono profili di partecipazione ad associazione mafiosa di soggetti che stanno qui a Massa Carrara a incunearsi nelle imprese della Ferruzzi.
Voi mi chiederete perché la mafia a un certo punto individua le imprese della Ferruzzi. C’è uno scambio. Salvatore Buscemi ha paura che il suo enorme patrimonio derivante dal traffico delle sostanze stupefacenti venga sequestrato e sottoposto a misure di prevenzione, e quindi ha bisogno della faccia pulita.
Questo lo dichiarerà Bini, lo dichiarerà Panzavolta, tutti. Era la necessità, appunto in quella logica di potere, di sedersi al «tavolino», visto che il sistema sta crollando, non c’è più bisogno del «politichetto» che controlla l’opinione pubblica, perché ormai l’opinione pubblica si sta sganciando, per fortuna, per diversi motivi, l’ho spiegato l’altra volta.
Bisogna arrivare al «tavolino» dove si fanno le scelte, nel rapporto evidente che gli imprenditori vanno a Roma a chiedere finanziamenti, ti do questo, ti do quello, facciamo questo, facciamo quello, tutto il «magna magna» a scapito di chi? Nostro, del nostro futuro, del nostro futuro che è il nostro presente. E per questo si ammazza, eccome se si ammazza, se c’è qualcuno che ti vuole fermare! Eccome se si ammazza, quando hai poi qualcuno sul campo che ha un esercito, e che ha le esigenze che aveva Riina in quel momento, sia di fronte alla sua organizzazione sia di fronte al suo potere egemonico di arrivare in alto.
Questa è l’idea che ci siamo fatti noi. Follow the money, quello è il vero problema della mafia. E vedi caso è il momento in cui si creano le condizioni perché quella parte degenerata dello Stato – nessuno lo nega che la strage di Paolo Borsellino e di Falcone non sia una strage di Stato – ma cambiano i paradigmi interpretativi.
È un sistema che teme l’azione dei magistrati e li ammazza. Non siamo più negli anni Settanta, quando c’erano i ragazzi che morivano in nome del comunismo, in nome del fascismo.
L’Italia degli anni Novanta è un’Italia diversa, che ha deciso di mettersi sul mercato. La sostenibilità del debito pubblico italiano non derivava più da una gestione domestica, noi negli anni Novanta, prima delle stragi di Falcone e Borsellino, abbiamo deciso di mettere il nostro debito pubblico a disposizione dei grandi fondi mondiali. Il nostro giudizio ormai non dipendeva dalla politica domestica di questo o di quell’altro.
La Banca d’Italia non acquistava più il debito pubblico.
Le banche di interesse nazionale, le grandi banche, finché hanno potuto, hanno acquistato il debito pubblico, ma a un certo punto, visto che non ce la si faceva più, bisognava – e abbiamo fatto questo – misurare la nostra sostenibilità, come potenza economica, come fanno tutti i Paesi normali, cioè mettendo sul mercato il nostro debito pubblico e investire sul nostro Paese, se siamo credibili.
Questa era l’Italia in cui si stavano svolgendo le stragi.
Non c’erano ragazzi che si uccidevano come negli anni Settanta perché c’era l’assalto alla sede del Partito comunista o del Movimento sociale.
Chiudo questo capitolo perché intanto trovate tutto nelle fonti che vi ho citato, queste sono le fotocopie del documento in cui si ordina la distruzione.
Vedrete scritto a penna «distruzione dei brogliacci», cioè una cosa personalmente mai vista. Mai vista.
Mi dispiace ma non l’ho mai vista. Cosa dice Lama? E con questo chiudo, perché dovremmo iniziare a parlare di mafia-appalti e io sinceramente non sarei in grado in termini di lucidità, visto che avrei bisogno ancora di un paio d’ore.

PRESIDENTE. Avvocato, anche per dare il giusto spazio alle domande dei commissari, ci dovremmo aggiornare a un’altra seduta, per cui chiuda ora il suo intervento.

FABIO TRIZZINO, legale di Lucia, Manfredi e Fiammetta Borsellino. Perfetto. Qual era il contenuto che si coglieva dalle intercettazioni smagnetizzate e distrutte? È il dottor Lama che parla: «Si comprendeva piuttosto bene come all’interno delle suddette aziende – cioè le aziende del gruppo Ferruzzi, innervate del capitale mafioso, secondo quel sistema di scambio, cioè la FINSAVI, la La. Ser. s.r.l., la Generali Impianti, tutte aziende che trovate nel rapporto – si comprendeva piuttosto bene come all’interno delle suddette aziende fosse noto, non si è riusciti a stabilire per quali canali informativi, che vi era un’autorità giudiziaria che stava indagando sui collegamenti mafiosi all’interno del gruppo Sam e Imeg – che sono le due aziende – e che, dopo le ricordate pubblicazioni, sarebbe risultato chiaro che dietro tutta l’operazione vi era Buscemi Antonino.
È da ricordare che, probabilmente a seguito di queste voci e delle ricordate pubblicazioni, veniva comunque evidenziata sia dalle operazioni di intercettazione sia da informazioni acquisite nell’ambito della città di Carrara, la volontà di Calcestruzzi Ravenna S.p.A. di cedere le partecipazioni azionarie alla Imeg e alla Sam e di rinunciare quindi alla concessione degli Agri Marmiferi», cioè Gardini si preoccupa di chiudere gli affari con questi mafiosi perché è il Gardini che sta cercando di arrivare lì dove tentò di arrivare, il Gardini della «Milano da bere» per intenderci.
La cosa strana che non si è capita è che questi sanno da qualcuno che c’è un’indagine giudiziaria in corso. Siccome le illecite divulgazioni su questa vicenda sono state tantissime, io vi sottopongo questo interrogativo.

PRESIDENTE. Avvocato, io la ringrazio. Credo che il conflitto d’interessi emotivo non riguardi solo lei e soprattutto i figli di Paolo Borsellino, ma la comunità nazionale che in questi anni ha eretto Giovanni Falcone e Paolo Borsellino a eroi. Però le considerazioni le faremo ovviamente in altra sede.
Tengo soltanto a ringraziare tutti, innanzitutto gli auditi per la difficoltà di riaffrontare questo viaggio terribile insieme a noi e i commissari per il tempo e l’attenzione che stanno dedicando a questa Commissione e a questa audizione, sottolineando ancora una volta, come ho fatto all’inizio, che nulla sarà tolto alle domande nel prosieguo di questa audizione e che quindi ci sarà tutto il tempo per approfondire quanto fin qui abbiamo ascoltato. Grazie a tutti e arrivederci.

  La seduta termina alle 16.35.

 

Strage di Via D’Amelio – In COMMISSIONE ANTIMAFIA le audizioni dei famigliari di Paolo Borsellino e testimoni

 

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