Accolte le richieste dell’avvocato Ugo Colonna, legale dell’ex collaboratore di giustizia Maurizio Avola. Altro che depistaggio, la testimonianza dell’ex mafioso offre spunti per colmare i buchi neri sull’esecuzione.
Non solo è necessario prendere sul serio la testimonianza dell’ex pentito Maurizio Avola sull’esecuzione della strage di Via D’Amelio e non liquidarla come menzogna o, peggio ancora, come depistaggio senza condurre approfondite verifiche, ma è anche essenziale ripartire dalle sue dichiarazioni e condurre ulteriori indagini utili a colmare le lacune che permangono dopo 32 anni a causa delle indagini iniziali carenti che hanno favorito, come sarà poi definito dal Borsellino Quater, uno dei più gravi depistaggi nella storia giudiziaria italiana.
Il Gip di Caltanissetta, Santi Bologna, sciogliendo la riserva assunta all’udienza camerale del 5 ottobre, ha respinto la richiesta di archiviazione dei mafiosi chiamati in causa da Avola per le stragi del 1992. E lo fa accogliendo diverse richieste avanzate dall’avvocato Ugo Colonna, legale dell’ex pentito.
Tale decisione è particolarmente significativa perché ha smentito un gruppo di pressione legato a una specifica fazione antimafia, la quale ha accusato Avola di depistaggio.
A ciò va aggiunto il comunicato stampa precipitoso della Procura di Caltanissetta che ha accusato Avola di falsità nelle sue dichiarazioni. Inoltre, è stata avviata un’indagine, forse anche su input della Direzione Nazionale Antimafia, nei confronti di Avola, del suo avvocato Colonna e dei giornalisti Michele Santoro e Guido Ruotolo, autori del libro “Nient’altro che la verità”, in cui Avola è stato intervistato.
Il risultato di questa indagine? Nonostante le intercettazioni e l’uso del trojan non è emersa alcuna prova che potesse suggerire la presenza di manipolatori dietro Avola.
Sia l’avvocato che i giornalisti si sono comportati correttamente, a differenza di altre situazioni in cui ai collaboratori di giustizia si suggerirebbe chi accusare.
Ma perché questa ondata di indignazione verso Maurizio Avola, provocata dalle dichiarazioni di vari presunti autorevoli personaggi? Eppure, l’ex pentito non ha alterato i fatti riguardanti Via D’Amelio.
Non ha mai messo in discussione la testimonianza di Spatuzza, che ovviamente, a causa dell’organizzazione compartimentata di Totò Riina, conosce solo una parte dell’esecuzione.
Avola non ha neanche distorto l’esito del processo Borsellino Quater.
Al contrario, ha aggiunto ulteriori elementi utili per le indagini, in particolare riguardo alla presenza di altri mafiosi di calibro in Via D’Amelio, tra cui – oltre ai catanesi – lo stesso Matteo Messina Denaro.
La “colpa” di Avola è stata quella di affermare che l’uomo non riconosciuto da Spatuzza nel garage, dove si stava preparando l’auto che sarebbe stata utilizzata come autobomba, poteva essere il mafioso catanese Aldo Ercolano. E Spatuzza, che all’epoca non era ancora affiliato a Cosa Nostra, poteva semplicemente non conoscerlo.
Immediatamente sono piovute violente accuse quando si è osato mettere in discussione la presunta presenza dei servizi segreti.
Sembra quasi che qualcuno preferisca perdere altri trent’anni alla ricerca di qualcosa che non esiste.
È paradossale che non sia mai emersa un’indignazione simile nei confronti di presunti pentiti, coloro che raccontano storie surreali utili solo per sostenere astrusi teoremi.
Parliamo di personaggi pompati da programmi televisivi e da alcuni ex magistrati.
Ma ritorniamo ai fatti, gli unici che contano.
Le dichiarazioni di Avola sono cruciali e devono essere attentamente esaminate poiché potrebbero fornire un impulso per ulteriori indagini non verso improbabili “entità”, ma sul modo in cui effettivamente è avvenuto l’attentato, e magari per individuare tutti i membri del commando mafioso.
Lo stesso Gip ha scritto che le ricostruzioni giudiziarie finora condotte non sono state in grado di coprire completamente la fase di preparazione e collocamento dell’auto esplosiva, né l’identità di tutti i membri del commando che hanno agito in Via D’Amelio, né chi ha e da dove ha azionato materialmente il dispositivo.
Il Gip ha anche sottolineato che l’attuale procedimento può rappresentare, con riferimento principale alla strage di Via D’Amelio, un’opportunità per “riflettere” sulla “possibilità di riempire ove ancora possibile e prescindendo, auspicabilmente, dall’apporto di falsi collaboratori di giustizia – alcuni buchi neri nella ricostruzione della fase esecutiva dell’eccidio colmando la profonda limitazione di momenti di vera analisi tecnica (sui reperti della strage) verificatasi nel corso delle prime indagini svolte in relazione a Via D’Amelio”.
Il Gip è stato chiaro nel suo pronunciamento. Ha affermato che, a titolo esemplificativo, è necessario chiedersi se “oggi – dopo il disvelamento della falsità del racconto sull’imbottitura della 126 nel garage di Giuseppe Orofino – può ritenersi ancora valida la tesi (sposata nella consulenza tecnica all’epoca svolta e trasfusa in accertamenti passati in giudicato) che la Fiat 126 di Pietrina Valenti fosse imbottita di 90 chili di esplosivo, stipati nel portabagagli anteriore dell’auto”.
Il Gip ha aggiunto che ciò va preso in considerazione considerando che non è mai stato condotto alcun esperimento giudiziario per verificare il comportamento su strada di una piccola utilitaria come la Fiat, caricata con un peso simile sul frontale.
Dall’ordinanza del Gip emerge chiaramente che la Procura non ha svolto un’analisi accurata e quindi non può etichettare Avola come inattendibile a priori.
Il giudice ha ordinato di prendere come punto di partenza per le indagini preliminari tutte le dichiarazioni fatte da Avola (sia durante l’indagine che in aula) sulle stragi del 1992 e, in generale, sulla strategia omicida; tutte le sentenze (compresi i casi in cui Maurizio Avola non è stato imputato) che hanno valutato la sua credibilità; e tutti i colloqui investigativi.
Non solo. Accogliendo la maggior parte delle richieste dell’avvocato Colonna, il Gip ha chiesto agli investigatori di approfondire il coinvolgimento di Cosa Nostra americana rivelato da Avola fin dal lontano 1994, quando, pentendosi, parlò di uno “straniero” coinvolto nelle stragi.
Con “straniero”, si riferiva a un esperto di telecomandi inviato dalla famiglia mafiosa americana dei Gambino.
Inoltre, il Gip ha richiesto di acquisire tutte le intercettazioni di via Ughetti, a Palermo, dove vivevano Nino Gioè e Gioacchino La Barbera, i due mafiosi latitanti che avevano partecipato alla strage di Capaci.
Entrambi furono successivamente arrestati, ma Gioè si suicidò nel carcere di Rebibbia.
Ora, la Procura di Caltanissetta è chiamata a indagare sulle ragioni del suicidio di Gioè e ad esaminare il contenuto delle intercettazioni.
Un altro aspetto interessante riguarda il presunto braccio ingessato di Avola, un dato usato per mettere in dubbio la sua dichiarazione: come avrebbe potuto in Via D’Amelio maneggiare esplosivi se quel periodo aveva un braccio rotto e per giunta ingessato? Dall’ordinanza del Gip emerge una richiesta di approfondire questa questione attraverso esami strumentali.
Il Gip ha documentato che non c’era alcuna traccia di gesso già pochi giorni dopo l’incidente.
Questo fatto è stato dedotto dalle conversazioni telefoniche tra l’ex moglie e Avola (che, nel discutere dell’incidente, gli ha ricordato che in realtà lui non indossava quasi mai il gesso), intercettate nei mesi successivi al 23 febbraio 2021.
Tali frammenti di intercettazione non erano stati inclusi nella richiesta di archiviazione.
Sembrerebbe che a un certo gruppo di pressione non interessi che si indaghi sui fatti.
Forse causano disagio perché minerebbero il castello di sabbia costruito in trent’anni e nel quale molti hanno costruito carriere immense?
Il metodo di Falcone consiste nel basarsi sui fatti attraverso un’analisi scrupolosa. Eppure sembra che a qualcuno interessi che tutto rimanga fumoso.
Tuttavia, grazie anche all’operato dell’avvocato Fabio Trizzino attraverso le sue audizioni innanzi alla commissione antimafia presieduta da Chiara Colosimo, queste ombre cominciano lentamente a diradarsi.
23 ottobre, 2023 • IL DUBBIO – DAMIANO ALIPRANDI