La moglie di Vincenzo Scarantino andò sotto casa della famiglia di Paolo Borsellino per raccontare dei “maltrattamenti subiti nel carcere di Pianosa” inflitti per costringerlo a parlare.
Lo ha detto, nel corso di un’audizione parlamentare, Lucia Borsellino, figlia del magistrato ucciso dalla mafia nella strage di via D’Amelio il 19 luglio 1992.
“Abbiamo ricevuto uno squillo al citofono”, ha detto Lucia Borsellino riferendosi all’episodio che accadde nel 1994.
“Era la moglie di Scarantino, con un gruppo di persone, che voleva salire a casa nostra e parlare con mia madre.
Ritenemmo quell’incursione poco opportuna, e il mio fidanzato di allora, un poliziotto della scientifica, non consentì a loro di salire a casa.
Fece una relazione di servizio, richiesta dal questore Finazzo, e la inviò anche al capo della Scientifica. Di quella relazione non si è saputo più nulla, non era mai stata assunta agli atti dei processi e questo testimone fu sentito solo nel 2016″.
“Quello che hanno combinato i magistrati che hanno indagato su Scarantino è inenarrabile”, ha detto Fabio Trizzino, legale dei figli di Paolo Borsellino, nel corso dell’audizione della Commissione parlamentare d’inchiesta sulle mafie.
“Quando non si deposita il confronto tra Scarantino e Cangemi, con quest’ultimo che smentisce il primo”, si “denota come minimo mancanza di capacità”. “Cangemi – ha aggiunto Trizzino – esorta i magistrati a non farsi prendere in giro”.
“Non ho alcun timore a dire, per un atto di onestà intellettuale – ha aggiunto – che a difendere la toga di Borsellino sono stati gli avvocati. Noi ci siamo affidati alle istituzioni, che ci hanno confezionato sentenze di fronte alla quali inorridisco.
Mantengo oggi intatta la fiducia nella magistratura, che poi ha restituito alla Nazione una ricostruzione più plausibile”.
LA REPUBBLICA