GIOVANNI FALCONE: ‘COSI’ IO COMBATTO LA MAFIA’

 

FRANCO RECANATESI, 20 novembre 1984 CORRIERE DELLA SERA

RIO DE JANEIRO – Sprofondato nell’ ultima poltrona della “business class”, Giovanni Falcone ascolta musica dalla cuffia stereofonica; accanto a lui, sonnecchia il capitano dei carabinieri Scala. Si è imbarcato sul Dc 9 della “Varig” alle 20,30 di sabato gettando un po’ di scompiglio nell’ aeroplano di Fiumicino: ovunque militari con le mitragliette puntate, triplo controllo del bagaglio e ispezione con il detector a impulsi elettronici per tutti i passeggeri in partenza per il Brasile, accesso a scaglioni all’ interno dell’ aeroporto. Non c’ è solo Falcone. Egli guida una spedizione molto qualificata, quasi l’ intero vertice della giustizia palermitana. Un secondo giudice istruttore, Borsellino; il sostituto procuratore Ayala; il capo della Criminalpol De Luca; il capo della sezione investigativa della squadra mobile Caffarà; due ufficiali dei carabinieri Pellegrino e Scala. Sette investigatori di primo rango che in Brasile vanno per ascoltare le deposizioni di amici e soci di Tommaso Buscetta. Cioè, per verificare e arricchire le confessioni del prezioso delatore. Della scorta, nell’ aereo, non c’ è bisogno. Osserva il capitano Pellegrino indicando i suoi compagni di viaggio: “Tutti noi siamo una scorta”. Una sorpresa, però, Falcone la trova: ed è questo cronista che appena avvenuto il decollo si reca a salutarlo. “Lei cosa ci fa qui?”. “L’ accompagno a Rio”. “E’ venuto per me?”. “Certo.
Ho undici ore di tempo per convincerla a parlare”. Sorride e riporta la cuffia alle orecchie. Risponde soltanto: “Più tardi, più tardi…”. Per Falcone quelle undici ore costituiscono una rara occasione di relax.
Di quel gagliardo pacchetto di magistrati palermitani che hanno ormai votato la propria esistenza alla lotta contro la mafia, egli è il più ferrato e il più deciso, il più esposto e il più sacrificato. Probabilmente per la somma di tutti questi superlativi, è diventato anche il più diffidente e taciturno. Con i giornalisti non intrattiene neanche conversazioni informali, le sue interviste si contano sulle dita di una mano. L’ ultima risale a sette mesi fa.
Da allora, sono cambiate molte cose: c’ è stato il ciclone-Buscetta, c’ è stato il blitz contro 366 mafiosi, Ciancimino e i cugini Salvo sono finiti in galera. Ne vogliamo parlare, dottor Falcone? Ho perso il conto degli assalti respinti. Per prendere tempo, il magistrato ha giocato tutte le carte possibili: la cena (a base di vitello farcito alla brabanonne, grigliata mista e patate farcite alla piemontese), il film (una commediola rosa con Richard Dreyfuss), un sonnellino, un mini-vertice ad alta quota con Borsellino e Ayala (insieme, prima di raggiungere Fiumicino, avevano interrogato i Salvo).
Capitola alle 7 del mattino (le 11 italiane) quando manca un’ ora soltanto all’ atterraggio e ciambelle di salvataggio non ne trova più. -Cominciamo da Buscetta, dottor Falcone? “Sì, cominciamo da Buscetta. E sgombriamo subito il campo da un equivoco: Buscetta ci ha fornito testimonianze importanti, ma non la chiave della verità. Le sue affermazioni costituiscono la conferma di quanto avevamo già raccolto attraverso anni di paziente lavoro. In più, questo sì, hanno offerto lo spunto per allargare le nostre indagini”. -Come mai, allora, soltanto negli ultimi mesi si è notato un inasprimento della lotta contro la mafia, quella determinazione di cui prima si lementava l’ assenza? Forse mancava la volontà politica? C’ è stata forse una sottovalutazione del fenomeno mafioso? “A questa domanda vorrei non rispondere”. -Mi dica allora se dopo Buscetta e gli altri pentiti ritiene ancora valida l’ affermazione dell’ alto commissario De Francesco, secondo cui “per battere la mafia bisogna aspettare il Duemila”.
Possiamo ora, ragionevolmente, prospettare tempi più brevi? “L’ esito della lotta contro la mafia non dipende soltanto dall’ attività giudiziaria. E’ necessario il sostegno totale della classe politica, cioè di tutti i partiti; è indispensabile il consenso della società civile”. -Vuol dire che non esiste ancora un’ adeguata presa di coscienza, da parte del paese, della gravità del fenomeno mafioso? “Recentemente ho notato grossi e incoraggianti segnali in questa direzione”. -Dunque, dovremo aspettare oppure no l’ anno Duemila? “Io mi auguro di no”. Dipende dalla volontà dello Stato ma anche dalla tenuta di Cosa Nostra sotto i vostri colpi. Qual è lo stato clinico, oggi, della mafia? “Gli omicidi di cui sono rimasti vittime nelle ultime settimane alcuni familiari dei mafiosi pentiti dimostrano che l’ organizzazione, o alcuni suoi membri, ha perso la testa.
Ci troviamo di fronte al tentativo estremo di chiudere la bocca a chi ha deciso di svelare i loro segreti”. L’ impressione che ho ricavato da recenti e prolungati soggiorni palermitani è che alla mafia stia scemando anche il consenso, coatto o meno, della popolazione. “Sì, a Palermo si respira un clima diverso. Ora sentiamo che la gente fa il tifo per noi. E questo ci è di grande conforto e di stimolo. Quelle persone che ritenevano ineluttabile convivere con la mafia, stanno modificando la loro convinzione. Si sono rese conto che Palermo non è una città vivibile, che occorre partecipare ad un’ opera di bonifica”.
Queste stesse persone erano costrette a convivere con la mafia a causa della totale assenza dello Stato a loro fianco. “E’ una motivazione solo parzialmente vera. Per molti costituiva un alibi, una licenza per delinquere”. Chi sono, dottor Falcone, i grandi alleati della mafia: i partiti politici, le banche, i grandi imprenditori? Intervenendo ad un recente convegno, il suo collega romano Imposimato ha detto: “Certi canali finanziari del traffico della droga lambiscono i partiti”.
Lei è d’ accordo? “Non voglio dare giudizi sulle affermazioni di Imposimato. Dei partiti politici ho già sottolineato il ruolo essenziale nell’ azione che stiamo svolgendo per liberare il paese dal tumore mafioso”. E le banche? Per le cosche sono uno strumento indispensabile. In Sicilia c’ è stata una fioritura rapidissima di istituti di credito, e a quanto pare non sempre la loro condotta è apparsa irreprensibile. “Certo, il segreto bancario è stato utilizzato anche per il riciclaggio del denaro sporco. Ciò non significa, però, che dobbiamo considerare tutte le banche come alleate della mafia. Funzionari che hanno fatto un uso distorto dei regolamenti bancari ce ne sono stati e ce ne sono, ma figurano come casi rari che non vanno generalizzati. Non credo, oltretutto, che quei casi dipendessero da una oggettiva volontà di favorire l’ organizzazione di Cosa Nostra, bensì da un antico retaggio comportamentale”. Parliamo ora degli imprenditori. Una categoria molto discussa. “Qualsiasi imprenditore siciliano deve fare i conti con la mafia: c’ è chi la subisce e chi se ne avvale. Esiste poi quella che io chiamo la zona grigia del settore, cioè coloro che nella mafia ci sguazzano sostenendo di esserne vittime”. Terzo livello: ci siamo oppure no, dottor Falcone? Per dirla con chiarezza: Ciancimino e i Salvo sono i gradini più alti della piramide o sopra di loro c’ è qualcun altro? “Questo che lei mi chiede attiene strettamente alle indagini, per cui non posso risponderle. Mi consenta però di rilevare che sulla questione dei tre livelli c’ è stato un fraintendimento di quanto il collega Turone ed io scrivemmo in una relazione del 1981. Ricapitolo ciò che noi intendevamo. Primo livello: reati propri di associazione mafiosa, cioè principalmente traffico di stupefacenti. Secondo livello: reati che derivano dalle dinamiche delle attività mafiose, vale a dire quelli che avvengono all’ interno delle cosche. Terzo livello: reati commessi per salvaguardare l’ organizzazione mafiosa, per fare un esempio l’ assassinio di Dalla Chiesa. Questa classificazione dei reati è stata successivamente estesa, dal linguaggio comune, ad una classificazione gerarchica del sistema mafioso”. Allora le chiedo: di questa scala gerarchica, chi occupa i primi posti? “Passiamo ad un’ altra domanda”. L’ ultima, dottor Falcone: quali considerazioni le suggerisce il suicidio dell’ ex segretario della Democrazia cristiana, Rosario Nicoletti? Pare che si sia ucciso perchè non sopportasse di essere oggetto di sospetti. “Personalmente lo conoscevo poco, ma so che a suo carico non esisteva alcun procedimento penale. Forse il dramma di Nicoletti deriva da qualcosa che attiene alla sua sfera politica. Certo, il clima è pesante. Talmente pesante da far saltare i nervi anche a persone apparentemente sane ed equilibrate”. Rio de Janeiro è già sotto di noi, insolitamente grigia e imbronciata. Piove, nuvole nere e basse nascondono la punta del “Pan de Azucar”. Scendendo dall’ aereo, Falcone scambia un rapido cenno di saluto con Ugo Tognazzi, approdato in Brasile con altri attori e registi italiani per partecipare al primo festival del cinema di Rio. I sette inquirenti di Palermo vengono presi in consegna dalla polizia brasiliana. Una giornata di vacanza trascorsa tra l’ albergo di Copacabana e il mercato dell’ artigianato di Ipanema. Con cinque uomini di scorta armati perfino di bombe lacrimogene e un grande agitarsi di operatori televisivi e cronisti locali. Ieri, di buon mattino, si sono divisi in due gruppi: Falcone, Ayala e De Luca sono partiti per Brasilia dove hanno interrogato Fabrizio Sansone, titolare di un’ industria di giubbetti, la “Major Kay”, che, a quanto pare, era soltanto un paravento per riciclare, in società con Buscetta, il denaro proveniente dal traffico della droga; Borsellino, Pellegrino, Scala e Cassarà compiranno la prima tappa a San Paolo e la seconda a Belo Horizonte per ascoltare altri amici di don Masino: Lorenzo Garello, Giuseppe Fanìa, Paolo Staccioli e, soprattutto, Giuseppe Bizzarro, l’ uomo che nell’ ottobre dello scorso anno fu arrestato assieme a Buscetta e al figlio di Tano Badalamenti. Quest’ ultimo, recentemente estradato negli Stati Uniti, sarà oggetto di un altro viaggio da parte di Falcone: “La sua testimonianza è molto importante. Forse più di quella di Buscetta”.