LA MAFIA Centosessant’anni di storia

 

LETTURE
Se c’è un autore che ha dedicato allo studio delle organizzazioni criminali mafiose, tra Sicilia e America, libri che hanno rappresentato il punto di riferimento per gli storici, gli operatori di giustizia, il ceto politico, un più vasto mondo intellettuale e il grande pubblico, questi è senz’altro Salvatore Lupo. La sua Storia della #mafia, pubblicata per la prima volta nel 1993, è rimasta per oltre vent’anni uno strumento insostituibile per larghi strati di lettori italiani e stranieri, grazie anche alle numerose traduzioni in tutto il mondo. Era giunto per l’autore il momento di compiere un nuovo sforzo di sintesi dell’intera materia, facendo tesoro degli studi passati, della documentazione e delle testimonianze nel frattempo venute alla luce. Partendo da questa consapevolezza, il libro ricostruisce centosessant’anni di storia della mafia. Parla della mafia siciliana e insieme della sua figlia legittima, la mafia americana. Ne coglie le interrelazioni, le reciproche interferenze. Pone i conflitti tra cosche, fazioni e gruppi affaristici in questa dimensione transcontinentale. La mafia ha rappresentato un fenomeno criminale caratterizzato da una costante essenziale: quella di definirsi e di essere percepita in stretta correlazione con gli strumenti, le ideologie, le culture delle sfere istituzionali e degli apparati repressivi che con alterne fortune l’hanno combattuta. In altri termini, la mafia non si può studiare, e non si può capire, se non in rapporto con l’antimafia. Questo legame consente di considerare i successi della mafia, o viceversa le sue sconfitte, come punti di osservazione utili per cogliere da un’ottica originale la grande storia. Ciò vale per l’America a proposito dell’emigrazione italiana, del proibizionismo, del New Deal.
SALVATORE LUPO senese classe 1951 storico, professore ordinario di storia contemporanea all’Università di Palermo e in precedenza docente di storia contemporanea presso la Facoltà di Scienze politiche dell’Università di Catania, è presidente dell’IMES (Istituto Meridionale di Storia e Scienze Sociali) di Catania e vicedirettore della rivista quadrimestrale dell’istituto, Meridiana di cui è stato uno dei fondatori. È membro del comitato di redazione di “Storica”.
È uno dei più quotati studiosi della mafia in ambito italiano, autore di numerose pubblicazioni sul fenomeno criminoso e di storia contemporanea; grazie al suo testo Quando la Mafia trovò l’America ha vinto, nel 2009, il premio letterario Vitaliano Brancati.
Il 1º dicembre 2015, a Roma, è stato invitato all’audizione della “Commissione parlamentare di inchiesta sul fenomeno delle mafie e sulle altre associazioni criminali, anche straniere”, nell’ambito dell’istruttoria sui rapporti tra mafia e politica in Sicilia.
Il termine «mafia» in Italia è stato riservato più precisamente alla Sicilia sin dal 1863-66, e negli Stati Uniti a partire dal tardo Ottocento. La mafia è stata da sempre rappresentata dagli studiosi come il frutto di una società arcaica, di una cultura antistatale. Scrive l’autore: «La mafia si è quasi contemporaneamente affermata, oltre che in un’area sottosviluppata dell’Europa mediterranea, nel luogo ideale della modernizzazione planetaria. Si basa su un’ibridazione transatlantica, su un incrocio culturale minaccioso eppure affascinante» (p. X). Perciò la copertina porta in alto a destra la dizione che questi 160 anni di storia si svolgono «tra Sicilia e America», per cui il libro tratta di mafia sicula e mafia siculo-americana nelle loro interazioni, non solo di business.
In tema di definizioni o delimitazioni di ricerca, si deve notare che la mafia sicula è riferita prevalentemente alla parte occidentale dell’isola, con Palermo e le sue borgate e paesi vicini (Corleone, Villabate, Partinico, Piana degli Albanesi ecc.), sedi di radicati gruppi e dinastie mafiose che hanno segnato questa storia e di traffici con la sponda transatlantica.
In questo contesto sociale, vengono accuratamente riportate, secondo un profilo metodologico, le «genealogie» dei principali capimafia o personaggi di rispetto che hanno caratterizzato le vicende della mafia in Sicilia e negli Stati Uniti, spesso con un esito sanguinoso nelle lotte tra associazioni mafiose per il predominio non solo territoriale. L’autore non manca di avvertire che «la mafia è uno di quei fenomeni che gli storici sociali definiscono embedded, fenomeni cioè che sono radicati in sfere profonde della società. Le sue attività sono il più delle volte nascoste nelle pieghe di transazioni semilegittime. Commercia, fa affari, fornisce protezione e servizi in occasione delle elezioni» (p. XI).
Una tradizione interpretativa e un gran numero di fonti storiche ci dicono che la forza della mafia sta nell’intreccio tra interno ed esterno, nella fitta rete in cui le sorti degli affiliati si intersecano con quelle dei non-affiliati, in una logica di mutua protezione e di reciproco interesse. Secondo il sociologo Rocco Sciarrone, la forza della mafia dipende solo in parte da caratteri costitutivi interni, ma piuttosto dalle sue «relazioni esterne, vale a dire dal capitale sociale che deriva dalla sua capacità di allacciare relazioni e costruire reti sociali» (ivi), in cui ci possono essere poliziotti, politici, affaristi corrotti, professionisti, consulenti.
Il libro ricostruisce 160 anni di storia della mafia, sia di quella siciliana sia di quella americana che ne è derivata, cogliendone le interferenze reciproche, ed esamina i conflitti tra le cosche, le fazioni e i gruppi affaristici in questa dimensione transcontinentale.
Una costante essenziale della mafia, secondo Lupo, è quella di definirsi e di essere percepita in stretta correlazione con gli strumenti, le ideologie, le culture delle sfere istituzionali e degli apparati repressivi che l’hanno combattuta con alterne fortune nei diversi periodi della storia del nostro Paese. Sotto questo profilo, essa non può essere studiata e neppure capita se non in rapporto con l’antimafia istituzionale e della società civile. Questo legame consente di considerare i successi della mafia e le sue stesse sconfitte come punti di osservazione utili per cogliere la storia. Ciò vale per l’America, a proposito dell’emigrazione italiana, del proibizionismo, del New Deal, e vale allo stesso modo per l’Italia di fine Ottocento, del fascismo, o del secondo dopoguerra, fino ad arrivare agli anni Ottanta e Novanta del secolo scorso e alla complessa vicenda che portò agli assassini dei giudici Falcone e Borsellino. Il maxiprocesso di Palermo ha rappresentato una delle sconfitte più gravi subite dall’organizzazione criminale mafiosa. Di lì è partita una nuova fase, che l’autore definisce «sommersione» per rinuncia a forme di violenza.