Commendatore e Presidente dimissionario di Confindustria Catania pagava il pizzo da vent’anni

 

 

 

Il pizzo alla Mafia, Di Martino lascia la presidenza di Confindustria Catania

 

Il presidente di Confindustria Catania, Angelo Di Martino, titolare di un’impresa che avrebbe pagato il ‘pizzo’ al clan senza denunciare l’estorsione, si è dimesso dall’incarico. La decisione durante una riunione d’urgenza del Consiglio di presidenza per valutare il contenuto delle notizie apparse sulla stampa.
“Il Consiglio di presidenza di Confindustria Catania – si legge in una nota – si è riunito questa mattina nella sua interezza, con procedura di urgenza, per valutare il contenuto delle notizie apparse sulla stampa riguardanti il presidente Angelo Di Martino. Nel corso della riunione il Presidente, dopo avere espresso la propria estraneità ai fatti, così come riportati sulla stampa, riservandosi di agire per le vie legali, ha deciso, sentito il Consiglio di Presidenza, di rimettere il mandato e di rassegnare quindi le proprie dimissioni, ciò al fine di preservare l’immagine dell’Associazione evitando così qualsiasi ulteriore speculazione”. Dimissioni ritenute “opportune ma tardive” da Maria Grazia Pannitteri, responsabile del dipartimento Giustizia del PD Sicilia, che aggiunge: “C’è ancora molto lavoro da fare per spezzare il cordone che lega, molto spesso, la mafia e una certa parte di imprenditoria”.
L’inchiesta di cui ha parlato la stampa è quella denominata ‘Doppio petto’,coordinata dal procuratore aggiunto Ignazio Fonzo e dai sostituti Dda Assunta Musella e Fabio Saponara, contro la cosca Pillera-Puntina legata al boss Giacomo Maurizio Ieni, basata su indagini della Squadra mobile della Questura di Catania.
Nel provvedimento cautelare emesso dal gip Sebastiano Di Giacomo Barbagallo, ed eseguito dalla polizia lo scorso 1 dicembre, si ricostruisce l’arresto in flagranza di reato di un indagato, Giovanni Ruggeri, bloccato all’uscita dello stabilimento dei fratelli Di Martino con 4.000 euro, che, secondo l’ipotesi della Procura, aveva appena ritirato come ‘tangente’ da pagare al clan. 

Un’estorsione lunga vent’anni

Filippo Di Martino, fratello di Angelo, ricostruisce il giudice per le indagini preliminari, sentito dopo l’arresto “confermava che l’azienda – da circa 20 anni – era sottoposta a estorsione, soggiungendo che l’attività illecita aveva preso avvio con una richiesta di denaro destinato al sostentamento delle famiglie dei detenuti” e che “l’importo, originariamente convenuto in due ratei annuali di 1.000 euro ciascuno, era poi lievitato sino a 4.000 euro, con la consegna, quindi, ogni anno di complessivi 8.000 euro”.  Analoghe dichiarazioni, aggiunge il gip nell’ordinanza, venivano rese da Di Martino Angelo spiegando che la decisione era stata “assunta illo tempore dal fratello e, poi, mantenuto nel tempo” e precisando che “le persone a cui corrisponde l’estorsione sono mafiosi e pertanto ha insistito di pagare per evitare ritorsioni e lavorare tranquilli”. L’arresto di Ruggeri fu al centro di commenti tra due esponenti del clan, intercettati dalla polizia. E uno di loro, ricostruisce il gip, “riferendosi a Filippo Di Martino, si manifestava scettico riguardo al fatto che l’iniziativa di denunciare il fatto fosse stata assunta da lui, in quanto, precisava: ‘questo e vent ‘anni che paga’
Sulla vicenda interviene con una nota Miriam Leone, segretaria provinciale del Partito Democratico catanese: “Il presidente di Confindustria si dimette e fa bene – si legge – perché pare che da vent’anni paghi il pizzo. Il giovanissimo vicepresidente del consiglio comunale di Catania risulta coinvolto in una mesta storia di voti scambiati a 50 euro. Ancora più del profilo penale di queste vicende – dei gradi di giudizio e della verità giudiziaria – colpisce il profilo culturale”. “Proprio oggi da Asaec, Associazione Antiestorsione di Catania “Libero Grassi” – continua Leone – arriva la notizia che domenica mattina nessuna delle istituzioni invitate si è presentata, mancando l’appuntamento con gli associati, quegli imprenditori e quei commercianti che hanno scelto di stare dalla parte dello Stato, che hanno scelto di denunciare racket o usura. ‘Non vuoi capire che la tua coscienza significa gli altri dentro te’, avrebbe detto Pirandello. Alla politica, alle istituzioni, a chi inevitabilmente diventa esempio per tutti serve più coraggio, più testardaggine per provare che si puo vivere a testa alta senza arrendersi gettando la spugna in un mare che sembra non cambiare mai corrente”.



I Di Martino sotto estorsione: “Sono mafiosi e ha insistito di pagare”

“Le persone a cui corrisponde l’estorsione sono mafiosi e pertanto ha insistito di pagare per evitare ritorsioni e lavorare tranquilli”.
Con queste parole Angelo Di Martino, presidente di Confindustria Catania, sentito a sommarie informazioni dalla polizia, spiega perché il fratello Filippo, suo socio nel colosso dei trasporti, “ha insistito di pagare” i soldi agli uomini ai vertici del clan Pillera.
“Questo è vent’anni che paga”, dicevano i mafiosi riferendosi a Filippo Di Martino prima di essere arrestati, ma il presidente di Confindustria non ha dubbi: “Io condanno le estorsioni sottolinea Angelo Di Martino a LiveSicilia – lo ribadisco ad ogni riunione e nessuno deve pagare.
Su questo siamo impegnati con tutte le nostre forze”.
Le dichiarazioni sono contenute agli atti dell’ultima inchiesta coordinata dal procuratore aggiunto Ignazio Fonzo e affidata ai pm Assunta Musella e Fabio Saponara. Un’indagine complessa, che colpisce i piani alti della malavita etnea, forte di estorsori che razziavano fondi a imprenditori e attività commerciali. Mafia militare all’ombra di Giacomo Maurizio Ieni, uno degli storici reggenti del clan Pillera-Puntina.
 
 

Le estorsioni ai Di Martino

I proventi delle estorsioni ai Di Martino dovevano essere consegnati direttamente al boss Ieni che, nel 2021, era a piede libero.
L’esattore era il cognato di Ieni, Giovanni Ruggeri, che doveva corrispondere i soldi “pattuiti” con “lo zio Filippo”, cioè Filippo Di Martino. L’inchiesta scattava dopo un’intercettazione all’interno di un altro procedimento: Giovanni Ruggeri e Francesco Ieni parlavano delle modalità di riscossione del pizzo ai Di Martino.
A pochi giorni dal Natale, Giovanni Ruggeri comunicava ai sodali che stava per recarsi “da Di Martino…da loro per mio cognato”, cioè per conto del reggente. Attraverso le intercettazioni, la polizia annotava che Ruggeri si recava più volte nell’impresa.
Intercettandolo, gli investigatori scoprivano che la consegna dei soldi doveva avvenire il 18 dicembre del 2021: l’arresto scattava in flagranza di reato. Ruggeri aveva 4 mila euro in contanti, legati con un elastico. Inizialmente, infatti, bisognava corrispondere due rate da mille euro ciascuna, poi da 4mila euro, per un totale di 8mila euro l’anno
Sentito a sommarie informazioni dopo l’arresto di Ruggeri, Filippo Di Martino confermava che l’azienda di famiglia, da circa 20 anni, era sottoposta a estorsione, aggiungento che questa “attività illecita” era iniziata con una richiesta di denaro destinato alle famiglie dei detenuti.
Il 27 dicembre del 2021, dopo l’arresto di Ruggeri, Dario Ieni è convinto che le indagini della polizia non siano partite da una denuncia dell’imprenditore, perché “questo è vent’anni che paga”. Ma sentiti dagli inquirenti, i Di Martino hanno confermato e i mafiosi sono finiti in carcere. Antonio Condorelli LIVE SICILIA 3.12.2023


Guarnera, ‘presidente Confindustria etnea pagava pizzo, lasci’

“Il presidente di Confindustria di Catania, Angelo Di Martino, sottoposto a estorsione dalla mafia, ha pagato il ‘pizzo’ per venti anni e non ha mai denunciato. Dovrebbe dimettersi subito e, se non lo facesse, dovrebbe sfiduciarlo la sua organizzazione. Se ciò non avvenisse, la vergogna sarebbe infinita per lui e per gli altri associati”.
Lo ha affermato il presidente dell’associazione ‘Antimafia e legalità, Enzo Guarnera, sui verbali dell’operazione ‘Doppio petto’ di tre giorni fa della squadra mobile della Questura, all’incontro con gli studenti su ‘Dialoghiamo sulle mafie’ con il procuratore generale Carmelo Zuccaro e il giornalista Lirio Abbate.   
“Aggiungo con rammarico – osserva Guarnera, difensore di storici collaboratori di giustizia – che, nel 2019, Angelo Di Martino è stato insignito del titolo di ‘Commendatore al merito della Repubblica’. Se fosse in mio potere lo revocherei”.     ANSA


Nelle carte dell’inchiesta antimafia Doppio Petto le ammissioni. Lui: «Ho sempre condannato le estorsioni»

E’ bufera sul presidente di Confindustria Catania Angelo Di Martino dopo che nelle carte dell  è emerso che il gruppo imprenditoriale di Filippo e Angelo Di Martino pagava “regolarmente” il pizzo da 20 anni.
Sono stati gli stessi fratelli Di Martino, sentiti dalla polizia – ad ammettere che «l’azienda era sottoposta a estorsione», partita con «una richiesta di denaro destinato al sostentamento delle famiglie dei detenuti».
Angelo Di Martino si difende: «Io condanno le estorsioni lo ribadisco ad ogni riunione e nessuno deve pagare.
Su questo siamo impegnati con tutte le nostre forze».
Ma c’è chi gli chiede un passo indietro: «Dovrebbe dimettersi subito e, se non lo facesse, dovrebbe sfiduciarlo la sua organizzazione.
Se ciò non avvenisse, la vergogna sarebbe infinita! Per lui e per gli altri associati» ha detto l’avvocato Enzo Guarnera, presidente dell’associazione Antimafia e Legalità di Catania.
«Le dichiarazioni di Di Martino costituiscono un pessimo esempio per tutti gli imprenditori catanesi e non solo. Se un presidente di un’associazione prestigiosa come Confindustria paga il pizzo, dal punto di vista etico va considerato un sostenitore esterno.
Una vittima denuncia, a maggior ragione se è un rappresentante dell’associazione degli industriali. Invece Di Martino ai convegni dichiara che il pizzo non va pagato, ma intanto lo paga. Che si dimetta».
Guarnera ricorda «con rammarico» che nel 2019 Angelo Di Martino «è stato insignito del titolo di commendatore al merito della Repubblica. Se fosse un mio potere lo revocherei». Amaro Nicola Grassi, presidente di Asaec: «Qual è la novità? Alla luce delle recenti evidenze investigative, emerge chiaramente come vi sia una vera e propria emergenza pizzo. L’estorsione ai danni di imprenditori e commercianti è ormai diventata normalità. Gravissimo: siamo tornati indietro di trenta, quarant’anni. Il pizzo viene chiesto a tappeto su tutto il territorio.
Lo ripetiamo e lo ripeteremo finché sarà necessario: indispensabile una sinergica opera di sensibilizzazione da parte delle istituzioni, prefettura, forze dell’ordine e componenti sociali e associative. Senza una risposta immediata da parte dello Stato il pericolo è quello di un controllo sempre più vasto e capillare dell’economia locale da parte della mafia».
«Quando ho letto la notizia che chi rappresenta gli industriali catanesi ha pagato il pizzo per 20 anni, anche se la decisione sarebbe scaturita dal fratello, e non ha denunciato non ho avuto parole.
La mia reazione è stata quella di telefonare al nostro legale, Francesco Messina, per predisporre la nostra costituzione di parte civile nel procedimento frutto dell’inchiesta» ha invece detto il presidente dell’associazione antiracket Libera Impresa, Rosario Cunsolo. «Credo che Di Martino non solo si debba dimettere dal suo ruolo ma debba chiedere scusa ai suoi colleghi. L’antimafia è una missione, una ragione di vita e non si può tradire», conclude.
«Nel 2023 notizie come queste non fanno sicuramente bene. Noi lo abbiamo sempre detto e ribadito che la denuncia è l’unica strada. E per questo vanno ricordati esempi positivi come quello del cavaliere Condorelli e di altri imprenditori anche seguiti dalla nostra associazione che hanno scelto fin dal primo momento di denunciare», sottolinea invece l’avvocato Vincenzo Ragazzi dell’associazione Antimafia Alfredo 2 Dicembre 2023 LA SICILIA


Estorsione ai danni dei fratelli Di Martino, Antimafia e Legalità: “Si dimetta da Confindustria

 

Si scatenano le polemiche sul presidente di Confindustria Catania, Angelo Di Martino dopo che dalle carte dell’inchiesta “Doppio Petto” è emerso che anche il gruppo imprenditoriale del numero uno degli industriali etnei pagava il pizzo

 

Si scatenano le polemiche sul presidente di Confindustria Catania, Angelo Di Martino dopo che dalle carte dell’inchiesta “Doppio Petto” è emerso che anche il gruppo imprenditoriale di Filippo e Angelo Di Martino pagava il pizzo, e lo faceva da 20 anni.

A chiedere le immediate le immediate dimissioni del numero uno degli industriali etnei è Enzo Guarnera, presidente dell’Associazione “Antimafia e Legalità” che in una nota afferma: “Il Presidente di Confindustria di Catania, sottoposto ad estorsione dalla mafia, ha pagato il ‘pizzo’ per venti anni e non ha mai denunciato. Dovrebbe dimettersi subito  e, se non lo facesse, dovrebbe sfiduciarlo la sua organizzazione. Se ciò non avvenisse, la vergogna sarebbe infinita per lui e per gli altri associati. CATANIA TODAY 4.12.2023


‘Presidente Confindustria Catania paga il pizzo alla mafia: accendere fari su autotrasporto’

 

Cinzia Franchini (Ruote Libere): ‘Davanti alla mafia occorre denunciare, gridare. Il silenzio e la sottomissione oggi non sono affatto frutto di una paura condivisibile, ma anche quando ciò avviene inconsapevolmente, si traducono in un rafforzamento del sistema mafioso’

 

‘Scoprire che il presidente di Confindustria Catania da 20 anni pagava il pizzo alla mafia, attraverso la grande azienda di autotrasporto e logistica di cui è proprietario col fratello, è davvero la fotografia di quanto, al di là di protocolli e dichiarazioni di facciata, sia debole, ipocrita e solo di facciata la battaglia per la legalità nel nostro paese e nel mondo dell’autotrasporto in particolare’. A parlare è la presidente di Ruote Libere Cinzia Franchini.
‘Angelo Di Martino commendatore al merito della Repubblica, eletto pochi mesi alla guida degli industriali catanesi e da sempre attivo nel mondo della rappresentanza, è presidente dell’omonimo gruppo che conta 1500 occupati tra dipendenti e indotto. Dalle carte dell’inchiesta ‘Doppio petto’ sugli affari degli Ieni, nota famiglia legata alla criminalità organizzata siciliana, emerge come, insieme al fratello Filippo, Di Martino avesse iniziato a pagare da inizio anni Duemila, consegnando alla famiglia mafiosa fino a 8mila euro all’anno – continua Cinzia Franchini -.
Davanti all’evidenza sono stati gli stessi Di Martino a confermare di aver accettato di sottostare all’ignobile ricatto dei boss. Il fatto che questi imprenditori siano vittime dell’estorsione, il fatto che dal punto di vista legale non siano perseguibili, non basta a derubricare questa vicenda. E’ evidente che oggi, anche agli strumenti legislativi conquistati con fatica e a prezzo di vite umane, le vittime del pizzo, quando si parla di colossi imprenditoriali simili, non sono ingenui e inermi imprenditori lasciati soli a se stessi. No, le vittime del pizzo a questo livello, decidono di esserlo e, così facendo, contribuiscono a perpetrare un sistema criminale inaccettabile. Sono passati 30 anni da quando Libero Grassi morì da eroe a Palermo, ucciso da 4 colpi di pistola mentre andava al lavoro, per aver detto no al pizzo nell’allora silenzio del sistema associativo e politico’.
‘Da allora tanti passi in avanti sono stati fatti, con fatica. Adesso gli imprenditori non vengono lasciati soli e gli strumenti ci sono: che il rappresentante di tutti gli imprenditori siciliani si sia piegato a pagare per ‘quieto vivere’ è uno schiaffo a decenni di battaglie. Cosa resta dei protocolli sulla legalità scritti dalle associazioni di categoria, delle frasi ripetute da tanti vertici associativi ‘chi paga il pizzo oggi o è stupido o è colluso’, degli appelli a denunciare, a ribellarsi, a rompere il muro della omertà e del silenzio, se poi il leader di Confindustria Catania da due decadi accetta il sistema mafioso? Che concreti passi in avanti sono stati fatti dopo che il caso-Montante ha svelato la corrotta antimafia di facciata siciliana? A questo punto, oltre alle inevitabili dimissioni da presidente di Di Martino, sarebbe finalmente necessario aprire una riflessione vera e senza filtri sulla criminalità nel mondo economico italiano e dell’autotrasporto in particolare, da sempre nodo nevralgico degli interessi dei clan. Smettiamola di dire che oggi l’Italia ‘esporta l”antimafia’ perché non è così e il caso di Di Martino lo dimostra. E allora lo ribadiamo, perché alla luce di notizie simili, è quantomai necessario: davanti alla mafia occorre denunciare, gridare. Il silenzio e la sottomissione oggi non sono affatto frutto di una paura condivisibile, ma anche quando ciò avviene inconsapevolmente, si traducono in un rafforzamento del sistema mafioso’ – chiude Cinzia Franchini. LA PRESSA 4.12.2023

 


Operazione Doppio Petto, 18 arresti nel clan Pillera-Puntina Sugli “interessi criminali di soggetti legati, anche da vincoli di sangue, a Giacomo Maurizio Ieni

Operazione antimafia della Polizia di Catania contro il clan Pillera-Puntina. Decine di agenti stanno eseguendo un’ordinanza di custodia cautelare nell’ambito di un’inchiesta, coordinata dalla Direzione distrettuale antimafia, sugli “interessi criminali di soggetti legati, anche da vincoli di sangue a Giacomo Maurizio Ieni”.
I reati ipotizzati dal gip, a vario titolo, sono detenzione e porto di armi comuni da sparo, estorsione aggravata dal metodo mafioso, usura, trasferimento fraudolento di valori, associazione finalizzata al traffico di sostanze stupefacenti, con l’aggravante dell’essere l’associazione armata, nonché di detenzione ai fini di spaccio di sostanze stupefacenti.

GLI ARRESTATI

Andrea Italo Abbratuzzato, 50 anni; Romano Riccardo Di Mauro, 61 anni; Orazio Finocchiaro, 51 anni; Antonio Giuseppe Dario Ieni, 31 anni; Francesco Ieni, 41 anni; Giuseppe Longo, 45 anni; Francesco Magrì, 52 anni; Loredana Graziella Nicolosi, 45 anni; Rosario Platania, 36 anni; Giusepe Raneri, 51 anni; Giuseppe Russo, 25 anni; Massimo Spina, 57 anni; Giuseppe Varoncelli, 46 anni; Francesca Viglianesi, 70 anni; Stella Mannino, 58 anni; Helmi Toui, 35 anni; Natalizio Claudio Minnella, 58 anni; Enrico Cristaldi, 58 anni. 

LE INDAGINI

Le indagini, coordinate da quest’Ufficio ed eseguite dalla locale Squadra Mobile – Sezione Reati contro il Patrimonio e la P.A. – Squadra Antiestorsioni della Polizia di Stato, hanno permesso di acquisire, allo stato degli atti e in relazione ad una fase processuale che non ha ancora consentito l’intervento delle Difese, elementi che dimostrerebbero come gli indagati, con differenti profili di responsabilità, avessero gestito, con metodo mafioso, estorsioni in danno di imprenditori locali nonché preso parte ad una associazione finalizzata al traffico di sostanze stupefacenti, con l’aggravante dell’essere l’associazione armata. Il provvedimento restrittivo compendia gli esiti di investigazioni scaturite dalle risultanze d’indagine emerse in altro procedimento penale, in base alle quali Ieni Dario Giuseppe Antonio – subentrato a Ieni Giacomo Maurizio, storico affiliato alla cosca Pillera-Puntina, nella gestione degli “affari di famiglia” – stesse continuando a riscuotere un’estorsione periodica a noti imprenditori catanesi, operanti nel settore dei trasporti e della logistica. Le attività, avviate per dare riscontro alle accennate risultanze, consentivano di appurare come, in occasione delle festività di Natale e di Pasqua, Ieni Dario Giuseppe Antonio avrebbe inviato Ruggeri Giovanni a riscuotere una tassa estorsiva semestrale pari a 4.000 euro.  L’azione investigativa promossa nei confronti dei sopra indicati soggetti consentiva di far emergere altre attività imprenditoriali estorte, con analogo metodo, dalle quali gli stretti congiunti di Ieni Giacomo Maurizio avrebbero ricevuto entrate fisse: alcune nella forma tradizionale, ossia con il pagamento periodico di denaro per ottenere la famigerata protezione; altre ottenute tramite imposizione di tassi di sconto fuori mercato, in qualunque stagione dell’anno, su capi di abbigliamento di marca, il tutto ai danni di titolari di noti e rinomati negozi catanesi.
In tale cornice, si indagava a fondo su tutti gli altri affari illeciti della famiglia IENI, ed in particolare, su quello del traffico delle sostanze stupefacenti, della cui gestione si sarebbe occupato l’altro figlio, Francesco, inteso u Castoru.
Su tale versante, si aveva modo di verificare come il business messo in piedi da Ieni Francesco sarebbe stato strutturato – non tanto sulla gestione diretta di una piazza di spaccio – bensì sul loro materiale approvvigionamento, mediante un lucroso network che avrebbe previsto l’acquisto all’ingrosso della droga, dalla Calabria per la cocaina e dalla Spagna per la marijuana, e la successiva vendita al dettaglio ai responsabili delle piazzecatanesi e non solo.
Tale politica criminale, che sarebbe stata basata di fatto su un’organizzazione semplice, imperniata su Ieni Francesco che avrebbe gestito i rapporti con i trafficanti per l’acquisto della sostanza stupefacente e sui sodali che si occupavano della logistica – avrebbe avuto il vantaggio di non entrare in conflitto con gruppi delinquenziali concorrenti per il controllo ed il predominio delle piazze di spaccio, ma, al contrario, di avere con questi rapporti di affari.
In proposito, dallo sviluppo delle attività di indagini preliminari si ipotizzavano cointeressenze economiche con esponenti dei Cappello-Bonaccorsie del gruppo Nizza, facente parte della famiglia di cosa nostra denominata Santapaola- Ercolano, per questo destinatari della misura cautelare.
Circoscritti gli interessi illeciti intorno ai settori dell’estorsione e del traffico di sostanze stupefacenti, in costanza d’indagini, venivano condotte operazioni considerate di riscontro che portavano agli arresti in flagranza: di Ruggeri Giovanni, per estorsione aggravata dal metodo mafioso, qualche giorno prima delle festività natalizie (18.12.2021) con il sequestro della rata estorsiva di 4.000 euro, poi riconsegnata all’imprenditore; di Cristaldi Francesco, per detenzione ai fini di spaccio di sostanze stupefacenti, il 10.02.2022, con il sequestro complessivo di poco più di 10 kg tra marijuanacocaina e hashish; in data 12.02.2022, di Viglianesi Francesca, moglie di IENI Giacomo Maurizio, in ordine al reato di usura. 
Infine, le investigazioni avrebbero consentito di appurare come in capo al defunto IENI Giacomo Maurizio fosse da ricondurre la “contitolarità” di un esercizio commerciale di ristorazione e somministrazione di bevande, attesa la decisiva ingerenza, sua e dei familiari, nella gestione di fatto dell’anzidetta attività economica.
Il Giudice per le indagini preliminari, su richiesta dei Pubblici Ministeri titolari del relativo fascicolo d’indagine, ha quindi disposto, per 14 indagati, l’applicazione della misura cautelare della custodia in carcere e per i 4 restanti, quella degli arresti domiciliari. La fase esecutiva sviluppatasi nel corso della mattinata dell’1 dicembre, con traduzione presso la locale Casa Circondariale, ha coinvolto, oltre che gli operatori della Squadra Mobile etnea, quelli dell’omologo organo investigativo di Messina, equipaggi del Reparto Prevenzione Crimine della Sicilia Orientale, qui inviati a supporto dalla Direzione Centrale Anticrimine, nonché personale di altre articolazioni della locale Questura ed unità specializzate di Polizia Scientifica. Redazione Grandangolo Agrigento 3.12.2023 

 

OMBRE sull’ANTIMAFIA

 

 

 

Storie di MAFIA e IMPRENDITORIA collusa: il caso Lombardia