Per la Dda di Milano gli esponenti dei clan Alvaro, Mancuso, Piromalli e Bellocco si sarebbero visti negli uffici della finanziaria legata al figlio del Tiradritto. «I soldi sono di tutti e non facciamo discussioni». Un patto di ferro in nome del business fermato dall’arresto del “padrino” di Bra
L’inchiesta
I rifiuti sono la «parola magica» al pari della «cocaina». È una frase appena, capace però di aprire scenari sugli appetiti della ‘ndrangheta in un settore di storico interesse per i clan di mezza Italia. Per il gip non è una cosca quella che a Milano ha come punto di riferimento Giovanni Morabito, 60enne figlio del boss “Tiradritto”. Eppure gli affari di cui si interessa hanno molti punti di contatto con i classici settori in cui sono impegnate le ’ndrine. Alla base ci sono parole magiche come «rifiuti» e rapporti ramificati in tutto il Paese: lo spiega in una lunga intercettazione Antonio Giuseppe Siclari, nato a Reggio Calabria e domiciliato nel capoluogo lombardo. Siclari è ben introdotto nelle attività del gruppo che ha la propria base logistica in via Vittor Pisani, a due passi dalla stazione di Milano.
Si occupa della gestione della Publidant Investment, lo strumento operativo attorno al quale ruotano gli affari della gang, tiene aggiornato il “capo”, lo accompagna in una trasferta calabrese, a Isola Capo Rizzuto, nella quale Morabito discute con uomini vicini alle cosche Nicoscia e Arena di un affare relativo alla compravendita di gasolio.
Siclari sa bene come si muovono Morabito&Co. Lo dice in un italiano non brillante ma molto comprensibile: «I rifiuti è la parola magica che i rifiuti è paragonata secondo me alla cocaina». Droga e monnezza: grossi guadagni e qualche pericolo per via delle attenzioni investigative. È in quella stessa conversazione che Siclari si dice preoccupato per l’eccessivo coinvolgimento di famiglie calabresi. «A San Luca una concentrazione così alta di persone non ce l’avevi… di persone… poi altri due, poi altri due». Il rischio è quello di attirare l’attenzione delle forze dell’ordine: «Viene la Finanza… che vuole un documento… ma un documento qualunque… entra, guarda tutte ‘ste persone e dice “scusate mi date un attimo i documenti” e siamo rovinati». Preoccupazione giustificata: nella sede della Publidant erano passati, proprio per discutere dei progetti sui rifiuti, personaggi che la Dda di Milano considera vicini a quattro cosche di ‘ndrangheta. Oggi è possibile ricostruire in maniera più precisa i contorni di quell’incontro, nel quale si incrociano gli aspiranti “soci” di un business che sfumerà soltanto per l’arresto di una delle persone interessate.
Le famiglie di ‘ndrangheta nell’ufficio di Milano
Il primo incontro avviene negli uffici di via Vittor Pisani tra Massimiliano D’Antuono, considerato il braccio destro di Morabito, Siclari e Vincenzo Ascrizzi. In quel momento – è il 3 giugno 2020 – Ascrizzi è semplicemente un avvocato, un colletto bianco la cui presenza nella base operativa di Morabito è un mistero. Più di un anno dopo, però, il legale finirà in carcere nell’ambito di un’inchiesta che riguarda proprio una società attiva nel settore dei rifiuti, la Eredi Bertè Antonino srl. L’ordinanza firmata dal gip di Milano interessa anche Vincenzo Bertè, Andrea Biani e Antonio Monaco, che i magistrati della Dda di Milano considerano «contiguo alla famiglia Piromalli, essendo cognato di Gioacchino Piromalli, detto “l’avvocato”, già condannato per associazione mafiosa». Piromalli risulta coinvolto nell’inchiesta “Metauros” della Dda di Reggio Calabria «che svelava il forte interesse della ‘ndrangheta nel business legato al ciclo dei rifiuti» con particolare riferimento alla gestione del termovalorizzatore di Gioia Tauro. Già dal primo incontro emerge «in modo chiaro» che nell’affare «sarebbero stati coinvolti almeno tre gruppi»: Morabito e i suoi uomini, il gruppo facente capo ad Ascrizzi e quello rappresentato da Monaco.
Due settimane dopo, quando il figlio del “Tiradritto” torna a Milano, Siclari e D’Antuono lo aggiornano e confermano il «coinvolgimento nell’operazione, oltre che dell’avvocato Ascrizzi, anche del suo socio Giovanni “Pirrottina di Reggio Calabria”».
Nell’incontro successivo, il 26 giugno 2020, si delinea «quella che doveva essere la composizione dei diversi “sei” gruppi che avrebbero dovuto operare nel business dei rifiuti, dividendosene anche gli attesi (illeciti) profitti: gruppi all’interno dei quali si palesava la presenza di soggetti legati a diverse e potenti famiglie di ‘ndrangheta: Alvaro, Mancuso, Piromalli, Bellocco e, ovviamente, Morabito». Tutti attirati dalla «parola magica». Quel giorno Morabito non c’è: è tornato in Calabria dopo le condanne rimediate (anche) da alcuni suoi parenti nel processo “Mandamento Jonico”. I suoi sodali, però, discutono degli ingressi nel progetto sui rifiuti e gli inquirenti prendono nota.
I protagonisti dell’incontro a Milano
Se Ascrizzi, all’epoca (cioè prima del suo arresto nel luglio 2021) è «quello della discarica che si è bruciata», cioè l’impianto di Mortara, nel Pavese, il cui incendio si è consumato all’ombra della ‘ndrangheta, nel suo gruppo compare anche un 55enne di Caulonia «gravato – riassumono gli investigatori – da diverse condanne definitive per traffico di sostanze stupefacenti ed estorsione». Un altro dei presenti, invece, «è più volte indicato – si legge nell’ordinanza di custodia cautelare dell’inchiesta sul gruppo Morabito – come appartenente alla famiglia di ‘ndrangheta dei Bellocco di Rosarno, o meglio «nipote del capo cosca Umberto». Un «titolo di merito», continuano i magistrati, con il quale «si presentava e discorreva di affari» sia con D’Antuono che con Morabito.
Salvatore Valenzise sarebbe, invece, «persona storicamente legata al clan Mancuso di Limbadi». Coinvolto nell’inchiesta “Rinascita Scott” per ireati di sequestro di persona ericiclaggio (per lui il processo si è concluso con la prescrizione), nell’indagine “Dinasty”, risalente al 2003, «emergeva – la sintesi appartiene ancora agli inquirenti – come anello di congiunzione tra il clan Mancuso ed esercenti ai quali erano stati corrisposti prestiti a tassi usurari». L’altro nome emerso dagli atti è quello di Giulio Mitidieri, anche lui considerato vicino alla famiglia Mancuso, e coinvolto nell’inchiesta Petrolmafie. Mitidieri, lo scorso primo dicembre, è stato condannato a 5 anni.
Il clan Piromalli sarebbe invece rappresentato al tavolo di via Vittor Pisani dal «cognato di Giacchino Piromalli “l’avvocato”», e da “Compare Ciccio”, cugino di Girolamo Piromalli, detto “Mommino”, «discendente diretto dello storico capostipite Gioacchino». “Mommino”, ritenuto «autorevole esponente della famiglia», è stato coinvolto il 13 luglio 2021 nell’inchiesta Geolja e nel 2023 nel blitz Hybris.
L’arresto di “zio Vincenzo” Luppino e lo stop all’affare
Attorno all’uomo che la Dda di Milano ritiene espressione del clan Alvaro ruota la storia che porta al brusco stop del progetto legato ai rifiuti. “Zio Vincenzo” Luppino, infatti, viene arrestato proprio nei giorni in cui i gruppi pianificano l’affare.
Accade il 30 giugno 2020, quando il gip di Torino emette nei suoi confronti un’ordinanza per il reato di associazione mafiosa. Vincenzo Luppino è ritenuto «capo promotore e organizzatore del locale di ‘ndrangheta di Bra». «Dalla lettura dell’ordinanza – appuntano gli inquirenti – si evince, inoltre, il legame dei Luppino con la famiglia ‘ndranghetista degli Alvaro di Sinopoli».
Una settimana prima dell’arresto, «Luppino aveva incontrato D’Antuono e Morabito per organizzare altri affari illeciti, tra i quali quello connesso all’acquisizione di una fallita concessionaria di autovetture di Trino Vercellese». In quell’occasione era accompagnato da Francesco Piromalli. La presenza di Luppino – che sarà condannato condannato in primo grado a 16 anni di carcere dal Tribunale di Torino – è per i magistrati la testimonianza che al business dei rifiuti sono interessate sia le famiglie di ‘ndrangheta calabresi che le loro propaggini settentrionali.
Una settimana prima dell’arresto di Luppino si consuma una delle riunioni organizzative nella sede della Publidant. In quell’incontro, Morabito chiarisce che i soldi «sono di tutti» e che «tra noi non ne facciamo discussioni». Non ci sarà bisogno di discussioni. Il 30 giugno 2020 la Dda di Torino otterrà l’arresto di “zio Vincenzo”. Fatto che, nonostante l’ottimismo esibito da Giovanni Morabito («l’importante è che si sia quagliato») bloccherà il progetto della ‘Ndrangheta United. LA CNEWS 20.12.2023