FALCONE, BORSELLINO e il CAMINO dei cugini SALVO

 
 
Pochi giorni prima di essere assassinato Paolo Borsellino incontrò lo scrittore Luca Rossi, cui raccontò diversi aneddoti della sua esperienza professionale, fra i quali uno riguardante degli accertamenti che insieme a Falcone aveva condotto in merito ad alcune delle rivelazioni di Tommaso Buscetta, che aveva descritto minuziosamente la villa dei cugini Salvo.

Tale descrizione, cruciale per attestare l’attendibilità del teste (e ancora più cruciale dato il ruolo assai rilevante che quest’ultimo stava acquisendo nell’azione complessiva del pool, che su questo spendeva la sua credibilità operativa), parlava di un grande salone che aveva al centro un grande camino.

Durante il sopralluogo nella villa, però, quasi tutto corrispondeva al racconto del pentito, meno che il camino, che non c’era.
Falcone allora, guardando costernato Borsellino, fece il gesto della pistola alla tempia e gli disse “adesso possiamo spararci tutt’e due”. La discrepanza poteva infatti in rapida successione rendere inattendibile il teste, privare l’impianto dell’indagine di uno dei suoi tasselli centrali, esporre l’intero pool alle accuse già ventilate di approssimazione professionale o, peggio, di intenti persecutori nei confronti di cittadini estranei ai fatti.
Borsellino avvicinò il custode della villa e, dopo averci chiacchierato di cose insignificanti, a un certo punto gli chiese per curiosità cosa usassero per scaldarsi d’inverno. Il custode rispose: “Col camino….Ma d’estate lo spostiamo in giardino…”
 
Fonte: Enrico Deaglio, Raccolto rosso: la mafia, l’Italia e poi venne giù tutto, Feltrinelli, 1993