Da Di Matteo a Caselli: ecco i magistrati che credettero al falso pentito
Vincenzo Scarantino “mente dal 1994, è un mentitore di professione”. A ribadirlo – se mai ce ne fosse ancora bisogno – sono i giudici del tribunale di Caltanissetta nelle motivazioni della sentenza, emessa lo scorso luglio, sul depistaggio delle indagini sulla strage di via D’Amelio. Le dichiarazioni di Scarantino avevano portato alla condanna all’ergastolo (poi annullata) di sette persone innocenti che non avevano avuto alcun ruolo nella strage del 19 luglio 1992, in cui morirono Paolo Borsellino e cinque agenti della scorta. “A distanza di quasi trent’anni, ha deliberatamente deciso di continuare a offrire ricostruzioni arbitrarie, ondivaghe e false”, aggiungono i giudici di Caltanissetta, come a dire che Scarantino ha svolto il ruolo di pataccaro fino alla fine.
Il problema non è tanto rappresentato da Scarantino, ma dalla miriade di magistrati che nel corso degli anni ha creduto alle fandonie di un piccolo picciotto semianalfabeta del rione Guadagna, vale a dire: il capo della procura di Caltanissetta, Giovanni Tinebra (morto nel 2017), insieme ai pm Ilda Boccassini e Carmelo Petralia, che autorizzarono i poliziotti del gruppo di Arnaldo La Barbera allo svolgimento dei colloqui investigativi con Scarantino; Gian Carlo Caselli, all’epoca procuratore capo di Palermo, che nel 1995, quando la moglie di Scarantino accusò La Barbera di avere fatto torturare il marito per farlo parlare intervenne in difesa del superpoliziotto, parlando di “una campagna di delegittimazione contro i collaboratori di giustizia”; i pm Nino Di Matteo e Annamaria Palma, che ritennero attendibili le rivelazioni di Scarantino persino quando quest’ultimo nel 1998 decise di ritrattare denunciando le pressioni dei poliziotti; tutti i giudici che dal primo grado alla Cassazione hanno avallato le tesi dei pm basate sulle false rivelazioni di Scarantino. Proprio una grande figura per la magistratura italiana. IL FOGLIO