Le dichiarazioni di ANDRIOTTA FRANCESCO

AUDIO delle DEPOSIZIONI ai processi 


Dalla Sentenza del Borsellino Bis

Andriotta Francesco è stato esaminato all’udienza del 16.10.1997 senza le forme di cui all’art. 210 c.p.p., bensì come ordinario teste, non risultando imputato di reato connesso, pur essendo collaboratore di giustizia e sottoposto al programma di protezione dal gennaio 1995, come dallo stesso confermato.
Ha dichiarato di avere iniziato la collaborazione nei primi di settembre del 1993 e di avere confessato la sua partecipazione a traffici di stupefacenti e di armi di competenza dell’A.G. di Milano, precisando che non aveva mai avuto problemi mentali anche se quando era stato condannato all’ergastolo aveva cercato di fingersi pazzo, tentando il suicidio.
Ha riferito di essere stato detenuto fin dal 1991 nelle Carceri di Varese, Brescia, e Saluzzo, in quest’ultima era stato da aprile marzo 1993 fino al 3 giugno 1993, data in cui era stato trasferito a Busto Arsizio dove era rimasto fino alla fine di agosto dello stesso anno per tornare successivamente a Saluzzo.
Lo stesso, poi, con riferimento ai fatti per i quali si procede ha fornito ampie e convincenti indicazioni circa le modalità di conoscenza con Scarantino Vincenzo e circa l’opportunità di instaurare con lui uno stretto rapporto nonostante i controlli carcerari. In particolare, secondo quanto riferito in giudizio, l’Andriotta nel primo periodo passato a Saluzzo, presso la 5° sezione, aveva conosciuto tale Giambona Michele, detto « Cucuzza», del quartiere Guadagna di Palermo, e quando fu trasferito da Saluzzo a Busto questi gli disse di salutargli tale Scarantino Vincenzo, detenuto a Busto.

Nelle carceri di Busto Andriotta fu collocato nel settore «osservazione» prima nella cella n. 5, poi nella n. 1 , mentre Scarantino Vincenzo si trovava nella cella n. 4 , la cella n. 5 e n.4 si trovavano accanto ad una distanza di 70-80 centimetri, di fronte non avevano altre celle ma una finestra che dava su uno spiazzo e sull’infermeria, la cella n. 1 si affacciava sui cubicoli ed il cubicolo più vicino alla cella n. 1 era quello dove di solito Scarantino faceva l’aria.
Le celle, inoltre, erano chiuse da un blindato, in particolare quello di Scarantino era aperto 24 ore su 24 mentre quello di Andriotta dalle 8,00 alle 23,00.
Nella cella di Andriotta ad un certo punto era entrato un altro detenuto, certo Juster Nadim, di origine turca, il quale era in grado di comprendere l’italiano, ma non il dialetto siciliano, con il quale si esprimeva abitualmente Scarantino e che Andriotta capiva.
Era spesso possibile sia passare oggetti da una cella all’altra che comunicare perché, anche se era prevista la presenza continua di un agente di custodia per sorvegliare, spesso succedeva che alcune delle guardie andavano via o non prestavano attenzione a quanto facevano i detenuti, così accadeva che l’Andriotta a volte andava alla doccia da solo e poteva sbirciare il registro posato su un tavolo al passaggio; in tal modo aveva appreso che Scarantino doveva essere sorvegliato a vista 24 ore su 24 e che per tale motivo non poteva mai andare alla doccia da solo, ma doveva essere sempre accompagnato da un sottufficiale. Il reparto osservazione doveva inoltre essere sorvegliato da telecamere, ma in realtà l’impianto non funzionava come lo stesso Andriotta aveva avuto modo di accorgersi in occasione di passaggio di oggetti con altri detenuti, liti, discussioni ed altri episodi cui non era seguita alcuna reazione da parte delle guardie.

Andriotta si era presentato a Scarantino portandogli anche i saluti di «Cucuzza», inizialmente i rapporti tra i due erano limitati a piccole cortesie, come il prestito di sigarette, ma col passare del tempo erano diventati sempre più intensi, al punto da cucinare a turno alternativamente e passare all’altro le vivande mettendole sopra lo spazzolone e facendole scivolare piano piano da una cella all’altra, il rapporto era proseguito con scambio di bigliettini, confidenze di Scarantino su fatti personali e di vita privata come la sua partecipazione con un particolare vestito ad una manifestazione religiosa, il lavoro di piastrellista, il traffico di sigarette di contrabbando, evitando i controlli con il sistema delle siringhe sporche di sangue collocate sopra i pozzetti, il traffico di droga e gli omicidi cui aveva preso parte, la conoscenza di Carlo Greco uomo d’onore della Guadagna, la parentela con Salvatore Profeta ed altre confidenze.
Andriotta ha precisato, inoltre, che la sua corrispondenza non era sottoposta a censura e che poteva fruire di sei colloqui al mese che venivano effettuati in una zona verde ed in assoluta libertà; di contro Scarantino poteva avere soltanto due colloqui mensili, sempre con la protezione del vetro, e la sua corrispondenza era sottoposta a censura. Scarantino quindi era solito affidare dei bigliettini ad Andriotta, il quale, nascondendoli in bocca o arrotolandoli dentro le sigarette, li passava alla moglie che poi provvedeva a farli giungere a destinazione, la risposta dei parenti di Scarantino arrivava con un telegramma, o con la stessa moglie di Andriotta.
Altre volte Scarantino lo aveva incaricato di fare effettuare delle telefonate, solitamente ad utenze di Palermo, allo scopo evidente di mantenere i contatti con i propri familiari per questioni che, chiaramente, non dovevano essere portate a conoscenza delle autorità penitenziarie in occasione di colloqui in carcere. Significativa al riguardo è la dichiarazione resa dall’Andriotta nell’udienza del 16-10-1997

P.M. dott. PALMA: – Ecco, allora parliamo di questi bigliettini, spieghi che cosa sono i bigliettino e poi le andrò facendo varie altre domande.
Teste ANDRIOTTA F.: – Ah, sì, mi faceva…, per esempio mi diceva di telefonare alla famiglia. Però tante volte mi disse…, dopo, questo però dopo. Ecco, adesso iniziamo dall’inizio. Mi faceva telefonare alla famiglia a dei numeri, (non so, alla sorella, alla moglie, alla madre, al cognato) che dovevo chiedergli delle cose e poi loro davano una risposta con dei telegrammi dicendo: “Sì, tutto a posto, ti vogliamo bene, stai tranquillo”, però erano delle parole che logicamente… Gliele devo spiegare: erano parole cifrate che lui sapeva il significato, Dottoressa.
Anche il bigliettino, quando mia moglie lo leggeva o mia mamma o mio fratello o qualche amico che faceva queste cose, lui non sapeva nemmeno cosa stava chiedendo.
P.M. dott. PALMA: – Allora vediamo un attimo questi bigliettini: che tipo di bigliettini erano, chi li scriveva?
Teste ANDRIOTTA F.: – Eh, delle volte li scriveva lui e delle volte li ho scritti io, Dottoressa, in stampatello.
P.M. dott. PALMA: – Quando Scarantino li scriveva come faceva a passare i bigliettini a lei?
Teste ANDRIOTTA F.: – A be’, o me lo buttava davanti alla porta oppure io lo ritiravo direttamente proprio davanti a lui, quando magari andavo all’aria o al ritorno dalla doccia o perché ero andato in infermeria o perché ero andato a effettuare ‘na telefonata. ( da pagina 57 a pag. 58 verbale del 16.10.1997)
In questo modo Andriotta era venuto a conoscenza dell’esistenza di un negozio denominato Anna abbigliamento che doveva versare alla famiglia di Scarantino la somma di lire 300 mila mensili, di un legale di Roma cui rivolgersi per il giudizio in Cassazione ed altro.
Andriotta ha riferito che Scarantino si era dimostrato particolarmente preoccupato quando venne arrestato il fratello per furto di auto, perché temeva che potesse trattarsi della 126 utilizzata come autobomba nella strage di via D’Amelio ed in quella occasione gli aveva chiesto di mettersi subito in contatto con i suoi familiari. In un’altra occasione Scarantino aveva appreso del suicidio in carcere di tale Gioè ed aveva chiesto di vedere il giornale, che però non gli era stato portato, aveva quindi incaricato Andriotta di fare effettuare una telefonata ad una utenza cellulare.
Dopo tale telefonata era arrivato un messaggio dal piano dove erano ristretti i detenuti sottoposti al 41 bis:
Teste ANDRIOTTA F.: – Del bigliettino sì, arrivò un panino dall’aria. Chiamarono a Enzo e disse: “Enzo, quando vai all’aria – dice – c’è un panino – dice – mangiatillo – dice – me raccumannu per… pa’ u’ bigliettino che contiene dentro u’ panino -dice – di portarlo fuori! – dice – Farlo recapitare subito!”, dice.E Enzo disse: “Va bene, va bene”.
Andò all’aria e trovò questo panino con dentro un biglietto, Dottoressa.
P.M. dott. PALMA: – Da dove fu lanciato questo panino, chi lo portò anzi?
Teste ANDRIOTTA F.: – No, non è che l’hanno portato: è stato lanciato, Dottoressa.
Nessuno ha portato questo panino là.
P.M. dott. PALMA: – Allora da dove è stato lanciato?
Teste ANDRIOTTA F.: – Dalla finestra, Dottoressa, perché la finestra di tutte le
Sezioni sono proprio attaccate quasi alle arie dell’Osservazione che guardano sotto. P.M. dott. PALMA: – E dalla finestra di quale reparto?
Teste ANDRIOTTA F.: – 41 bis, Dottoressa.
P.M. dott. PALMA: – In questo reparto c’erano detenuti di origine siciliana?
Teste ANDRIOTTA F.: – Sì, c’erano detenuti di origine siciliana. Questo me lo disse Scarantino e poi io li sentivo parlare anche delle volte che lo salutavano, eh-eh…, e si sentiva proprio l’accento siciliano diciamo quando parlavano.
( pag. 75 del verbale del 16.10.1997)
Per quanto riguarda specificamente le confidenze sulla strage fatte da Scarantino ad Andriotta, questi ha riferito che Scarantino gli aveva confidato di non essere preoccupato per eventuali dichiarazioni di Candura e di Valenti, perché uno era tossicodipendente ed un altro era stato arrestato per violenza carnale; aveva invece dimostrato grande preoccupazione per l’arresto del fratello Rosario (in quell’occasione era uscito un trafiletto su un giornale della Lombardia che qualcuno aveva lanciato a Scarantino da un’altra sezione), inoltre aveva mostrato particolare preoccupazione per la notizia dell’arresto del “garagista”, appresa da altri detenuti che potevano vedere la televisione, infatti quella volta si era messo a scuotere la testa ed a piangere dicendo «se questo si pente …», ma senza fare in alcun modo il nome del garagista.
P.M. dott. PALMA: – visto che ha parlato di questa preoccupazione, dica alla Corte quale fu proprio il comportamento di Scarantino appresa la notizia dell’arresto del garagista.
Teste ANDRIOTTA F.: – Sì, lui scosse proprio…, disse…, quasi piangeva, ecco, stava quasi scoppiando in lacrime, era molto preoccupato. Era agitato. Era agitatissimo quel giorno.
P.M. dott. PALMA: – E cosa…
Teste ANDRIOTTA F.: – Perché disse: “Se questo si pente che… che parla, io sono rovinato e tanti altri”. Anche perché lui non è un uomo d’onore, ma è una persona che ha fatto dei favori a Cosa Nostra. Questo me lo ricordo benissimo, la parola “uomo d’onore” non lo era e…
P.M. dott. PALMA: – Chi non era uomo d’onore?
Teste ANDRIOTTA F.: – Orofino, il garagista non era un uomo d’onore. Era una persona che aveva questa carrozzeria, roba di meccanica, ora non mi ricordo, perché io manco l’ho visitata ‘sta cosa, non so nemmeno com’è fatta questa persona.
( Pag. 95 del verbale del 16.10.1997 )
Proprio nel periodo dell’arresto del “garagista” erano cominciate le confidenze sulla strage: in breve Scarantino aveva confidato di avere avuto l’incarico del furto dell’auto da Salvatore Profeta e di averlo commissionato a Candura, al quale Scarantino non aveva dato poi l’intera somma pattuita ma solo tre biglietti da 50 mila lire, senza dirgli della destinazione dell’auto, ma anzi facendogli capire che doveva servire per delle sostituzioni di pezzi. Successivamente Scarantino gli aveva prima confidato di sapere che l’auto doveva servire per un attentato dimostrativo ad un magistrato o ad un poliziotto per poi aggiungere di avere saputo che l’auto doveva saltare in aria e non doveva essere identificabile neanche il numero di telaio. Secondo quanto ha riferito Andriotta, per averlo appreso da Scarantino, l’auto, di colore bordeaux, era stata poi sottratta alla sorella di Valenti e doveva essere uguale a quella della sorella di Scarantino per non fare insospettire chi eventualmente avesse visto Scarantino al volante. Piuttosto imprecise appaiono le ulteriori dichiarazioni rese da Andriotta con riferimento alla confidenze ricevute da Scarantino circa le condizioni dell’auto (che comunque per il ricordo di Andriotta aveva difficoltà a camminare), circa la consegna della stessa a Scarantino, circa il luogo ove venne nascosta provvisoriamente e circa il luogo e le modalità di caricamento dell’esplosivo. In particolare l’Andriotta in sede dibattimentale, anche dopo ripetute contestazioni non ha ricordato in quale garage era stata riparata l’auto. Ha dichiarato che l’auto era stata consegnata in una strada principale, e non alla Guadagna, ma ha anche dichiarato, con evidente contraddizione, che era stata consegnata in un garage, per essere poi imbottita in un altro garage. Ha aggiunto che Scarantino ebbe a dirgli di non avere assistito alla imbottitura dell’auto con l’esplosivo, ma di avere controllato l’esterno. A proposito di Candura, ha riferito che lo stesso dopo la strage era fortemente preoccupato ed aveva chiesto notizie della macchina a Scarantino, il quale lo aveva minacciato in vario modo.
Per quanto riguarda l’esplosivo Andriotta ha prima dichiarato che questo era stato portato alla “porcellaia” (ossia il magazzino di Tomaselli lungo il fiume Oreto, che veniva abitualmente utilizzato da Scarantino per attività illecite) dal Profeta:
P.M. dott. PALMA: – Ecco, vediamo se lei ha dei ricordi più precisi. Quest’esplosivo lo stavano portando in questo posto, che ora poi ci indicherà più specificamente, o lo stavano prelevando da questo posto?
Teste ANDRIOTTA F.: – Quello che io mi ricordo lo stavano portando, Dottoressa, alla porcellaia. Questo io mi ricordo e questo io oggi dico. ( Pagina: 112 del verbale del 16.10.1997)
Tuttavia a seguito di contestazioni ha ammesso di ricordare che l’esplosivo fu portato via dalla “porcellaia”:
P.M. dott. PALMA: – Quindi in quell’occasione lei ha affermato che non ricordava quando lo portarono in quel posto o quando lo prelevarono da quel posto.
Conferma questa versione o quella di oggi?
Teste ANDRIOTTA F.: – Sì, confermo, Dottoressa. Adesso me… mi ha fatto… la mente lucida, ecco. Sì, confermo questa versione che ho detto a lei al ’95. Non mi ricordo se era quando lo portavano via, però c’è il fatto che mi ricordo bene il fatto della “profezia” che è arrivata, e lui scherzosamente si rivolgeva proprio al cognato, a Salvatore Profeta.( pag. 113 del verbale del 16.10.1997)
A proposito della consegna dell’auto e dell’imbottitura Andriotta ha in un primo tempo dichiarato di avere appreso da Scarantino che la macchina era stata portata alla porcellaia e lì era stata imbottita, ma che successivamente all’arresto di Orofino Scarantino gli aveva detto che in realtà la macchina, dopo essere stata lasciata alla “porcellaia” era stata trasferita nel garage di Orofino, dove era stata imbottita. Andriotta nel corso del controesame ha però ricordato che la macchina era stata portata alla porcellaia per essere imbottita ma che a causa del guasto era stata portata nella carrozzeria anche per essere riparata e che era stata guidata dallo stesso Scarantino
P.M. dott. PALMA: – cosa fu fatto? Le disse Scarantino per quale motivo fu utilizzato questo garage del garagista o della carrozzeria?
Teste ANDRIOTTA F.: – Sì, oltrechè questa persona faceva dei favori a persone, diciamo uomini d’onore o malavitosi di Cosa Nostra, praticamente quella carrozzeria doveva servire per l’imbottitura dell’esplosivo. Essendo diciamo una persona tranquilla, si potevano fidare e fare tutte le azioni che poi doveva diventare un auto- bomba. Tant’è vero che in questa carrozzeria fu presa una targa da un’altra macchina, e se non sbaglio mi sembra proprio un 126 se non sbaglio, e fu messa su questo 126. Tant’è vero che dopo il furto di questa… questa targa fu denunciato il lunedì e non prima, perché lui voleva dimostrare che la domenica, essendo chiusa la carrozzeria, dice: “Io non lo so – dice – io… io chiudo la carrozzeria e me ne vado e ho trovato il furto di questo… di questa targa”.8 pag. 114 del verbale del 16.10.1997) Infine Andriotta ha parlato della fase dell’imbottitura e della presenza di due soggetti presenti alle operazioni, con varie contraddizioni, tranne che per la presenza di tale “Matteo”, “Mattia” o “La Mattia”, affermata sempre con sicurezza sulla base del ricordo di quanto confidatogli da Scarantino:
P.M. dott. PALMA: – Le fece delle confidenze anche sul momento in cui l’auto fu imbottita di esplosivo?
Teste ANDRIOTTA F.: – Sì, disse che c’erano due persone appositamente per… diciamo per manovrare quest’esplosivo e montarlo su tutta quest’autovettura. Lui non era presente a… a quando hanno riempito la macchina di esplosivo, Dottoressa.
P.M. dott. PALMA: – Sì. Ora parliamo intanto di queste persone. Le parlò della presenza di…, le indicò qualche nome in particolare di persone che erano…?
Teste ANDRIOTTA F.: – Mah… mi disse un certo Matteo o Mattia, La Mattia. Io non… non me lo ricordo oggi, Dottoressa. Queste son le cose che io mi ricordo.
P.M. dott. PALMA: – E altra persona eventualmente, le fece altri nomi? Ecco.
Teste ANDRIOTTA F.: – No, mi disse di questa persona qua, che era presente per l’i… mi sembra per l’imbottitura del 126.
P.M. dott. PALMA: – Le parlò della presenza di suo cognato? Teste ANDRIOTTA F.: – [Pausa] All’imbottitura?
P.M. dott. PALMA: – Sì.
Teste ANDRIOTTA F.: – No, non credo, Dottoressa, che me l’abbia detto. No, non… non credo.
P.M. dott. PALMA: – Non credo o non lo ricorda?
Teste ANDRIOTTA F.: – [Pausa] Mah, Dottoressa, eh-eh, continuo a dire non ricordo. Non ricordo oggi, Dottoressa. So che c’era questo Matteo, Mattia, La Mattia, non lo so! Io che ne so ‘sto cognome? Non so neanche se è un nome o un cognome, o un’abbreviazione o un soprannome. Non lo so, Dottoressa.
P.M. dott. PALMA: – Allora, verbale del 25 novembre ’93 ore 16 al P.M. di Caltanissetta e di Milano.
INT.: – Pagina?
P.M. dott. PALMA: – Pagina 2: “Come ho già detto nel verbale, eccetera, del 14, erano due le persone presenti, secondo quanto mi ha riferito Scarantino, quando arrivò l’esplosivo, quando lo stesso fu sistemato sulla Fiat 126. Le due persone erano l’una Totuccio Profeta, come ho poi precisato, l’altra questo Matteo o Mattia”.
Teste ANDRIOTTA F.: – Ma questo è quanto avevo detto alla… porcellaia o quando hanno preso l’esplosivo o l’hanno portato via.
( da pag. 114 a pag. 116 del verbale del 16.10.1997 )
Oltre ad affermare di non essere sicuro della presenza del Profeta al caricamento dell’esplosivo nella macchina, ha aggiunto di ricordare, anche se non con sicurezza, la presenza di una persona che non parlava il siciliano, di avere sempre ricordato il nome di Profeta, anche per la insolita frase pronunciata da Scarantino “è arrivata la profezia”, e di non avere parlato di Profeta fin dai primi interrogatori solo per paura . Particolare importanza rivestono nell’economia del presente giudizio, per le considerazioni che saranno in seguito meglio sviluppate, le dichiarazioni rese da Andriotta circa le confidenze ricevute da Scarantino in ordine al completamento del caricamento dell’autobomba e, soprattutto, alla esecuzione di una intercettazione telefonica sull’utenza in uso alla madre del dott. Borsellino. In proposito l’Andriotta ha ricordato che qualche giorno prima della strage Profeta aveva fatto sapere a Scarantino che la macchina era pronta e che il telefono di Borsellino era stato messo sotto controllo: Teste ANDRIOTTA F.: – Ah, sì, Salvatore Profeta gli fece proprio sapere che…, mi sembra addirittura qualche giorno prima della strage, che la macchina era pronta, era già stata imbottita, era perfettamente a posto, e che il telefono del Dottor Paolo Borsellino, della madre del… del Dottor Paolo Borsellino era stato messo già sotto controllo, in perfetta linea.

Questo io mi ricordo oggi, Dottoressa. 8 pag. 128 del verbale del 16.10.1997)

A proposito dell’intercettazione ha precisato di avere saputo da Scarantino che il telefono della madre del giudice era stato intercettato da un uomo che aveva un parente o un fratello uomo d’onore appartenente ai Madonia, che da tempo volevano morto il giudice Borsellino, e di ricordare che l’uomo vicino ai Madonia si chiamava Scotto, ma di non sapere il nome di colui che aveva proceduto all’intercettazione. Circa il trasferimento dell’auto già predisposta per l’esplosione ha affermato che questa, condotta da Scarantino, era stata trasferita in via d’Amelio, ma che lo stesso gli aveva detto un’altra volta che era stata portata in via Roma:
P.M. dott. PALMA: – Sì. Quando la macchina…, cioè la macchina poi fu, sempre per quello che le disse Scarantino, fu trasferita dal garage in qualche altro…?
Teste ANDRIOTTA F.: – Sì sì.
P.M. dott. PALMA: – E dove fu trasferita, cosa le disse?
Teste ANDRIOTTA F.: – In via D’Amelio, Dottoressa. Lui mi disse che la portò lui;
poi un’altra volta, se non mi ricordo bene, disse in via Roma. Non lo so, Dottoressa. Io questo che mi ricordo gli dico. So che lui mi disse che la portò in via Mariano D’Amelio e un’altra volta mi disse in via Roma. Ora…
So che lui mi disse che la doveva portare in via D’Amelio. (pag. 128 del verbale del 16.10.1997).
Tuttavia dopo le contestazioni ha affermato :
Teste ANDRIOTTA F.: – Eh… Dottoressa, io oggi mi ricordo così, che lui mi disse
che aveva portato la macchina in via Mariano D’Amelio. E oggi, io ripeto ancora, questa via m’è venuta in mente adesso e l’ho detta. Non è che la posso nascondere, via Roma. Questo posto qua che gli hanno ordinato loro logicamente, perché Scarantino come scala gerarchica era meno. E un’altra cosa voglio precisare: a me non m’ha mai detto che era uomo d’onore, ecco.( pag. 130 del verbale del 16.10.1997)
Andriotta ha reso dichiarazioni anche in merito alla “riunione” di cui ha diffusamente parlato Scarantino ed ha riferito di avere appreso da Scarantino che questa si era tenuta in una villa in campagna, che presenti erano Aglieri, Riina, Cancemi, La Barbera, tale La Mattia o Mattia o Matteo, Cosimo Vernengo e non ha ricordato se Scarantino gli aveva detto di Biondino come partecipante alla riunione in particolare o alla strage in generale. In sede di controesame ha aggiunto di avere saputo che alla riunione furono espressi voti favorevoli all’eliminazione del dott. Borsellino ma che alcuni, tra cui Cancemi, espressero voto contrario.
Circa la riunione Andriotta ne ha riferito per la prima volta all’A.G. nel settembre 1994, subito dopo avere appreso, tramite televisione, del pentimento di Scarantino, ha spiegato di non averne parlato prima per non esporsi ed ha collegato le dichiarazioni tardive su quest’argomento al pentimento di Scarantino avvenuto poco prima del settembre 1994:
Teste ANDRIOTTA F.: – Niente, dopo che avevo appreso che Scarantino Vincenzo si era pentito, quindi avevo anche la paura che Scarantino poteva dire ai Magistrati che io non avevo detto tutto e quindi dovevo per forza dirlo; non potevo permettermi questo rischio e mancanza di fiducia verso lo Stato, e ho dovuto dirlo, Dottore.
( pag.152 del verbale del 16.10.1997).
Infine su sollecitazione dei difensori ha aggiunto che il giudizio in cui era imputato al momento della collaborazione era in grado di appello e non era definitivo, di essere detenuto e di percepire dallo Stato lire 500.000 mensili.
In data 10.6.1998 Andriotta Francesco è stato nuovamente esaminato ed ha dichiarato di avere fatto istanza al P.M. per essere risentito su specifiche circostanze. Ha quindi dichiarato che il 17 settembre 1997, mentre si trovava in permesso a Piacenza, località segreta dove abitava la sua famiglia, passando per la piazza del mercato di quella città per recarsi all’ospedale ove era ricoverata la figlia, due individui lo avevano fermato chiamandolo per nome: uno era alto e robusto, aveva capelli ondulati e parlava con accento meridionale, l’altro era uno e settanta di altezza, aveva capelli lisci e scuri e portava l’orecchino al lobo sinistro. All’inizio aveva pensato che si trattasse di appartenenti a corpi speciali di Polizia, ma ben presto comprese che ciò non poteva essere vero perchè due gli dissero che avrebbe dovuto confermare la ritrattazione fatta da Scarantino ad Italia Uno nel 1995, quando aveva detto che Andriotta era un bugiardo, e che avrebbe dovuto parlare della omosessualità di Scarantino, precisando comunque che egli non avrebbe dovuto ritrattare subito e che all’inizio avrebbe dovuto traballare:

IMP. ANDRIOTTA F.: – Si’. Niente, e allora loro, praticamente, mi hanno… mi hanno avvicinato cosi’, chiamandomi; io mi sono un attimo spaventato, però pensavo anche che poteva essere la scorta, come si dice in gergo, del Servizio Centrale, la scorta invisibile che, diciamo, pedina i collaboratori di Giustizia durante i loro permessi, durante i loro…. o era casualmente che si trovava in giro in piazza, perche’ io queste persone non le conosco e non le avevo mai viste in vita mia. Gli faccio: “Ma voi siete della D.I.G.O.S. o della Criminalpol?” Siccome io prima ci avevo il Reparto D.I.G.O.S., poi, per ragioni… per motivi del Ministero degli Interni, che io non conosco, mi avevano assegnato al Reparto Criminalpol, al Reparto Anticrimine; allora avevo chiesto di quale dei due Reparti erano. Loro mi hanno risposto che non erano di nessuno dei due Reparti, ma di stare tranquillo che non mi succedeva niente. Io, li’ per li’, mi stavo quasi per farla addosso, perche’ avevo cominciato a tremare dalla paura. Dice: “Non tremare, stai calmo. – Dice – Tu devi fare solo una cosa”. Praticamente, sia quella volta là che la volta seguente, che e’ stata a dicembre, mi hanno detto che io dovevo, praticamente, riconfermare quelle trattazioni, la ritrattazione di SCARANTINO VINCENZO quando la feci a Italia Uno nel 1995, se non vado errato, che mi accusò che io ero bugiardo, che ero calunniatore, che lui aveva
raccontato tutte falsità, cioe’; e che dovevo dire anche che SCARANTINO era omosessuale, che non e’ vero. Cioe’, io dovevo andare a raccontare delle bugie davanti alla Corte di Assise. Tanto e’ vero, io non me la sono sentita la prima volta di poter dirle; in effetti, loro non hanno detto subito di fare questo, ma dovevo traballare già dal primo momento. Poi, dovevo fare la nomina di due avvocati, come io l’ho fatta, naturalmente, e dovevo anche mandare una lettera sia agli avvocati che tramite l’Ansa ai giornali, per dire che io tutto quello che avevo dichiarato prima era falso e che quello che stavo dichiarando ora davanti ai giornali, davanti agli avvocati, e che volevo essere risentito davanti alla Corte di Assise di Caltanissetta, era la pura e santa verità, perche’ dovevo, praticamente, aiutare queste… queste persone mafiose a far cadere per terra il processo della strage di via D’Amelio. Io, dottoressa, ancora oggi io ho vergogna a dire: “Voglio ritrattare”. Ma che stiamo scherzando? Loro hanno ammazzato un magistrato, cinque agenti di Polizia ed io non posso ritrattare; moralmente non me la sento. Ecco perche’ poi mi sono deciso ed ho chiesto, attraverso la Direzione, di parlare urgente… urgentemente con lei. Anzi, io so… e’ stato un periodo che stavo male, dottoressa, sono stato male per davvero, non riuscivo neanche più a mangiare, proprio per questo motivo qua; perche’ non volevo venire qua, davanti alla Corte di Assise e prendervi in giro. Non mi sentivo un uomo, mi… mi sarei sentito un verme. E soprattutto buttare a terra un processo che ci sono riscontri, quando io ho detto la verità. Loro a me mi devono lasciare in pace e devono lasciare in pace i miei bambini. Se mi vogliono ammazzare, ammazzassero me, i miei figli li devono lasciare in pace. Io voglio dire tutta la verità qua, come l’ho ribadita in aula, che ho detto la verità, che… come sono andate le cose della strage di via D’Amelio. Quindi, la ribadisco ancora oggi: che quello che ho detto sia dall’inizio del 1993, settembre, le prime dichiarazioni, sino a quelle del dibattimento, le riconfermo tutte. Io non ritratto nulla.

( pagg. 17- 18 del verbale del 10.6.1998)

I due nel corso della conversazione avevano dimostrato di conoscere gli spostamenti di Andriotta e della sua famiglia nelle varie località protette e gli avevano offerto dei soldi, minacciandolo però di uccidere lui e la sua famiglia nel caso non avesse fatto quello che volevano. In sostanza doveva dire che Scarantino nel 1995 aveva detto la verità, che aveva fatto delle accuse perché continuamente picchiato e su istigazione dei magistrati e del dott. La Barbera, doveva spiegare le confidenze fattegli e la conoscenza di certe cose con il fatto che lui e Scarantino si erano messi d’accordo. In realtà ha precisato di non vedere Scarantino dal 1993 , dal periodo cioè della comune detenzione.
Ha aggiunto di avere visto questi individui in altre occasioni: infatti per la cresima del figlio avvenuta prima del 27 aprile del 1997 c’era stata una riunione familiare in un ristorante, in un tavolo del locale era seduto un individuo, poi identificato per l’uomo con i capelli lisci e l’orecchino, ed il padre ebbe a dirgli che aveva notato che questo lo seguiva, infatti poco dopo Andriotta era andato alla stazione a prendere delle sigarette presso il distributore automatico e qui aveva notato di nuovo questo individuo che si era limitato a squadrarlo.

Altro avvicinamento era avvenuto dopo il natale del 1997, quando Andriotta si trovava in permesso, infatti era andato a cercare delle sigarette ed aveva visto i due individui prima descritti più un terzo a bordo di una Fiat Tipo bianca che gli dissero che gli avrebbero parlato il 14 febbraio in occasione di un ulteriore permesso, dandogli altre direttive. Nel corso del controesame, poi, è emerso che Andriotta avrebbe dovuto rendere dichiarazioni tentennanti nel corso del suo esame del 16 ottobre in Corte di Assise e avrebbe dovuto ritrattare in modo completo in Corte di Appello dove doveva essere sentito il 30-31 ottobre, ma dove poi non venne chiamato perché erano state acquisite le dichiarazioni da lui rese in Corte di Assise. L’Andriotta ha inoltre dichiarato che tra le istruzioni ricevute c’era anche quella di nominare, prima di Pasqua, gli avvocati Scozzola e Petronio come suoi difensori, cosa che effettivamente ha fatto per mezzo del modello 13 dell’ufficio matricola del carcere di Rebibbia. Per tutto questo gli era stata promessa la somma di lire 300 milioni.
Con riferimento alla attendibilità dell’Andriotta appare doveroso rilevare che lo stesso, sentito nel presente giudizio come teste e non come imputato di reato connesso, pur essendo un collaboratore di giustizia ha una posizione per certi versi anomala, in quanto, non essendo imputato di reati connessi, riferisce solo ab externo sulla base di quanto confidatogli da Scarantino Vincenzo e degli episodi caduti sotto la sua diretta percezione durante il periodo di comune detenzione. L’interesse che può in astratto avere animato la decisione dell’Andriotta di collaborare con la giustizia non può essere quello di ottenere sensibili riduzioni di pena, essendo egli già definitivamente condannato per fatti che non hanno alcuna attinenza con quelli per i quali si procede. Semmai il proposito dell’Andriotta potrebbe essere stato rafforzato, oltre che dalle motivazioni esternate e comprensibili di mutare la esistenza propra e della propia famiglia, dalla possibilità che la sua scelta lo porti a godere, peraltro in un futuro non imminente, di benefici previsti dalla vigente legislazione penitenziaria nel corso dell’espiazione della pena. Si tratta, comunque, di una spinta non particolarmente forte, a fronte degli evidenti rischi cui l’Andriotta ha esposto se ed i propri familiari, per cui sotto tale profilo non possono esprimersi riserve aprioristiche circa l’astratta attendibilità del teste.
Ciò posto, va osservato che la mancata acquisizione di tutte le dichiarazioni rese nel corso delle indagini da Andriotta Francesco non consente di ripercorrere la progressione che dette dichiarazioni hanno subito e soprattutto non consente di operare un diretto raffronto con lo sviluppo delle dichiarazioni rese da Scarantino Vincenzo, operazione questa che sarebbe stata sicuramente opportuna al fine di valutare la credibilità di entrambi, atteso che l’Andriotta in larga misura riferisce notizie apprese dallo Scarantino, all’epoca imputato per la strage di via D’Amelio, nel corso del comune periodo di detenzione presso il carcere di Busto Arsizio. Dal contesto delle dichiarazioni dibattimentali dell’Andriotta e, soprattutto, dall’analisi delle dichiarazioni utilizzate per le contestazioni appare tuttavia evidente che le dichiarazioni di Andriotta prima del “pentimento” di Scarantino Vincenzo sono state limitate alle confidenze di Scarantino riguardanti singoli momenti esecutivi della strage, quali il furto della Fiat 126 utilizzata come autobomba, la custodia dell’autovettura prima della sua utilizzazione, il ruolo di Profeta Salvatore, cognato di Scarantino Vincenzo, il caricamento dell’esplosivo presso la carrozzaria Orofino, il trasporto dell’’utovettura sul luogo della strage e l’’secuzione di una intercettazione telefonica sul telefono della madre del dott. Borsellino ad opera di un parente di un uomo d’onore a nome Scotto, legato alla famiglia mafiosa dei Madonia di Palermo. Infatti risulta chiaro dalle dichiarazioni rese in dibattimento dall’Andriotta che lo stesso ha parlato della famosa riunione preparatoria della strage solamente dopo che i mezzi di informazione avevano diffuso la notizia del “pentimento” di Scarantino Vincenzo.

Orbene, per quanto attiene alla prima fase delle dichiarazioni di Andriotta è agevole osservare che hanno trovato ampio riscontro nelle prove acquisite nel presente dibattimento tutte le indicazioni fornite da Andriotta circa la concreta possibilità che lo stesso aveva di dialogare con Scarantino Vincenzo durante il periodo di comune detenzione (v. in particolare le numerose dichiarazioni testimoniali al riguardo acquisite nel processo n.9/94 R.G.C.A.). Assolutamente incontestabile appare, poi, lo scambio di favori e cortesie tra lo Scarantino e l’Andriotta e, in particolare, il fatto che lo Scarantino si sia avvalso della collaborazione dell’Andriotta per le comunicazioni con l’esterno del carcere riguardanti affari illeciti o che comunque dovevano rimanere riservati e che non potevano passare per gli ufficiali canali di comunicazione di cui poteva disporre lo Scarantino, all’epoca sottoposto a controlli particolarmente rigidi. Ciò risulta in modo assolutamente inequivoco dal rinvenimento dei bigliettini e dalla dovizia di dettagli circa luoghi e cose di Palermo che l’Andriotta non avrebbe certo potuto riferire se non avendoli appresi da Scarantino Vincenzo.

Alla luce di tali fatti appare ampiamente riscontrato il fatto che Scarantino Vincenzo abbia progressivamente intensificato i suoi rapporti con il compagno di detenzione, di cui si fidava al punto da affidargli delicati messaggi da comunicare all’esterno, ed appare credibile che possa anche avergli fatto qualche confessione, verosimilmente limitata, frammentaria e forse confusa, come è nella capacità di comunicazione di Scarantino Vincenzo, in un periodo in cui le indagini sull’esecuzione della strage di via D’Amelio e le relative notizie diffuse dai mezzi di informazione erano in costante e rapida evoluzione e potevano, quindi, suscitare in un soggetto fragile emotivamente e di limitate capacità culturali, come Scarantino Vincenzo, reazioni particolarmente intense, facilmente percepibili da un compagno di detenzione peraltro entrato nella sua fiducia. Il fatto che le indicazioni fornite in questa prima fase di collaborazione da Andriotta siano a volte contraddittorie, slegate, incerte ed imprecise non può suscitare alcuna perplessità circa l’attendibilità intrinseca della fonte, perché sarebbe sicuramente allarmante il contrario, se si considera che tali dichiarazioni sono il frutto di confidenze ricevute dall’Andriotta nel corso di conversazioni necessariamente frammentate, tra due soggetti che non hanno mai occupato la stessa cella, ma hanno potuto parlare solo da celle vicine e sempre stando attenti ai controlli del personale penitenziario, ma soprattutto sono frutto di confidenze provenienti da un soggetto le cui capacità intellettive ed espressive, come si è avuto modo di constatare direttamente nel corso del presente dibattimento, sono alquanto limitate e contrassegnate da un periodare non sempre scorrevole e comprensibile, e che, per di più, si è aperto progressivamente con un compagno di detenzione cui si è dovuto affidare per mantenere i contatti con l’esterno, con crescente sicurezza, in un periodo particolarmente difficile della sua esistenza. Appare, quindi, perfettamente spiegabile che le indicazioni fornite dall’Andriotta sugli argomenti di cui ha parlato prima che intervenisse il “pentimento” di Scarantino abbiano i caratteri di imprecisione e frammentarietà sopra evidenziati, anzi proprio tali caratteri sono indice sicuro di una assenza di accordo tra le fonti, accordo che peraltro non avrebbe avuto alcun senso nella prima fase in cui solo l’Andriotta collaborava con la giustizia. Del pari irrilevante ai fini della credibilità in astratto dell’Andriotta è il fatto che, come si è detto, egli abbia parlato prima della collaborazione di Scarantino solamente di frammenti dell’esecuzione materiale della strage e non anche della precedente fase deliberativa ed organizzativa, poiché appare pienamente logico che Scarantino Vincenzo, dopo avergli parlato dei piccoli traffici illeciti di cui era protagonista, possa avere fatto qualche confidenza frammentaria su un fatto di rilievo enorme come la strage di via D’Amelio proprio in concomitanza con passi importanti delle indagini all’epoca in corso, magari quando la sua emotività veniva scossa da un arresto significativo come quello del fratello Rosario o del “garagista” Orofino, ovvero ancora del soggetto sospettato di avere eseguito l’intercettazione sull’utenza telefonica presso l’abitazione della madre del dott. Borsellino.

Certamente appare significativo che l’intensità maggiore o minore della reazione emotiva provata da Scarantino difronte a tali episodi, secondo quanto riferito da Andriotta, risponda ad una logica rigorosa che difficilmente poteva essere intuita dall’Andriotta se lo stesso non ne avesse avuto una percezione diretta, infatti alla luce delle complessive emergenze processuali è evidente che Scarantino Vincenzo dovesse avere un timore maggiore per l’arresto del fratello Rosario, che poteva segnare il diretto coinvolgimento nelle indagini della sua famiglia di sangue, ovvero per l’arresto del “garagista”, che aveva assistito ad una fase estremamente compromettente come quella del caricamento cui aveva partecipato sia Scarantino che diversi altri soggetti della sua famiglia mafiosa, poiché non essendo egli “uomo d’onore poteva crollare e coinvolgere tutti, piuttosto che per l’arresto del “telefonista”, in quanto, essendo quest’ultimo legato in modo indiretto ad una famiglia mafiosa lontana, anche topograficamente, da quella della Guadagna ed essendosi occupato di una attività in cui non vi era stato il diretto coinvolgimento di persone vicine a lui, difficilmente avrebbe potuto aggravare ulteriormente la sua posizione.

Certamente il distacco temporale tra le prime dichiarazioni di Andriotta e l’inizio della collaborazione con la giustizia di Scarantino e la divergenza di molti dettagli dagli stessi riferiti induce ad escludere un iniziale accordo tra i due ed il fatto che l’Andriotta abbia riferito particolari non ancora emersi dalle indagini (quali l’esclusione della qualità di uomo d’onore di Orofino, il ruolo di primissimo piano svolto nell’organizzazione esecutiva della strage da Profeta Salvatore, l’utilizzo per il ricovero almeno temporaneo della Fiat 126 utilizzata come autobomba del magazzino-porcilaia di Tomaselli, la conferma precisa dell’attività di intercettazione telefonica abusiva sull’utenza della madre del dott. Borsellino e la riconducibilità di tale ultima attività alla famiglia mafiosa dei Madonia) conferma l’attendibilità intrinseca delle dichiarazioni dallo stesso rese prima dell’avvio della collaborazione di Scarantino Vincenzo, anche se, per le considerazioni svolte sulla personalità dell’Andriotta e sulla sua posizione giuridica, non pùò escludersi che le confidenze certamente avute dallo Scarantino possano essere state arricchite attraverso notizie ed informazioni giornalistiche apprese dall’Andriotta attraverso i comuni mezzi di informazione. Ciò tuttavia non appare di importanza decisiva, poiché le dichiarazioni di Andriotta non possono certo considerarsi come prove autonome rispetto alle corrispondenti dichiarazioni di Scarantino Vincenzo, per la semplice ragione che lo stesso non ha fatto altro che riferire confidenze ricevute dal compagno di detenzione. Tali dichiarazioni, in realtà, hanno solamente il valore di confermare, proprio per il fatto di essere state raccolte ampiamente prima dell’avvio della collaborazione di scarantino Vincenzo, soltanto l’intrinseca attendibilità delle dichiarazioni rese da quest’ultimo nella prima fase della sua collaborazione con la giustizia e di rendere per contro assolutamente inattendibile la successiva totale ritrattazione di Scarantino. Invero, il semplice fatto che Andriotta abbia riferito di avere appreso da Scarantino vari dettagli su diverse fasi esecutive della strage ha un solo grande valore nell’ambito della valutazione della attendibilità delle fonti di prova: quello di dimostrare che Scarantino Vincenzo nel rendere le prime dichiarazioni, quando ha riferito in termini grossomodo corrispondenti alle precedenti indicazioni di Andriotta (cambiano solo alcuni dettagli più o meno rilevanti) del furto della Fiat 126 usata per la strage tramite Candura Salvatore, del ruolo di Profeta Salvatore, del caricamento dell’autobomba e dell’intercettazione telefonica non può essersi inventato tutto, come ha cercato di far credere in sede di ritrattazione, ma ha riferito cose che aveva in parte già confidato, anche se in modo disorganico e frammentario, ad un compagno di detenzione, quando ancora certamente non aveva in alcun modo maturato il proposito di collaborare con la giustizia. Ebbene, in tale limitato ambito le dichiarazioni di Andriotta hanno una sicura valenza di conferma dell’attendibilità intrinseca delle originarie dichiarazioni di Scarantino Vincenzo e ciò a prescindere da qualsiasi eventuale arricchimento o coloritura che l’Andriotta possa avere operato. Evidentemente non è poco e proprio per questo appare logicamente credibile l’intervento anche di carattere intimidatorio che l’Andriotta asserisce di avere subito, specialmente ove si collochi tale intervento in un più ampia strategia di inquinamento probatorio diretta ad ottenere la ritrattazione anche delle dichiarazioni rese da Scarantino Vincenzo.

A conclusioni ben diverse deve, invece giungersi nella valutazione delle integrazioni operate da Andriotta Francesco dopo avere appreso la notizia della collaborazione di Scarantino Vincenzo. Infatti le motivazioni addotte dall’Andriotta per giustificare il ritardo nel parlare delle altre cose rivelate da Scarantino e, soprattutto, della famosa riunione preparatoria, fondate essenzialmente sulla paura per sè e per la propria famiglia, appaiono estremamente fragili, poiché l’Andriotta non si è limitato ad omettere qualche nome “importante”, ma ha taciuto l’intero episodio, cosa questa che non avrebbe certo alleggerito la sua posizione. Va, poi, considerato che mentre le altre confidenze di Scarantino rivelate da Andriotta nella prima fase di collaborazione trovavano una causa diretta in specifici eventi o passi delle indagini che all’epoca erano in corso (così l’arresto di Orofino, di Rosario Scarantino, di Scotto Pietro, la ricostruzione delle modalità del fatto attraverso l’esito della consulenza esplosivistica espletata dagli inquirenti, e così via), l’ulteriore confidenza che Scarantino avrebbe dovuto fargli circa la famosa riunione sarebbe stata assolutamente gratuita ed indice di una fiducia assoluta in lui, poiché deve escludersi che durante il periodo di comune detenzione trascorso da Andriotta e da Scarantino possa essere emersa qualsivoglia notizia o possa essere accaduto un qualsiasi evento direttamente ricollegabile a tale riunione preparatoria, che, va ribadito, entra per la prima volta nelle indagini solo con le prime dichiarazioni di Scarantino. Ulteriore elemento di perplessità è costituito dal fatto che Andriotta allorchè inizia a parlare dopo Scarantino di questa riunione non incorre più in tutte quelle incertezze, contraddizioni e lacune che avevano caratterizzato le sue prime dichiarazioni e si allinea quasi perfettamente alle dichiarazioni di Scarantino. Ad un certo punto, leggendo le dichiarazioni rese da Scarantino nel corso delle indagini, come meglio di dirà più avanti, si ha quasi l’impressione che Scarantino ed Andriotta conducano un gioco perverso, non necessariamente concordato prima, in cui le due fonti si confermano reciprocamente e progressivamente: Andriotta confermando di avere ricevuto le confidenze relative alle ulteriori dichiarazioni rese dall’ex compagno di detenzione, spesso riportate dai mezzi di infomazioni o culminate in arresti ed operazioni di polizia; Scarantino confermando di avere fatto tali confidenze all’Andriotta (ciò avviene sicuramente per esempio in un particolare momento sospetto della collaborazione di Scarantino in cui lo stesso indica Di Matteo Mario Santo tra i partecipanti alla riunione, Andriotta conferma di avere percepito un cognome simile che ricorda come “Matteo, Mattia o La Mattia “ e Scarantino a chiusura del cerchio conferma di averne parlato ad Andriotta in pericoloso incastro di reciproche conferme). Per tali considerazioni questa Corte ritiene che l’attendibilità delle dichiarazioni rese da Andriotta successivamente al “pentimento” di Scarantino e, in particolare, delle dichiarazioni riguardanti la famosa riunione preparatoria sia perlomeno dubbia, non potendosi escludere che l’Andriotta abbia in realtà riportato notizie apprese dai mezzi di informazione e che abbia avviato con Scarantino, anche al di fuori di un espresso e preventivo accordo, un facile sistema di riscontro reciproco incrociato (certamente impossibile prima che Scarantino iniziasse a collaborare) che evidentemente poteva far comodo ad entrambi.

 

 

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