28 agosto 1994 E’ finita la fuga del killer di Borsellino

 

E’ accusato di 119 omicidi e di essere uno dei responsabili della strage di via D’Amelio, in cui morirono il giudice Borsellino e i cinque agenti della sua scorta.
Secondo i pentiti, sarebbe stato proprio Lorenzo Tinnirello, 34 anni, detto «Madonna», a premere il pulsante del radiocomando che azionò la bomba. E’ stato arrestato ieri, poco dopo le 11, a Trabia, uno dei paesini costieri vicini a Palermo. Il suo nome spiccava tra i trenta latitanti più pericolosi di Cosa nostra. Stava uscendo da una pescheria assieme a un amico, Giovanni D’Agati, 54 anni, finito in manette pure lui per favoreggiamento. I due avevano appena comprato del pesce fresco, forse per organizzare una cena fra amici. Inutilmente hanno cercato di esibire documenti falsi, poi si sono lasciati ammanettare senza opporre resistenza. Tutti e due erano disarmati. Lorenzo Tinnirello è ritenuto uno dei killer delle cosche palermitane alleate di Riina e indicato come responsabile di 119 omicidi, era stato colpito anche da uno dei sedici ordini di custodia cautelare emessi il 18 luglio scorso dal gip di Caltanissetta, Gilda Lo Porti, nei confronti di organizzatori ed esecutori materiali del massacro di via D’Amelio, in cui furono uccisi il giudice Borsellino e i cinque agenti di polizia della scorta. Alla svolta nelle indagini, la procura nissena era giunta anche grazie alle confessioni di Vincenzo Scarantino, 29 anni, il primo degli uomini della strage ad essere arrestato, il 29 settembre del ’92, con l’accusa di avere procurato la Fiat «126» poi imbottita di tritolo e usata come autobomba contro il magistrato. Scarantino ha ammesso la sua partecipazione all’attentato e ha indicato nomi e ruoli dei complici.
Secondo le rivelazioni di Scarantino, Lorenzo Tinnirello, uno degli uomini più vicini al boss di Santa Maria di Gesù, Pietro Aglieri, ebbe una parte decisiva nella preparazione della strage, intervenendo sia nell’installazione sia nell’innesco del tritolo sulla «126», nonché nei momenti esecutivi: sarebbe stato lui, assieme a Pietro Aglieri e a Francesco Tagliavia, a prelevare il 19 luglio del ’92 l’auto piena di esplosivo e a condurla fino in via D’Amelio e ad attendere lì l’arrivo di Borsellino fino al momento in cui, da un radiocomando, partì l’impulso che provocò la terribile deflagrazione dell’autobomba.
Tinnirello era ricercato dal 1989, e successivamente nei suoi confronti erano stati emessi nove provvedimenti di cattura nel ’93 per alcuni omicidi e quest’anno per associazione mafiosa. Nell’organigramma delle cosche Tinnirello s’inserisce in quella che controlla il quartiere Brancaccio, capeggiata dai fratelli Gravitino, recentemente incriminati come mandanti dell’omicidio del parroco di quel quartiere, don Giuseppe Faglisi. I carabinieri erano da qualche tempo sulle tracce del latitante, grazie a una complessa indagine a cui ha contribuito anche il Sismi. «L’arresto di Tinnirello – ha detto il procuratore aggiunto di Palermo Vittorio Aliquò – è particolarmente significativo, in considerazione del fatto che è stato assicurato alla giustizia un componente della squadra di sicari più pericolosa di Cosa nostra».
La cattura di Tinnirello, latitante dal 1989, è un’operazione hanno spiegato i carabinieri – che parte da lontano: nei primi giorni del gennaio scorso la presenza del ricercato era stata notata in un’area abbastanza ampia del triangolo Casteldaccia-BagheriaPalermo. Una lunga serie di intercettazioni telefoniche e il conseguente e progressivo restringimento delle probabili zone di residenza hanno infine condotto gli investigatori, in collaborazione con il Sismi, ha bloccare l’attenzione su Trabia. Angelo Meli Era nel commando che uccise don Puglisi E’uno dei 30 latitanti più pericolosi.