Per ciò che va emergendo dai processi sulle stragi di mafia del ’92 sarebbe opportuno parlare di palude giudiziaria. Il prologo era già disarmante. Il pentito Vincenzo Scarantino si è inventato tutto. Sono stati condannati, e dunque scarcerati dopo anni di detenzione, degli innocenti accusati dell’eccidio di via D’Amelio. La verità sulla morte di Paolo Borsellino e dei poliziotti di scorta si è allontanata. Quindi si è scoperto che Scarantino aveva dei contatti telefonici diretti con poliziotti e magistrati. C’è in corso un processo a Caltanissetta. L’ipotesi è che sia stato messo in atto un depistaggio. Qualcuno avrebbe suggerito all’improbabile pentito (si è creduto al fatto che Scarantino, uno scagnozzo di borgata, avesse partecipato alla stagione delle bombe assieme ai vecchi padrini) di inventarsi false accuse per nascondere la verità. Infine, ed è storia recente, sono spuntati i brogliacci delle telefonate di Scarantino mentre era sotto protezione a San Bartolomeo a Mare, in provincia di Imperia, scortato dai poliziotti del “Gruppo Falcone Borsellino”. Tra di loro c’erano i tre imputati per il depistaggio: Mario Bò, ex funzionario della squadra mobile di Palermo, e due sottufficiali, Fabrizio Mattei e Michele Ribaudo. C’è, però, un’altra inchiesta, a Messina, per calunnia aggravata che vede indagati due ex magistrati in servizio a Caltanissetta, Annamaria Palma e Carmelo Petralia. Furono tra i pm che interrogarono e gestirono il pentito, credendolo attendibile. I brogliacci delle conversazioni di Scarantino sono stati depositati al processo sul depistaggio. Ed è saltato fuori un vorticoso giro di chiamate. Ad esempio il 22 maggio 1995, alla vigilia della sua prima deposizione al processo per la strage Borsellino, il collaboratore di giustizia contattò la moglie: “A mezzo questura Rosalia parla con il marito il quale la rassicura che va tutto bene – annotavano i poliziotti – e comunque le dice di preparare le valigie che lui ha intenzione di tornare in carcere”. Scarantino voleva fare marcia indietro? Due giorni dopo, davanti ai giudici della corte d’assise di Caltanissetta, raccontò le bugie che sarebbero crollate due decenni dopo. Fu convinto da qualcuno a proseguire nel canovaccio delle false accuse? Nei brogliacci c’è traccia dei tentativi di Scarantino di parlare con Mario Bò. Ad esempio il 2 maggio 1995: “Enzo chiede spiegazioni della domanda che ha scritto in merito alla sua prossima presenza in aula”. Il poliziotto non c’era e Scarantino ci riprovò all’indomani: “Chiede nuovamente spiegazioni sulla domanda che ha firmato inerente alla sua adesione per presentarsi al processo”. “Domanda” al singolare e non “domande” al plurale come si è detto in questi giorni, ipotizzando che si trattasse dei suggerimenti ricevuti dal collaboratore. Non è detto, però, che i suggerimenti non siano arrivati in altre occasioni. Oppure Scarantino parlava, come avvenne l’8 maggio, con un magistrato: “Enzo conversa con la dottoressa Palma in merito al suo trasferimento per mercoledì a Genova, per essere sentito dalla dottoressa Sabatini, chiede se può evitare questo interrogatorio prima di essere sentito al processo. Si risentiranno”. Il processo in corso a Caltanissetta servirà, si spera, a chiarire se davvero ci sia stato un depistaggio. Sin d’ora, però, emergono degli interrogativi. A cominciare dal ritrovamento dei brogliacci e dei nastri con gli audio delle conversazioni. Non c’era traccia del materiale investigativo nei processi fin qui celebrati a Caltanissetta, e cioè nel luogo dove era lecito ritrovarlo. Era finito altrove senza alcuna, apparente e convincente spiegazione. Addirittura i brogliacci erano confluiti in vecchi fascicoli a carico di ignoti. I pm nisseni di sono messi di buona lena per spulciare gli archivi e hanno scovato audio e trascrizioni. Chissà cos’altro troveranno nella palude. Il fatto che Scarantino avesse un telefono a San Bartolomeo a Mare è una circostanza che magistrati e poliziotti hanno detto di non ricordare. Addirittura alcuni lo hanno pure negato in aula al processo Borsellino quater. Strano, visto che sono le stesse persone che hanno ricevuto le chiamate. Non c’è dubbio che sapessero del telefono a disposizione di Scarantino visto che tutti i magistrati che hanno avuto a che fare con il pentito, non solo Petralia e Palma, chiesero prima che l’utenza venisse messa sotto controllo e poi, in più occasioni, che le intercettazioni proseguissero. Eppure o non ricordano o negano. Sono alcuni fra gli stessi pubblici ministeri che hanno creduto a Scarantino, malgrado fossero stati messi in guardia dalle sue patacche. Non erano stati solo gli avvocati degli imputati, liquidati con troppa fretta perché “di parte”, a suggerirgli di diffidare del picciotto della Guadagna. La sentenza del processo Borsellino ter, emessa dalla Corte d’assise di Caltanissetta allora presieduta da Carmelo Zuccaro, oggi procuratore di Catania, era stata lapidaria nel giudizio. Nelle motivazioni, scritte prima della sentenza d’appello del processo bis, si parlava di “dubbia attendibilità”, “parto della fantasia”, “dichiarazioni non genuine perché gravemente sospette di essere state attinte addirittura dalla stampa”. Non erano né in parenti di Scarantino, né i difensori degli imputati a scrivere che “delle dichiarazioni rese da Scarantino non si debba tenere conto per la ricostruzione dei fatti e la valutazione delle responsabilità in ordine alla strage di via D’Amelio”. Eppure le valutazioni dei giudice della Corte d’assise non scalfirono le convinzioni dei pubblici ministeri del Borsellino bis, talmente convinti della bontà delle prove da proporre appello, seguiti poi dai procuratori generali, contro le assoluzioni di primo grado del processo bis. Insomma, una distrazione di massa. E così Gaetano Murana, ad esempio, da assolto si ritrovò ergastolano. Un ventennio dopo, nel 2011, quella sentenza sarebbe divenuta carta straccia. Quando è venuta fuori la notizia dell’esistenza dei brogliacci in alcuni dei protagonisti di quella stagione sono riaffiorati i ricordi. Giampiero Valenti, un poliziotto che si occupava delle intercettazioni, ha raccontato che gli venne “ordinato” di “staccare la registrazione di Scarantino perché il collaboratore doveva parlare con i magistrati”. Una rivelazione choc. Sospendere un’intercettazione senza l’autorizzazione di un giudice è reato. È dalla Procura di Messina che potrebbero arrivare le risposte ai tanti interrogativi. I numeri progressivi dei brogliacci, infatti, dimostrano che ci sono ore di conversazioni di cui non si conosce il contenuto, ma delle quali ci sono le registrazioni. Qualcuno a Messina le sta ascoltando. LIVE SICILIA