6 aprile 2023 Omicidio Borsellino, il depistaggio di Stato organizzato prima della morte del magistrato: la terribile verità

 

Chi ha ucciso Paolo Borsellino? La mafia o, come scrivono i giudici della Corte d’assise di Caltanissetta, “soggetti diversi da Cosa nostra”? La sentenza depositata il 5 aprile scorso nel processo a carico dei poliziottiMario Bo, Fabrizio Mattei e Michele Ribaudo sul “depistaggio Borsellino”, pur dichiarando la prescrizione per due degli imputati e assolvendo il terzo, consegna una terribile verità che nessun italiano vorrebbe sentire: si è trattato di un depistaggio di Stato iniziato lo stesso giorno della strage, vale a dire il 19 luglio 1992, e quindi organizzato ancor prima della strage medesima. Ciò significa che coloro che hanno deliberato e poi attuato il depistaggio sapevano che il pomeriggio del 19 luglio 1992 ci sarebbe stata la strage di via D’Amelio a Palermo, avendola evidentemente organizzata e poi attuata contestualmente al depistaggio medesimo.

Nelle circa 1500 pagine della sentenza, i giudici scrivono infatti che è “un elemento insuperabile che certifica al di là di ogni dubbio ragionevole come la Polizia di Stato che conduceva le indagini – ove non eterodiretta abbia agito su impulso di una fonte confidenziale che non si è mai individuata e/o rivelata, nemmeno all’esito dell’odierno procedimento”. Una delle prove che il depistaggio venne organizzato già prima della morte di Borsellino e degli agenti della scorta, è legata proprio alla Fiat 126 imbottita di tritolo ed utilizzata per la strage. Se il blocco motore dell’auto venne rinvenuto solo il 20 luglio dopo le ore 13, come ha fatto la Polizia di Stato a comunicare all’Ansa il pomeriggio del 19 luglio 1992 che l’autobomba esplosa in via D’Amelio poteva identificarsi proprio in una utilitaria Fiat? Come ha fatto il tecnico della scientifica Martino Farneti, già all’esito del sopralluogo effettuato nell’immediatezza del fatto a “sostenere che l’ordigno era piazzato all’interno del cofano anteriore di una autovettura individuata per una Fiat 126 di colore rosso”?

Come ha potuto, sempre la Polizia di Stato, insospettirsi se alle ore 8 e 30 circa del 20 luglio 1992 il meccanico Giuseppe Orofino aveva denunciato la scomparsa delle targhe di una Fiat 126, furto che, si badi, “poteva essere avvenuto il giorno prima o anche il sabato precedente (come effettivamente avvenuto in base al racconto di Spatuzza)”? “E si badi – prosegue la sentenza – come ulteriore elemento che assevera la tesi qui sostenuta è dato dalla scarsamente attendibile deposizione del teste Domanico (Massimiliano, agente della Polizia di Stato, ndr) che non ha indicato, né nel corso della sua deposizione 1994 (nel giudizio di primo grado del Borsellino 1) né nel corso dell’odierno procedimento, il soggetto o i soggetti da cui aveva appreso che l’autobomba potesse essere una 126”.

Pertanto, nessuna pregressa indagine e nessuna logica, se non quella di una precedente programmazione del depistaggio che poi si è attuato, poteva sorreggere – la mattina del 20 luglio 1992 – il sospetto di una simulazione di un furto di targhe dietro la denuncia di Orofino e men che meno l’iniziativa di un sopralluogo da parte della polizia scientifica presso il suo garage, dal momento che le stesse furono rinvenute in via D’Amelio il successivo 22 luglio 1992. Va ricordato che Orofino, accusato di aver custodito la Fiat 126 utilizzata come autobomba, venne arrestato ed ingiustamente condannato. seppur non per la strage ma per aver fornito le targhe false. Dopo la sua morte, gli eredi hanno poi ottenuto dalla Corte di Appello di Palermo il risarcimento di 1,5 milioni di euro per i 17 anni di ingiusta detenzione per essere stato falsamente accusato da Vincenzo Scarantino. E’ quindi dimostrato, senza dubbio alcuno, che il depistaggio per l’omicidio Borsellino è iniziato quando Borsellino era ancora vivo.

Non mancano, poi, nella sentenza riferimenti alle condotte dei magistrati, sia a quelli che hanno condotto l’inchiesta sia a quelli che lavoravano alla Procura di Palermo con Borsellino. La tesi sostenuta dagli ex pm Carmelo Petralia e Annamaria Palma, poi assolti dall’accusa di concorso in calunnia aggravata, cioè che gli “inquirenti si siano mossi per andare a sentire Scarantino in virtù della (avvenuta) ritrattazione televisiva è smentita dai fatti” poiché gli avvisi dell’interrogatorio sono stati notificati il giorno prima che Scarantino manifestasse l’intenzione di ritrattare. Le vere ragioni di quegli interrogatori, che hanno poi prodotto la ritrattazione della ritrattazione e quindi la conferma delle false accuse, i magistrati non li hanno esplicitati.

Quanto al clima che si respirava alla Procura di Palermo dopo l’omicidio di Giovanni Falcone e pochi giorni prima dell’omicidio di Borsellino, la sentenza riporta le dichiarazioni dell’ex pm Antonio Ingroia il quale ha riferito che, a margine dell’incontro in Procura del 14 luglio 1992 e a proposito dell’indagine Mafia e Appalti, Borsellino ebbe a rivolgere una “battuta” ai colleghi Guido Lo Forte e Giuseppe Pignatone dicendo: “Voi non mi raccontate tutta la vera storia sul rapporto dei Ros”.“Sì, sì, io l’ho percepita quasi per caso. Perché io ero affianco a Borsellino e lui incrocia questo collega, non mi ricordo chi dei due, e gli fa questa battuta. È stata una cosa al volo nel corridoio”, le esatte parole pronunciate da Ingroia.