23 aprile 2021 – Depistaggio Borsellino: giallo intercettazioni Scarantino, poliziotta ‘c’erano strane anomalie
‘.(Adnkronos)– “Nei brogliacci contenenti le intercettazioni” dell’ex pentito Vincenzo Scarantino, dopo la strage di Via D’Amelio, “c’erano delle anomalie. Non so se si trattava di problemi di linea, ma c’era qualcosa che non andava. Forse anomalie di funzionamento…”. A rivelarlo, deponendo al processo sul depistaggio sulle indagini sulla strage di via D’Amelio è la Sovrintendente della Polizia di Stato Carmela Sammataro, che dal 14 al 24 gennaio 1995 fu trasferita a Imperia per “assistere Scarantino” che aveva iniziato a collaborare da poco con la giustizia “e la sua famiglia”. La poliziotta risponde alle domande dell’avvocato Giuseppe Panepinto, legale di Mario Bo, il funzionario di Polizia imputato con altri due colleghi poliziotti, Michele Ribaudo e Fabrizio Mattei, per concorso in calunnia aggravata a Cosa nostra. Presente in aula anche il Procuratore aggiunto Gabriele Paci. Nell’udienza del 18 ottobre 2019 un altro poliziotto, l’ispettore Giampiero Valenti, deponendo in aula aveva parlato di intercettazioni “che venivano interrotte”. “Mi ordinarono di interrompere la registrazione di Scarantino perché il collaboratore doveva parlare con i magistrati”, disse Valenti in aula. All’inizio del 1995, l’ex picciotto della Guadagna di Palermo era sotto intercettazione. Quelle telefonate intercettate sono state scoperte solo due anni fa in un archivio del palazzo di giustizia di Caltanissetta. “Fu il collega Di Ganci, mio superiore, a dirmi che dovevamo staccare l’apparecchio. Quando poi smise di parlare coi magistrati, mi disse di riavviare”, rivelò a sorpresa, in aula, Valenti. La Procura di Messina aveva iscritto nel registro degli indagati i due magistrati che indagarono sulla strage di Via D’Amelio, Carmelo Petralia e Annamaria Palma, accusati di calunnia aggravata in concorso. Ma di recente le loro posizioni sono state archiviate. Nel frattempo la procura di Messina ha fatto trascrivere dal Ros le bobine delle conversazioni di quello scorcio di 1995 e sono emersi altri dialoghi ritenuti interessanti per provare a fare luce sui troppi buchi neri di questa storia. Scarantino parlava anche con Annamaria Palma. “E’ importante che lei faccia questo interrogatorio”, gli diceva la pm.
(dall’inviata Elvira Terranova) – A quasi 30 anni di distanza restano un giallo le intercettazioni di Vincenzo Scarantino, il falso pentito che con le sue dichiarazioni fece condannare per la strage di via D’Amelio degli innocenti. A parlare nel processo sul depistaggio sulle indagini di via D’Amelio di Caltanissetta delle “telefonate mute” o di quelle…
(dall’inviata Elvira Terranova) – A quasi 30 anni di distanza restano un giallo le intercettazioni di Vincenzo Scarantino, il falso pentito che con le sue dichiarazioni fece condannare per la strage di via D’Amelio degli innocenti. A parlare nel processo sul depistaggio sulle indagini di via D’Amelio di Caltanissetta delle “telefonate mute” o di quelle “non registrate” e delle “forti anomalie” di quelle registrazioni è una poliziotta che faceva parte del gruppo investigativo ‘Falcone e Borsellino’. “Nei brogliacci contenenti le intercettazioni” dell’ex pentito Vincenzo Scarantino, dopo la strage di Via D’Amelio, “c’erano delle anomalie”. “Non so se si trattava di problemi di linea, ma c’era qualcosa che non andava. Forse anomalie di funzionamento…”, rivela la sovrintendente della Polizia di Stato Carmela Sammataro, che dal 14 al 24 gennaio 1995 fu trasferita a San Bartolomeo al Mare (Imperia) per “assistere Scarantino e la sua famiglia”. La poliziotta risponde alle domande dell’avvocato Giuseppe Panepinto, legale di Mario Bo, il funzionario di Polizia imputato con altri due colleghi poliziotti, Michele Ribaudo e Fabrizio Mattei, per concorso in calunnia aggravata a Cosa nostra. Secondo l’accusa, i tre poliziotti sotto processo avrebbero indotto, con le minacce e le pressioni, l’ex pentito Vincenzo Scarantino a rendere false dichiarazioni.
In un’altra udienza, il 18 ottobre 2019, un altro poliziotto, l’ispettore Giampiero Valenti, parlò invece di intercettazioni “che venivano interrotte”. E fece anche nomi e cognomi. “Mi ordinarono di interrompere la registrazione di Scarantino perché il collaboratore doveva parlare con i magistrati”, disse Valenti in aula. All’inizio del 1995, l’ex picciotto della Guadagna di Palermo era sotto intercettazione. Quelle telefonate intercettate sono state scoperte solo due anni fa in un archivio del palazzo di giustizia di Caltanissetta. “Fu il collega Di Ganci, mio superiore, a dirmi che dovevamo staccare l’apparecchio. Quando poi smise di parlare coi magistrati, mi disse di riavviare”, rivelò a sorpresa, in aula, Valenti. La Procura di Messina aveva iscritto nel registro degli indagati i due magistrati che indagarono sulla strage di Via D’Amelio, Carmelo Petralia e Annamaria Palma, accusati di calunnia aggravata in concorso. Ma di recente le loro posizioni sono state archiviate.
Nel frattempo la procura di Messina ha fatto trascrivere dal Ros le bobine delle conversazioni di quello scorcio di 1995 e sono emersi altri dialoghi ritenuti interessanti per provare a fare luce sui troppi buchi neri di questa storia. Scarantino parlava anche con Annamaria Palma.
“E’ importante che lei faccia questo interrogatorio”, gli diceva la pm. Secondo la Procura le telefonate venivano interrotte proprio mentre Scarantino parlava con i magistrati.
Oggi la versione della poliziotta: “C’erano a volte delle anomalie, dei problemi di linea – dice – C’era qualcosa che non andava. Succedeva di continuo. A volte uscivano numeri anomali altre volte l’apparato non stampava. E quindi chiamavamo spesso i tecnici della Sip che venivano a risolvere quelli che noi chiamavamo guasti tecnici. Con gli strumenti di oggi non succede, ma allora era quasi una costante. Magari i problemi erano di linea e non proprio dell’apparato”. L’avvocato Panepinto le fa vedere anche dei brogliacci con la sua firma. “A volte non è indicata né una telefonata in partenza né in entrata. Io scrivevo ‘mancanza linea’, mancava proprio il collegamento telefonico. Quando veniva ripristinato il guasto ci facevano fare le prove tecniche e veniva scritto se veniva ripreso il servizio”. “Su alcuni brogliacci c’è scritto: ‘Non stampa’ con riferimento al numero di chiamata di Scarantino”, spiega la sovrintendente Sammataro. “Erano anomalie che succedevano. Capitava e poi si chiamavano i tecnici. Ai tempi succedeva”. Ma quando l’avvocato le ha chiesto se c’era qualcuno che staccava quelle telefonate allarga le braccia e dice non saperlo. Poi l’avvocato le chiede se ha visto dei magistrati andare in casa di Scarantino. E lei replica: “Non ricordo. Il mio non è un no, ma è un non ricordo”.
E ancora: “A me Scarantino non ha mai detto di avere accusato persone innocenti della strage, e che io sappia non l’ha detto nemmeno ad altri colleghi”.
Poi la poliziotta ricorda il periodo dopo le stragi, quando fece parte del gruppo investigativo ‘Falcone e Borsellino’. “Il 19 luglio 1992 ho appreso la notizia mentre ero a casa, perché ero libera dal servizio, ma non sono stata sul luogo della strage racconta – Ho fatto successivamente parte del gruppo ‘Falcone e Borsellino’. Non ricordo le date ma ricordo che non sono stata aggregata subito, bensì dopo mesi. Io ero in sala ascolto. Noi della sala riferivamo era l’ispettore Vincenzo Maniscaldi, a cui portavamo i brogliacci”.
“Ci siamo incontrati qualche volta nella stanza del dottore Arnaldo La Barbera. Lui ogni tanto faceva parlare quelli della sala e noi esponevamo i brogliacci, coinvolgeva il personale della sala ascolto”.
La donna poliziotto ha assistito Scarantino, che stava collaborando con i magistrati, “da fine agosto 1994 al 9 settembre 1994 a Jesolo” e poi “dal 14 gennaio al 24 gennaio 1995 a Imperia”. “Si andava lì a fare servizio di gestione della famiglia, essendoci la moglie con i bambini piccoli, venivano da un ambiente chiuso della Guadagna. Era importante che ci fosse una presenza femminile. Il personale femminile era necessario. Io accompagnavo la moglie al supermercato. Cercavamo di assisterla. Sostegno e assistenza alla famiglia”.
Protagonista dell’udienza di oggi anche la 126 imbottita di tritolo usata per la strage di Via D’Amelio. “Erano le 23. 14 del 30 luglio del 1992, appena undici giorni dopo la strage di Via D’Amelio, ed ero in sala ascolto intercettazioni, quando ho sentito due donne che parlavano al telefono. Una delle due, Pietrina Valenti, parlava della sua auto, una 126 che era stata rubata pochi giorni prima e disse che in Via D’Amelio poteva esserci proprio la sua auto”.
Ecco come i poliziotti che indagavano sull’attentato al giudice Paolo Borsellino e ai cinque agenti di scorta scoprirono a chi apparteneva l’utilitaria usata per uccidere il magistrato e i suoi angeli custodi. A raccontarlo, in aula, al processo sul depistaggio sulle indagini della strage del 19 luglio 1992, è il poliziotto Francesco Li Voti che faceva parte del gruppo investigativo ‘Falcone e Borsellino”
“C’è una trascrizione di due donne e una delle due fece riferimento alla macchina”, racconta il poliziotto rispondendo alle domande dell’avvocato Giuseppe Panepinto, che difende l’imputato Mario Bo, alla sbarra con altri due colleghi, Fabrizio Mattei e Michele Ribaudo. “Le due stavano guardando un tg e una delle due disse ‘lì c’era la mia macchina, una persona mi ha detto che può essere stata rubata”. E’ noto che da un’intercettazione telefonica sull’utenza in uso a Pietrina Valenti gli inquirenti trassero lo spunto per rivolgere le loro attenzioni su Salvatore Candura come autore del “furto dell’auto”. “Successivamente furono messi sotto controllo dei telefoni che potevano avere a che fare con delle persone che Pietrina Valenti poteva avere nominato”, racconta ancora Li Voti. Dopo il furto dell’auto, Pietrina Valenti si rivolse a Salvatore Candura, amico di suo fratello Luciano, perché nutriva il sospetto che fosse stato proprio Candura a impossessarsi della macchina. Quello che sarebbe poi diventato un falso pentito assicurò alla signora che si sarebbe prodigato per ritrovare la macchina.
Un altro poliziotto, Vincenzo Bavuso, tra tanti “non ricordo” ha parlato in aula “di avere partecipato a intercettazioni ambientali in carcere, a Bergamo e Venezia, con particolare riferimento su Vincenzo Scarantino”. “Non ricordo lo spunto investigativo – dice – Ho fatto anche delle intercettazioni su Pietro Scotto. Ho fatto un ambientale”. Ma ribadisce di non ricordare delle “anomalie” nelle intercettazioni su Scarantino. “Non ricordo anomalie che inficiavano l’ascolto. Stiamo parlando degli anni in cui queste apparecchiature avevano dei problemi”.
Fonte: AdnKronos
23/04/2021 (Adnkronos) – Prima di Sammataro è stato sentito un altro poliziotto che faceva parte del gruppo ‘Falcone e Borsellino’, Giuseppe Cirrincione, ora in pensione. All’epoca era Sovrintendente alla squadra mobile di Palermo.
“Il 19 luglio ero libero dal servizio ma il pomeriggio dopo la strage sono rientrato in ufficio a disposizione. Abbiamo fatto delle perquisizioni in un albergo e poi siamo rientrati in ufficio”. “Il mio compito era quello di fare accertamenti anagrafici, ci davano dei nominativi, noi andavamo nei vari comuni a fare accertamenti e schede anagrafiche. Sono stato aggregato al gruppo ‘Falcone e Borsellino’. Ricordo che mesi dopo mi hanno chiamato e sono andato. Rimasi per circa quattro mesi”. “
“In quel periodo ho fatto dei pedinamenti .In particolare pedinammo Pietro Scotto che lavorava alla Sip, lo abbiamo seguito per uno o due giorni, poi sono rientrato a fare accertamenti”.
Alla domanda se fosse a conoscenza di “intromissioni per chiedere di incastrare qualcuno”, ha risposto un secco “no”. Parlando di Vincenzo Scarantino, ha spiegato:
“Facevo parte del gruppo ‘Falcone e Borsellino’ ma di queste indagini si occuparono altri”. Ma ricorda che “abbiamo fatto delle attività di verifica su Scarantino”. “Insieme ad altri colleghi facemmo una verifica su un cantiere edile che si trovava in zona Guadagna dove c’era un gabbione che conteneva delle bombole di ossigeno. Abbiamo accertato questa cosa sulle dichiarazioni che aveva reso Scarantino. Abbiamo riscontrato che quello che aveva detto Scarantino era vero”.
Oggi saranno sentiti altri sette testi della difesa di Mario Bo.