…partendo dalla considerazione degli attentati precedenti ideati da Cosa Nostra nei confronti del giudice, fin dagli anni ottanta, fino ad arrivare alla rinnovazione della deliberazione di morte effettuata, da parte dei vertici della medesima organizzazione criminale, in epoca prossima all’esecuzione della stessa strage.
Riteneva che la deliberazione di morte fosse avvenuta, a livello di Commissione Provinciale, in occasione della riunione degli auguri di Natale del dicembre del 1991. Veniva richiamata la ricostruzione già effettuata, sul punto, dalla sentenza n. 23/99 emessa, il 9 dicembre 1999, dalla Corte di Assise di Caltanissetta (nel procedimento Borsellino ter), attraverso le dichiarazioni dei collaboratori di giustizia sentiti in quel procedimento (Francesco Di Carlo e Giovanni Brusca) i quali avevano riferito in ordine a precedenti progetti di attentato di Cosa Nostra contro il giudice Paolo Borsellino, fin dall’inizio degli anni ottanta.
Particolare rilievo veniva anche dato alle dichiarazioni rese dal collaboratore Brusca, in sede di dibattimento nell’ambito del presente procedimento, avendo ancora una volta il medesimo ribadito che, in epoca anteriore al Maxiprocesso, la decisione di eliminare il dott. Borsellino era da ricollegare al suo rifiuto di ogni condizionamento e alla sua intransigenza, mostrata, in passato, rispetto alle vicende giudiziarie riguardanti l’omicidio del capitano Basile (ucciso per mano mafìosa il 4 maggio 1980).
I progetti omicidiari contro Paolo Borsellino avevano continuato ad essere alimentati anche fino alla seconda metà degli armi ottanta, quando il magistrato aveva rivestito le funzioni di Procuratore della Repubblica presso il Tribunale di Marsala.
Un attentato avrebbe dovuto, in particolare, essere realizzato presso la casa estiva dello stesso a Marina Longa.
Il progetto, sul quale aveva riferito il collaboratore Giovanni Brusca, era stato, tuttavia, sospeso e, dalle rivelazioni di taluni pentiti, era emerso che i marsalesi si erano opposti all’uccisione del magistrato.
Altro progetto di attentato – con modalità non eclatanti – era stato ideato, in seguito, come attuabile nei pressi dell’abitazione palermitana del magistrato, in via Cilea, essendosi pensato di approfittare dell’attenuazione delle misure di protezione adottate in favore dello stesso, nonché dell’abitudine del medesimo di recarsi la domenica da solo, presso una vicina edicola, per acquistare il giornale.
Anche tale progetto (sul quale riferivano in dibattimento i collaboratori di giustizia Francesco Paolo Anzelmo, Francesco La Marca e Antonino Galliano) era stato, tuttavia, abbandonato per timore che potesse influire negativamente sull’esito del Maxiprocesso, pendente in quel periodo in grado di appello.
La strage di via D’Amelio doveva, pertanto, essere collegata ad una volontà omicidiaria condivisa dagli esponenti di Cosa Nostra fin dagli
anni ottanta, essendosi già da tempo il giudice Borsellino distinto per il suo impegno professionale nel contrasto alla suddetta organizzazione criminale tanto da ricoprire, insieme al collega giudice Giovanni Falcone, il ruolo indiscusso di “nemico”.