Architrave dell’indagine, come detto, sono state le domande che la famiglia del dottor Paolo Borsellino ha rivolto per anni in ogni ambito e livello istituzionale, ricevendo risposte a volte parziali, a volte contraddittorie, spesso reticenti. Interrogativi che la dottoressa Fiammetta Borsellino ha voluto ripercorrere con noi durante la sua audizione in Commissione:
1. Perché via D’Amelio, la scena della strage, non fu preservata consentendo così la sottrazione dell’agenda rossa di Paolo Borsellino?
2. Perché nei 57 giorni fra Capaci e via D’Amelio, i pubblici ministeri di Caltanissetta non convocarono mai il dottor Borsellino per ascoltarlo sulla
morte del dottor Falcone?
3. Perché i pubblici ministeri di Caltanissetta dell’epoca non ritennero di interrogare il procuratore capo di Palermo Pietro Giammanco?
4. Che ruolo ebbe l’allora Sisde sul falso pentimento di Vincenzo Scarantino?
5. Che ruolo ebbe l’ex capo della squadra mobile di Palermo Arnaldo La Barbera?
6. Perché i pp.mm. di Caltanissetta non depositarono nel Borsellino 1 i verbali del confronto fra il presunto pentito Scarantino e i collaboratori di giustizia Cancemi, Di Matteo e La Barbera che lo smentivano palesemente?
7. Perché i pp.mm. di Caltanissetta – e, successivamente, i giudici – non tennero in considerazione le due ritrattazioni di Scarantino?
8. Perché la dottoressa Ilda Boccassini e altri pubblici ministeri autorizzarono i componenti del gruppo investigativo “Falcone-Borsellino” a fare dieci colloqui investigativi con Scarantino dopo l’inizio della sua collaborazione con la giustizia?
9. Perché non fu mai redatto un verbale del sopralluogo della polizia assieme a Scarantino nel garage dove sosteneva di aver trasportato la 126 poi trasformata in autobomba?
10. Chi è l’ispiratore dei verbali, con a margine delle annotazioni a penna, consegnati dall’ispettore Mattei a Scarantino prima dei suoi interrogatori?
11. Perché Scarantino non venne affidato al servizio centrale di protezione ma ai poliziotti del gruppo “Falcone-Borsellino” diretto da La Barbera?
12. Perché i pubblici ministeri Palma e Petralia annunciarono un tentativo della mafia di inquinare le indagini subito prima dell’intervista televisiva in cui
ritrattava le proprie accuse?
Fiammetta all’Antimafia: i pm rendano conto del loro operato
Mutua dalle recenti motivazioni della sentenza Borsellino quater la definizione dell’indagine sulla strage di via D’Amelio, «il più clamoroso depistaggio che la storia della Repubblica ricordi», e per questo Claudio Fava, che dallo scorso novembre siede all’Assemblea siciliana ed è presidente della Commissione regionale antimafia, chiederà agli attuali vertici dell’intelligence «che cosa è accaduto tra il ’92 e il ’94». Fava parla in conferenza stampa dieci minuti dopo che si è conclusa l’audizione di Fiammetta Borsellino, la battagliera figlia del magistrato ucciso a Palermo il 19 luglio ’92 insieme a cinque uomini della sua scorta.
Alla vigilia dell’anniversario della strage, l’Antimafia regionale decide (“per scelta e non per atto dovuto», sottolinea Fava) di sentire Fiammetta Borsellino che stamane, in un intervento su Repubblica, ha messo insieme i 13 punti tutt’ora oscuri sull’assassinio del padre e sull’indagine che ne seguì, con tre processi passati in giudicato che portarono alla condanna di innocenti, prima che il pentito Gaspare Spatuzza parlasse e demolisse il castello di menzogne «costruito a cominciare dal ’92 – dice la figlia del magistrato – quando non avevamo alcun sospetto su quello che stava accadendo e, ignari di tutto, parlavamo con gli inquirenti di allora (il procuratore di Caltanissetta Gianni Tinebra, i pm Carmelo Petralia e Nino Di Matteo). Poi abbiamo capito, e ora sono le carte a parlare. Io non espongo opinioni, cito dati e avvenimenti».
«Le motivazioni del Borsellino quater – spiega Fiammetta al termine dell’audizione – hanno avvalorato quanto sapevamo sui depistaggi. Io racconto fatti, mi riferisco a dati contenuti nelle carte processuali. Se la procura di Caltanissetta e i magistrati del tempo hanno fatto male, è giusto che rendano conto del loro operato. Vertici istituzionali e investigatori che hanno ordito il depistaggio sulla strage di via D’Amelio, hanno fatto male non solo a noi ma all’intero Paese; è stata offesa anche l’onorabilità della magistratura».
E incontestabile è la «violazione delle regole – spiega Fava – che hanno portato ad affidare le indagini ad Arnaldo La Barbera, contemporaneamente capo della Squadra mobile di Palermo e stipendiato dal Sisde. Di tutto questo c’è inevitabilmente traccia da qualche parte e chiederemo agli attuali vertici dell’Aisi di fare chiarezza: chi ha chiesto e chi ha autorizzato questa assoluta anomalia?».
«Ventisei anni dopo la strage e l’inizio di un depistaggio unico nella nostra storia, è chiaro che le tracce sono rimaste ed è da queste che occorre partire per conoscere la verità. Non vogliamo sostituirci alla magistratura ma da settembre cominceremo con le audizioni e la nostra sarà un’indagine politica», conclude Fava, che nella scorsa legislatura è stato vicepresidente della Commissione antimafia nazionale guidata da Rosi Bindi. CSNTRO STUDI PIO LA TORRE